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Autore: samskeyti    12/12/2017    2 recensioni
Se Arthur fosse sopravvissuto alla guerra.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Libero
 
Aveva i capelli biondi leggermente più lunghi del solito, gli cadevano ondulati lungo la fronte, e la pelle del volto distesa, di un bel colorito vivo.
Accarezzava il bracciolo della poltrona su cui sedeva solo, nella stanza matrimoniale, guardando l’anello che portava all’indice, mentre i suoi pensieri erravano veloci, sfuggenti, senza veramente soffermarsi su niente.
 
La luce tremolante del focolare gettava ombre e luci sulla sua larga camicia rossa, parzialmente aperta sul petto come se l’avesse slacciata prima di andare a dormire ma infine se ne fosse dimenticato. Qualche pelo chiaro spuntava dalla scollatura, conferendogli un’aria virile e matura che ben si addiceva alla sua età.
 
La mano sul bracciolo si arrestò di colpo, si chiuse a pugno coi nervi tesi e in risalto per la tensione.
 
Devo provare, si disse, facendo un bel respiro profondo per cercare di rilassarsi.
Questa è l’ultima prova di cui ho bisogno.
 
Erano passati sei mesi dalla fine della guerra e dalla sconfitta di Morgana. E da allora, dal loro ritorno, le cose erano molto cambiate per Arthur anche se non lo dava a vedere.
Chiuse gli occhi, strizzandoli, e inclinò all’indietro il capo nello sforzo di lasciarsi andare a quella che sembrava… vergogna.
 
Non è la prima volta che lo faccio, avanti…
Sì, ma è la prima volta che lo faccio pensando a-
 
“Merlin” sussurrò, mentre l’immagine di Merlin si solidificava sotto le sue palpebre abbassate.
 
Calò una mano, la portò vicino all’inguine e con un dito sfiorò la sporgenza naturale sotto ai pantaloni morbidi. La reazione fu veloce, quasi immediata, dura nel palmo della sua mano.
 
I tuoi limpidi occhi verdi e come li usi al posto di parlare, le tue labbra rosa delicatamente piegate verso un lato –Arthur serrò i lineamenti del viso, più forte, con più decisione, mantenendo lo sforzo contro la vergogna, mentre un senso di calore gli invadeva il corpo e tingeva di rosso le sue guance –il profumo delle tue mani quando sistemi il colletto della mia giacca, il tuo tono di voce fermo e sensuale quando siamo da soli, la curva del tuo profilo sulla mia schiena quella notte che nel bosco abbiamo dormito per terra –Arthur sospirò, le dita fecero presa chiudendosi sul cavallo dei pantaloni mandando brividi di piacere lungo la sua pelle su fino al cervello – ogni cosa che fai, la fai per me. Quanto tu vorrai…
 
Il pomo d’Adamo sussultò, la mano si staccò da dove era e si rese conto di essere sudato.
Non volle spingersi oltre o andare fino in fondo.
 
Tornò rilassato ma col viso abbassato, stanco, come se la rassegnazione avesse preso all’improvviso il sopravvento.
L’ultima delle conferme.
Sì, perché tutto il resto –il rispetto, il divertimento, la stima reciproca, la complicità - c’era già.
Era solo che lui e Merlin l’avevano messa sempre su un piano “amichevole”. Però qualcosa non era mai davvero girato nel verso giusto, come due veri amici; Arthur aveva sempre avvertito una differenza tra il suo rapporto con Merlin e quello con, ad esempio, i cavalieri. E se prima Arthur attribuiva la causa di questo alla gerarchia, al fatto che erano re e servitore, ora sapeva che non era per quello. Lo aveva capito sei mesi prima, quando Merlin lo aveva salvato da morte certa e per farlo aveva usato la magia, che poche ore prima gli aveva rivelato di possedere.
 
Rialzò il viso e guardò dritto, verso il dipinto di Uther appeso al muro insieme ad altri membri della loro famiglia. Non c’era più segno di rossore sulle sue guance, ma solo decisione e maturità nel suo sguardo adulto..
 
