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Autore: Hermes    14/12/2017    0 recensioni
Diciassette anni di giorni da spiegare e mettere a fuoco.
Un’autopsia al tempo fra la nebbia di San Francisco e la polvere del deserto, per arrivare nel presente che potrebbe essere solo una possibilità nel futuro.
Il mondo è costruito sulle nostre scelte.
[Questa storia fa parte della serie 'Steps']
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Steps'
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11.

My dagger and swagger are useless in the face of the mirror
when the mirror is made of my face.
[...]
When they're waiting to pull you apart like a scarecrow
on death row so now all your secrets are shown.
Marylin Manson ~ Odds of even

Era un giorno normale.
Dove il ‘giorno’ era solo una parola inconsistente dato il costante luccichio dei pannelli LED che non venivano mai spenti.
La temperatura non saliva mai sopra i 21 gradi ed il colore predominante era il grigio satinato dell’alluminio.
Un perfetto scenario da Star Wars tanto che, per farsi due risate, quelli del terzo sub livello avevano incollato Darthie Vader completo di spada laser accesa sulla porta di vetro antisfondamento visibile dall’ascensore.
La base militare era formata da grandi livelli sotterranei accessibili attraverso varie entrate, disseminate per il paesaggio ed ascensori con vari livelli di clearance a seconda della propria missione.
Ovviamente ogni checkpoint era suddiviso in base alla sezione di ricerca ed ogni piano era fornito di tutto quello che uno scienziato potesse avere mai bisogno compresi fondi governativi, alloggi temporanei per seguire minuto per minuto i propri esperimenti, banda internet ultralarga, patatine e caffè ad æternum ed una miriade di materiali ufficialmente ‘da classificare’ pronti per essere sperimentati a ‘scopo puramente scientifico’.
Ovviamente questi ultimi non lasciavano per nessuna ragione la base a meno che non venissero inseriti e/o richiesti in una missione di assoluta emergenza o, caso ancora più raro, un ordine diretto del Presidente.
Sempre più logico il fatto che, dal quindicesimo in poi, l’equipe avesse appiccicato l’adesivo Department of Misteries – Unspeakables HQ sulle porte, licenza poetica ovviamente deficiente grazie all’alto tasso di popolazione nerd presente.
I militari scelti per la sicurezza non venivano lasciati scendere nei piani sotterranei dato il sofisticato sistema ad informazione biometrica e DNA, quindi passavano il più del loro tempo ad esercitarsi nei poligoni di tiro, uscendo in volo per missioni di carattere puramente scientifico o percorrendo i limiti dell’area per allontanare i curiosi in ricerca dell’incontro alieno.
Era estremamente difficile che vedessero anche uno solo dei ‘cervelli su due gambe’ impiegati dalla base data la quasi perfetta autosufficienza dell’edificio.
L’unica nota bianca in mezzo tutta quella sabbia giallo rossiccia era un auto che usciva/entrava fuori ad intervalli regolari, lanciata in corsa.
Regolari era una parola grossa ma la sua apparizione non era una grande novità per la stragrande maggioranza dei soldati di stanza.
Alcune volte spuntava fuori da un tunnel di entrata top secret, altre usciva dal piazzale principale, altre ancora dal capannone dei velivoli segreti.
Il guidatore della suddetta macchina bianca era uno dei pochi scienziati ad avere il permesso di vivere in pianta stabile in uno degli edifici inutilizzati disseminati per l’area della base e - se quello che le voci in circolo dicevano era vero - faceva parte dell’ultimo livello ricercatori con clearance assoluta su tutte le missioni in svolgimento.
Il ventesimo livello o chiamato anche Lambda Dep. aveva la fama delle ricerche aliene, delle ‘metamorfosi’ genetiche e – Kurt non aveva sbagliato – degli studi sul teletrasporto di macromolecole a grande distanza.
Il piano era quasi vuoto se non si contava Lagden e la sua equipe di assistenti che non superava la dozzina, ed altre due squadre minori che si occupavano di ricerche a tempo determinato finanziate da fondi federali.
Per Linds – in quegli ultimi diciassette anni – il Lambda Department era diventato una casa molto più che la superficie.
