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Autore: chaorie    17/01/2018    1 recensioni
«Spiegare» disse, girandosi verso di lui. Un fuoco ardeva nei suoi occhi. Sentiva il sangue ribollirgli nelle vene. Fece un altro passo in avanti. Delle sottili crepe iniziarono formarsi in direzione di Percy. «Spiegare cosa, esattamente? So quello che ho visto, non c’è nulla da spiegare». Sputò quella frase come se fosse veleno. Nel guardarlo notò che teneva ben stretta l’elsa della sua spada e vide anche le crepe che lui stesso aveva formato. Non si rese conto di quando iroso fosse fino in quel momento. Doveva calmarsi o la situazione avrebbe preso una brutta piega per tutti e due.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson, Percy/Nico
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tristesse et illusion

Nico affondò la punta della sua spada nella terra morbida del campo. Infuse nell’arma tutta la rabbia che provava fino all’ultima goccia. Fece un respiro profondo e poi urlò.
«Sorgete!» ordinò.
La spada, reagendo alla sua richiesta, iniziò ad emanare una luce violacea e il terreno circostante a tremare. A pochi centimetri da dove si trovava Nico una mano scheletrica spuntò dalla terra, seguita immediatamente da altre. In un battito di ciglia Nico aveva dinanzi a sé almeno dieci scheletri aventi un’armatura greca e delle armi. Nico suppose fossero stati, in una vita passata, dei combattenti o dei guerrieri risorti lì solo grazie alla forza che aveva usato. Dubitava, infatti, che fossero sepolti proprio sotto il campo.
«Guerrieri» disse con il tono più autoritario che era in grado di usare. «Io sono Nico di Angelo, Re degli Spettri, figlio di Ade».
Nico non era fiero né di essere conosciuto come il Re degli Spettri né di essere il figlio di Ade ma aveva imparato a conviverci e, in momenti come quelli, quelle due caratteristiche gli tornavano molto utili.
«Vi ho evocati per un motivo: combattere». Le sue parole echeggiarono. Ci sarebbe voluto poco prima che qualcuno si accorgesse di quello che stava succedendo.
Riusciva a percepire la confusione dei guerrieri e anche la loro rabbia ma non aveva paura. Non di un mucchio di ossa in suo potere.
«Voi tutti combatterete contro di me finché su questo campo non ci rimarrà solo una persona. Combattete con tutta la forza che avete. Sfogate la vostra rabbia».
Nico impugnò l’elsa della spada e la estrasse dal terreno. Con quella in mano si sentiva invincibile.
«Chi è il primo?» Un guerriero con ancora indosso la tipica armatura degli ufficiali di alto ragno si fece avanti. Fra le mani aveva un kopis ed aveva tutta l’aria di saperlo usare nei migliori dei modi.  Nico si scrocchiò il collo e sorrise, pronto a divertirsi.
Il primo guerriero prese la rincorsa e puntò il kopis sul petto di Nico che, prontamente, schivò e colpì con il gomito una delle costole dello scheletro, fratturandogliela. Il guerriero non accusò il colpo. Ferite di quel genere non gli avrebbero fatto mai nulla: era morto. Nico pensò alla svelta e prima che l’avversario potesse colpire di nuovo la lama della sua spada spezzò le ossa delle gambe, facendolo cadere.
Il secondo guerriero si dimostrò più tenace e diede del filo da torcere a Nico. Era forte, glielo riconosceva, ma lui lo era di più. Nel tentativo di disarmarlo Nico venne ferito alla guancia dalla spada del guerriero che gli procurò un taglio che iniziò a bruciare fin da subito.
«Questo non è niente in confronto a quello che ho dovuto sopportare» gli disse. Sbatté il piede sulla terra ed una crepa si formò, allungandosi fino ai piedi del guerriero che perse l’equilibrio e cadde. Nico pungolò la punta della spada contro il mento di quell’uomo, infilzandolo e rispedendolo da dove era venuto.

Il combattimento non durò molto, nemmeno un’ora. Nico era la manifestazione di furia e potenza repressa. Aveva sconfitto i restanti guerrieri, uno dopo l’altro, instancabile, dimostrando loro di cosa fosse davvero capace. La rabbia che provava non svanì però. Scemò ma solo per dare spazio ad un senso di tristezza che sembrava non volerlo abbandonare da quando Bianca, sua sorella, era morta. Poi lo udì: il suo nome pronunciato dall’ultima persona che aveva voglia di vedere.
