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Autore: Mary P_Stark    15/12/2017    1 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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N.d.A.: Si tratta di una storia MxM (giusto per avvisarvi...)


 
 
Dipende sempre dai punti di vista - (Colin Laroche)
 
 
È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva. Anche se può sembrarvi sciocco o assurdo, ci dovete provare.
(Robin Williams nel film L’attimo fuggente)
 

Giugno 2019 - Cardiff
 
 
 
“Merda…” borbottò per la centesima volta Colin Laroche, guardando con aria accigliata il suo libro di biologia.

Suo padre Pascal, impegnato nel preparare un french toast per colazione in una placida domenica di inizio giugno, lo guardò da sopra la spalla e disse: “Non sapevo che all’università vi insegnassero le feci.”

Colin levò i suoi candidi occhi azzurri a scrutarlo e, ghignando, dichiarò: “Oh, papà… non hai neppure idea di quello che ci insegnano, a Londra. E poi, da quando lady Fenrir ha studiato lì, è difficile reggere il suo confronto, quanto a voti. Ci sono degli insegnanti che la ricordano con un affetto quasi preoccupante.”

Pascal scoppiò a ridere, a quel commento e, nel rivoltare il suo toast sulla padella, replicò: “Mi sembra che tu non stia andando così malaccio, visto che hai già terminato tutti gli esami che avevi in programma. Ripartirai solo a novembre, con le altre prove, no?”

“Sì, papà, ma…” iniziò col dire Colin, prima di arricciare il naso e borbottare: “Lo stai bruciando, pa’.”

Pascal tornò subito con lo sguardo al suo toast e, nel toglierlo immediatamente dal fuoco, lo depositò su un piatto e si accomodò al tavolo della cucina.

Lì, preso del succo di mirtilli, inzuppò il tutto e, sotto lo sguardo disgustato di Colin, diede inizio alla sua colazione.

“Se la mamma ci fosse ancora, ti avrebbe preso a morsi sul sedere, piuttosto che vederti mangiare quella schifezza” sottolineò Colin, tornando con il naso nei libri.

“Mamma avrebbe pazientato perché sa che mi piacciono… poi mi avrebbe morso sul sedere quando avessi finito. Sai, giusto per non sporcare la cucina” ironizzò Pascal, dando un gran morso al suo toast.

Colin sorrise a mezzo, a quel commento, e assentì.

Sì, Ellana Pardick Laroche era una donna amorevole, ma anche assai determinata.

Sarebbe stata un’ottima Fenrir, se fosse nata con la livrea bianca ma, anche da Prima Lupa, era stata rispettata e onorata da tutto il clan.

Anche a distanza di quasi dieci anni, si sentiva ancora la sua mancanza, al Vigrond, durante le cerimonie sacre.

Ovviamente, per i suoi figli e il marito, era una mancanza che si avvertiva sempre, in ogni istante.

Ellana, però, era riuscita in qualche modo a rendere quella mancanza meno dolorosa, più accettabile per tutti loro.

Fino all’ultimo istante di vita, aveva riempito le loro esistenze di sorrisi e tanto amore.

Anche portarla al Santuario di Manchester, presso il dottor Nelson Withlock, era servito a poco, ma avevano comunque tentato.

La disfunzione cardiaca – che aveva avuto fin dalla nascita – non era guarita, con la mutazione in lupo mannaro e, nel corso degli anni, il danno era divenuto così grave da costringerla a letto.

Essendo un licantropo, non avrebbe mai potuto essere inserita nella lista per i trapianti, poiché un semplice cuore umano non avrebbe mai accettato la mutazione in lupo.

Il dottor Withlock, per quanto possibile, le aveva prestato le cure migliori e, per tutto quel tempo, Ellana era stata sorridente e positiva nonostante le avversità.

Non aveva permesso ai figli o al marito di disperarsi e, quando si era spenta, lo aveva fatto nel sonno, senza soffrire, lasciando un sorriso a coloro che l’avessero vista nel suo letto.

Pascal aveva pianto in silenzio per settimane, di fronte alla sua tomba ma, dovendo crescere due figli di otto e dieci anni, aveva dovuto infine abbandonare quel dolore per pensare a loro.

Sia i genitori di Ellana, che quelli di Pascal, erano stati di aiuto, e il clan tutto si era stretto intorno alla Prima Famiglia per sopperire a quel vuoto doloroso.

Alla fine, volente o nolente, tutto era ripartito senza di lei e, a distanza di dieci anni, non era più così difficile parlare di Ellana senza scoppiare in lacrime.

Era diventato un ricordo dolce, non soltanto amaro e straziante.

Quando Pascal ebbe terminato il suo french toast scrutò il viso corrucciato di Colin e domandò: “Allora, è così difficile tenere il passo di lady Fenrir?”

“Prova tu a parlare di biologia molecolare con lei, poi mi saprai dire” brontolò Colin, sorridendo mesto.

“Sono un contabile, Colin. So di numeri e parcelle esattoriali, non di batteri e cellule” sottolineò Pascal, levandosi dal tavolo per mettere piatto e posate nella lavastoviglie. “Tuo fratello, piuttosto, è ancora vivo? Sono le otto e non si è ancora visto.”

