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Autore: Iaiasdream    15/12/2017    2 recensioni
(Dolce Flirt-Eldarya)
Dea non è mai stata una ragazza come tutte le altre. A causa dello strano colore della sua pelle, è vittima di bullismo nel liceo che frequenta. Stanca di quell'esistenza invivibile, cerca molte volte di farla finita, ma il suo corpo sembra essere indistruttibile. Con il passare del tempo, Dea si arrende a quel crudele destino e decide di affrontare la sua vita ignorando tutto e tutti. Nonostante questo, rimane sempre e segretamente innamorata di Armin, un compagno di classe, che a differenza sua, non la considera, dandole involontariamente un dispiacere, fidanzandosi con la generosa e sorridente Iris.
A quel punto, Dea è costretta ad allegare quell'altro fallimento all'elenco delle sue disgrazie.
Quando nella sua vita entra Dake, surfista playboy, la ragazza accetta facilmente la proposta di diventare la sua fidanzata; convinta che in un certo qual modo, possa finalmente cambiare la sua vita, ma non è così.
Purtroppo, la nostra eroina non sa che dietro le quinte di questa sua quotidianità, qualcuno e qualcosa complottano per impossessarsi del suo destino
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre il taxi proseguiva sul lungo rettilineo che presto mi avrebbe condotta a casa, dallo stereo riecheggiava una delle canzoni famose dell’estate. Al mio fianco, Dake, il mio fidanzato da oltre tre anni, se ne stava in silenzio ad osservarmi con supplica, nella speranza di ricevere qualche mio segno, o anche solo un insulto.
Io non lo guardavo, ero appoggiata con il gomito allo sportello dell’auto e squadravo, senza attenzione, i palazzi illuminati dai lampioni che scorrevano davanti ai miei occhi.
Avevamo litigato. Cosa assolutamente normale nella nostra storia. Non passava giorno in cui non finivamo le nostre serate in quella maniera. Talmente erano troppe, che alla fine ci avevo fatto l’abitudine.
Quel giorno, però, c’era qualcosa di strano. Non m’importava. La persona che stava al mio fianco non mi faceva più effetto, era come se i miei sentimenti per lui fossero svaniti in un semplice battito di ciglia.
Quando finalmente mi accorsi che il tassista aveva fermato l’automobile, sospirai con naturalezza ed uscii dal mezzo senza dire nulla.
Dakota si precipitò fuori come un fulmine, pagando velocemente la prestazione dell’autista e subito dopo mi raggiunse, chiamandomi a gran voce.
Quella volta non gli sbattetti il portone in faccia, glielo lasciai aperto e salii tranquillamente le scale.
«Ti prego, Dea, lascia che ti spieghi, non è come pensi!»
A quelle suppliche, non risposi come al solito. Non gli dissi di andare a farsi fottere e che non avrei creduto a una sola parola di quello che mi avrebbe detto. No.
Mi girai lentamente e accennando un lieve e amaro sorriso, gli dissi di ritornarsene a casa sua; dopodiché, lasciandolo piuttosto impietrito, entrai in casa chiudendo la porta.
Feci tutto con calma e naturalezza: andai in bagno, mi sppgliai, girai la valvola dell’acqua calda nella doccia e immersami sotto quella pioggia irrefrenabile, iniziai a piangere in silenzio.
Dake mi aveva tradita, non era una novità, ma non ce la facevo più, e per l’ennesima volta, mi chiesi per quale motivo mi avesse proposto di fidanzarci.
Quando anni fa diventai la sua ragazza, fui sollevata da un gran peso che mi opprimeva il cuore.
Iniziavo a pensare come quelle oche delle mie compagne a scuola: finalmente ho un ragazzo. Mi dicevo.
Sì, perché, io ero una delle tante da tenere a debita distanza, per via del colore della mia pelle e dei miei occhi.
No, non sono albina, o nera… perché a quel punto mi sarei chiesta perché quelle tre maledette di Ambra e delle sue compagne, non avessero mai preso di mira Kim, Lysandro, Priya e Rosalya.
La mia pelle è di un violaceo che si diverte a cambiare colore a suo piacimento: una volta sembra pallido, un’altra ancora, copia il colore dei confetti argentati e poi ritorna alla sua normale cromatura.
La causa di questo? Beh, nemmeno i medici lo sanno e i miei genitori, dopo aver speso fior di quattrini con dermatologhi e chirurghi, si arresero perdendo completamente interesse per quella che sembrava essere “la mia natura”.