Lì sotto c’era tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno: enigmi amletici, nuove teorie, mensa aziendale quasi a tutte le ore, un laboratorio privato e – usualmente – conversazione intelligente.
Tutto era asettico, logico ed efficiente ed se c’era bisogno di una pausa bastava mandare un paio di messaggi qua e là per la rete unificata ed nel giro di un quarto d’ora erano tutti connessi a giocare a D&D Neverwinter come se ne valesse l’onore dei vari dipartimenti.
Mi ricordo ancora la ‘guerra’ di un paio di anni fa…due settimane di gameplay continuo con gente che si dava i turni per vedere chi l’avrebbe avuta vinta. Ad un certo punto era dovuto intervenire il comandante a calmare l’entusiasmo.
Tornando al presente...
Linds era tornato alla base per via normale quattro giorni dopo.
Ci era voluto un po’ a far sistemare l’auto ed quindi aveva ingannato il tempo alla facoltà di Astrogeologia, fatto un check-up medico con tanto di analisi e, per ultimo, una visita dovuta da Creane.
Intanto la sua discesa con l’ascensore si era finalmente fermata e le porte scivolarono ai lati con un ding!
Dall’altra parte c’era Jimmy ad aspettarlo al quale si allargarono gli occhi alla vista dell’occhio nero.
Doc…
“Sì, lo so della decorazione. Novità?” l’aveva liquidato bruscamente, puntando lo sguardo sulla tavoletta onnipresente del suo capo assistente.
“Ehm…” non sembrava che Jim avesse voglia di raccontargliele. Se hanno di nuovo mandato a puttane qualcosa come sei mesi fa giuro che li licenzio tutti quanti.
“Cosa è successo? Sputa il rospo o taci per sempre.”
“Immagino che non le sia arrivato il mio memo, vero?”
Il biondo rimase in silenzio, in effetti non aveva più controllato i suoi account della base – quattro giorni prima il portatile era rimasto nel villino - quindi era nel buio più totale.
“Il comandante è stato avvertito che la sua Jaguar era da un carrozziere autorizzato vicino alla Nellis. Ha saputo anche tramite alcuni suoi contatti che si era fatto visitare all’ospedale della Base e-”
“Ho capito.”
Cristo…braccato come un animale pericoloso.
“No, doctor. Vede il comandante…”
C’è altro?!
Linds aveva inarcato un sopracciglio in attesa che Jimmy smettesse di deglutire e sudare.
“Il comandante a quel punto ha ordinato ad un team di dieci persone di irrompere nel suo ufficio privato in un raid in cerca di- di-”
“In breve gli è venuto il sospetto che mi fossi andato a schiantare grazie a qualche cosina, corretto?” l’aiutò Linds, continuando “Ed il tuo memo – no, non dirmelo - era che il Comandante voleva vedermi.”
“Sissignore.”
Quindi il biondo aveva attuato una piroetta di centottanta gradi verso il lift con una espressione che la diceva lunga sul suo umore.
“Jimmy vado su a trapanare un po’ di buonsenso in quello zucchino, fai che mettere su della broda tra dieci minuti eh?”
Il suo assistente annuì, timoroso di cosa sarebbe avvenuto ma sollevato di non essersi buscato la tirata iniziale.
[…]
La porta dell’ufficio si era aperta di scatto.
L’uomo seduto al di là della scrivania alzò gli occhi da alcuni documenti.
“Dottor Lagden.”
“Non ha il diritto di frugare fra i miei effetti personali o le mie ricerche private.”
“Con i suoi precedenti, posso.”
“Non ha trovato nulla, nemmeno nel villino. Come lo spiegherà questo dettaglio ai suoi superiori?”
“Forse non si rende conto che ho la prerogativa di controllarla. La mia Base acconsente ad ospitarla come scienziato. Non ho però alcuna intenzione di offrire una copertura per i suoi divertimenti illeciti.”
“Non ho divertimenti illeciti.”
“Li sa nascondere bene, Lagden.”
“Sono rimasto in mezzo ad una rissa, la mia auto ne ha risentito, e so che le mie analisi del sangue non riscontrano sostanze. Lo sa anche lei.”
“Suo figlio?”
“Non sono affari che la riguardano, comandante.”
Le labbra del militare si incurvarono in un sorrisetto capace di innervosirlo.
“La prossima volta che decide di prendersi alcuni giorni di vacanza mi avverta.”
Of course, le fornirò anche un depliant con ogni mio spostamento del caso…pure le mie dirette al bagno se preferisce.”
“Molto divertente, Lagden.”
“Solo il meglio per lei, comandante.”
“Torni a giocare a Risiko e mi lasci continuare a lavorare ora.”
La porta sbatté malamente riportando l’ufficio ad una parvenza di calma.
L’uomo alla scrivania scosse la testa.
Quell’uomo era peggio di una crisi adolescenziale…