“Sta dormendo della grossa. Credo che sia stato alzato a scrivere in chat fino alle quattro di mattina. Finché non guarirà il taglio che gli ha inferto Fianna, dovrà far passare che ha un braccio rotto, altrimenti tutti potrebbero trovare strana una cicatrice come la sua. Perciò, niente uscite serali per il rugby notturno.”

Pascal ridacchiò, a quel ricordo.

Durante uno degli allenamenti assegnati alla nuova Triade, Fianna ci aveva dato dentro davvero molto, finendo con il ferire a una zampa il suo Fenrir.

Dire che la ragazza aveva speso tutte le lacrime del mondo, a seguito di quell’incidente, era un eufemismo.

Si era scusata con Liam almeno diecimila volte e, a ogni scusa, era seguito uno scoppio di pianto.

Liam era rimasto più sconvolto dal pianto della cara amica e sua Sköll, che dalla ferita in sé e per sé, a ben vedere.

Alla fine, si era ritrasformato in lupo e aveva obbligato Fianna a fare lo stesso e, in compagnia di Colin, erano rimasti tutta notte nel Vigrond a riposare.

Gli uni vicini agli altri, come cuccioli appena nati.

Questo aveva finalmente chetato la ragazza e, la mattina seguente, si erano inventati la storia del braccio rotto per spiegare le enormi fasciature con cui era stato medicato.

In seguito a quell’incidente, sarebbe rimasta un’imperitura cicatrice come memento di quella lotta ma, per il mondo, sarebbe stato solo il risultato di una frattura esposta.

“Beh, se avete bisogno di me, sapete dove trovarmi. Ci vediamo a cena” disse Pascal, salutandolo nell’uscire di casa per recarsi a pescare.

Colin resistette fino a che non fu partito con la sua Subaru dopodiché, chiuso il libro, sospirò e guardò stranito il suo cellulare e il messaggio di Whatsapp che attendeva una risposta.

Quelle due virgolette azzurre gli stavano facendo venire una rabbia infinita e, al tempo stesso, un desiderio estremo di rispondere a colui che lo aveva contattato.

Ma come fare, visto che si trattava di un umano?
 
***

Carter Jones, Freki del branco di Cardiff e, tra le altre cose, primo amore di Colin, stava sistemando alcuni scatoloni nel suo garage, quando avvertì la presenza di qualcuno alle sue spalle.

Volgendosi a mezzo, sorrise nel vedere Colin Laroche e, tergendosi la fronte umida, disse: “Ehi! Già a casa? Hai finito gli esami, per ora?”

“Fino a ottobre non si riparla di lezioni o altro e, solo a novembre, dovrò darci dentro con altri esami” assentì Colin, avvicinandosi all’uomo.

Più grande di lui di nove anni, Carter aveva rappresentato, per Colin, un autentico battesimo del fuoco.

A quindici anni, aveva compreso di non essere come gli altri suoi amici, di non apprezzare le curve mozzafiato di Kate Winslet quanto, piuttosto, il sorriso di Jude Law.

Era stato un bel colpo, per lui, pur se ne aveva avuto il dubbio già da un pezzo.

Nessuna delle sue compagne gli era mai piaciuta, e neppure la sensualissima Fianna, la loro Sköll, era riuscita a farlo tremare di desiderio.

Solo Carter vi era riuscito, e questo aveva voluto dire fare i conti con la prima batosta sentimentale della sua vita, visto che Colin era sempre stato cosciente dell’eterosessualità del loro Freki.

Non vi erano mai stati dubbi, in merito.

Carter era stato sempre e solo con donne, nel corso della sua vita e, dopo aver preso il coraggio a due mani, gliene aveva parlato per semplice logica.

In un mondo dove puoi leggerti nella mente, certi segreti non puoi proprio tenerli.

Carter era stato comunque gentilissimo, con lui.

Aveva capito, non l’aveva né scacciato, né deriso e anzi, lo aveva aiutato a non soffrirne troppo, per quanto gli era stato possibile.

Con il passare dei mesi, e anche grazie al fratello e alla dolcissima Fianna, era infine riuscito ad accettare la cosa, e Carter era sempre stato lì per spalleggiarlo.

Suo padre, più semplicemente, gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva detto che, per qualsiasi cosa, lui sarebbe stato pronto ad ascoltarlo e appoggiarlo.

“Che succede, Colin? Perché hai quella faccia pensierosa?” domandò subito Carter, poggiandosi contro una scaletta di metallo.

Grattandosi dietro la nuca, un mezzo sorriso a illuminargli il viso affascinante, Colin mormorò: “E’ mai possibile che tu riesca sempre a capire al volo che c’è qualcosa?”

“Amico, che ci posso fare se, per me, sei un libro aperto?” ironizzò Carter, indicandogli di sedersi su uno degli scatoloni. “E poi, i Freki hanno un sesto senso, per i guai.”

“Stai facendo trasloco? Come mai così tanta roba fuori posto?” domandò curioso Colin, sedendosi e cambiando temporaneamente discorso.

“Ospiterò mio figlio Roy, visto che la madre ha pensato bene di farsi mettere in galera” ammiccò Carter, sorprendendolo un po’.

Già, Roy, il figlio semi-segreto di Carter.

Il bambino era nato da una breve, quando accesa, relazione con una lupa del clan di Matlock che, a quanto pareva, aveva fatto il passo più lungo della gamba.