“Vive. L’importante è solo questo.” Si dicevano spensierati. Già, per loro era solo questo, d’altronde non gli avevo mai dato alcun tipo di problema; mai una febbre a tenerli accanto al mio capezzale, mai un raffreddore o una dannata broncopolmonite, a farli correre allarmati in farmacia, neppure un taglio, una bruciatura, un livido. NULLA!
Il mio corpo, la mia pelle, sembravano indistruttibili, proprio come Superman, ma di quell’angelo dai capelli gelatinati e dai muscoli inespugnabili, pronto sempre e in qualsiasi modo a salvare il mondo, io non avevo assolutamente niente e mentre loro erano tranquilli e sereni, la mia anima racchiusa in quel corpo strano e, oserei dire, “non umano”, soffriva.
A scuola diventavo “la morta vivente”, “la sposa cadavere”, finanche qualche superstizioso pensava fossi la reincarnazione di Azzurrina.
E tutti che mi ignoravano e… mi maltrattavano.
Questo fin quando non conobbi Dake: il surfista playboy che aveva ai piedi l’intera mandria femminea della scuola.
Fidanzatami con lui la mia vita cambiò dalla notte al giorno.
Dakota era l’unico a non vedermi come mi vedevano gli altri, diceva che la mia figura aveva un nonsoché di magico… era questo quello che pensavo fino a qualche tempo fa. Alla fine, il mio primo –e forse- ultimo ragazzo, si rivelò peggiore degli altri.
Avevo provato tante volte a farla finita, d’altronde, a chi interessava il mio stato d’animo? Solo a me, e a causa di tutto questo, stavo iniziando ad odiare me stessa.
Io non avevo un futuro, non l’avrei mai avuto.
Ma qualcosa, una forza più grande dei miei complessi, mi faceva rialzare più forte di prima.
E quella sera, la stessa, mi cancellò dal cuore l’affetto che provavo per Dake.
La mattina seguente, il cielo si era presentato plumbeo e uggioso, mia madre mi aspettava in macchina e suonava il clacson per volermi avvisare che il ritardo era ormai decretato.
Io, intanto, rinchiusa ancora nella mia camera, cercavo la pendrive che avrei dovuto portare a scuola come prova dei miei ultimi esami.
Ero agitata e totalmente indifferente per quello che era successo la sera prima. Il mio unico pensiero era terminare gli studi e cercare di non rivedere nessuno dei miei compagni.
Quando finalmente riuscii a trovare quell’aggeggio, mi precipitai alla porta, salutando mio padre che sorseggiava il suo caffè, con lo sguardo fisso sullo schermo del televisore.
Entrai in macchina chiedendo scusa a mia madre la quale senza rispondere, mi lanciò uno sguardo fulmineo e si immerse nel traffico.
Giunsi a scuola con le sue raccomandazioni stampate nella mente.
Stranamente, quando aprii il portone d’ingresso, non fui assalita dai soliti versacci di scherno, l’istituto era pieno, ma tutti erano concentrati a tenere gli sguardi sul libro. Vidi finanche Castiel studiare. Le tre galline si stavano passando dei bigliettini e a qualche metro da loro, i gemelli si ripetevano la tesina offendendosi a vicenda per alcuni errori fatti da Armin.
Guardai quest’ultimo, ma non come facevo sempre, cercando di non farmene accorgere. No. Saggiai ogni suo lembo di pelle, permettendo alla mia di surriscaldarsi come una pentola a pressione.
«Ehi, Arlecchino!», qualcuno mi riportò alla realtà, facendomi trasalire.
Era Kim. Mi strinsi nelle spalle indietreggiando.
«Un giorno di questi, dovrai dirmi chi è il tuo dermatologo! Come cavolo fai a cambiare il colore della pelle?» chiese sfiorandomi il braccio con un dito.
Mi guardai d’istinto, ero diventata più scura dell’avorio.
«I-io…» cercai di spiegarle che non sapevo il perché, ma poi mi dissi incredula che qualcuno mi aveva rivolto la parola senza offendermi.
Sorrisi sentendo qualcosa di indescrivibile prendere vita dentro di me e quando vidi la bruna allontanarsi e salutarmi, finalmente presi il coraggio a due mani e le parlai.
«Uhm… Kim!»
«Che c’è?»
Non sapevo come continuare, e la prima cosa che mi venne in mente fu «Hai un bel colore di occhi…»
La bruna mi fissò interdetta, increspò le labbra e alla fine scoppiò in una risata fragorosa.
«Ma da che mondo vieni?» chiese fra una risata e l’altra, «Ritorna sulla Terra! Sono semplicissime lenti a contatto colorate!» aggiunse scompigliandomi affettuosamente i capelli.
