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Autore: EffyLou    10/12/2017    0 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
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I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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23. Rita

 
18 marzo 1935

Berlino.
L’ospedale sembrava un rifugio per nomadi. C’erano i fratelli di Johann con le fidanzate: Carlo ed Erna, Julius e Franziska, Ferdinand e Mausi, Albert, Stabeli. Friederike aveva liquidato la situazione con una mano: «Poi il pargolo me lo porterà a far vedere, io sono vecchia, non fatemi fare questi viaggi lunghissimi»
A Rukeli era dispiaciuto non avere sua madre lì quel giorno, ma capiva la donna.
C’erano i parenti di Frieda. Zia Rosa, Edmund ed Ivan, i due fratelli del signor Bilda e anche sua sorella: Vasilij, il padre di Ivan, Boris e Olga. Erano massicci, forgiati dai venti delle steppe e dal calore dei cavalli. Granitici.
I capelli biondi e gli occhi azzurri erano un tratto comune ai Bilda. Nessuno di loro parlava il tedesco. Vasilij era il più anziano, i capelli e i baffi folti erano solo leggermente brizzolati. Era alto e imponente, come il figlio.
Boris era il terzo dei tre fratelli, aveva perso i figli piccoli durante il genocidio, terminato solo nel 1933. Da quel momento si era chiuso in un mutismo ermetico quanto definitivo.
Olga era l’ultima dei Bilda. Anche lei era alta, una donnona. Gli occhi miti, passivi e rassegnati allo scorrere degli eventi, un fazzoletto azzurro sui capelli biondi.
Sinti e cosacchi, riuniti nella stessa sala d’aspetto. Non c’era nulla che li accumunava esteriormente.
Dentro, invece, erano più simili di quanto si aspettassero.
Lo stesso legame con i cavalli, con la famiglia. Lo stesso istinto migratorio, anime che seguivano i venti dell’est, attecchivano in una stagione e alla prossima non c’erano più. Lo stesso cuore libero, lo stesso orgoglio. I cosacchi d’Ucraina, però, non amavano vivere passivamente il susseguirsi degli eventi. Lottavano, facevano sentire la loro voce. Erano guerrieri, i discendenti delle Amazzoni e degli Sciti.
I sinti non avevano questa caratteristica: il loro atteggiamento verso le prepotenze era più passivo, quasi come se lo meritassero.
Ivan aveva raccontato, in kazako, a suo padre e agli zii stranieri dell’impresa di Rukeli, la sfida al nazismo.
«Sığan jındı. Mağan unaydı» aveva commentato Vasilij con un sorriso.
Zingaro pazzo. Mi piace.
In effetti, uno zingaro che si ribellava al sistema non si era mai visto. Tantomeno così a viso aperto, guardandoli negli occhi uno ad uno. I Trollmann avevano capito che stavano parlando di loro fratello, anche se la “u” la pronunciavano “a” (“Rakeli”).
Johann camminava avanti e indietro per il corridoio, si mordeva le unghie e passava le mani tra i capelli. Ogni tanto si fermava, si appoggiava alla parete, le braccia incrociate e la testa bassa.
Carlo si era avvicinato a lui, gli aveva stretto la mano sulla spalla. Lui aveva tre figli, due femmine e un maschio, ed Erna era incinta di nuovo. L’ansia di Rukeli per il primo figlio ce l’aveva anche lui, in passato, e anche le seguenti due volte che Erna aveva partorito.
«Ho l’ansia» ammise Johann, con un sorriso imbarazzato.
«Sarebbe stato strano il contrario»
«Carlo, io… Non so se sarò un buon padre»
«Nessuno può saperlo. Nemmeno io so se sono un buon padre. Sono cose che puoi capire, in parte, solo quando i figli crescono. Vedi le scelte che fanno, le strade che prendono, come trattano gli altri… e capisci se hai fatto un buon lavoro. Dipende anche dal carattere, certo, ma l’impostazione che hai cercato di dargli si vedrà e capirai che tipo di padre sei stato»
«Non so neanche come si prende un neonato in braccio» borbottò.
Carlo scoppiò a ridere. Ogni volta che rideva, sembrava tornare adolescente.
«Non sono cose che si imparano. Verrà naturale, non rimuginarci troppo su. Segui il corpo, sa cosa fare»
Johann gli scoccò un’occhiata indecifrabile, in cui il fratello vi lesse incertezza. «Il mio corpo non è fatto per queste cose, è fatto per dare e prendere pugni»
Gli diede una pacca sulla schiena. «Non è vero, vedrai. La famiglia è il bene più prezioso, Rukeli, e siamo uomini fortunati ad avere al nostro fianco donne straordinarie, che ci amano nonostante gli altri ci voltino le spalle»
In quel momento, Hildi si affacciò da una porta in fondo al corridoio. Le guance rigate dalle lacrime, il sorriso ampio, la fronte imperlata di sudore. Era voluta entrare in sala con Frieda, non avrebbe abbandonato la sua amica più cara. Si avvicinò barcollando a Johann, e si appoggiò a lui.
Lanciò un’occhiata alla sala d’aspetto gremita, gli sguardi su di lei in attesa. Hildi guardò l’amico.
«Entra solo tu. – gli intimò. – È nata, ed è una bambina bellissima»
Gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo forte e facendogli i suoi più sinceri auguri.
Johann ricambiò l’abbraccio, titubante. Era una statua di sale.
Quando lei si scostò, lui si fiondò nella sala dove intanto avevano spostato la ragazza, con una veste pulita e un letto comodo.
La faccia pallida come un cencio, gli occhi arrossati, la pelle imperlata di sudore e i capelli biondi appiccicati alla fronte. Il seno era abbondante sotto la veste, più dei giorni precedenti.
Una minuscola creatura era tra le braccia di Frieda. I capelli neri, radi, la pelle rosea, le manine rugose, gli occhi chiusi. Era nata sana come un pesce, di due chili e mezzo.
Frieda gli fece segno di fare silenzio. Lui si avvicinò piano, accovacciandosi vicino a lei, gli occhi neri pieni di lacrime. Allungò un dito per accarezzare il dorso della mano della bambina.
«È così piccola» sussurrò, la voce tremante per l’emozione.
Frieda gli asciugò le guance con il pollice. «Ha le tue labbra»
«Riposati, mro vòci. – le scansò i capelli dalla fronte madida, ci poggiò un bacio. – Sei una tigre»
«Prendila»
Titubante, allungò le mani per prendere il fagottino che la ragazza gli stava passando. Era minuscola. Aveva quasi paura di tenerla, fragile come un colibrì. La posizionò con la testa nell’incavo del braccio, la schiena della piccola che si distendeva, il respiro impercettibile. La grossa mano di Johann si poggiò sul pancino molle, la cullava.
Non riusciva ancora a credere di essere diventato padre. Aveva avuto circa due mesi e mezzo per realizzarlo ma ora che la teneva in braccio era tutto diverso.
La chiamarono Rita Edith.

