Era  posato su una sedia, in una posa meticolosa ed accuratamente studiata, lasciato volutamente nel lato più luminoso della stanza.
Lo osservava con sguardo attento, lo studiava in ogni sua piccola curva, ogni più piccolo dettaglio erano catturati dal suo sguardo, lo studiava minuziosamente, centimetro per centimetro, finiva il percorso stabilito dal suo sguardo e poi, quasi automaticamente, rincominciava, questa volta con un percorso diverso, sempre con sguardo studiato e attento.
Osservava attento ogni dettaglio che, in precedenza, non aveva notato, lo studiava affondo e, una volta finito, si alzava dalla sua piccola e malridotta sedia in legno, la paglia ormai consumata ed il legno ormai di diverse tonalità, usciva da quel piccolo nascondiglio nel punto più ombroso della stanza e si avvicinava, lentamente, per osservare ancora.
Lo osservava da vicino, lo studiava ancora più attentamente, ma non lo toccava mai, non lo avrebbe mai fatto, nemmeno per sbaglio.
Si trascinava, con passo lento e pesante, verso la piccola cucina, riempiva un piccolo bollitore, ormai vecchio, di acqua e con movimenti stanchi, lo metteva sul fuoco, tornando poi a sedersi sulla piccola sedia malridotta, nell'attesa.
Il respiro leggero dell'uomo riempiva l'aria, ne era l'unico padrone e nessun altro suono osava surclassarlo.
Aspettò i soliti minuti contati, sempre immerso nell'osservare ciò che gli si trovava di fronte, alzandosi poi per spegnere il piccolo fuoco.
Prendeva in mano la solita tazza sbeccata, la posava delicatamente sul tavolo e versava l'acqua calda al suo interno, immergendoci poi la piccola bustina di tea.
Aggiungeva sempre e solo due cucchiaini di zucchero, mescolava ogni volta con quattro giri esatti e posava il cucchiaino sul tavolo dalla tovaglia rossa.
Prendeva in mano la sua tazza e si dirigeva ancora verso la sedia malridotta.
Passi felpati si accostavano a scricchiolii, mutati poi in innaturale silenzio, interrotto di nuovo dal debole respiro e, a tratti, da piccoli sorsi.
Aveva una posa quasi innaturale, da soldato costantemente baciato dal sole.
Lo sguardo perso nel vuoto.
Posava ogni volta la tazza accanto alla sedia e, come se fosse di vitale importanza, si girava ad osservare al di fuori della finestra, constatando sempre che il cielo stava diventando scuro.
Osservava di nuovo, con luce diversa, ogni più piccolo particolare possibile.
Ne era ammaliato, rapito dal quel piccolo capolavoro.
Restava su quella sedia fino al buio più totale, sempre osservando e studiando attentamente, finchè non diventava impossibile per il buio.
Si alzava lentamente e, grazie ai suoi piccoli fiammiferi, accendeva la candela di cera bianca.
Lo guardava ancora dopo averla accesa, lo osservava da dietro, nel suo piccolo punto baciato dal sole.
Gli  dava sempre la buonanotte, ogni sera, ogni volta, prima di camminare stancamente fino al letto in ferro, gli dava la buonanotte come se, per magia, lo potesse realmente sentire.
Lo osservava un'ultima volta, il suo "piccolo angelo", il suo capolavoro più bello, ciò che lui riteneva l'unico amore della sua vita.
Lo salutava, convinto, dentro di se, che potesse davvero sentirlo.
Lo lasciava da solo al buio, quel piccolo capolavoro.
Lasciava l'opera più bella che avesse mai visto in quella posa innaturale, su quella sedia dall'aspetto quasi novo, ma in realtà mai toccata.
Si addormentava aspettando ansiosamente l'indomani, per poterla osservare ancora.
Aspettava di studiare ancora, quela piccola marionetta dai capelli arancioni.
Hinata era il nome di quel piccolo capolavoro.
Kageyama, quello di colui che la creò.