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Autore: Relie Diadamat    15/01/2018    4 recensioni
Un pub il venerdì notte. Un bicchiere di vodka di troppo, una Harry distrutta dal passato e una Eurus vestita di bianco che suona il violino al centro della sala.
Schubert o meno, il piano è sempre stato quello.
Lo senti addosso, il suo sguardo di ghiaccio. Lo senti penetrare nel sangue e scorrere nel corpo, denudandoti dei segreti più oscuri che per tutta la vita ti sei portata dietro.
Un delitto perfetto, in poche parole.

[AU. Eurus/Harry]
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Eurus Holmes, Harriet Watson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nda. Buon salve!
Vorrei fare giusto una piccola premessa prima di lasciarvi a questa shot: non scrivevo qualcosa da un po', avevo bisogno di "sbloccarmi" e non credo di esserci riuscita del tutto. Non so neanche io cosa ho scritto, perché è la prima volta che mi lascio giudare dalla musica. (E niente, si vede che ho l'anima nera, in questi giorni xD). 
Il prompt che mi è stato dato da Koa  - che ringrazio! - sul gruppo fb "Il Giardino di Efp", chiedeva di scrivere qualcosa legato a questo brano --> click 
Così... questo è il risultato. Non so davvero cosa ne sia uscito fuori, ma almeno ho scritto. 
Pareri sempre graditi.
Buona lettura, spero!
 
Meravigliosa Decadenza
 
 

Prima c’è lo scomodo sgabello sul quale te ne stai seduta, sorseggiando avidamente il tuo terzo bicchiere di vodka; c’è il chiacchiericcio della gente che si ritrova un venerdì notte in un pub, a bere – a caccia di avventure, alla ricerca di una valvola di sfogo; c’è la ciocca di capelli tinti che puntualmente ti ricade davanti alla bocca, e che ormai neanche sistemi più dietro l’orecchio. C’è una ragazza che non conosci, dalla pelle di alabastro e la chioma d’ebano, che elegantemente si posiziona al centro del locale impugnando archetto e violino.
Un punto bianco in tutta quella cacofonia di parole e colori. Pallida com’è, sembra quasi un cadavere a causa del vestito bianco che indossa. Ti guarda solo per un attimo, e tu ricambi quell’inconsueta attenzione.
Poi il violino comincia a sussurrare…
C’è la sabbia bianca, l’odore malinconico della salsedine e un vento fresco che ti accarezza la pelle. Ti sembra quasi di camminare su quintali immensi di farina, baciata dal sole, con un cappello di paglia a difenderti dai raggi.
Stai danzando, forse. Magari stai solo camminando lentamente lungo la riva, attendendo l’arrivo dell’acqua salata. Sorridi.
Sei felice – probabilmente – e questo ti fa capire che non si tratta di un ricordo. Non uno vero, almeno.
Non conosci quella spiaggia, non sai a quale nazione appartenga quel cielo limpido che ti guarda dall’alto, ma sei ugualmente serena di trovarti lì, allungare le braccia come le ali di un aeroplano e… stare bene.
Da quanto tempo non ti sentivi così?
 
Ma sei davvero sicura di essere felice?
 
La voce del violino si incrina, come un piccolo lamento sfuggito dalle labbra in un attimo di orrore, e allo stesso tempo qualcosa si piega all’interno, dentro di te, nel petto.
La spiaggia è ancora là, ma quando ti volti noti qualcosa che prima non c’era: un bel viso di caffelatte, due occhi castani e una cascata di lisci capelli corvini. Il sole si riflette sulla sua pelle scura, aggressivo e delicato, mettendo in risalto i segni dell’età. Dio, quanto hai amato quelle piccole rughe…
Puoi quasi percepirne il profumo, anche da quella distanza, e il tuo cuore trema per un istante.
 
Sei davvero convinta di trovarti nel posto giusto?
 
Adesso sta piangendo, quel violino, ma lo fa con tenerezza ed eleganza; tira su col naso senza singhiozzare, continua il suo spettacolo leccandosi le ferite e tramutandole in armonia.
Clara ti fissa immobile, lontana dal mare. Sta pensando a cosa dirti, decidendo se ti ama ancora, se ti disprezza o se ormai sei solo acqua passata.
 
E tu?
Vorresti stringerle la mano oppure il collo?
 
Senti gli occhi pizzicare e ti maledici da sola, in silenzio, per quell’ennesima debolezza che continui a concederti. Perché non ti basta più bere fino a dimenticare il tuo nome, provare roba forte nelle vene, in perenne bilico tra l’euforia e la decadenza… Non ti basta più e cominci a pensare che, in fondo, John abbia ragione. Che, alla fine, sia lui quello sano di mente tra voi due.
«Clara non se lo meritava, Harry», ti ha detto una volta, e allora hai arricciato il naso per difenderti. Le persone non amano essere corrette.
 