Si voltò in direzione del suono e vide Percy Jackson con Anaklusmos in mano venirgli incontro. Era da solo. La sua faccia era impassibile. Se vedendo quella scena avesse provato della rabbia, della sorpresa, dello sgomento Nico non riuscì a capirlo. Guardò semplicemente il mucchio di ossa sparpagliate scompostamente intorno al campo. Con la spada smosse il cranio di uno dei guerrieri, forse per controllare che fosse inerte.
«Li hai evocati tu?»
«Non sono affari tuoi» rispose graffiante Nico. Rinfoderò la sua spada e con uno schiocco delle dita le ossa di quegli scheletri vennero risucchiati dalla terra, pronti a tornare da dove erano venuti. Il senso di terrore misto a stupore che suscitava alle persone era del tutto sconosciuto a Percy. Lo aveva sempre considerato un suo eguale, un ragazzo normale con problemi derivati dalla sua natura semidivina. Non c’era stata una volta in cui era stato intimorito da lui o che lo avesse guardato dall’alto in basso.
Senza emettere un suono, Nico si sistemò la giacca e la spolverò da un po’ di terra che vi era finita sopra, per poi incamminarsi in un luogo dove poteva stare da solo. Contava di liberarsi di Percy e poi viaggiare nell’ombra. Percy, però, era scaltro ed intuitivo, lo afferrò per un polso prima che potesse allontanarsi troppo da lui. Quel contatto fisico lo fece rabbrividire e l’altro ragazzo doveva averlo notato perché allentò la presa e, riluttante, la lasciò andare.
Nico si sentiva esasperato, a tratti disperato. Non riusciva a gestire quell’accumulo di rabbia ardente e profonda tristezza. Si sentiva sopraffatto da tutte quell’emozioni al punto tale da non riuscire a sopportare il minimo contatto fisico con lui.
«Nico… lasciami spiegare». Il tono di voce era basso, tranquillo. Per reggere quel discorso,  Nico incanalò tutte le emozioni che in quel momento provava nel punto più oscuro e profondo che c’era dentro di lui e lasciò spazio solo alla rabbia. Gli sembrava un buon metodo per fronteggiare quella situazione.
«Spiegare» disse, girandosi verso di lui. Un fuoco ardeva nei suoi occhi. Sentiva il sangue  ribollirgli nelle vene. Fece un altro passo in avanti. Delle sottili crepe iniziarono formarsi in direzione di Percy. «Spiegare cosa, esattamente? So quello che ho visto, non c’è nulla da spiegare». Sputò quella frase come se fosse veleno. Nel guardarlo notò che teneva ben stretta l’elsa della sua spada e vide anche le crepe che lui stesso aveva formato. Non si rese conto di quando iroso fosse fino in quel momento. Doveva calmarsi o la situazione avrebbe preso una brutta piega per tutti e due.
Non avendo più nulla da dire ritornò sui suoi passi. Non voleva più saperne di Percy Jackson. Questo è quello che gli diceva la testa ma il suo cuore era riluttante a quell’addio che gli stava imponendo. Nonostante i desideri del suo cuore non poteva dimenticare come si era sentito: tradito. Dopo quella sensazione era sopraggiunto un senso di soffocamento e la vista gli si era offuscata per colpa del filo di lacrime radunatosi sotto i suoi occhi. Non sapeva come ci sentiva quando la persona che amavi ti spezzava il cuore ma pensò che doveva essere simile a quello che provava lui in quel momento.
«Nico!» urlò Percy. «È stato un malinteso, è stata lei a baciarmi!»
Nico si fermò. In un gesto istintivo sguainò la spada e la puntò contro il naso di Percy con una velocità tale da disarmare il ragazzo, il quale non aveva avuto tempo di prendere posizione e contraccambiare la mossa.
«Stronzate» disse. «Eravate lì, davanti alla tua cabina. Parlavate amichevolmente, amici come siete. Stavo venendo a salutarti, avevo voglia di vederti, di stare insieme prima che partissi per l’impresa» riuscì a dire in tono sorprendentemente calmo per una persona che stava puntando un’arma contro un’altra.