Lo so cosa diresti tu, Padre, ma questa non è la prima né la seconda cosa che faccio contraria ai tuoi insegnamenti e valori. Questo è il mio regno, e ho già vissuto molti anni sotto l’ombra che gettava il tuo fantasma, non intendo sprecare altro tempo.
 
L’educazione rigida e il senso di eccessiva responsabilità che suo padre aveva instillato dentro di lui come un filo spinato che si stringeva ogniqualvolta cercava di fare di testa sua, avevano lasciato il posto al suo pensiero finalmente indipendente e consapevole.
 
 
La luce dal caminetto continuava a sfavillare, mentre fuori dalla finestra il temporale si era esaurito e i raggi lunari squarciavano le nuvole ormai inconsistenti.
Passi nel corridoio riecheggiarono, guardie probabilmente o forse Gwen, sì forse era Gwen che tornava da ovunque fosse stata fino a quel momento.
 
Arthur si alzò dalla poltrona e andò al tavolo, si versò un calice di vino e si affrettò a berlo. Voleva che la sua mente si annebbiasse, che quelle sensazioni appena provate scivolassero via, per trovare il folle coraggio di parlare apertamente a sua moglie.
 
“Arthur” la voce di Gwen alla porta e subito dopo lei che fece il suo ingresso, il solito vestito largo e appariscente a spiccare alla vista, “Scusa se ho tardato, ero al piano di sotto con alcune dame di corte.”
 
La risatina di Gwen venne vagamente ricambiata da un sorriso superficiale di Arthur, che si versò un altro bicchiere di rosso e lo ingollò vedendo attraverso il vetro la figura di sua moglie andare verso l’armadio.
 
“Gwen, ti devo parlare” disse tutto d’un fiato.
 
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Sei mesi prima, qualche giorno dopo la vittoria e il ritorno a Camelot.
 
La festa era durata a lungo e si potevano dire tutti soddisfatti.
Molto vino era stato versato, molta musica era stata suonata e, fra le lacrime al ricordo di chi era caduto in guerra e le felicitazioni per chi era sopravvissuto, per Camelot era cominciata una nuova era.
 
Il re e la regina avevano dichiarato di comune accordo la decisione a riammettere la magia a corte e nel resto del regno e con essa tutti i cittadini o stranieri che ne facessero uso. Non colse gli abitanti di sorpresa perché era stato raccontato di come Merlin avesse salvato il re grazie ai suoi poteri; tuttavia, ci sarebbe voluto del tempo per adattarsi al cambiamento.
Mentre è facile capire il motivo di questa decisione, non è altrettanto facile capire come si era sentito Merlin quando questo era stato comunicato.
Sul momento, nel clima della festa, aveva applaudito convinto, ma poco dopo, mentre la musica era ripresa e i balli, i banchetti, le conversazioni riempivano l’atmosfera di calore e allegria, lui aveva sentito il bisogno di appartarsi e prendersi uno spazio per pensare.
 
Era fermo appoggiato al tronco di un albero del giardino nel quale si teneva la festa, un bicchiere di idromele in mano, quando Arthur lo raggiunse. Come ogni volta, quando lo vedeva solitario.
 
Merlin, tutto bene?”
I due si guardarono negli occhi.
Arthur era bellissimo quella sera, la corona nuovamente sui suoi capelli dorati, la felicità del lieto fine ancora vivida dentro le sue pupille color zaffiro.
“Sì, è stato un gran discorso, te ne sono grato, soprattutto per quello che significherà per tutte le persone come me.”
“Lo sai chi è veramente grato a chi” si limitò a rispondere Arthur, mettendogli amichevolmente una mano sulla spalla.
Merlin abbassò gli occhi, timido, e rimase in silenzio.
“Cosa farai ora? Voglio dire, ovviamente non devi più considerarti il mio servo e credo che questa non sia una sorpresa.”
“Continuerò ad aiutare Gaius, mi piace lavorare con lui.”
Arthur alzò le sopracciglia e lo guardò divertito, non si aspettava proprio questa risposta.
“Tutto qui? Sei libero Merlin, potresti andare dovunque!”
Merlin tornò a guardarlo dritto negli occhi e con un’espressione più seria gli rispose, dolcemente: “Io non voglio andare dovunque, Arthur. Voglio stare dove sei tu.”
 
