«Ti ricordi come abbiamo iniziato?»
Al suono della domanda di Jake, Elwood
reagì voltando impercettibilmente il capo verso il fratello. Gli occhi
dell'altro erano oscurati dalle lenti nere degli occhiali, ma stavano
certamente vagando nello spazio; un altro spazio, con tutta probabilità.
La stanza era un caos di custodie di strumenti
musicali, vestiti sgualciti, lanciati alla rinfusa su sedie e mobilio. Il
tavolo al centro della stanza, intorno a cui sedevano i fratelli Blues, era
sovraccarico di vinili, avanzi della cena e bottiglie ormai vuote.
Elwood fece cadere lo sguardo sulla bottiglia di whisky
rovesciata, in cui il poco liquido ambrato oscillava lentamente seguendo i
movimenti che avevano appena scosso il tavolino. Un ondeggiare lento,
lentissimo, fino ad arrestarsi.
Certo che ricordava come tutto era iniziato. Come
avrebbe potuto dimenticare il momento in cui aveva capito che non sarebbe
rimasto mai più solo? L'istante in cui aveva compreso di aver finalmente
trovato una famiglia?
Chicago aveva sempre avuto lo stesso odore. Ogni volta
che ripensava a quella città, alla sua infanzia, Elwood
aveva sempre perfettamente impresso nella mente e nelle narici l'odore di
Chicago. L'aria pesante, carica dei fumi delle industrie, delle auto sempre più
usate. Anche nel cortile di cemento e mattoni dell'orfanotrofio quell'odore si
faceva sentire persistente, quasi pretendesse di essere ricordato in eterno.
Elwood aveva da poco compiuto sette anni. Era più alto di
tutti gli altri bambini dell'orfanotrofio e sembrava non nutrire il minimo
interesse nel parlare con loro, provare a conoscerli o giocarci insieme.
Trascorreva i pomeriggi soleggiati, quelli piovosi e anche quelli semplicemente
nuvolosi con se stesso, sperimentando di cose a cui nessuno interessava,
all'apparenza troppo complesse per un bambino di quell'età.
Gli unici momenti che trascorreva volentieri insieme
agli altri erano quando li andava a trovare Curtis. Gli incontri con l'uomo,
per il piccolo Elwood, erano minuti magici. Per lui,
Curtis aveva un'aura unica, quasi trascendentale, mentre raccontava di storie
di uomini lontani, persone che suonavano la chitarra, componevano canzoni.
Intervallava i suoi discorsi con brani musicali e melodie suonate con
l'armonica, lo strumento che il piccolo Elwood aveva
imparato ad amare più di qualsiasi altro.
Là, nel seminterrato in cui viveva Curtis, o nel
cortile dove l'uomo era solito radunare i bambini per raccontare loro avventure
o suonare qualcosa, Elwood aveva incontrato Jake.
Gli altri bambini lo chiamavano "Joliet" –
il luogo da cui sembrava provenire – un soprannome
che nessuno, in verità, sapeva da dove fosse comparso; alcuni sostenevano che se
lo fosse dato lui stesso.
Jake era un bambino solo, scontroso e di poche parole.
Proprio come Elwood, non era interessato a passare il
tempo con i propri coetanei, né con i bambini più grandi. Trascorreva le
giornate da solo, distante da tutti, a scarabocchiare fogli su fogli, come se
stesse disegnando i progetti per il suo futuro.
Esattamente come Elwood, gli
unici momenti in cui Jake si univa al resto dei bambini dell'orfanotrofio erano
solo quelli in cui arriva Curtis, armonica alla mano, a proporre alcuni dei
pezzi migliori di Little Walter.
Per il resto del tempo, Jake ed Elwood
trascorrevano le proprie giornate con se stessi, lanciandosi qualche occhiata
di sottecchi quando uno dei due intravedeva l'altro.
Poi, una notte, era cambiato tutto. Nel silenzio
dell'enorme camerata, i letti a castello in fila a custodire fra le lenzuola i
bambini assopiti, Elwood aveva sentito un rumore. Con
l'immotivata indifferenza del pericolo che sembrava caratterizzarlo, il bambino
era sceso dalla branda e aveva seguito la piccola macchia nera che si muoveva
furtiva fuori dalla stanza, scendeva le scale e si infilava sempre più in
profondità nell'edificio, fino al seminterrato di Curtis. Era stato allora che Elwood, gli occhi non più gonfi per via del sonno, aveva
riconosciuto la sagoma di "Joliet" Jake.
Quest'ultimo, sentendo la monissilabica
esclamazione di sorpresa dell'altro, si era voltato, pronto a difendersi con i
pugni alzati.
Tuttavia li aveva abbassati immediatamente quando
aveva visto chi c'era davanti a sé. Quel bambino, Elwood,
lo attraeva in qualche modo. Lo incuriosiva per come studiasse ogni oggetto gli
capitava in mano, sembrando disinteressato a tutto il resto.