«I-io… non lo sapevo…» cercai di giustificarmi, guardandomi intorno. Mi accorsi che il vocione della bulletta della scuola, aveva attirato su di noi l’intera mandria scolastica e in quel momento mi stavano guardando tutti. Abbassai la testa come fa una cane quando viene sgridato. Non volevo incrociare gli occhi di nessuno, così, senza aggiungere altro, strinsi la presa sulla tracolla e iniziai a camminare per allontanarmi il più in fretta possibile.
«Aspetta, dove vai?» chiese ancora la bruna afferrandomi per un polso.
Mi fermai col cuore che batteva violentemente in gola, a causa di quella paura che mi aveva accompagnata per tutta la vita. “No! Adesso ricominciano!” urlavo dentro.
«Ti chiami Dea, giusto?»
Annuii tremante.
Kim lasciò la presa su di me e portò la stessa mano dietro la nuca, massaggiandosela nervosamente. «So che sei la prima della tua classe e mi chiedevo…»
Rimasi di stucco. Cosa stava cercando di dirmi?
«Ah, fa nulla!» disse dopo un po’ «Ormai è troppo tardi per rimediare!», e alla fine fece per andarsene.
«Che cosa?!» esclamai per fermarla, poi accorgendomi di aver alzato un po’ troppo la voce, rimediai, accennando qualche colpo di tosse. «I-io… volevo dire che… se vuoi un aiuto… ecco… non è troppo tardi.»
«Ok… allora ascoltami bene…», Kim si riavvicinò sicura di sé; mi afferrò le mani e respirò a fondo. «In questo dannato esame, io sono l’ultima della lista ad essere interrogata. La Delanay in un modo o nell’altro ha deciso di bocciarmi e so, con certezza, che qualunque argomento io porti in chimica, quella strega farà di tutto per rovinarmi, ma so anche qual è il mio punto debole in questa dannata materia e al cento per cento, la professoressa mi intrappolerà in questo… spiegami cosa sono i binomi!»
Rimasi zitta e ferma, e quando decisi ad aprir bocca, il suono dell’altoparlante ci interruppe.
«L’esame orale ha inizio!», era la voce della Shermansky «Che il primo gruppo si rechi nell’aula B, subito!»
Io facevo parte di quel gruppo. Guardai Kim con dispiacere e chiedendole scusa mi allontanai, ma prima di raggiungere gli altri le dissi che non appena terminato il mio esame sarei andata da lei per aiutarla.
Kim annuì sorridendo.
L’idea di aver trovato un’amica, ma allo stesso tempo di aver finalmente raggiunto il termine di questo incubo durato cinque anni, non alleviò tutte le mie ferite.
Raggiunsi l’aula B ed entrai con cautela, sapevo chi faceva parte del mio gruppo e me ne preoccupai.
Quando le vidi, il mio cuore mancò un battito. Il trio non era al completo, ma Ambra e Charlotte bastavano e avanzavano per farmi male.
Accorgendomi che la bionda mi aveva individuata, distolsi subito lo sguardo, cercando di farle capire che le stavo ignorando, ma questo mio comportamento non servì a nulla.
«Sai Charlotte…» cominciò la vipera «Inizio a sentire puzza di morte.»
«Anch’io!» aggiunse la sua amica.
Feci finta di non averle sentite; mi sedetti al banco più isolato che c’era, quello appartenuto per cinque anni a Castiel, e aprii il libro.
Non avevo bisogno di ripetere, quelle pagine non avrebbero mai raggiunto la mia conoscenza e a dire la verità, quel periodo, come tutti gli altri, d’altronde, non avevo studiato; inspiegabilmente sapevo già tutto.
Al contrario, però, del mio aspetto sovrannaturale e della mia salute ferrea, non parlai mai a nessuno di quest’altro mio “pregio”.
Ambra e Charlotte continuavano ad inventare nomignoli cattivi per offendermi, ma ormai, la mia attenzione era accidentalmente caduta su una persona appena entrata nell’aula.
Armin.
Fissai i suoi occhi, i suoi lineamenti e il suo sorriso. Mi sentii stringere il cuore e quella strana sensazione che non avevo mai avuto con Dake.
No. Io non amavo Dakota. La persona che ho sempre amato, si trovava davanti a me, e al contrario del mio ex ragazzo, aveva capelli corvini, pelle chiara e occhi azzurro cielo.