~

The worst thing about being lied to
is knowing you're not worth the truth
~ Anonymous

Welcome my son!
Welcome to the machine!
What did you dream?!
It's alright we told you what to dream...
Pink Floyd ~ Welcome to the machine

~ tre giorni prima…
La patina rossastra che aveva tinto ogni suo pensiero si era a poco a poco diffusa ed aveva perso colore.
Nel mentre aveva vagabondato per le strade di Las Vegas.
No, non ero un anima in pena. Ero una scatola piena di gatti rognosi.
Aveva sempre immaginato che suo padre non provasse molto per lui, ma da lì a scoprire la verità…
Kurt scalciò con forza una lattina buttata per terra e quella cozzò rumorosamente contro un fungo di cemento, brillando alle luci notturne.
Il vecchio gli aveva detto la verità, in ritardo forse ma la verità.
Non voluto. Non cercato. Non desiderato.
Entrambi i suoi genitori non avevano avuto intenzione di metterlo al mondo.
Alla faccia di sua madre che gli aveva mentito.
Mentiva ogni volta che gli diceva di essere il suo miracolo.
Quella frase l’aveva seguito fino dai suoi primi ricordi.
La voce di sua madre che ripeteva quelle quattro parole ed il suo nome.
C’era talmente abituato che non si era mai chiesto qual’era il significato dietro; almeno fino a quando quella curiosità non gli era stata sbattuta in faccia dai suoi compagni di classe, per sbeffeggiarlo.
Si era seduto su uno dei funghi cercando di avere abbastanza presenza di spirito per decidere cosa fare adesso.

Era solo un moccioso al quinto grado quando era successo.
Non si era mai chiesto perché vivesse da solo con la sua mamma.
Al mattino il più delle volte faceva da solo la strada per andare a scuola, ponendo particolare attenzione nell’attraversare come Alice gli raccomandava sempre prima di tendergli il sacchetto con la merenda.
Quando arrivava nei dintorni della scuola, l’entrata dell’edificio era sempre saturata di macchine di altri genitori e l’arrivo dei pulmini gialli tanto che era obbligato a fare slalom fra le vetture quindi si sedeva sugli scalini ad attendere la campanella, magari con un nuovo numero di fumetti sulle ginocchia se aveva ricevuto la sua paghetta settimanale.
Eccola la definizione di buono o cattivo, annidata nella carta, dove il bene vinceva sempre.
Una di quelle mattine uguali alle altre il numero gli era stato strappato dalle mani.
Aveva alzato lo sguardo verso il gruppetto capitanato da Robert Steves un altro ragazzino di una classe del sesto grado.
“Posso riaverlo, per favore?” domandò, calmo ed educato.
“No.” un ghigno.
“Perché?”
“Non sei nessuno ed esisti.”
Ci volle qualche momento in più prima che quel bambino mingherlino con quegli occhi così neri replicasse candidamente “Penso quindi sono.”
Vide la confusione sui volti del gruppetto, ovviamente non avevano capito di cosa stesse parlando ma a quanto pare il loro malato divertimento mattutino non era ancora finito.
“Dov’è il tuo papino? Eh?”
Kurt corrugò la fronte e rispose laconico “Lavora fuori.”
All’epoca non sapeva con esattezza dove o di cosa si occupasse il vecchio, non lo vedeva molto spesso.
La mamma gli voleva bene e non se l’era mai chiesto; in quel momento si rese conto dell’anomalia…
“Io dico che tu non ce l’hai un papà!”
“Non è vero.”
“E nemmeno la mamma!”
“Non è vero!”
Il gruppetto rideva ora che aveva scorto una debolezza, crudeli come solo dei bambini sanno essere.
Quel fumetto non ebbe mai la possibilità di finirlo.

