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Autore: Nikita Danaan    04/01/2018    0 recensioni
"Yuri Plisetsky odiava il Natale.
Anzi odiava le persone e l'umanità in generale ogni giorno dell'anno, ma nel periodo natalizio le odiava ancora di più. [...] Però vi era una persona a cui avrebbe voluto fare gli auguri e con cui avrebbe passato tutto sommato il Natale, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce nemmeno sotto tortura. Egli rispondeva al nome di Otabek Altin".
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota iniziale: Questa prima (e unica al momento) Otayuri la scrissi era per fare uno speciale di Natale. L'ho revisionata perché, essendo una vecchia storia, esattamente come le altre che ho revisionato, non mi convinceva più. Essendo vecchia non so se sono riuscita a rappresentare perfettamente e in maniera "canonica" i personaggi (soprattutto Yuri) e le descrizione sono più asciutte rispetto a come le scrivo ora. Ho cercato di fare del mio meglio per aggiungerle dove servivano e allo stesso tempo renderla godibile.
Buona lettura! 


Yuri Plisetsky odiava il Natale.
Anzi odiava le persone e l'umanità in generale ogni giorno dell'anno, ma nel periodo natalizio le odiava ancora di più.
Detestava dover fare i regali, perché tanto sapeva fin dal 1° novembre, quando venivano tolte le decorazioni di Halloween e venivano poste quelle natalizie, che si sarebbe ridotto all’ultimo momento.
In più, odiava fare gli auguri a persone che non vedeva per tutto il resto dell'anno che si ricordavano della sua esistenza solo a Natale. Tra l’altro erano anche quelle persone che gli facevano gli auguri il 25 dicembre, fregandosene che lui fosse ortodosso*.
Però vi era una persona a cui avrebbe voluto fare gli auguri e con cui avrebbe passato tutto sommato il Natale, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce nemmeno sotto tortura. Egli rispondeva al nome di Otabek Altin, con il quale aveva stretto amicizia a Barcellona.
Purtroppo il ragazzo viveva in Kazakistan e per poter attuare il suo piano aveva due strade: chiamarlo semplicemente al telefono oppure andare direttamente là con un aereo, però quest'ultima era la più irrealizzabile, anche perché quel zoticone di Yakov lo obbligava ad allenarsi tutti i giorni senza sosta.
L'anno precedente gli sarebbe andato bene. Aveva in quel modo anche una scusa perfetta per non festeggiare e non essere obbligato a interagire con le persone a forza, così avrebbe investito meglio il suo tempo.
Ma da quando aveva incontrato quel ragazzo, che era diventato il suo primo amico, si sentiva diverso. Non odiava parlare con lui, passarci del tempo insieme, non doveva fingersi qualcun'altro e poteva fare tutte le battute cattive e sarcastiche che voleva e che nessuno capiva e comprendeva, senza essere guardato malamente o giudicato.
Con Otabek sentiva di poter essere veramente sé stesso e quindi essere accettato come Yuri e non come la fata della Russia.
Sentiva che fosse più importante di un semplice amico e non sapeva come dirglielo.
Yuri era tutto fuorché timido e insicuro, mostrandosi sempre arrogante e sfacciato con tutti coloro con cui aveva a che fare, ma il giudizio di Otabek lo condizionava e inconsciamente lo riteneva indispensabile.
In sostanza, Yuri non sapeva cosa fare.
***
 
“Ohi, Yakov!” lo chiamò bruscamente il pattinatore.
“Che vuoi?” gli rispose con lo stesso tono l'allenatore.
“Io parto per il Kazakistan, starò lì per Natale fino a Capodanno*, quindi non rompermi le scatole per quei giorni!”.
“E-ehi! Aspetta Yuri!” ma ormai il giovane era già sfrecciato fuori dal palazzetto dello sport dove solitamente si allenava con il suo trolley leopardato e si stava dirigendo all'aeroporto.
Alla fine aveva scelto di seguire il suo istinto come sempre e quindi aveva prenotato un biglietto per Almaty*, la città dove viveva Otabek. Il piano era passare il Natale con lui, sfruttando il fatto che anche in Kazakistan ci fosse il Natale ortodosso*, dichiarargli i suoi sentimenti e se fosse stato respinto sarebbe tornato immediatamente a casa, così avrebbe salvato almeno in parte la sua dignità.
In fondo al cuore però sperava che Otabek provasse lo stesso sentimento che provava lui nei suoi confronti.
 