Ero innamorata di Armin dal primo giorno in cui l'avevo visto. Il problema era che lui ignorava totalmente la mia esistenza e due anni fa, si era fidanzato con la brava e generosa Iris.
Fu quello il principale motivo per il quale accettai di stare con il nipote del professor Boris.
Ma chi voglio ingannare? Avevo paura di rimanere sola per sempre! Fu questo il vero motivo.
«È libero questo posto?»
Alzai la testa, ancora persa nei miei pensieri, ma subito un campanello d’allarme iniziò a trillare nella mia mente.
“Armin mi sta rivolgendo la parola… oh, mio Dio!” lo guardai praticamente esterrefatta.
«Mi hai sentito?» insistette chinando il capo a un lato.
«Ehm…», non riuscivo a parlare. Avevo la risposta, ma le parole sembravano mescolarsi tra di loro, confuse dal loro stesso significato; poi vidi la sua reazione e la mia sorpresa si tramutò repentinamente in paura. Armin stava indietreggiando con gli occhi carichi di sgomento.
Sì, l'avevo fatto ancora. Il colore della mia pelle era di nuovo tramutato e non volli neppure immaginare quale tono avesse preso perché l'unica cosa che in quel momento desideravo era scomparire da quell’aula, evaporare, sprofondare, precipitare in un baratro.
Mi alzai di scatto raccogliendo velocemente le poche cose che avevo con me, preparandomi a sparire dalla sua vista.
In cinque lunghi anni, l’unica volta in cui Armin mi aveva rivolto uno sguardo non riuscii neppure a ricordarlo. Avevo sperato, pregato in un momento simile e infine, mi ritrovai a pregare e sperare che quel momento finisse all’istante.
«Sc-scusami…» balbettai cercando di tenere a bada le lacrime.
Mi sentii male, credevo di svenire, ma fu allora che cambiò qualcosa.
Un’esclamazione: «Wow!»
Mi bloccai e alzai lo sguardo verso di lui che aveva tramutato la sua espressione, sembrava meravigliato, come un bambino che vede per la prima volta qualcosa di stupendo.
Non che potesse pensare questo di me. Fatto sta che la sua espressione mi rassicurò.
«È davvero fantastico!» esclamò aggiungendo qualche frase che non riuscii a comprendere rivolta al suo mondo fatto interamente di videogiochi.
«Sei davvero mitica!» concluse alzando il pollice.
Il mio cuore perse un battito; persi forza sulle gambe e mi sedetti lasciando il quaderno tonfare sul banco.
«Stai… g-grazie.» sorrisi infine. Non potevo rovinare quell’istante per domande che avrebbero potuto rovinare tutto.
«Oh, no! Adesso ci si mette anche il bamboccio patito dei videogiochi!» esclamò più in là Ambra, accennando una smorfia disgustata.
Non feci caso alle sue parole, Armin mi aveva rivolto la parola, non mi aveva offesa, al contrario! Per lui, ero mitica!
Più nulla avrebbe avuto importanza.
Il ragazzo che amavo perdutamente da tempo si sedette al mio fianco, estraendo la sua inseparabile console e si mi se a giocare dopo avermi rivolto un ultima occhiata affascinante e amichevole, del tutto libera di malignità.
Rimasi ferma e zitta concentrata sul suo regolare respiro e sui miei battiti impazziti, fino all'arrivo dei professori.

L'esame orale si concluse nel miglior modo possibile, risposi correttamente a tutte le domande poste senza interruzioni e, per la prima volta, senza preoccuparmi di quello che potevano significare quegli sguardi interdetti puntati su di me.
Uscii dall’aula rimanendo appoggiata al muro per osservare quel ragazzo dagli occhi del cielo.
Era concentrato sui professori e su quello che Charlotte stava loro dicendo ed era… bellissimo.
A un tratto, l’incanto si spezzò.
Sentii un odore strano farsi strada fra le mie nari. Mi guardai intorno per capire da dove provenisse, ma non riuscivo a riconoscerlo: pareva puzza di bruciato, o zolfo. Pensai fosse qualcuno in aula di scienze, ma non poteva far parte della prova d’esame, la Delanay si trovava nella stanza dalla quale ero uscita e poi… guardandomi ancora intorno, sembrava che nessun altro a parte me riuscisse a sentirlo.
Non volli farci caso, ma aumentava ancor di più; così senza aspettare oltre, mi recai verso le scale per dare un'occhiata al laboratorio.
Stranamente non trovai nessuno per quella via, e anche i suoni si dissolsero. Salii titubante ipnotizzata da quello strano odore.