“Duncan come l’ha presa?” domandò Colin.

“Non bene. Quando mi ha chiamato, era tranquillo come se stesse parlando del tempo, il che è tutto dire…” borbottò Carter, storcendo la bocca.

Persino i sassi sapevano che, se Duncan McAlister appariva calmo e pacato durante una crisi, allora voleva dire che era furioso al pari di una tempesta.

“Ti hanno concesso la custodia definitiva, allora?”

Colin sapeva, più o meno, quello che stava succedendo ma, dopo quel colpo di scena, forse tutto sarebbe cambiato.

“Il giudice deciderà a giorni ma, da quel che dice l’avvocato, Roy potrebbe rimanere con me per sempre” dichiarò Carter, allargando un poco il suo sorriso.

Colin fu felice per lui.

Sapeva quanto tenesse a quel bambino di quattro anni, e quanto la separazione da Belinda – pur se non si erano mai sposati – lo avesse provato.

Lui l’aveva amata davvero, anche se cose erano andate a catafascio molto alla svelta, tra di loro.

“Non ho dimenticato la tua faccia ansiosa, sai…” ironizzò dopo un istante Carter, ammiccando al suo indirizzo.

Colin rise e, annuendo, allungò gli avambracci sulle cosce e, scrutando il pavimento di cemento senza realmente vederlo, mormorò: “Credo di essere nei guai.”

“Di che tipo? Devo uccidere qualcuno per te?” domandò Carter con assoluta serietà.

Il suo ruolo di Freki era primario, nella sua vita e, se un Primo Figlio aveva bisogno di aiuto, suo compito era quello di agire.

“No, niente di tutto ciò. Credo di essere nei guai… qui…” asserì lui, poggiandosi una mano sul cuore.

“Oh. Te l’ho detto, Colin. Sei bello da far schifo, ma non mi intendo di maschi” ironizzò Carter, facendolo scoppiare a ridere.

Ormai potevano riderne insieme senza problemi, perché Carter aveva fatto in modo fin da subito che il rapporto di amicizia tra loro non scemasse mai.

“Lo so, tranquillo… anzi, spero non ti ingelosirai, ma penso di aver trovato qualcuno che potrebbe ricambiare il mio interesse.”

“Beh, tutto dipende se regge il confronto con me, altrimenti sì che potrei arrabbiarmi” ghignò Carter, prima di tornare serio. “Dimmi dove sta il problema. Non sei sicuro che bazzichi nel tuo stesso giardino?”

“No, di quello sono sicuro. Il problema è il suo retroterra.”

Sorpreso, Carter impiegò alcuni attimi prima di capire e, accigliandosi leggermente, mormorò: “E’… umano?”

“Già. Al cento percento. Senza parenti legati alla nostra stirpe, o anche soltanto neutri. Niente di niente. Nada” sospirò Colin, passandosi una mano tremante tra la chioma di capelli castano dorati.

“Cristo, ragazzo… ma i guai vai proprio a cercarteli, eh?”

“Amerò le storie senza speranza, che ci vuoi fare?” ironizzò Colin.

“Beh, non metterla giù così. Non è detto che sia senza speranza. Non sarebbe il primo umano che diventa parte di un branco… solo, devi capire bene com’è la situazione. Sondare le acque, diciamo” cercò di chetarlo Carter, levando le mani per frenarne le ansie.

“Dici che dovrei dirlo a mio padre?”

Carter sospirò.

Solitamente, di queste cose si sarebbe occupata la Prima Lupa ma, essendo venuta a mancare Ellana, tutto ciò ricadeva su Fenrir… o sulla Lupa Madre.

Ma come spiegare, a una lupa di quasi novant’anni, delle interazioni tra due ragazzi gay?

Non aveva neppure idea se la vecchia Lynn ne conoscesse l’esistenza!

“Senti, se ti va posso curiosare un po’ in giro io. Senza dare nell’occhio, s’intende…” gli propose Carter, fissandolo con aria curiosa e, al tempo stesso, preoccupata.

“Mi spiace chiederti una cosa del genere, ma non so davvero che pesci pigliare” sospirò Colin, fissandolo contrito.

“Se fai una faccia simile, deve piacerti davvero molto.”

“Che faccia sto facendo?” domandò il giovane Laroche.

“Come di uno a cui manca l’aria” sottolineò Carter, sorridendogli mesto. “Con me, non avevi quella faccia.”

Colin sospirò, si passò le mani sul viso e, guardandosele come se non le riconoscesse, asserì: “Sarà perché, quando penso a Chris, mi sembra davvero che mi manchi l’aria.”

“Nome completo?”

“Christofer Sterling. E’ di Cardiff anche lui ma, strano a dirsi, ci siamo conosciuti solo all’università. Seguiamo gli stessi corsi” gli spiegò Colin, prima di mostrargli il cellulare. “Mi ha invitato per una gita in barca con degli amici.”

“Guaio… così non posso seguirvi” storse il naso Carter. “Però, direi che potresti andarci lo stesso e vedere che aria tira, per così dire.”

“L’ho baciato, Carter. So già che aria tira” ammise Colin, sorprendendo un poco Carter.

“Oookay… quindi, in prima base ci sei già arrivato. Il punto è sapere se è il caso di fermarsi lì, o proseguire.”