 
Frieda e Rita restarono in ospedale altri tre giorni. Hildi, Gilda e Johann erano sempre vicino a lei.
Hildi nel frattempo era riuscita a trovare una carrozzina e un lettino, con l’aiuto di Bruno ed Edmund Bilda l’avevano portato al casale in campagna.
Zia Rosa aveva cucito un’infinità di vestitini per la piccola Rita e anche qualcuno che avrebbe messo quando sarebbe stata più grandicella.
Quando madre e figlia furono dimesse dall’ospedale, la sera venne organizzata una grande cena al casale con i fratelli di Johann, i cosacchi, gli amici. C’era persino le sorelle di Johann, Friederike e suo fratello Robert, con il piccolo Edu.
Clara aveva portato la signora Berger ed Ulma fino a Berlino dopo che Johann aveva dato loro la notizia. C’erano tutti, ma proprio tutti.
Kaspar passò a Johann una lettera da parte di Hans, in cui gli faceva i suoi più sentiti auguri. Se n’era andato in Inghilterra, si era ricostruito una vita. Anche Leyendecker era andato alla cena al maneggio.
La signora Berger toccò i volti di Frieda e Rita, per “guardarle”, e fece un sorriso furbetto.
«Siete davvero due bamboline, proprio come aveva detto quel disgraziato»
Frieda si era sgonfiata, tornando la minuta ragazza di sempre. Eccetto per il seno, l’allattamento la rendeva prosperosa. Hildi le aveva dato una strizzata: «Sfruttale finché le hai!»
Leyendecker aveva voluto tenere in braccio la neonata, le faceva strane smorfie e le parlava come se potesse capire: «Spero che non diventerai come quel maledetto borioso di tuo padre, bambolina, altrimenti ci sarà da mettersi le mani nei capelli»
Cenarono su un lungo tavolo allestito in giardino, alla brezza fresca di marzo. I corpi avvolti da golfini leggeri, mantelle, cappellini.
E dopo, Stabeli cominciò a suonare il violino. Nessuno era bravo come lui. Kerscher accompagnò la melodia del fratello con il tamburello, sua figlia Goldi che le ballava intorno.
Anna e Maria coinvolsero la zia Olga, la zia Rosa, le mogli dei loro fratelli, Gilda ed Hildi a ballare.
Frieda batteva le mani a tempo, seduta su un ceppo vicino alla carrozzina con Rita che si guardava intorno.
Friederike le andò vicino.
«Aspettavo con ansia un figlio di Rukeli. Persino Mauso è diventato padre prima di lui. – sospirò, le fece un sorriso. – È proprio una bella bambina. E non lo dico mica perché sono la nonna!»
La ragazza ridacchiò. «Spero che crescendo somiglierà di più a Johann»
«Coraggioso da dire»
E non seppe identificare quel tono di voce. Dopodiché si propose per far addormentare Rita, e Frieda gliela lasciò di buon grado. Friederike si allontanò verso l’entrata del casale, cantando una ninna nanna in lingua romanì. La stessa che cantava a Johann e agli altri fratelli, la stessa che Rukeli aveva cantato quei giorni alla figlia. Una nenia che viaggiava di generazione in generazione.
Johann aveva afferrato il violino di Stabeli, cominciato a suonare. Non era bravo come il minore, ma era abbastanza capace da saper inventare e suonare sul momento. Suonava inginocchiato di fronte a Frieda, gli occhi negli occhi.