Erano le quattro del mattino, il suo borsone era rimasto a Rachel con dentro tutti i vestiti ed una parte dei suoi libri.
Shit…
Col cavolo che sarebbe tornato alla Base.
La situazione non era però così tremenda come sembrava.
Nello zainetto c’era il Macbook, il portafogli, un pacchetto di liquirizia, il ‘fondo viaggio’ che contava seicento dollari e qualche altro spicciolo.
Non aveva il passaporto, quello era rimasto a San Francisco dato che non aveva preveduto di averlo bisogno prima di Luglio.
Devo tornare a casa, porco cane.

Le prese in giro erano continuate da quel giorno.
Robert ed i suoi amichetti cercavano sempre di coglierlo da solo, lontano dagli occhi o le orecchie di genitori od insegnanti.
Nel cortile della scuola, in bagno, anche per strada.
Gli altri bambini iniziarono ad evitarlo per non essere presi di punta da Robert e la sua banda.
Erano passati a spintonarlo ed un giorno era caduto sul marciapiede.
Quando era tornato a casa sua madre aveva lasciato cadere i fogli che aveva in mano e l’aveva subito raggiunto, inginocchiandosi per vedere meglio.
“Kurt, cosa hai fatto alla faccia?”
“Niente mamma, stavo correndo e sono inciampato.”
“Oh tesoro…”
Aveva passato il pranzo a sentirsi un verme per aver detto una bugia a sua madre.

L’unica era prendere un mezzo terrestre, preferiva un treno al pullman.
A questo punto avrebbe dovuto prelevare per rimpinguare un po’ il fondo e non poteva fare di meglio che cercare un bancomat mentre attendeva che lo sportello in stazione si aprisse per comprare il primo biglietto per SF.

La persecuzione era continuata per tre/quattro mesi.
Kurt non aveva mai replicato, ma in quel periodo nel ragazzino si stava attuando una metamorfosi, era diventato più chiuso ed immusonito, sfuggente.
Tutte le cose che Robert ed i suoi scagnozzi continuavano a ripetergli si erano radicate dentro di lui ed iniziava a credere che in quelle cattiverie ci fosse un fondo di verità…
Perché il suo papà lo vedeva così poco?
Perché la mamma preferiva parlarne di rado?
Perché non aveva anche lui un padre che lo portasse a scuola, gli comprasse il triplo cono al sabato al campo da golf e che lo difendesse a spada tratta anche col torto?
Lentamente la gelosia aveva preso ad innaffiargli i pensieri finché…

Non era stato difficile trovare un bancomat e, per la prima volta nella sua vita, aveva messo mano alla Amex Centurion che gli era stata affidata da sua madre con la promessa che l’avrebbe usata solo ed esclusivamente in caso d’emergenza.
Più emergenza di questa…in assoluto bisogno di uno spazzolino!
Aveva arrotolato il tutto nel suo gruzzolo ed aveva deciso di fare colazione lì vicino prima di dare una controllata agli orari delle partenze.
Non sapeva cosa sarebbe riuscito a buttare giù con il nodo che aveva allo stomaco, ma ci avrebbe provato.