Colin scosse il capo, borbottando: “Dio, parli come Liam. Anche lui fa sempre metafore sportive, per cose simili.”

“Tu, invece, somigli sempre di più a lady Fenrir, sai?” ironizzò Carter, facendolo sogghignare.

“Sarebbe un bel traguardo, visto quanto la ammiro.”

Carter, allora, gli diede una pacca sul ginocchio, annuì con vigore e disse: “Vai e divertiti. Al resto penserò io. E cerca di non essere troppo affascinante. Puoi stendere la gente anche così, senza usare zanne e artigli.”

Colin rise di quella battuta e, nel salutare Carter, si avviò verso casa, accettando l’invito di Chris.

Era sempre bello parlare con Carter, anche se non sapeva davvero come sarebbero finite le cose, stavolta.
 
***

La barca del padre di Chris era una Ferretti di oltre quindici metri, con tanto di camera da letto sottocoperta, bagno con doccia hi-tech e una cucina funzionale quanto attrezzata.

Quel giorno, era guidata dalla sorella di Chris, Joyce, che aveva quattro anni più del fratello e, al pari suo, amava il mare e la buona compagnia.

Sdraiato sulla prua della barca stava il suo fidanzato, mentre un paio di amici comuni stavano bevendo birra e ascoltando musica ad alto volume.

Chris, invece, seduto a poppa in contemplazione del mare, appariva pensieroso, ma non necessariamente triste. Solo… isolato da tutti.

Colin poté scorgere più volte il baluginio di un sorriso sul suo volto – velato da un leggero strato di barba bionda e abbronzato al punto giusto.

Mentre sorseggiava della coca-cola, pur se aveva l’età per bere birra, il suo sguardo corse molte volte in direzione di Chris, ma mai una volta tentò di avvicinarlo.

Era come se qualcosa glielo impedisse, come se il desiderio di Chris di estraniarsi dagli altri bloccasse le sue membra.

La gita era partita sotto i migliori auspici e, anche grazie alla guida spericolata di Joyce, si erano divertiti un sacco.

Le risate avevano spesso accompagnato le curve ai limiti della fisica compiute dal motoscafo e, ogni volta, il gruppo si era complimentato con Joyce per la sua audacia.

Una volta calata l’àncora poco al largo di Manorbier, nei pressi del Pembrocke National Park, Chris però si era ammutolito, rintanandosi a poppa della Mirage.

Da quel momento, non aveva più parlato con nessuno.

“Quando fa così, lo strangolerei con le mie stesse mani” brontolò Joyce, alle spalle di un preoccupato Colin.

Lui si volse sorpreso, scrutando la statuaria bellezza bionda che era la sorella di Chris, e sorrise a mezzo.

“Non ti sembra una scelta un po’ lapidaria?”

“Con Chris? Sarei anche gentile” ironizzò la giovane, dandogli una pacca sulla spalla. “Vai a parlargli, prima che io lo scaraventi in acqua. Vuole che io guidi la barca come un pilota di offshore, e poi fa il musone… un vero scocciatore, il mio fratellino.”

“Forse, vuole stare per i fatti suoi. Non vorrei disturbarlo” sottolineò Colin.

A quel punto, Joyce sorrise dolcemente e replicò: “Prima che tu possa disturbarlo, gli oceani si prosciugheranno. Vai da lui, coraggio.”

Non potendo fare altrimenti, Colin si avviò verso poppa.

Dopo aver poggiato la sua coca-cola ormai vuota su un parapetto interno, si accomodò al fianco di Chris, lasciando ciondolare le gambe fuori bordo al pari dell’altro.

Christofer si volse appena, nel sentirlo e, ammiccando, mormorò: “Joyce ti ha rotto?”

“Vuole sapere se stai bene. E anch’io, in effetti” asserì Colin, poggiando gli avambracci sul parapetto di acciaio satinato.

La brezza di mare portava profumi distanti, l’amaro del sale contenuto nell’acqua, gli odori delle città costiere e il rumore delle navi, ma tutto ciò non disturbava Colin.

Era ormai abituato da tempo a non farsi distrarre dai suoi sensi e, quando Chris era nei paraggi, forse non avrebbe neppure udito il richiamo del suo Fenrir.

Passandosi una mano tra i capelli castano dorati, Chris sorrise un poco e disse: “Non voglio che tu ti preoccupi. Sto bene… è solo che, quando sono in mare aperto, tendo a perdermi un po’ in mille pensieri.”

“Pensavo ti piacesse” sottolineò Colin.

“Oh, sì… molto. E’ per questo che mi faccio pensieroso. Scusa, prima ti invito e poi mi defilo per farmi i fatti miei. Sono davvero un pessimo amico” mormorò Chris, allungando una mano per dargli una pacca sul ginocchio.

Una scarica involontaria di adrenalina si espanse in tutto il corpo di Colin, ma lui la tenne a bada come al solito.

Quando Chris lo toccava – anche con gesti innocui come quello – il suo sistema endocrino andava completamente in palla, e la bestia ringhiava per uscire e accoppiarsi.

Un bel guaio, quando non avevi a che fare con un altro licantropo, e non potevi gettarti sul malcapitato per una buona notte di sesso a base di artigli e morsi.