***
 
Arrivò davanti alla porta di casa di Otabek e suonò al campanello su cui aveva letto il suo cognome.
Dal citofono sentì la voce seria e profonda del ragazzo domandare “Chi è?”.
Quanto gli era mancata quella voce! Dopo tutte quelle ore di viaggio per Yuri il suono della sua voce fu come una dolce carezza sul volto.
Vi era solo il piccolo particolare che non aveva detto a Otabek che si sarebbe recato a casa sua. Un po’ perché voleva lasciarlo senza fiato, un po’ e soprattutto per timore che gli dicesse di no, quindi con quello stratagemma praticamente obbligava l'altro a tenerlo con lui almeno per quella sera.
“Sono io”.
“Yuri? Che ci fai qui?” esclamò sorpreso il kazako dall’altro capo del citofono.
Il giovane pattinatore russo fece per dirgli che si era fatto quel viaggio estenuante di 8 ore* solamente per vederlo, ma quello che gli disse fu un secco “Fammi entrare che ho sonno!”.
Il ragazzo lo fece salire senza dire nulla e uscì sul pianerottolo per attenderlo. Lo fece entrare in casa e gli offrì da bere.
Yuri si sedette in cucina di fronte a lui e agli occhi di Otabek apparve distrutto.
Aveva il cappuccio della felpa maculata che portava che gli copriva i capelli i quali però, essendosi allungati in quei troppi mesi in cui non si erano visti, gli arrivavano ormai alle clavicole, le labbra erano screpolate e si vedevano gli occhi verde chiaro contornati da occhiaie.
“Come mai hai fatto tutta questa strada per venire fin qui? In più non eri sotto il regime degli allenamenti estremi di Yakov?” gli chiese, riprendendo un’espressione usata da lui stessa durante una loro conversazione via Whatsapp.
Per un attimo calò un silenzio, che Yuri percepì come snervante, perché non sapeva cosa dirgli o meglio lo sapeva, ma non sapeva in che modo.  
Sentendosi estremamente a disagio, decise di prendere tempo, quindi gli chiese “Tu invece? Non eri impegnato come me. Non sei andato a trovare la tua famiglia?”.
Il kazako scosse la testa “Quest’anno preferivo stare per conto mio”.
Yuri desiderò sprofondare sottoterra. Era venuto a rompergli le palle!
Però, per quanto si sentisse sempre di più un idiota, ormai aveva fatto tutta quella strada. Era giunto il momento di dirglielo.
“Otabek” lo chiamò non tanto per richiamare la sua attenzione, visto che non ve n’era bisogno. Da quando era arrivato il moro non aveva mai smesso di guardarlo, ma più perché pronunciare il nome dell’altro gli dava sicurezza e lo faceva sentire bene.
“Sono venuto qui perché volevo dirti una cosa e non volevo farlo via telefono perché è una cosa seria”.
In quel momento si rese conto di non saper dire due parole in fila senza sentirsi a disagio. Si sentiva estremamente ridicolo ed era la prima volta in tutta la sua vita che gli succedeva.
Tuttavia Otabek continuava a fissarlo con la sua solita espressione calma. Da un lato era rassicurante la sua tranquillità e il fatto che non lo stesse guardando come un pazzo scatenato dopo la follia che aveva fatto, ma dall’altro non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa.
“Siamo diventati amici, no?” chiese più per un desiderio di avere almeno una certezza che per altro.
In fatto che il kazako annuì senza esitazione in parte lo confortò, anche se ormai sapeva bene che la sola amicizia non gli bastava più.
“Bene” posò il suo bicchiere sul tavolo della cucina e riprese a parlare, guardandolo negli occhi. “Mi sei subito piaciuto come persona, cosa già di per sé straordinaria, ma c'è di più. Io, in questi mesi, ho sentito la tua mancanza e prima, quando ho sentito la tua voce al citofono, e ho realizzato che tu eri lì, ero così felice che...”.
Yuri era andato nel pallone e non sapeva più cosa dire. Si vergognava di come appariva a Otabek e quindi tacque, attendendo cosa avrebbe fatto oppure detto l’altro.
Ciò che successe subito dopo sembrò avvenire al rallentatore. Il moro infatti si alzò dalla sedia e si avvicinò a Yuri, prima mettendogli la mano sotto il mento e tirandoglielo su lentamente, mentre gli scopriva la chioma bionda dal cappuccio. Gli scostò qualche ciocca dagli occhi e si piegò verso di lui.
I loro volti erano così vicini da sentire il respiro dell’altro contro le rispettive facce.
Otabek si limitò solamente a sussurrare “Mi sei mancato anche a me” per poi baciarlo dolcemente sulle labbra.
Fu un leggero sfioramento all'inizio che si tramutò successivamente in un contatto più intenso. Il russo si alzò in piedi, stringendo tra le dita le ciocche dei capelli corvini dell'altro, il quale invece gli cinse i fianchi con una delle sue braccia robuste.
Quando si staccarono, si guardarono negli occhi e Yuri sussurrò “Buon Natale, Otabek”.
“Buon Natale, Yuri” gli rispose l'altro e si sorrisero a vicenda, tornando subito dopo a baciarsi.
Per entrambi fu un Natale diverso dal solito, ma soprattutto speciale poiché lo passarono insieme all’altro.

Note finali (in cui spiego gli asterischi): avendola revisionata ho aggiunto dei dettagli anche perché abbiamo a che fare con due personaggi di una cultura diversa da quella italiana. 
Infatti il Natale ortodosso non cade il 25 dicembre come il nostro, ma il 7 gennaio e il capodanno il 15 gennaio, anziché il primo. Anche in Kazakistan, stando alle mie ricerche, esiste il Natale ortodosso, quindi Yuri penso che lo sappia e ne abbia approfittato. 
Otabek ho detto che abita ad Almaty, la città più popolosa del Kazakistan, per comodità e anche perché "viziata" dalle fanfiction di IrishMarti (che adoro!), anche perché non mi ricordo se nell'anime venisse detta questa cosa.
Per quanto la durata del viaggio in aereo, ipotizzando che Yuri abiti e quindi parta da San Pietroburgo (che invece mi sembra di ricordare venisse detto nell'anime che Yuri vivesse lì e anche, prima che partisse per il Giappone, Victor) per andare ad Almaty, stando a Google Maps, sono 8 ore. 
Penso di avervi detto tutto,
alla prossima!
Nikita

 
   
 
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