Questo sì che colse impreparato. Ritirando la mano che aveva posto pochi secondi prima sulla spalla di Merlin, Arthur si guardò attorno e sembrò essere a corto di risposte.
“Scusa, ma se mi fai delle domande io ti rispondo sincero” commentò con semplicità Merlin, girandosi in fretta e incamminandosi verso la festa, senza voltarsi indietro. Non voleva di certo imbarazzarlo, ma non gli avrebbe neanche più mentito.
 
Arthur, rimasto solo, sentì nel petto quello che aveva sentito nell’esatto momento in cui Merlin gli aveva rivelato di essere magico. Era qualcosa che si scioglieva, un nodo, un grosso stretto nodo che si era formato chissà quando e perché nel passato, ma che quando aveva accettato la magia di Merlin, si era improvvisamente dissolto. Era stato come ricevere la risposta a tutti i punti interrogativi, come aprire una porta senza aspettarsi niente dietro e trovarsi davanti un giardino in fiore, come aspettare a lungo che succeda qualcosa di bello e improvvisamente, immeritatamente, riceverlo.
 
Non solo, ascoltando quella sensazione notò che c’era di più. C’era un rimpianto del tutto sconosciuto, ma strangolante che gli diceva solo una cosa: che se avesse continuato a fare quello che stava facendo –ignorare quello che alla fine aveva capito di provare per Merlin- avrebbe commesso l’errore più grave della sua vita.
 
 
Solo che adesso Arthur aveva paura, la paura di iniziare finalmente a scegliere i suoi desideri, al posto di quelli che qualcun altro aveva voluto per lui.
 
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Tre mesi prima.
 
Sincero, hai detto bene quella volta –pensò Arthur, a distanza di tre mesi –quello che da quando siamo tornati, io non sono più.
 
Si rigirò in mano l’elsa della spada con cui si stava allenando e colpì, scagliò un fendente nell’aria e atterrò sul piede giusto.
Ormai non sapeva neanche più perché si allenava ogni giorno con la costanza che aveva prima, ma era un’abitudine che lo faceva stare bene.
Contrariamente a quanto non facesse qualsiasi cosa; partecipare alle riunioni, ai comizi, governare, trascorrere il tempo con Gwen… tutto quello gli era diventato un peso.
 
Voltò su se stesso con la spada alzata e si mise in posizione da difesa, lo sguardo fisso di fronte a sé come avrebbe fatto se ci fosse stato un nemico.
Erano tre giorni che Merlin mancava a corte perché era in una delle sue spedizioni e ad Arthur costava ammetterlo ma gli mancava da morire.
Sentì montargli una rabbia forte e violenta.
 
Gli unici nemici rimasti sono le mie paure – abbassò la spada, che verticale tagliò in due l’aria –ma una a una le ucciderò. E la spada si conficcò nel terreno, ferma e perpendicolare.

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Un mese prima.
 
Il suo respiro era irregolare e nel petto aveva le palpitazioni.
Si asciugò il sudore su una tempia con la manica della maglia, guardandosi attorno per capire dove si trovava.
 
Era stato un brutto sogno, ora era lucido e sveglio seduto sul letto della sua nuova abitazione.
Non molto lontano del castello, pochi minuti a cavallo dal laboratorio di Gaius, era in precedenza l’abitazione di un contadino.
Merlin l’aveva arredata secondo il suo gusto, con tende colorate alle finestre, incensi e candele a profumare l’aria; nel piccolo giardino aveva piantato un orto, due alberi da frutto e una siepe di biancospino.
 