Non che Colin avesse sperimentato in prima persona, visto che il suo unico amore era stato Carter, e con lui non aveva combinato un bel nulla.

Certo, nel branco erano presenti circa una decina di coppie omosessuali ma erano, per l’appunto, coppie.

E lui non era fatto per gli accoppiamenti da una notte e via. Voleva ben di più, per se stesso ma, a quanto pareva, il suo corpo desiderava quello da Chris.

Come fargli capire che, primo, Chris non era un lupo e, secondo, non sapeva che lui lo era?

A volte era difficile venire a patti con la parte più ferina della sua doppia natura.

Chris parve comunque capire il suo stato d’ansia – pur se non i motivi – perché gli sorrise e, allungando gli avambracci fuori dal parapetto, disse: “Ho come l’impressione che tu stia combattendo un’aspra battaglia, anche se non capisco il perché.”

“Non sarebbe carino sbatterti a terra per divertirmi un po’, ti pare?” ironizzò Colin, facendolo ridere.

Il problema era ben più grande di quello ma, come spiegazione, poteva andare.

“Oh, io non piangerei, credimi ma, in qualche modo, vedo che sei frenato, quando stai con me. Ripensamenti? Pentito di avermi baciato?” domandò Chris, sollevando un sopracciglio con espressione curiosa.

“Tutt’altro” scosse recisamente il capo Colin, prima di notare un tatuaggio curioso nella parte interna del polso del giovane. “Toh, non mi ero accorto che avessi un tatuaggio.”

“Questo?” mormorò Chris, indicandosi il disegno brunito a forma di spirale che spiccava sulla sua pelle lievemente ambrata. “Una cosa di famiglia. Se guardi Joyce, ne ha uno sulla caviglia. Noi Sterling abbiamo tutti un tatuaggio.”

“Se io me lo facessi, mio padre darebbe in escandescenze” ridacchiò Colin, continuando ad ammirare quella spirale, composta da più tratti concentrici e tutti diversi.

“Paura di un’infezione?” domandò curioso Chris.

“No, terrore degli aghi! Sverrebbe per interposta persona” rise Colin, coinvolgendo anche Chris nella sua ilarità.

Nonostante la drammaticità della situazione, Colin ricordava con divertimento il giorno in cui, nella clinica del dottor Whitlock, sua madre era stata sottoposta a diversi esami… e suo padre era svenuto.

Pensare al potente capoclan di Cardiff, abbattuto dalla vista di un ago, lo aveva mandato al tappeto per il gran ridere.

Persino sua madre Ellana era scoppiata in una gran risata, e Liam aveva preso in giro Pascal per giorni.

Era stato un bel momento, nonostante tutto.

“E’ davvero bello. Le sfumature bruno-rossastre sono fatte molto bene e…” cominciò col dire Colin, prima di venire colto da un dubbio.

Istintivamente, allungò una mano per afferrare quella di Chris che, però, si scostò per impedirglielo, fissando poi turbato Colin.

A quel punto, il giovane sorrise a mezzo e, cogliendolo di sorpresa, lo prese per la nuca e lo avvicinò a sé per baciarlo, mandandolo così in confusione.

Nella foga di quel momento di passione, Chris perse di vista la precedente mossa di Colin, e quest’ultimo poté mettere in pratica ciò che voleva fare.

Afferrò il braccio di Chris proprio all’altezza del polso e, non appena la sua pelle toccò quella del giovane, una scarica di dolore si inframmezzò al piacere che stava dilagando in lui.

Chris se ne accorse, però e, scostandosi nonostante la stretta di Colin – altra cosa che sorprese il giovane Laroche –, fissò a occhi sbarrati il ragazzo e ansimò stordito: “Che fai?!”

Colin, però, non gli rispose. Scrutò il suo palmo arrossato, il tatuaggio di Chris e, annusando meglio l’aria, riuscì a cogliere un aroma che, fino a quel momento, non aveva notato.

Lui e Chris si erano sempre incontrati in luoghi ove, gli odori e gli aromi, avevano sempre costituito un impedimento, una sorta di barriera.

Sia Londra che Cardiff, così come il mare stesso, avevano cospirato contro di lui e i suoi sensi.

Ora, però, un lento, trionfante sorriso si allargò sul suo viso, non appena la verità gli venne mostrata con chiarezza.

A quel punto, Chris sgranò ancor più gli occhi e, con voce resa roca dal dubbio, mormorò: “Tu… tu sai…”

Colin si limitò ad annuire e, con maggiore sicurezza, tornò a baciare Chris che, stavolta, non gli impedì di toccare il suo tatuaggio.

Come in precedenza, una scarica di elettricità statica percorse il corpo di Colin, eccitandolo e stordendolo e, quando infine si scostò dal giovane, sussurrò sulle sue labbra: “E’ una rihall, vero?”

“Come conosci questo termine?” gracchiò Chris, prima di guardarsi intorno con espressione turbata.

I loro amici stavano ridendo della grossa, a prua, del tutto presi da un’apparente partita a poker con Brady, il ragazzo di Joyce.

Quest’ultima, invece, era sdraiata a prendere il sole, ignorando bellamente il caos prodotto dai giovani accanto a lei.

Nessuno poteva udirli, in quel momento, ma Chris ebbe comunque timore di esporsi, di parlare, pur se era assurdo il solo pensarlo.