Anche il piano superiore era deserto, entrai nell’aula aperta e mi meravigliai di trovarla vuota e pulita.
Allora cos’era?
Non appena mi voltai per ritornare al piano di sotto, mi scontrai con qualcuno.
Era Rosalya. Cercai di chiederle scusa, ma la bambolina dai capelli argentati mi interruppe chiedendomi che cosa ci facessi lì.
Mentii, non le dissi della puzza di zolfo, ero straconvinta che il mio corpo mi avesse fatto uno dei suoi soliti scherzi; «Volevo farmi un giro… ho… ho finito gli esami…»
«Quindi non dovresti essere qui!» m'interruppe ancora autoritaria.
«Stavo giusto andando via…» la sorpassai affondando il collo nelle spalle, lei, però, mi fermò afferrandomi per un braccio. Ci guardammo per qualche istante e lessi nei suoi rari occhi qualcosa di indescrivibile che mi intimorì; la sua presa sembrava l’artiglio di un predatore.
«Lo senti, non è vero?» chiese sottovoce.
Strabuzzai gli occhi. Non poteva riferirsi al lezzo.
«Non fare la finta tonta! Sei venuta qui perché l’hai sentito.»
«Non capisco… lasciami!» esclamai allora, spaventata dal suo comportamento e mantenendo la calma, cercai di divincolarmi dalla sua presa.
Lei rilassò i muscoli e accennò un falso sorriso.
«Perché ti spaventi?» chiese come se non avesse fatto e detto nulla di strano «Stavo scherzando!», dopodiché se ne andò col suo passo sensuale ed elegante, mormorando una musichetta.
La guardai fino a quando scomparve dietro l’angolo della scalinata e fu in quel preciso istante che un vento freddo e carico di quel cattivo odore mi sorprese alle spalle, mi voltai di scatto e l’unica cosa che riuscii a vedere fu un’ombra sfuggente.
«Ma che cosa…»

Decisa a voler dimenticare quella scena, mi prodigai per cercare Kim e aiutarla con il suo problema, ma non riuscii a trovarla. E la Shermansky aveva ormai annunciato il quarto gruppo. Ritornai finanche verso l’aula B per rivedere Armin, ma neanche lui c’era più, così decisi di uscire per prendere una boccata d’aria, anche se dovetti subito ripensarci perché il cielo riversava pioggia, nonostante fosse leggera.
Feci una smorfia sospirando.
«Ah! Odio la pioggia!» si lamentò qualcuno dietro di me, mi voltai, ancora una volta, sorpresa di vedere Armin.
Sembrava proprio che il Fato era propenso a beffeggiarsi di me. Com’era possibile che in  cinque anni non ci eravamo mai parlati, e giuro che avrei pagato oro solo per avere un suo sguardo, e in quel momento era la seconda volta nell’arco di una giornata che succedeva.
Rimpiansi tutto il tempo perso.
«Finalmente è finito tutto!»
Rimasi a fissarlo senza riuscire ad accennare alcun movimento.
«Stai aspettando qualcuno?»
Sobbalzai stringendo la fascia della tracolla. Scossi il capo deglutendo le parole non dette.
«Hai un ombrello?»
Annuii.
«Fantastico! Allora potremmo fare la strada insieme!»
“Che cosa?”
«Sempre se ti va»
“Oh, mio Dio, Dea! Rispondi, digli qualcosa!”
Iniziai a tremare non per il freddo ma per l’emozione. Non riuscivo ancora a credere che sarei ritornata a casa accompagnata dal ragazzo dei miei sogni. Anche se non era proprio così, ma cavolo! Sarei rimasta insieme a lui!
Questo è quello che avevo pensato fino a quando una voce altamente familiare non m’interruppe prima ancora che potessi dire SÌ.
Vidi arrivare Iris che si precipitò fra le braccia di quello che ricordai essere il suo ragazzo e allora le mie fantasie crollarono come un castello di sabbia.
Indietreggiai per lasciar loro l’intimità che richiedevano e non mi accorsi di essermi esposta sotto la pioggia.
Li guardai invidiando la ragazza dai capelli rossi e dal sorriso più buono del mondo. Lui l’accarezzava e le stampò un bacio sulla fronte ignorando le labbra che ella aveva offerto senza pretese.
«Ho fatto una figuraccia!» mugolò Iris poggiando la fronte sul suo petto «lo sapevo. La Delanay mi ha rovinata. Non ha rispettato l'argomento che avevo proposto e adesso…»
Dal canto suo, Armin la tranquillizzò stringendola forte a sé.