Era un mattino di Ottobre.
Si ricordava il mese perché due settimane dopo sarebbe stato Halloween e la mamma gli aveva promesso di portarlo a Los Angeles da suo zio Raphael. Già contava i giorni che rimanevano e non ne vedeva l’ora…
Le foglie erano cadute sul marciapiede gelato e Kurt aveva fatto attenzione a non scivolare per tutta la strada.
Alice quel giorno l’aveva costretto a mettersi una sciarpa ed un berretto in testa e le era grato perché faceva davvero molto freddo.
Era arrivato nel cortile davanti alla scuola un po’ più tardi del suo solito ed leggermente prima che iniziassero le lezioni, il momento più sbagliato di tutti.
Quel giorno qualcosa dentro di lui era scattato ed aveva dato ‘pan per focaccia!’ come diceva Alice.
Era piccolo ma tutt’altro che debole e Steves non aveva avuto la meglio, almeno finché il gruppetto dei suoi amici del cuore si era ripreso dallo shock e non gli avevano dato manforte.
Erano finiti tutti dritti e filati nell’ufficio della preside.
Robert ed i suoi amichetti piagnucolavano come dei poppanti.
Kurt in silenzio con un labbro spaccato ed un livido in faccia ma per il resto indenne.
Nonostante la ripetuta richiesta autoritaria della donna si era rifiutato di chiedere scusa.
Occhi duri e neri, fissi come proiettili sotto i folti capelli scuri.

I don't know if I can open up
I've been opened enough
I don't know if I can open up
I'm not a birthday present
I'm aggressive regressive
The past is over
And passive scenes...so pathetic
Marilyn Manson ~ Fated, fateful, fatal

~

I feel sole and alone like a heretic
I'm ready to meet my maker
Lazarus has got no dirt on me
And I'll rise to every occasion
Marilyn Manson ~ Fated, fateful, fatal

Linds sbatté le palpebre lentamente, il monitor riflesso sulle lenti dei suoi occhiali.
L’occhio menomato iniziava a fargli male e lacrimargli.
La quattro giorni a Las Vegas più che una vacanza era stata una maratona con assenza di sonno.
Solo a pensarci…

La Jag era dal carrozziere, aveva ritirato alcuni documenti in facoltà e prenotato altri esami quindi aveva deciso per il check medico e, per finire, dalla disperazione aveva scelto di fissare un appuntamento lampo con Creane.
“Di cosa vuoi parlare Linds?”
“...”
“Vuoi dirmi cosa ti è successo?”
Linds scosse la testa.
“Tutto quello che so per certo Claudia, è che Kurt mi ha diseredato. Il resto non è importante.”
“Vuoi parlarne?”
“No, non credo.”
“…”
“Me lo aspettavo ma c’è qualcosa…non so nemmeno perché ho deciso di prendere un appuntamento se non ho intenzione di parlarne. Poco intelligente, no?”
“Immagino che quel ‘qualcosa’ sia simile ad un momento nel tuo passato.”
“No, lo esc-” l’uomo si era fermato a metà prima di continuare, guardingo “Non ho intenzione di fare nulla, Claudia.”
“Fare nulla sarebbe un vero peccato.”
“Credo di essere solo stanco, null’altro.”

Si era sfilato gli occhiali e posato le mani sugli occhi con un sospiro pesante.
Stanco.
Una definizione astratta ed approssimata.
Che non bastava.

~ Nello stesso momento, vicino a San Francisco…

It took thirteen beaches to find one empty,
but finally it's mine.
[...]
But I still get lonely
And baby only then
Do I let myself recline?
Can I let go?
And let your memory dance
In the ballroom of my mind
Across the county line
Lana del Rey ~ 13 Beaches