Lei lo guardò sorridendo, osservava le dita forti premere sulle corde, il movimento armonioso del braccio che strofinava l’archetto e produceva quel suono soave, gli occhi torbidi che non si staccavano dai suoi. Per lei, non c’era nessun altro lì in quel momento. Nessun altro, nessun altro suono. Solo Johann con il violino e la sua musica. Se non fosse stato un campione di boxe, era sicura che avrebbe avuto un futuro da violinista.
Magari in un’altra vita.
Pensò, immaginando che quella sarebbe stata la risposta di Rukeli se gli avesse fatto quella considerazione.
Finì di suonare, appoggiò il violino sull’erba. Infilò una mano in tasca e ne estrasse una scatoletta di velluto bianco. Brillò un anello. Un cerchio d’oro perfetto, sottile. Frieda era del tutto incapace di parlare.
«Olga Frieda Bilda. – cominciò lui, solenne, scandendo ogni sillaba. – La luna e le stelle ne sono testimoni. I nostri amici e le nostre famiglie ne sono testimoni. Tu sei jaaneman. Ci riconosceremo in ogni vita che ci verrà regalata. Da grembo a tomba»
Johann deglutì e incrociò di nuovo gli occhi febbrili di Frieda.
«Ma non per questo motivo sono in ginocchio. Ti scelgo ogni giorno della mia vita, anche quando litighiamo che mi metti il broncio e voglio attirare la tua attenzione a tutti i costi; ti scelgo perché sorrido tutte le mattine, appena apro gli occhi e ti vedo vicino a me che ancora dormi. E io non so cosa ho fatto per meritare l'amore di una donna come te, che potrebbe avere chi vuole e invece ha scelto me. Sai che non ho molto da offrirti se non la mia compagnia e tutto l'amore che sono in grado di donarti, semplice e ingenuo lo so, ma se non altro è sincero. È tutto quello che ho, e voglio donarlo a te e a Rita. E ti chiedo oggi, di fronte al cielo… posso averti per tutta la durata di questa vita? Vuoi starmi tra i piedi finché non esaleremo l’ultimo respiro?» l’ultima frase l’aggiunse a bassa voce, il sorriso innamorato e scherzoso che le rivolgeva ogni volta che giocava con lei.
Frieda si era messa a piangere, le mani sulla bocca. Fece di sì con la testa, totalmente incapace di parlare.
E nel caos degli applausi per i futuri sposi, lui le sussurrò ancora: «Ora la proposta è valida, direi» ghignò, riferendosi alla notte a Praga.
Johann infilò l’anello al dito di Frieda, minuscolo tra le sue, e la strinse forte a sé sussurrandole ancora e ancora quanto l’amasse.







ECCO LA PUPAAAA♥
Il 18 marzo 1935 nasceva Rita Edith Trollmann, che quest'anno ha compiuto la bellezza di 82 anni! Io non conosco nulla di questa donna, vedo le sue foto ora che è anziana e cerco di immaginarla più giovane. Somiglia molto al padre: ha lo stesso taglio degli occhi, le stesse labbra e sorriso, lo stesso naso. Ora è anziana, quindi la pelle andando un po' a cadere ha "deformato" alcuni tratti. 
Da questo momento in poi la vedremo spesso e vi avviso: la sua personalità sarà del tutto inventata. Non so chi sia Rita Trollmann, come abbia affrontato la guerra etc, cercherò di fare una ricostruzione romanzata, per così dire, più verosimile possibile.
Ora finalmente c'è un anello al dito, presto verrà ufficializzato tutto. Tecnicamente, Johann avrebbe riconosciuto Rita come propria figlia a dicembre del 1935. Ma non conoscendo il perché di tale scelta, ho evitato di inserire questa informazione.

Se volete lasciatemi una recensione ♥
Buon inizio settimana, alla prossima! ♥

 
   
 
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