Consapevole di assistere ad una scena che non potevo sopportare, mi allontanai sotto la pioggia mordendomi la lingua e ripetendomi che ero stata solo un’illusa.
«Dea!». Armin mi chiamò dall’entrata.
Mi voltai tirando un profondo respiro. Iris non era più al suo fianco.
«Ma l’ombrello?» chiese imitando il manico con la mano.
«Scusami…» sibilai.
«Non ti sento!»
«Non ce l’ho!» provai ad esclamare, ma la voce mi uscì roca, poi senza aspettare una sua reazione, mi girai e ripresi il mio cammino.
“Che idiota che sono! Come ho potuto illudermi così con facilità? Devi togliertelo dalla mente. Non fa per te.”
Mi ripetetti questa frase, come fosse un mantra, durante tutto il tragitto scuola-casa.
Arrivai che ero bagnata fradicia. Iniziai a cercare le chiavi nella borsa, poiché i miei non erano ancora tornati, senza trovarle.
Imprecai ricordando di averle dimenticate sulla scrivania della mia camera.
Iniziava a far freddo e non sapevo cosa fare, soprattutto dove andare. Presi il cellulare per avvisare mia madre.
«Dea!» mi chiamò qualcuno. Alzai lo sguardo e vidi venirmi in contro Dake.
Mi si strinse il cuore e la rabbia iniziò a bollirmi nel cervello, nel giro di un istante non sentii più freddo.
«Che cosa ci fai qui?» chiesi atteggiandomi a spazientita.
«Perché non rispondi alle chiamate?» m’interruppe allarmato. «È da ieri che provo a chiamarti!»
«Forse avresti dovuto intendere che non voglio più vederti» risposi tranquilla.
«Oh, andiamo! Non fare come quelle sciacquette permalose. Non sei così.»
«Già, perché tu conosci molto bene quel tipo di ragazze.»
«Dea non puoi tenermi il muso per sempre.»
«Infatti non ho intenzione di rivederti.»
«Pensi di farmi un torto, reagendo in questa maniera? Vuoi capirlo che ti rovinerai da sola?»
Gli rivolsi uno sguardo cattivo «Cosa stai cercando di farmi intendere? Che mi frequenti per pietà?»
«Non…»
«Ascoltami bene, Dakota!» lo interruppi furibonda a causa delle sue veridicità. «Perché sei stato con me per tre anni? Quando mi dicevi che ero una ragazza fantastica e fuori dal comune lo facevi per prendermi in giro? Quando facevamo… l’amore, per te era solo sesso, vero?»
«Dea…»
«NON… mentire. Non continuare a farmi male più di quanto non me ne abbia già fatto!»
«Perdonami Dea. Ti assicuro che questa volta fra me e Ambra…»
«Ambra?!» quel nome risuonò come una violenta scudisciata. Mi avvicinai a lui pericolosamente afferrandolo per il colletto «Sei andato a letto con Ambra?!»
«Non ci sono andato a letto…»
«Allora perché sul tuo cellulare c'era scritto il contrario?!»
«È stata lei ad esagerare.»
«Che cosa avete fatto? Rispondi!» la mia rabbia si tramutò ben presto in furore.
Dake mi guardò sconsolato e si morse il labbro inferiore.
«Tu sai tutto il male che ho dovuto sopportare a causa di quella vipera… perché proprio lei, perché?» piansi e le mie lacrime si mescolarono alle ultime gocce di pioggia che il cielo mi aveva lasciato sul viso.
Un boato lontano sovrastò le mie parole, poi arresa, lasciai la presa sul mio ex e scuotendo la testa provai a sorridere. «Non posso odiarti all’infinito. Hai ragione» lo guardai «la colpa è solo mia, non avrei dovuto fidanzarmi con una persona che non ho mai amato.»
«Che stai dicendo?»
«Siamo giunti al momento della verità, è inutile continuare a mentire.»
Tutto d’un fiato gli raccontai del vero motivo per il quale accettai la sua proposta, senza però fare il nome di Armin.
I suoi occhi, all’inizio disperati, cambiarono completamente espressione, accendendosi di collera.
«Tu… ami… un altro?»
«Avrei dovuto dirtelo dall’inizio»
«Non puoi!»
Lo guardai sbalordita. Mi afferrò per le spalle e mi scosse violentemente «Chi è questo pezzo di merda? Che cosa avete fatto insieme?»
«Lasciami Dake! Che cosa ti prende? »
<< Non avresti dovuto fidanzarti con me? >> gridò stringendomi i polsi, per poi trascinarmi verso il viale che portava al boschetto di betulle.