Era tornata a casa da alcuni giorni ormai e la forzata distanza dal lavoro mi aveva lasciato con troppo free time per le mani.
Non ero più abituata ad occuparmi della mia vita personale o del loft.
Avevo dato le ferie ad Alice tornata da NY.
Quindi mi ero data una calmata, spegnendo il cellulare, infilando una tuta e correndo un po’.
Il giorno dopo avevo provato a telefonare a Hugo ma era ancora occupato a Sacramento per qualche riunione politica ed una causa che seguiva per conto del Municipio.
Quindi avevo sentito i miei compagni di Università se per caso ci fosse qualche riunione sociale in corso ma erano quasi tutti in ferie.
Ero preda della mia mente senza sbarramenti e San Francisco non brillava con i suoi colori sotto il sole…
Da quando ero tornata nuvole grigie ed alte avevano coperto la città fino dove si perdeva l’orizzonte nell’oceano.
Tutto era muto, una sfumatura di grigio data dal vento tagliente che spirava dal mare e tirava dritto per la propria strada, le pinete che vibravano e la sabbia che si alzava, minacciando di finirmi negli occhi.
Non avevo niente di meglio da fare, avevo noleggiato un’auto ed ero scesa lungo la costa trovando pace nel traffico pigro e nei fazzoletti di oceano grigio che intravedevo dagli spiragli fra le case a dirimpetto sulla scogliera.
Mi ero fermata più o meno all’altezza della San Pedro Rock, parcheggiando la piccola utilitaria e scendendo le scale fino alla spiaggia.
Avevo deciso di dormire lì in qualche motel e poi, il mattino dopo, sarei tornata indietro per imboccare l’I-80 ed fare una sorpresa a Mamma Ines. Avevo preparato una valigia per cinque o sei giorni fuori.
Non voglio stare da sola e farle visita sembra solo la cosa più logica date le mie vacanze forzate.
Avrei preferito tornare a Reno in moto ma rimpiangere la mia vecchia Jackal California ormai non sarebbe servito a più a niente e comunque non me la sentivo più di usare una due ruote per i lunghi viaggi.
Ah…vi state chiedendo che le è successo? L’ho venduta quando sono rimasta incinta di Kurt ad un patito di Guzzi, immagino che ormai l’abbia immatricolata come d’epoca e la tenga tipo vacca sacra in un garage…
Per il viaggio mi ero accontentata quindi di una piccola Ford focus che spero ce la faccia a scalare le montagne.
Riesco quasi a sentire lo sbuffo irritato di Linds se mi vedesse girare con un catorcio del genere.
Il topo però non è qui.
Non ho nemmeno idea di dove sia in realtà…chissà magari ha lasciato questa dimensione per entrare nello Stargate e diventare il nuovo Faraone di un altro popolo.
L’idea che si stia godendo la compagnia di Kurt e che passino serate a divertirsi insieme mi sembra troppo bella per essere vera.
Ho provato a telefonargli – a Kurt – ma il cellulare continua a darmi spento.
Probabilmente starà finendo i compiti estivi o sarà immerso in una delle sue maratone di comics.
Il vento che tira è quasi freddo e mi stringo il maglione un po’ di più mentre i capelli si alzano ad accecarmi.
Quest’atmosfera di tempesta in arrivo mi riporta indietro…