Sei sicura di essere la carnefice?
E se la preda fossi tu?
 
Sollevi di scatto gli occhi dal bicchiere ormai vuoto, puntandoli sulla ragazza senza nome che suona il violino al centro della sala. Stai piangendo e non sai neanche il perché. Stai piangendo e sai che lei sta osservando le tue lacrime, compiaciuta, sorridendo in modo strano. Un piccolo ghigno di vittoria che ti mette i brividi.
È come se ti avesse appena uccisa. Una cacciatrice professionista che ha scelto con cura le note giuste, le più taglienti e sofferte, fino a farti cadere nella sua rete.
Lo senti addosso, il suo sguardo di ghiaccio. Lo senti penetrare nel sangue e scorrere nel corpo, denudandoti dei segreti più oscuri che per tutta la vita ti sei portata dietro.
Un delitto perfetto, in poche parole.
 
**


Barcolli goffamente trascinandoti all’uscita, ridendo di te stessa mentre t’immagini di nuovo sedicenne, sola, sbagliata e confusa, accompagnata unicamente dallo sguardo preoccupato e contrariato di John.
Insopportabile anche quando cerca di aiutarti, commenti nella tua testa. Fastidioso, soprattutto quando è nel giusto.
Vuoi bene a tuo fratello, gliene vuoi davvero tanto – forse John  non immagina neanche quanto lui sia importante per te -, ma la verità è che non può capirti. Può provarci, può sforzarsi, ma non riesce a mettersi nei tuoi panni.
Arruolarsi nell’esercito va bene. Uccidere qualcuno va bene. Essere divorato dalla solitudine va bene. Ma imbottirsi di alcolici e fumare qualche canna, no. Non per John.
Eppure sono tante vie che portano ad un’unica strada: la fuga.
Ti sostieni al muro, la mano contro la parete gelida di un palazzo, e cerchi di controllarti. Ti senti stupida per ciò che stai cercando di fare, per i pensieri che ti assillano la mente; la notte è profonda e non ci sono stelle in cielo, così ti stringi nel cappotto e prosegui verso la figura slanciata davanti a te.
È da idioti inseguire una perfetta sconosciuta dopo aver bevuto – con altissime probabilità – una bottiglia intera di vodka? Forse, ma a chi importa?
Tutto ciò che sai fare è camminare verso di lei, infilare le mani gelide nelle tasche e aprire la bocca. «Davvero fantastica… la musica. Quella di prima. Fantastica, sì.» Ed è la cosa più stupida che potessi mai dire. Ti senti ridicola come un’adolescente innamorata; ti mordi la lingua per punirti, sperando che – per magia – lei non abbia udito le tue parole.
E invece si volta. Dannazione.
Ti guarda. Merda.
E arriccia le labbra in un sorriso privo di allegria. «Oh, grazie.» Ti fissa dritto negli occhi, come un predatore famelico che familiarizza con la sua nuova vittima. «Presumo che Schubert sarebbe fiero di me».
Ha uno strano modo di sorridere, ti ritrovi a pensare. Lo fa senza tenerezza, senza gioia, senza cattiveria. Sorride e basta, come da copione. Forse è questo a farti rabbrividire, ad accendere un campanello d’allarme nella tua testa. Forse è per questo che, senza una ragione, ti piace. Ti attrae. «Non avevo mai ascoltato nulla di suo», confessi senza vergogna, l’effetto della vodka a liberarti di ogni freno.
«Oh, un vero peccato!» esclama, sembrando rammaricata. C’è qualcosa di infantile nel modo in cui inarca le sopracciglia e spalanca gli occhi. «Se fossi un’alcolizzata non ascolterei altro mentre mi inietto droga nelle vene».
Improvvisamente ti sembra di essere nuda in mezzo alla neve, i piedi bloccati nel ghiaccio. Potresti indietreggiare, dovresti, ma non ne hai la forza. Lasci che lei si avvicini, fino a non vedere altro che la sua faccia cadaverica e i suoi occhi glaciali. Il suo collo, lungo e chiaro, emana un odore pungente. Quasi ti stordisce e hai paura di perdere l’equilibrio.
La vedi sollevare qualcosa verso di te, con una lentezza che ti angoscia, e avvicinare la mano alla tua bocca. La schiudi quel poco che basta per accogliere il filtro tra le labbra, attendendo la sua prossima mossa.
Estrae un accendino dal cappotto e si sporge verso di te, soffiando sulla pelle. «Bisogna rimediare, non credi?»
Per un attimo, ti chiedi se sia più vicino il suo fiato o l’arancio della fiamma. 
   
 
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