Provai a divincolarmi inconsapevole di quello che voleva davvero farmi.
Quando la strada di campagna fu lontana dalla nostra vista, si fermò costringendomi a imitarlo e voltandosi minaccioso verso di me, mi bloccò contro il tronco di una quercia.
<< Perché mi hai portata qui? >> chiesi guardandomi intorno, infreddolita.
<< È qui dove ci siamo dati il primo bacio, ricordi? >> la sua voce fu tutt'altro che dolce.
<< Non cercare di rimettere insieme i pezzi, io non… >>
<< LASCIA… >> m'interruppe ancora furioso << …che ti ricorda a chi appartieni. >> e subito si piombò sulle mie labbra, iniziando a toccarmi la pancia alla ricerca della fibbia.
Allarmata, tentai di liberarmi, gridando aiuto, ma nessuno poteva sentirmi in quel posto isolato, governato soltanto dalla fitta natura.
Lo respinsi più di una volta, ma senza successo. Quando a un tratto, sentii di nuovo l’odore di zolfo aleggiare intorno a me. Spalancai gli occhi non capendo più che cosa mi stesse succedendo. Era ovvio che Dakota non lo sentiva ed era davvero frustrante che il mio corpo stava beffandosi di me in un momento come quello.
<< Lasciami Dake, non voglio! >>
<< Sei ingiusta! >> mormorava maligno mentre continuava a baciarmi il collo e a tentare di togliermi la maglia. << Io ti ho accettata per quello che sei, senza di me non ti avrebbe calcolata nessuno! Aveva ragione Ambra, sei solo un nulla mischiato con niente! >>
Furono quelle parole a scatenare in me qualcosa che forse tenevo solo assopito.
Poggiai la mano sulla sua spalla e strinsi la presa più che potetti. Lo sentii mugugnare di dolore fino a che fermò le sue folli gesta. Un fuoco mi divampò all’interno, si ramificò in tutto il corpo e senza rendermene conto, vidi il mio ex volare a qualche metro di distanza da dov’ero. Tutto intorno era rosso come le fiamme, sentivo una voce ovattata chiamarmi e dei suoni indescrivibili otturare il mio udito. Crollai al suolo in ginocchio, guardando Dake che si rialzava a malapena reggendosi la spalla. La mia vista ritornò normale e anche la voce e i suoni si dissolsero.
Ero incredula. Com'era potuta accadere una cosa simile?
Poi la puzza di zolfo si fece risentire. Mi guardai la mano e per una frazione di secondo, mi accorsi che aveva assunto dei segni strani che scomparvero subito.
Mi alzai barcollante e raggiunsi il ragazzo.
<< Dake. Stai bene? >> chiesi chinandomi su di lui, accorgendomi che la spalla era completamente ustionata e sanguinante.
<< Mio Dio. Che cosa ho fatto? >> lo afferrai per aiutarlo a rialzarsi, ma lui spaventato dal mio tocco, indietreggiò urlandomi contro di lasciarlo stare e per la prima volta, da qualcuno mi sentii dire che ero nient’altro che un mostro.
Mi alzai tremante e sconvolta a causa delle sue accuse.
Volevo piangere, dirgli che non ero stata io, che non potevo avergli fatto una cosa simile che quello… era solo un sogno. Sì mi sarei svegliata presto e lo  avrei visto accanto a me immerso nei suoi sogni. Ma nulla di tutto ciò accadde.
Il cielo plumbeo emanò un altro boato, dal suolo si innalzò una nebbiolina scura come la pece e il famigliare lezzo ritornò protagonista dei miei pensieri.
Mi guardavo attorno, mentre tutti i miei sensi si mettevano allerta per qualcosa che non comprendevo.
<< Dake, dobbiamo andarcene da qui… >> sussurrai riavvicinandomi a lui.
<< Ho detto lasciami, mostro! Non mi toccare! >> urlò lui rialzandosi da solo premendosi la mano sulla spalla ancora sanguinante.
<< Dake… >> provai a convincerlo ma lui mi spinse bruscamente.
Non ci feci caso, ero preoccupata per quel posto che nel giro di pochi secondi si era imbrunito. Eppure era ancora giorno. Le foglie degli alberi avevano coperto l’intero cielo permettendo alla fioca luce di trapassarle come spade.
Sentii uno scricchiolio sulle foglie secche, uccelli che spiccavano il volo stormendo e ancora quel suono indescrivibile.