Ero al lavoro al Lab di SF.
Ottobre aveva portato sulla città una umidità gelida che mi faceva attaccare la macchinetta del caffè a più non posso per qualcosa di caldo.
Il mattino sembrava procedere come al solito finché non avevo ricevuto una telefonata e quasi avevo riso in faccia alla segretaria scolastica quando mi aveva detto che Kurt aveva fatto scoppiare una rissa.
Tutta la mia ilarità però era morta quando mi ero resa conto che non era uno scherzo.
Ero corsa alla scuola elementare ed la prima occhiata a Kurt mi aveva tolto ogni dubbio.
Quegli occhi così neri – normalmente tranquilli e calmi – erano un rogo pieno d’odio.
Avevo ascoltato senza commentare il racconto della preside, le mani posate sullo schienale della seggiola sul quale era seduto.
“Kurt? Vuoi spiegarmi?” gli chiesi gentile.
La testa scura si mosse a destra e sinistra in un diniego, alta e diritta di un orgoglio innaturale per un bambino di dieci anni.
Avevo aspettato un po’, poi avevo sospirato ed ascoltato le decisioni disciplinari.
Kurt venne sospeso da scuola per una settimana mentre gli altri ragazzini nell’ufficio ricevettero un ammonimento e dei compiti in più.
Quindi tornammo a casa a piedi, in un silenzio ostinato da parte sua.
Avevo dovuto combattere un po’ per potermi occupare del suo labbro spaccato poi avevo telefonato al lavoro e mi ero inventata qualcosa per pranzo mentre Kurt si era rannicchiato accanto uno dei finestroni, osservando fuori e tenendo il muso.
E poi finalmente…
“Mi hanno detto che non ho un papà ed hanno ragione.”
“Kurt…”
“Perché papà non vive qui con noi?! Non lo sopporto!” quel piccolo scoppio emotivo si fermò bruscamente mentre gli occhi neri di Kurt si abbassarono ed infilzava con una certa passione la coscia di pollo nel suo piatto.
Sospirai e sciolsi il nodo del grembiule, appendendolo e sedendomi allo sgabello libero al suo fianco.
Occhieggiai il bicchiere di vino, ma decisi che il coraggio liquido non m’avrebbe aiutata per niente.
“Kurt voglio che lasci perdere cosa dicono di tuo padre per un dieci minuti e mi ascolti con attenzione…puoi farlo?” risposi con calma, livellando i miei occhi grigi sulla sua testa corvina.
Per la prima volta non mi degnò di una risposta, la bocca piegata in una smorfia.
“Kurt.”
A quel punto mi guardò con quegli occhi così neri – gli occhi di Linds - una luce ribelle nelle pupille.
In quel momento mi sentii invecchiare di dieci anni e qualcosa doveva essere filtrato nella mia espressione.
Kurt lasciò andare la forchetta riluttante e incrociò le braccia al petto, continuando a fissarla e dicendo più docile “Okay.”
Quindi mi ero messa il cuore in mano ed avevo cercato di spiegargli seppur vagamente…
“Io e tuo padre non siamo mai rientrati nello standard. Il mondo sopravvive anche grazie ad una percentuale di caso. Ci siamo incontrati ed attratti, abbiamo superato assieme tutta una serie di situazioni mentre ero ancora una matricola al college. Ci siamo divisi e rincontrati nella peggiore delle circostanze e tuo padre mi ha aiutato a suo modo.” pausa “Hai ragione: non è facile capire od accettare i suoi comportamenti ma siamo riusciti a convivere per molto tempo.”
Avevo smesso di parlare, gli occhi assenti sul vino nel bicchiere, un’espressione contemplativa e lontana che faceva agitare Kurt sulla sedia.
“Io e Linds siamo due esseri umani.” ricominciai con fermezza mentre trasaliva al nome di suo padre “Non siamo supereroi e tendiamo a prendere decisioni che ci sembrano giuste ed invece non lo sono. Anche tu un giorno sceglierai cosa è meglio.”
L’espressione del bambino era perplessa “Ma…”
Scossi la testa e Kurt si zittii “Un giorno tutto è inevitabilmente cambiato, abbiamo provato a superare i nostri problemi e non ci siamo riusciti. Quindi ci siamo separati.”
“Mamma…”
“Per finire, io e papà abbiamo fatto entrambi tanti sbagli, scelte quasi senza pensare. Il comportamento di Linds che tu trovi così strano non è altro che il prodotto della sua esistenza non facile.” sorrisi appena, senza cattiveria “Non ho il diritto di parlarne, ma voglio la promessa che cercherai di comprenderlo sempre prima di arrabbiarti. Kurt non è cercando colpe in Linds il metodo per rendermi felice o trovare la quadra dell’universo.”
Conclusi il discorso con voce pacata, seguita da un silenzio imbarazzato.
Kurt tirò su con il naso, stropicciandosi le mani in grembo.
“È per questo che papà non vive con noi?”
“Non credo che se vivesse qui avrebbe molta dimestichezza come figura paterna.” concessi con delicatezza.
“Allora papà non mi vuole. Quando, q-quando sono a-arrivato io, l-lui…” non era una domanda, quella frase sottovoce, ed il balbettio riuscì a colpirmi dritta nell’anima.
Tanto che fui tentata di pronunciare una piccola bugia per il suo bene.
“Kurt, se davvero non gli interessasse niente di te non verrebbe a trovarti.” patteggiai alla fine poi mi inginocchiai per guardarlo dritto in quei occhi così neri e grandi, umidi di lacrime non versate.
Le mie mani a coppa sulle sue guance “Ricordati sempre che non sei solo. Ci sono io, Alice, la nonna, e lo zio Joe, Raph…tutte persone che ti vogliono bene. Tu sei il mio miracolo, Kurt. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Mai.”
Il ragazzino annuì, sfregando via alcune piccole gocce traditrici.