Ogni mattino si recava al castello passeggiando lungo la strada sterrata che partiva dal piccolo villaggio di case e arrivava fino alla piazza del castello, costeggiando i prati verdi delle terre rigogliose di Camelot. Lavorava tutto il giorno insieme a Gaius secondo le esigenze del momento, partecipava alle riunioni alla tavola rotonda e talvolta rimaneva a cena al castello, dove spesso si tenevano ampi banchetti con ospiti del re e della regina.
 
Ogni tanto gli faceva visita qualcuno che aveva bisogno del suo aiuto e allora era capitato che partisse per qualche giorno e che tornasse solo dopo aver risolto il problema. Il più delle volte erano magie per curare malattie rare o per addomesticare animali selvatici, ma gli era capitato anche di aiutare altri maghi in magie più complesse come la risoluzione di un disastro naturale.
 
Quella notte era tornato da una di queste spedizioni. Era stata particolarmente lunga, dieci giorni, ed era servita per ricostruire un villaggio dopo un terremoto.
Non era ancora riuscito a riprendersi dal fiatone quando sentì bussare alla porta.
Infilandosi un maglione sopra alla maglia, prese una candela e andò ad aprire.
 
“Arthur” disse, vedendolo a pochi centimetri dalla porta, il viso leggermente arrossato e i capelli disordinati dal vento. Tirava un vento così forte che infilandosi in casa gettò in disordine dei fogli sul tavolo.
“Posso entrare?”
Merlin lo guardò negli occhi per cercare di capire cosa stesse succedendo e si affrettò a farlo entrare.
Indossava solo la sua camicia e i pantaloni che di solito gli aveva visto usare nelle sue stanze, come se fosse corso fuori senza avere modo di cambiarsi.
Arthur si guardò attorno, era la prima volta che entrava nella sua nuova casa. Nel buio della stanza, schiarito solo da due candele sul tavolo, non si poteva scorgere molto, ma quello che vide bastò per farlo sorridere.
 
“Ti sei trovato un bel posto tranquillo” commentò, tornando a cercare i suoi occhi.
 
“Sì, se venivi la mattina ti facevo vedere anche il giardino!” rispose ridendo Merlin.
Arthur annuì, ricambiando il sorriso e avvicinandosi a lui, fino a che la candela che ancora Merlin reggeva in mano gli illuminò chiaramente il viso. Sembrava visibilmente felice di vederlo.
“Sei mancato per dieci giorni, sono venuto perché non riusc-… non volevo aspettare domani.”
Arthur lo guardò intensamente, come se volesse scorgere anche la più piccola differenza nel suo viso; una graffio, una piega della fronte, un segno che gli dicesse qualcosa su dove era stato e cosa aveva fatto.
Era avido di dettagli, dieci giorni senza parlargli né sapere niente di lui gli erano sembrate un’agonia.
“Ho aiutato delle persone a ricostruire un villaggio distrutto dal terremoto. C’era bisogno di qualcuno che risollevasse grosse costruzioni crollate, come un ponte, e con la magia ho fatto del mio meglio. Alla fine sembravano soddisfatti e sono contento perché erano delle brave persone, tutte famiglie e lavorato-”
Arthur sollevò una mano e gli fece segno di tagliare corto.
“Okay, okay” e, mentre riabbassava la mano, la fermò all’altezza del braccio di Merlin, “il fatto è che io non ce la faccio.”
La sua mano si chiuse attorno al braccio di Merlin, come per sottolineare l’importanza di quello che aveva detto.
“Io non ce la faccio a vederti tre ore al giorno, neanche tutti i giorni, insieme ad altre venti persone e parlare degli affari del regno o di corte. Non ce la faccio a non parlare più con te, da soli, o a vivere la vita insieme, dalle piccole cose alle avventure… ma è ovvio, noi non siamo collaboratori, tu non sei un cavaliere e neanche più il mio servo, e non siamo amici. Non siamo più niente e io non ce la faccio ad accettarlo, non dopo quello che è successo, da quando sono sopravvissuto grazie a te e tu mi hai detto la verità su se stesso, è come se mi si fossero aperti gli occhi ma non… non mi è permesso vedere, devo continuare a far finta di niente.”
 “Arthur, io-”
“Non fare finta di non saperlo, o capirlo.”
 “Certo che lo capisco, Arthur, pensi di essere il solo dei due?”
“Tu non sei un re sposato”
“Io ho vissuto quasi tutta la mia vita senza poter essere me stesso”
“Ma adesso puoi”
“Non finché non potrai anche tu.”
Arthur rimase in silenzio. I suoi bei lineamenti erano illuminati a tratti dalla candela in mano a Merlin e Merlin notò quanto fossero tesi in quel momento.
 