<< Gli animali hanno paura… >> sibilai << … perché? >>
<< E te lo chiedi? Sei stata tu! Fai ribrezzo anche alla natura! >>
<< Sta’ zitto! >>, non lo dissi perché mi offese, ma perché sentivo dei passi e un… ringhio.
<< Mostro! Sono solo stato un’idiota, e tutto questo per cosa? Solo per scoparti? >>
<< Dake… >> non riuscii a terminare la frase che subito un ammasso di ombra gigantesca comparve a qualche passo da noi.
Sembrava la silhouette di un… lupo con occhi taglienti e fiammeggianti. Ringhiava minaccioso ed emanava quell’odore sulfureo.
Dake urlò spaventato, mentre io non mi mossi e non dissi nulla. Ero concentrata a guardare quella bestia dall’assurda e impossibile stirpe e nella mente qualcosa, una specie di dejà-vú comparve come una luce ad intermittenza. Fu tutto così veloce.
L’essere balzò verso Dake, il quale non ebbe il tempo di scappare. Non vidi nulla di quello che gli fece. La caligine si alzò come una barriera su di loro, rimasi solo ad ascoltare le sue urla, esterrefatta, ma nel momento in cui l’ombra mostruosa si volse verso di me, l’istinto mi comandò di reagire.
Ero preoccupata per Dake, ma qualcosa mi diceva che ormai non c'era più nulla da fare. Corsi a perdifiato, pregando in cuor mio di vivere solo l’istante di un incubo, ma ciò non era.
Il lupo si avventò su di me mordendomi una spalla, mi atterrò artigliandomi il petto. Per la prima volta sentii dolore e vidi il colore del mio sangue fuoriuscire dal mio corpo.
Non era rosso.
La penombra non ne lo fece ben distinguere posso assicurare che non era scarlatto come il normale sangue.
Cercai di difendermi, urlai, raccolsi una pietra e lo colpii alla tempia più volte, senza però scalfirlo. Poi lo sentii mugugnare. Qualcosa l'aveva ferito, forse io? Mi allontanai subito da lui approfittando della sua distrazione. Ripresi a correre sperando di ritrovare la via d’uscita. Il bosco si faceva più cupo e silenzioso. Solo il mio respiro e i miei passi riecheggiavano nell’aria.
Per qualche minuto dell'ombra mostruosa non si vide più traccia.
Mi fermai indolenzita alla spalla, mi toccai costatandone la gravità della ferita. Mi tremavano le gambe.
Che cosa stava succedendo. Se fosse stato un sogno a quell’ora sarei dovuta svegliarmi e invece continuavo a sentire freddo e dolore.
Ne erano successe di cose strane nella mia vita ma quell'evento le superò tutte.
Ben presto, mi resi conto che l’essermi fermata aveva solo affrettato la fine di quel incubo realistico. Fui circondata da ombre senza forma e da occhi dardeggianti e minacciosi. Infine una risata malefica spezzò quei ringhi.
<< Finalmente ti ho trovata! >> erano due voci in una, la prima sembrava femminile, mentre la seconda l’appaiava in maniera cavernosa.
<< Chi… chi siete?! >> esclamai guardandomi intorno.
<< Ti sei avvicinata pericolosamente, mia cara. >> continuò l'essere invisibile << Non posso permettere che tu faccia un altro passo. Attaccate, Blackdog, uccidetela! >>
Le ombre si riversarono minacciose su di me, ma prima che potessero toccarmi, inciampai su un sasso al centro di quello che sembrava essere un cerchio di… funghi?
Il mio sangue macchiò uno di questi e magicamente una luce bluastra, abbacinante mi avvolse tutta facendo dissolvere le ombre.
L’urlo di quella donna dalle due voci scomparve con essi.
Chiusi gli occhi, sentendomi leggera e libera. L'aria sferzava il mio corpo. Stavo precipitando, ma non m’importava, ero troppo stanca e indolenzita per preoccuparmene, così mi concedetti al buio dei miei occhi e mi lasciai cadere.
 

BAKA TIME: Non sono scomparsa. Eccomi qui!
Mi siete mancate tanto! Purtroppo ho dovuto lasciare in sospeso alcune storie. Ma vi assicuro che riprenderò. Non le abbandonerei mai, state tranquille, intanto ditemi cosa pensate di questo capitolo. Ero molto indecisa nel dar vita a questa storia. Non scrivo un fantasy da quando avevo sedici anni e vi assicuro che di anni ne sono passati e molti.
Spero comunque di avervi incuriosito, anche perché voglio avvisarvi che questa storia non seguirà per filo e per segno le vicende dell’otome.
Alla prossima.
Iaiasdream.
   
 
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