Colin, a quel punto, prese in mano le redini della situazione e, preso il viso del giovane tra le mani, gli sorrise e, occhi negli occhi, mormorò: “So ogni cosa. Conosco altri come te, davvero.”

Era stato interessante, qualche anno addietro, fare visita al clan di Dublino su espresso invito del nuovo Fenrir, e conoscere ben quattro principi di Mag Mell.

Pur se ne aveva ascoltato le storie per bocca stessa di lady Fenrir, era stato strano mettere insieme mito e realtà dei fatti.

Non che la visione di Litha mac Lir e dei suoi fratelli non somigliasse, e di molto, alla personificazione in terra di un mito ancestrale.

Pur non avendo interesse per le donne, aveva trovato Litha assai affascinante, oltre che molto più misteriosa dei fratelli e, quando era saltata fuori la sua duplice discendenza, ne era rimasto sbalordito.

In generale, quel viaggio in Irlanda era stato incredibile per diversi motivi, ma il fatto che Litha fosse una semi-divinità, era il particolare che più lo aveva colpito.

A quel punto, la sorpresa di Chris si fece confusione e Colin, nel lasciarlo andare, aggiunse: “Ho avuto l’onore di conoscere i principi di Mag Mell. Stheta, Krilash e Rohnin, oltre alla loro sorella Litha.”

Chris si passò una mano sul viso, sgomento, lanciò uno sguardo al mare aperto come a cercarvi mille spiegazioni ma, alla fine, riuscì solo a chiedere: “Non dovresti neppure conoscere i loro nomi. E poi, perché chiami la principessa con il nome di Litha?”

Colin allora sorrise, e replicò: “A quanto pare, sono più informato di te. Litha è stata adottata dai sovrani fomoriani, ma è di discendenza mista. E’ per metà una Tuatha de Danann.”

Chris non disse nulla, di fronte a quelle informazioni, si limitò ad alzarsi in piedi e, afferrato Colin a un braccio, lo obbligò a fare altrettanto, prima di trascinarlo sottocoperta con sé.

“Ehi, voi due, non fate cosacce!” gli gridò dietro Stuart, uno dei loro amici.

Chris lo mandò debitamente al diavolo, mentre un coro di risate esplodeva a prua e, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, fissò astioso Colin e sbottò.

“Posso sapere che diavolo sta succedendo?! E perché sai tutte queste cose sui fomoriani?!”

Colin si sedette su uno dei divanetti e, dopo aver pregato Chris di fare altrettanto, asserì: “Visto che sei ciò che sei, e che so benissimo che, coloro di voi che abitano sulla terraferma, non fanno più parte di Mag Mell o dei Protettorati, posso dirti ciò che sono io.”

“E dopo mi spiegherai perché conosci tanto di… di ciò che sono io?”

A Colin parve strana, come domanda.

Era più preoccupato di capire come lui potesse essere a conoscenza dei fomoriani, piuttosto che del segreto che stava per dirgli?

“Non ti preoccupa ciò che sto per dirti?” domandò a quel punto Colin.

Chris sbarrò gli occhi, confuso, e asserì: “E di che dovrei preoccuparmi? Potenzialmente, io potrei mutare in un pesce. Che altro ci può essere di così strano? Lo sapevi, vero? Dimmi di sì, ti prego, o mi sentirò un idiota per avertelo spiattellato così, senza prepararti.”

“Delfino, Chris, non pesce” sottolineò sorridendo Colin, e Chris rise nervosamente, annuendo.

“Sì, non ricordarmelo. La prima volta che mia madre me lo disse, quasi le risi in faccia e, nel prendere una scatoletta di tonno, le domandai se fossimo loro parenti. Non ti dico cosa mi fece” ammise Chris, ora più rilassato, sorridendo con espressione meno tesa.

“Siete tutti fomoriani?” domandò a quel punto Colin, notando come, il tremore alle mani di Chris, fosse scemato.

“Non mi sto dimenticando che volevi dirmi qualcosa, sappilo…” sottolineò quest’ultimo, frizzandolo con i suoi occhi grigi. “… ma, visto che questa è la conversazione più bizzarra che io abbia mai fatto in vita mia, mi diverte l’idea di continuarla.”

“Bene… sapevo che ti piacevano le cose strane” disse Colin, facendo spallucce.

“Per risponderti, no, mio padre è umano, e mia madre decise di abbandonare il Protettorato dei Mari del Sud per andare con lui. Si conobbero sulle Antille e, da lì, si trasferirono a Cardiff per seguire la ditta di mio padre” gli spiegò Chris, sospirando leggermente.

“E la tua rihall? Come mai è scura? Non dovrebbe essere chiara?”

“Sai davvero un sacco di cose, su di noi…” mormorò ammirato Chris, poggiando il mento su una mano, sollevata per fungere da piedistallo. “… ma sì, avrebbe dovuto essere chiara. Mamma risvegliò a entrambi noi la rihall, quando compimmo diciotto anni. Voleva che avessimo la possibilità di scegliere.”

“Per questo, ammiri il mare con aria così pensierosa?” domandò a quel punto Colin.

“Ho sempre pensato che, una volta terminati gli studi, avrei preso la pelle di delfino che mia madre mi ha offerto e, dicendo addio a tutti, sarei disceso sul fondo del mare. Credevo fosse quello, il mio futuro. Lo sentivo…”

Nel dirlo, si toccò il torace, all’altezza del cuore.