Agì d’istinto. Portò la sua mano al volto di Arthur e con il palmo accarezzò la sua guancia.
“Arthur, volevo solo dire che io sono qui, quando tu vorrai. Posso partire per qualche giorno, forse anche per qualche mese, ma è da te che tornerò sempre. Quando tu vorrai…” e la voce si interruppe, spenta dall’emozione, o forse da Arthur che al posto di ritrarsi dal suo gesto, si era abbandonato alla carezza con una dolcezza nello sguardo che gli aveva visto solo quando era tra le sue braccia, ferito a morte da Mordred.
La mano di Arthur si posò sopra la sua.
 
Rimasero per quello che poteva essere dieci secondi o un minuto intero così, in silenzio. Arthur cercò negli occhi grandi e trasparenti di Merlin l’indulgenza che lui stesso non riusciva a concedersi.
Sapeva perché Merlin diceva tu vorrai. Era sempre stato così.
Solo che prima non avrebbe mai potuto.
Ora quello che li separava era solo una decisione di Arthur. Questa consapevolezza gli fece quasi girare la testa, stentava ancora a crederci.
 
Merlin si avvicinò, un passo soltanto, e la distanza fra le loro labbra si fece quasi impercettibile.
Arthur abbassò gli occhi a guardare la sua bocca, e poi tornò ai suoi occhi e ancora alla sua bocca.
La mano di Merlin si spostò dalla guancia alla nuca di Arthur e Arthur sentì battiti del cuore che non pensava di poter mai provare.
“Quando saprai cosa provi, quando ti sarà chiaro come il sole, quello sarà il momento per seguirlo. Abbiamo la libertà di cambiare la nostra vita, tu hai già fatto il più grande cambiamento di ogni tempo” sussurrò piano Merlin, l’aria delle sue parole colpì il labbro superiore di Arthur.
“E io non voglio che faccia niente nell’ombra, nella paura. Voglio che tu sia libero.”
Perché ti amo, Arthur.
 
Arthur sentì tutto se stesso desiderare quel contatto, abbandonarsi ciecamente alla bocca di Merlin, alle sue mani, in quella casa perfetta e silenziosa, dopo mesi che questo desiderio gli cresceva dentro e si mescolava al suo stesso sangue, tanto forte come era.
Arthur inalò lentamente l’aria, chiuse gli occhi perché sapeva che se avesse continuato a vedere Merlin così vicino non ci sarebbe mai riuscito, e riaprendoli indietreggiò di qualche passo.
 
“Grazie Merlin” si limitò a dire con un fil di voce.
Merlin accennò un sorriso, come per tranquillizzarlo.
Arthur andò alla porta e, aprendola, non si voltò indietro.
Non era negandoselo alla vista che lo avrebbe tolto dalla sua mente. Merlin era sotto la sua pelle e tutto attorno al suo cuore.
Ora lo sapeva.
 
Merlin lo guardò andare via.
Sospirò, il profumo di Arthur ancora presente nell’aria della stanza; lo desiderava più di quanto si era immaginato, perché tutto sommato negli ultimi tempi era quasi arrivato ad arrendersi all’evidenza che per loro non sarebbe mai stato possibile niente più di quello che già avevano. Ma quella breve vicinanza mai raggiunta prima gli aveva lasciato addosso molto più di quanto la sua stessa magia gli aveva mai fatto provare.
Tornò a letto e sentì dentro di sé di aver fatto la cosa giusta.
 
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Pochi giorni prima.
 