I due bambini si erano guardati nella penombra per un
lungo momento, infine Jake era stato il primo a parlare: «Vuoi venire con me?»
Avevo dato le spalle a Elwood,
come se già avesse saputo cosa il destino stava per dedicare loro e aveva
ricominciato a trafficare con la porta che si trovava davanti.
«Dove stai andando?» aveva domandato Elwood in risposta, guardando incuriosito l'altro.
«Da Curtis» aveva replicato secco Jake. «Mi sta
aspettando. Mi lascia ascoltare Muddy Waters, e bere latte al
cioccolato. Suor Mary non sa niente, quindi se non vuoi venire con me farai
meglio a tapparti la bocca.»
Con quell'affermazione Jake aveva dimostrato tutto il
suo carattere; la scontrosità, le poche e dirette parole. Erano tutte
caratteristiche che si sarebbe portato avanti negli anni, che lo avrebbero reso
l'uomo che era. Ed erano tutte caratteristiche che Elwood
non temeva.
«Voglio venire anche io da Curtis ad ascoltare Muddy Waters» aveva esclamato
immediatamente quest'ultimo, avvicinandosi di un passo.
Jake, allora, lo aveva guardato serio, dopodiché era
tornato a dedicarsi alla porta, l'aveva aperta e aveva fatto cenno a Elwood di seguirlo.
Da quel giorno le strade dei due amici non si erano
più divise. Jake ed Elwood erano cresciuti insieme
fra le mura dell'orfanotrofio. Aveva imparato a condividere la stessa passione
per la musica, per il blues. Avevano iniziato a trascorrere le giornate
cantando B.B. King e mettendo su carta parole
abbozzate nella speranza di vederle diventare canzoni. Condividevano tutto; dal
racconto del proprio sogno alla gomma rosa in cima alla matita, dalla tazza di
latte al cioccolato alla loro prima birra.
Una volta raggiunta la maggiore età ed essere
diventati uomini liberi e indipendenti, autorizzati a decidere cosa fare della
propria vita, Jake ed Elwood avevano deciso di
lasciare l'orfanotrofio insieme.
«Noi due siamo fratelli, ormai» aveva detto
Jake.
Insieme avevano espresso il loro amore per la musica
scegliendo di darsi il cognome Blues
e, appena messo piede fuori dal perimetro dell'orfanotrofio, avevano deciso di
siglare definitivamente il loro legame.
«Lo faremo per la musica. E per la nostra amicizia.»
Jake aveva teso la mano all'altro con quelle parole.
Il look tipico di Curtis ormai radicato indosso e sugli occhi dei due.
Elwood aveva stretto la mano dell'amico e lì aveva capito di
aver finalmente trovato una famiglia, un fratello con cui condividere le mille
peripezie della vita, qualcuno a cui era legato dal passato comune e dalle profonde
passioni. Qualcuno insieme al quale costruire il proprio futuro.
«Per la musica. E per la nostra amicizia.»
Elwood stava ancora guardando Jake. Dietro alle lenti scure
lo sguardo del fratello era perso, distante. Nessuno poteva immaginare cosa si
celasse oltre gli occhiali, eccetto Elwood. Un'intera
vita insieme a Jake gli aveva insegnato a comprenderlo alla perfezione.
Riuscì a vedere quello che vedeva lui. Ripercorse i
chilometri che avevano calcato insieme con la loro Cady, quella splendida auto blu. Le canzoni che avevano cantato, la
stanchezza dei lunghi tour, delle sveglie all'alba. Rivide le loro avventure,
le liti con sconosciuti in un bar, i confronti a parlare di blues, di jazz. La
Blues Brothers Band che si era formata un componente
alla volta fino a quella sera, in cui era pronta a portare la propria musica in
un nuovo, sgangherato, pub di periferia.
La domanda di Jake, ancora sospesa nell'aria della
piccola stanza, ancora senza una reale risposta, racchiudeva molto di più di
quello che si potesse credere all'apparenza.
Quello di Jake non era stato un quesito, ma
un'affermazione e Elwood lo sapeva. Il fratello aveva
ripercorso brevi tratti del loro passato, fino al giorno in cui tutto era
iniziato. Lo aveva fatto nel ricordo di ciò che era stato e che, Elwood lo sapeva, avrebbe rivissuto allo stesso modo in
ogni suo minuto.
Lo stesso valeva per lui. Il giorno in cui si erano
stretti la mano, il giorno in cui avevano deciso di farlo per la musica e per
la loro amicizia, era stato il giorno in cui la vita di Elwood
era iniziata veramente. Avrebbe rifatto tutto dall'inizio, non una, infinite
volte. Esattamente come Jake.
«Certo che mi ricordo come abbiamo iniziato.»