“Ma poi…?”

“Sei arrivato tu” sorrise appena Chris, scrutando gli occhi blu di Colin.

Vagamente sorpreso, il giovane lo fissò in cerca di spiegazioni, e quest’ultimo non si fece pregare.

“Hai spezzato il mio legame col mare e, quando vengo qui per ritrovarlo, non lo sento più. Certo, posso udire le voci del mio popolo, ma non avverto più il bisogno di conoscerlo, di farne parte…” mormorò Chris, sorridendogli.

“Non so se è un pregio, o un difetto, ciò che hai detto” sottolineò Colin, dubbioso.

“Dipende da ciò che farai d’ora innanzi.”

“Credo sarà il contrario” ammise Colin, accigliandosi. “Credimi.”

“Te l’ho detto. Nulla può essere più strano di me che posso diventare un delfino” ironizzò Chris. “Certo, se tu mi dicessi che sei un malato terminale, potrei anche morirne, ma…”

Essere un licantropo è meglio, o peggio?, si domandò Colin, prima di sospirare.

“Non sono un malato terminale.”

“Grazie al cielo” sospirò sollevato Chris. “Sei diventato improvvisamente etero, allora?”

“Decisamente no!” rise Colin.

“Bene, altro pericolo scampato. Ti piace qualcuno che non sia io?”

“Pensi ti bacerei come ho fatto, se così fosse?” mugugnò Colin, fissandolo male.

“Hai ragione, scusa. Anche se va detto che mi hai tratto in inganno, prima” precisò Chris, sempre con tono allegro e faceto. “Vuoi dirmelo, Colin? Cos’altro ci può essere, di così tremendo, da temere una mia crisi di nervi?”

“Se ti dicessi che non sono esattamente… umano?” tentennò Colin.

Chris sollevò il viso dalla mano, fissò curioso Colin e, infine, borbottò: “A me lo sembri tutto. E so che non sei fomoriano. Quindi…”

“Anche tu sembri umano, ma non lo sei” sbuffò il giovane lupo, accigliandosi.

“Okay, è vero. Resterò assolutamente serio. Davvero” assentì a quel punto Chris. “Dimmi tutto. Ti ascolterò senza dire scemenze.”

“Sono un licantropo” mormorò di getto Colin, attendendo trepidante la sua reazione.

Reazione che, però, non venne.

Chris rimase perfettamente immobile a fissarlo, gli occhi chiari che lo guardavano con espressione meditabonda, come se attendessero qualcosa di veramente sconvolgente.

Come se quello che Colin gli aveva appena detto non lo fosse!

A quel punto, Colin si ripeté, scandendo bene le parole: “Sono. Un. Licantropo.”

“Ho capito. Davvero. Non sapevo che esistessero ma… ehi, chi sono io per recriminare? E quindi?”

“Come, e quindi? Tutto qui?!” sbottò Colin, non aspettandosi di certo una reazione così freddina.

Chris, allora, gli sorrise gentilmente, si allungò sul tavolo che li divideva per dargli un bacio e, nello scostarsi, disse: “Sì, ora la tua aura sfrigola che è un piacere.”

“Che?! Senti la mia aura?!” ansimò Colin, sempre più confuso.

“I fomoriani possono percepire le auree delle creature non umane, se queste sono particolarmente intense. Mi era parso di avvertire qualcosa, in te, quando ci eravamo baciati la prima volta ma, visto il momento molto particolare, ho pensato di essermelo immaginato” sottolineò Chris, scrollando le spalle.

“Quindi, normalmente, non avverti nulla…”

“No, niente di niente. Per questo non ho mai sospettato nulla” scosse il capo Chris. “Ma ribadisco… perché pensavi non avrei accettato la cosa?”

“Non trovi strano che io… beh, che io possa mutare in un lupo?” domandò ancora confuso Colin, trovando del tutto assurda quella discussione.

“Per la verità, no. Io, in linea teorica, posso farlo ma, per ovvie ragioni, non l’ho mai sperimentato, però ho visto mia madre. Non credo sia molto diverso” disse Chris, tornando alla sua posa rilassata, col viso poggiato sulla mano stesa a palmo in su. “Non avevo idea che esistessero altre creature mistiche, se così vogliamo definire le nostre unicità, ma non sono un sapientone, perciò…”

Colin scosse il capo, ormai privo di parole.

Ma cosa diavolo stava succedendo? Stava veramente avendo una discussione del genere con Chris, o se la stava solo sognando?

Chris, allora, allungò la mano libera verso quella di Colin, la strinse e, sorridendo comprensivo, gli disse: “E’ una vita che sento parlare di cose strane, in casa mia. I miei racconti della buonanotte erano conditi di storie sui fomoriani, sulle battaglie contro i figli di Danann e sulla vita di corte dei reali di Mag Mell. Sapere che non siamo così unici come credevo, è solo un sollievo.”

“Perciò, mi sono fatto delle seghe mentali per mesi, per niente?” ironizzò nonostante tutto Colin, ritrovando finalmente il sorriso.

“Temo di sì” ammise Chris, ridacchiando.

Non era possibile! Poteva realmente essere tutto così facile?