Perceval camminava lungo le mura con le mani lungo i fianchi e lo sguardo distante.
Era un pomeriggio grigio e un flebile venticello muoveva le cime degli alberi, ben visibili dall’altezza dove si trovava.
Quando vide Arthur, per un attimo si illuminò, forse interessato a parlargli; poco dopo tornò serio e ad aspettarlo, lì dove montava di guardia.
 
Una volta che Arthur gli si fu affiancato, Perceval ruppe il silenzio.
“Arthur, qual buon vento?”
Arthur corrucciò il la fronte, scuotendo la testa, in segno che non era successo niente in particolare.
“Sono venuto a farmi un giro, avevo bisogno di aria fresca per pensare.”
Perceval annuì, sembrò capire bene il bisogno del re.
“Se hai voglia di parlare, io sono qua tutto solo come vedi!”
Arthur si appoggiò al muro con gli avambracci e rimirando il territorio di fronte ai suoi occhi si prese qualche secondo semplicemente per respirare l’aria pulita.
“In realtà mi farebbe piacere, non ho molti amici con cui parlare”
“No? Gaius, Léon?”
“Non è come credi... con Gaius ho un rapporto formale, Léon è un amico ma non tanto intimo.”
“E allora Merlin?”
Arthur rimase zitto e lo guardò negli occhi, cercando di trovare la forza per rimanere calmo e il coraggio per essere sincero.
“Perce, lascia che ti faccia una domanda. Tu hai mai pensato che io e Merlin fossimo amici? Amici come lo siamo io e te?”
Perceval non sembrava avere dubbi.
“No.”
“Ecco. A quanto pare, ero l’unico dei due non averlo realizzato… e a quanto pare lo avevi realizzato perfino tu.”
Perceval, silenzioso, gli lanciò uno sguardo di totale comprensione e lealtà.
“Arthur, posso solo dirti una cosa. Gwaine era il mio migliore amico e so cosa si prova verso un amico. Tra voi non è così, ma il punto non è questo perché questo è una cosa che riguarda solo voi. Il punto è che il mio migliore amico mi è morto tra le braccia a poco più di trent’anni perché era un uomo tanto valoroso quanto spericolato e io non ho potuto fare niente per salvarlo. Non gli avevo mai detto quanto io tenessi a lui e se potessi tornare indietro, lo farei molto tempo prima. Mi sarei preso più cura di lui, invece di vivere nell’illusione che sarebbe sempre stato invincibile e che io avrei sempre potuto parlargli. Non fare il mio stesso errore. Non perdere la persona più importante della tua vita, è l’unica cosa che non ti perdonerai mai.”
 
Arthur si ritrovò senza parole, ma con le idee più chiare che mai.
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Le parole scambiate con Gwen pochi minuti prima gli rimbombavano nel cervello, mentre si allontanava da quella che era stata la loro stanza matrimoniale.
 
“Quello che dici mi spezza il cuore.”
“Gwen-” sussurrò, facendo per abbracciarla.
“No Arthur, non mi toccare.”
Arthur si bloccò, lasciandole spazio, e la guardò provando pena nel vederla asciugarsi due lacrime ai lati del volto.
“Sai qual è la cosa che mi rattrista maggiormente? Che questo significa che non mi hai mai amata, mentre io ci credevo ed ero pronta ad avere un figlio con te” e un singhiozzo interruppe la sua frase.
“Gwen, calmati” affermò Arthur, sporgendo una mano per asciugarle una lacrima.
A questo gesto lei non si ritrasse e guardandolo immobile tirò un sospiro.
“Tu sei stata l’unica donna che io abbia mai avuto e sarai sempre importante per me, non dimenticherò tutto quello che hai fatto per me. Sei e rimarrai una regina perfetta, lungimirante e dal cuore umile. Insieme continueremo a fare molte buone cose per Camelot e i suoi abitanti.”
Arthur le fece un sorriso debole ma sincero, incoraggiante, e vedendola recuperare un po’ di calma si sentì meglio.
“Puoi perdonarmi?” le domandò infine, senza riuscire a nascondere il tono traballante della propria voce.
Gwen attese qualche secondo prima di rispondere, pensandoci su, e poi si buttò in avanti per abbracciarlo. Tra le lacrime che percorrevano di nuovo le sue guance, gli disse a bassa voce nell’orecchio qualcosa che lasciò Arthur stupito e, allo stesso tempo, pieno di stima e di riconoscenza verso quella donna.
Gwen, in cuor suo, pensò semplicemente che l'uomo che aveva davanti aveva passato tutta la sua vita a tenere un ruolo e un rigore quasi disumani, ma che era giunto per lui il momento di liberarsi da quell'ultima armatura.
 