Venter aveva ragione…
Kurt era cresciuto troppo in fretta: il giorno prima lo prendevo in braccio e giocavamo insieme con i mattoncini, il giorno dopo era totalmente autosufficiente tanto da raggiungere Rachel da solo.
L’avevo cresciuto da sola, ogni tanto a distanza con l’aiuto di Alice.
Non era stato un peso ma, a volte, guardavo indietro al passato che non era avvenuto.
A porte che non si erano mai aperte e rimanevano chiuse ancora oggi.
Mi trovavo ad immaginare una linea temporale mai realizzata ed inaridita in partenza.
Passi che echeggiano al ritmo delle onde, alle prime gocce di pioggia che prendono a cadere come frecce.
Io avevo Kurt.
Prova che i miracoli avvenivano ancora nel terzo millennio.
Ma a che prezzo?
Ed Linds?
Linds cosa aveva ricevuto in cambio?
Entrambi ci eravamo persi nelle nostre vite.
In un roseto pieno di porte chiuse e sentieri obbligati fra le spine.
Non impietosisci nessuno con le tue speculazioni ed i tuoi rimorsi, Hervas.

It hurts to love you
but I still love you
It's just the way I feel
And I'd be lying
If I kept hiding
The fact that I can't deal
And that I've been dying
For something real
Lana del Rey ~ 13 Beaches

~~~

Canzoni del capitolo:
- Marilyn Manson ~ Odds of even;
- Pink Floyd ~ Welcome to the machine;
- Marilyn Manson ~ Fated, fateful, fatal;
- Lana del Rey ~ 13 Beaches.

Le note di questo capitolo sono:
- Department of Misteries - Unspeakables HQ sì...qui Herm ha totalmente preso in prestito il Dipartimento Misteri Potteriano... xD
- D&D Neverwinter è un classico gioco MMORPG online nel quale ci si crea un personaggio femminile o maschile che intraprende una serie di quest aumentando di volta in volta i propri punti personaggio/livelli. Non sono sicura che si possano creare compagnie di più giocatori ma l'idea era quella;
- I flashback di Kurt sono posizionati al quinto grado ovvero quando un bambino ha già 10/11 anni a seconda del periodo dell'anno in cui è nato;
- 'Penso quindi sono' o 'Cogito ergo sum' conosciutissima citazione di Cartesio;
- La Amex Centurion ovvero una delle carte di credito più esclusive del mondo e destinata solo ai 'veri' ricchi quelli con redditi annuali sopra i cinque zeri per intenderci. Negli anni '80 esisteva già la leggenda metropolitana della carta di credito glossy black American Express. Ovviamente quella che maneggia il nostro Kurt è collegata al conto di Lagden senior! La mia idea è che l'Amex gliel'abbiano data tipo honoris causa in qualità del suo status di topo genio! xD
- San Pedro Rock è una penisola di scoglio accanto ad uno strapiombo che confina con due piccole baie a sud di San Francisco. La roccia vera e propria si può solo raggiungere con la bassa marea perché in alta il passaggio può essere solo fatto in proprietà privata;
- Stargate qui sto citando il film di fantascienza omonimo uscito nel 1994, diretto da Roland Emmerich.

*Herm si schiarisce la gola*
Hi...
Son di nuovo qui dopo un'attesa di mesi dall'ultimo aggiornamento della storia per portarvi un bel capitolo polposo.
Giusto oggi prima che domani parta prestissimissimo per il mio lungo weekend lavorativo...mannaggia! @@
Anche se Natale sta arrivando di gran carriera mi sa che gli aggiornamenti rimarranno molto sporadici se non rari...quest'anno non mi danno le ferie ahimè e non trovo davvero più il tempo QQ
A proposito, verso Settembre circa ho postato una short novel collegata a Steps e più precisamente a Linds chiamata 'Sapphire Blue'.
Se ve la siete persa potete leggerla qui a patto che siate maggiorenni. xD

Come al solito le recensioni sono ben accette e se avete voglia e tempo passate pure a salutare la Herm! ^^
Vi auguro un Buon Natale etc...passatelo al caldo ed in buona compagnia!
Hermes

  
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