Aveva davvero trovato una persona da amare, e che poteva accettarlo senza dover fare i conti con il suo retroterra folle?

Scoppiando a ridere, Colin si passò una mano sul viso, ora finalmente tranquillizzato, e disse: “Ora, ti dirò come ho saputo di voi. Va bene?”

“Grazie. Sono davvero curioso di sapere come è potuto succedere… poi, mi farai vedere com’è essere un lupo, d’accordo? La cosa mi intriga parecchio.”

“Potrei anche darti la luna, ora come ora” sussurrò Colin, allungandosi per baciarlo.

Sapendo che poteva avvertirla, il giovane estese la sua aura per avvolgerlo e Chris, sorridendo contro le sue labbra, mormorò: “Oh, questo sì che è bello! Tieniti la luna. Preferisco questo.”
 
***

Accomodato su uno dei divani del salotto di casa Sterling, Colin ripeté la storia che aveva esposto a Chris poche ore prima e, quando ebbe terminato, Fiona macMharran sospirò sorpresa e compiaciuta.

“Fui compagna di Lithar durante una delle ultime campagne militari contro i Tuatha, e mi piacque molto il suo spirito. Era volenterosa e coraggiosa in battaglia, e niente affatto superba” spiegò Fiona, sorridendo di quei ricordi. “Sono felice che abbia trovato una persona degna di lei… e tu mi dici che è per metà una figlia di Danann? Strabiliante.”

Colin non era sicuro cosa fosse più strabiliante, se parlare con una guerriera plurimillenaria abbigliata con jeans e camiciola, o essere libero di dire ciò che sapeva, senza restrizioni o tabù.

Chris, seduto al suo fianco, gli sorrise e Joyce, appollaiata sul bracciolo della poltrona del fidanzato, borbottò: “Non è giusto, però… tu hai trovato un lupo, mentre io solo un umano.”

“Ehi, dico!” sbuffò Brady, dando un pizzicotto sulla coscia alla sua fidanzata.

Tutti risero, di fronte a quella burla e Colin, nell’osservare la statuaria bellezza bionda che era la madre di Chris, disse: “Tutto mi sarei aspettato, tranne questo. Temevo di non poter dire niente a Chris, e invece voi avevate più segreti di me.”

“Forse non di più… solo diversi” replicò la donna, sorridendogli. “Pensi sarebbe possibile mettermi in contatto con la principessa? Sarebbe bello scambiare due parole con lei e rivangare i bei ricordi.”

“Eccola che comincia… preparati, Colin. Quando sentirai le parole ‘armata’ e ‘fomoriani’ nella stessa frase, scappa a gambe levate” ironizzò Ronald Sterling, il padre di Chris.

Colin rise nonostante tutto e, scuotendo il capo, asserì: “Mi piacerebbe molto ascoltare qualche aneddoto e, quanto al contattare Litha, non c’è problema. Ogni lupo che si rispetti ha i numeri di telefono di tutti i Santuari del Regno Unito.”

Ciò detto, estrasse il cellulare, chiamò casa Doherty e, quando udì la voce di Rey, disse: “Guardiano, i miei rispetti. Sono Colin Laroche del Clan di Cardiff. Posso parlare con la tua stimata compagna?”

“Ehi, Colin, ciao. Certo che puoi. E’ successo qualcosa?”

“Niente di grave. Penso che Litha potrebbe essere lieta di parlare con una sua vecchia conoscenza. Dille che Fiona macMharran dei Protettorati del Sud vorrebbe parlarle.”

“Che ci fai con una fomoriana al fianco?” domandò curioso Rey.

“Storia lunga. Lo scoprirai a breve” ironizzò Colin, mentre Litha prendeva il telefono dalle mani del compagno.

“Un saluto a te, futuro Hati del clan di Cardiff. E’ dunque vero che uno dei miei anziani commilitoni è appresso a te?”

Colin trovò buffo quel modo di parlare un po’ desueto ma sapeva bene come, regole vecchie di secoli, fossero difficili da eradicare.

Nel sorridere a Fiona, le passò il telefono e, mentre le due donne iniziavano a parlare tra loro, Colin uscì sul balcone assieme a Chris.

Lì, alla luce della luna, Chris gli domandò con una certa ironia: “Ululerai per me?”

“Scordatelo” rise Colin. “Ma domani ti presenterò la mia famiglia, se ti va.”

“Sarà un vero piacere” annuì Chris, prima di mormorare: “Mi piacerebbe anche passare a trovare tua madre, se non è un problema.”

“Affatto. Ci andremo uno di questi giorni, così potrà complimentarsi con me per il mio buon gusto” ironizzò Colin, lanciando un’occhiata verso il cielo.

Chris gli sorrise e, mentre entrambi restavano in silenzio alla luce diafana della luna, Colin sperò davvero che sua madre potesse vederlo, in qualche modo, ed essere felice per lui.

Lui, di sicuro, lo era.







Note: Un po' di ispirazione è giunta e, se non si bloccherà nuovamente, dovrei riuscire a sfornare qualcosa nel nuovo anno. Se non vi ritrovate con l'accenno ai fomoriani e alle rihall, vi rimando alla mia serie The Cross of Changes. Per ora, utilizzo questa nuova OS per augurarvi Buon Natale! 
  
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