«Non dirmi cazzate, Percy. Annabeth ti ha baciato e tu l’hai assecondata, non ti sei allontanato». La lama rasentò il naso del ragazzo, facendogli un piccolo taglio. Percy non elisa un lamento. Stava ascoltando quello che Nico aveva da dire.
«Perché non l’hai respinta? Perché hai permesso che ti baciasse? Avevi detto che… che ti piacevo». All’improvviso la sua voce si incrinò. Non poteva pretendere che non provasse alcun dolore. Era più grande di lui, come poteva semplicemente accantonarlo? Si sentiva il mondo crollare addosso e per una volta si sentiva come se non potesse sostenere quel peso.
«Nico…» con un gesto lento, Percy spostò la lama dal suo viso. Quando Nico glielo permise tirò un sospiro di sollievo, massaggiandosi la ferita sul naso che gli stava sanguinando. Non era un taglio profondo, Nico lo sapeva, ma ora che lo guardava sentì del risentimento per sé stesso per aver lasciato che la sua rabbia prendesse il sopravvento e avesse fatto del male alla persona che amava.
A debita distanza, per non agitarlo ulteriormente, Percy riprese a parlare.
«Ero sorpreso, Nico. È stata una cosa del tutto inaspettata, ero sbigottito a tal punto da non riuscire a muovere un muscolo».
«Appena mi sono ripreso ti ho visto e in quel momento sono andato ancora di più nel panico. Volevo venire da te ma allo stesso tempo sapevo di dover dare delle spiegazioni ad Annabeth, sul perché non potessi ricambiare i suoi sentimenti».
I loro sguardi si incrociarono di nuovo e Nico rivisse tutti i momenti passati con Percy.
Per un periodo, un periodo effimero, era stato felice; o almeno aveva avuto l’impressione di esserlo. Era stato quando, dopo la battaglia di Manhattan, Percy era andato da lui e lo aveva baciato. Così, dal nulla. Lì la sua vita aveva preso una svolta positiva. Com’era venuta quella felicità così se n’era andato, lasciandolo cadere di nuovo nella spirale di dolore e angoscia in cui era precitato tanti anni fa e da cui non era mai più uscito.
Lentamente, come se stesse sondando il terreno su cui calpestava, Percy allungo le dita al lobo dell’orecchio di Nico. Era un suo punto debole, lo rilassava. Percy gli stava silenziosamente dicendo di tranquillizzarsi. Nico, che forse non era così imperscrutabile agli occhi degli altri come pensava, fece un lungo sospiro e chiuse gli occhi, abbandonandosi a quella lieve carezza.
«I miei sentimenti sono reali» la voce di Percy era ricolma di dolcezza e sicurezza. «E sono per te. Nessun altro se non te».
Le iridi glauche lo stavano guardando come se non esistesse nessun altro al mondo. Erano di una magnificenza tale da toglierti il fiato. Era difficile distogliere lo sguardo una volta che vi eri incappato.
Le guardò con estrema attenzione, studiandole — voleva assicurarsi che le sue parole non fossero bugie anche se, quando le aveva pronunciate, non gli diedero quell’impressione. Una voce melliflua gli sussurrò all’orecchio che il ragazzo stava dicendo la verità. Nico non aveva mai udito la voce di Afrodite ma pensò che fosse stata lei a sussurrargli quelle parole. Forse anche per la dea dell’amore era straziante la visione di lui sommerso da dubbio, incertezza e prostrazione. Se era stato lei a stessa a dirglielo, che di amore se ne intendeva, forse doveva fidarsi. Decise di dare ascolto alla dea e al suo cuore.
«Ti…ti credo».
Percy, riacquistata un po’ di confidenza, ritrasformò la spada in una penna e avvolse Nico in un abbraccio. Nico, abituato a quelle attenzioni, gettò la sua arma a terra e si nascose nell’incavo del collo del ragazzo, facendosi piccolo. Si aggrappò alla maglietta di Percy e lo strinse con tutta la forza che aveva in corpo. Non voleva che niente e nessuno glielo portasse via. Sarebbe stato un destino più brutto di quello riservatogli dalle Parche.
Stettero così a lungo, silenziosi, l’uno fra le braccia dell’altro. Non avevano più bisogno di parole, solo l’essere lì insieme gli bastava.

  
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