Camminava svelto, guardando per terra, e si sentiva il cuore martellare nelle tempie.
Gettò uno sguardo fuori dalle finestre e vide che la luna era ancora alta e limpida nel cielo blu.
Era difficile da crederlo, quasi gli sembrava un sogno del tutto irreale, ma ora poteva veramente e finalmente accettare i propri sentimenti.
Quanti anni che ci erano voluti.

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Qualche giorno dopo
 
Erano seduti sull’erba, all’ombra delle chiome che gli alberi da frutta del giardino di Merlin offriva loro. I raggi del sole alto e caldo nel cielo non riuscivano a raggiungerli se non a sprazzi, quando la brezza muoveva le foglie e scostava le fronde.
 
Merlin si sollevò a sedere portando il proprio viso a pochi millimetri da quello di Arthur.
L’erba era così alta che gli solleticò la schiena, nuda perché si era bagnato la camicia annaffiando i fiori e l’aveva appesa ad asciugare al vento.
Arthur era seduto al suo fianco, le braccia ai lati del suo corpo a sostenerlo, e si stava godendo la sensazione di stare con Merlin –le risate, i discorsi rilassanti, osservarlo mentre faceva una delle sue magie per quello o quell’altro motivo.
 
Non gli aveva raccontato personalmente di Gwen, però lui e la regina avevano dato l'annuncio a tutti che, anche se avrebbero continuato a regnare insieme, non erano più marito e moglie. Nessuno aveva fatto domande.
 
“Posso chiederti una cosa?” ruppe il silenzio Merlin, sorridendogli felice ed emozionato.
Arthur gli rispose con un cenno della testa, ricambiando il sorriso.
La brezza si rialzò e qualche raggio di sole riuscì a raggiungerli, mentre i loro capelli ondeggiavano. Entrambi avevano la barba poco più lunga e gli occhi più splendenti che mai.
“Posso baciarti?”
 
Arthur non rispose. Aspettò quella che mi sembrò un’eternità ma probabilmente fu solo una frazione di secondo, lo avvicinò a sé quel tanto che ancora mancava per unire le loro labbra e lo baciò.
Merlin chiuse gli occhi e schiuse le labbra mentre lo attirava a sé, baciandolo come se dalla sua bocca traesse più ossigeno che da tutta l’aria fuori. Arthur ricambiò con passione, a occhi chiusi, portandogli una mano dietro alla nuca e l’altra sul fianco scoperto. I loro corpi erano in fiamme e assetati di toccarsi, piano, ma fino in fondo.
Arthur sentì che il corpo e lo spirito di Merlin gli appartenevano, fu come mettere le mani su qualcosa che è sempre stato tuo, e lo stesso provò Merlin.
Le sue mani, quelle mani che sempre con tanta umiltà e amore lo avevano servito, si spostarono lungo la schiena di Arthur, per tenere stretti i loro corpi.
 
Sentì le lacrime rigargli il volto, le asciugò baciandogli le guance come poté, ma presto si accorse che stava piangendo anche lui.
Fu come sentire cantare una canzone bellissima nella testa, come buttarsi da un burrone e imparare a volare all’improvviso.
 
“Finalmente, Arthur”
“Ti amo, Merlin.”
 
Respirare. Descriverei così questo momento.
E poi sentire il proprio cuore ridere, libero.
  
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