Hence Nothing Remains,
Except for our Regrets
“Give me all your love now, 'cause for all we know we might be dead by tomorrow”
We Might Be Dead by Tomorrow - Soko
L'occhio
si abitua abbastanza in fretta all'oscurità: dopo i primi
attimi di
confusione e smarrimento comincia a delineare le sagome di oggetti,
persone ed animali. Poco a poco i colori si fanno strada nel buio e,
seppur alle volte falsati o poco riconoscibili, vengono colti.
La
pupilla si dilata fino a raggiungere la propria massima espansione,
necessitando sempre meno del sole, del quale a lungo termine non
potrebbe fare a meno. Dopo almeno un minuto l'organo visivo si trova
in grado di orientarsi nei prossimi dintorni; molto prossimi
tuttavia, ridotti a qualche metro oltre i propri piedi.
Il
cervello elabora le immagini, le riconosce in millesimi di secondi e
facilita di parecchio la comprensione dell'ambiente.
Tecna
sapeva perfettamente che nell'oscurità andare in panico
fosse
completamente inutile; un respiro particolarmente affannoso le
avrebbe fatto inalare il velo di polvere che ricopriva la zona
– lo
vedeva fluttuare attraverso gli spiragli di luce provenienti
dall'esterno.
Così
cercò di restare calma, sollevando lentamente il busto e
liberandosi
da vetri e calcinacci che doveva aver urtato durante il suo brusco
risveglio. Di certo sanguinava, ma le ferite non potevano che essere
trascurabili.
Al
momento le sue priorità erano altre.
Seppur
avesse eseguito l'intera procedura in maniera perfetta, senza
tralasciare alcun dettaglio, non aveva ottenuto il risultato sperato;
in verità non ci era andata neppure vicina. Non doveva
decisamente
andare in tale modo, neanche nella peggiore dell'eventualità.
Che
avesse creato uno squarcio spazio-temporale nel momento della sua
partenza?
In
ogni caso, se ciò fosse stata vera, avrebbe provato sulla
propria
pelle la sensazione di essere attratta da una gravità
maggiore a
quella a cui era abituata nell'attimo del trasferimento del proprio
corpo: inoltre aveva iniziato il viaggio con le sue fidate compagne,
nella scarsa credibilità dell'ipotesi avrebbero dovuto
risvegliarsi
con lei.
Invece
a farle compagnia era solamente il silenzio.
Com'era
possibile? Che avesse fatto un errore di calcolo?
Le
apparenze dovevano averla ingannata più del previsto; eppure
aveva
prestato particolarmente attenzione alla sicurezza del procedimento,
per evitare appunto spiacevoli sorprese. Per tale motivo il luogo in
cui si trovava, così come le emozioni che le trasmetteva,
non aveva
un minimo nesso logico con ciò che aveva tenuto da conto.
Nonostante
non fosse mai stata in un edificio simile sentiva crescere dentro di
sé uno strano ed ingiustificato legame affettivo; nelle
pause fra i
brevi e faticosi respiri i dintorni avevano una parvenza di
famigliarità, una fine aroma che avrebbe potuto etichettare
come
'casa'.
Tuttavia
non apparteneva a tale distopico mondo, né l'aveva mai
visitato
prima di allora. E non riusciva ad ignorare la fastidiosa nausea che
l'aveva posseduta tutto d'un tratto, una reazione corporea portata
dalla condizione mentale di deja-vu in cui era
caduta.
Per
una persona come la fata della tecnologia era terribile non trovare
una risposta ragionevole a ciò che le stava accadendo: i
dubbi si
accumulavano nel suo selettivo organo cerebrale, privandola anche di
un singolo momento di pace.
Perché?
Il
suo piano avrebbe dovuto migliorare il presente, non deformarlo fino
a tal punto; intervenire nel corso del tempo aveva i propri rischi
per chi non ne fosse pienamente consapevole, ma lei lo era. E lo era
stata anche nel modificare la causa di due anni e mezzo di guai, con
la certezza che un fallimento di gravità simile non sarebbe
stato
che lo 0,0001% dei casi.
Forse
non aveva considerato tutte le possibilità, oppure non
avrebbe
potuto farlo; c'era qualcosa che mancava, qualcosa che non sarebbe
mai arrivata a conoscere senza un'approfondita ricerca nel passato
dei soggetti che aveva deciso di considerare.
In
ogni caso risultava troppo tardi per piangere sul latte versato.
Avrebbe
ponderato le proprie idee sul da farsi e le avrebbe esposte alle
altre: sempre che fosse riuscita a trovarle in tempo.
Una
volta messi a fuoco i dintorni Aisha poté constatare che non
fosse
cambiato molto da ciò che ricordava. Alcuni fatti sarebbero
per
forza dovuti cambiare, ma personalmente si sarebbe aspettata qualcosa
di molto peggio.
Il
villaggio delle Pixie si era mostrato davanti ai suoi occhi
esattamente come lo ricordava: almeno, nonostante qualche modifica
per apportare miglioramenti, le sensazioni di sicurezza e calore
rimanevano le stesse. Il silenzio notturno era leggero quanto una
piuma e scivolava sulla scura pelle della fata con la delicatezza
della seta; le piccole fate erano tutte a riposo e non le andava di
disturbarle facendo loro delle all'apparenza insensate domande.
Se
voleva sapere le bastava uscire dal villaggio e capire da sola cosa
fosse successo modificando un solo, ma fondamentale evento.
Così,
senza rifletterci troppo, si alzò facendo meno rumore
possibile,
raccogliendo nell'intanto lo zaino con il minimo indispensabile che
si era portata per il viaggio – una borraccia piena, qualche
barretta energetica e della carne secca, il tutto ben contestato
dalle altre cinque fate nel momento in cui aveva deciso di portare
tali cose – per poi avviarsi all'uscita. Non era solitamente
problematico per lei trovarla, in quanto negli ultimi tempi aveva
passato più giorni lì che al palazzo di Andros;
tuttavia, seguendo
la strada che aveva sempre percorso, si trovò di fronte ad
una
spessa barriera magica.
Esso
fu il primo dettaglio a farle accrescere dei consistenti dubbi
sull'invariabilità di un presente dove lei stessa non avesse
mai
frequentato Alfea ed incontrato le proprie nemiche: sembrava troppo
strano che le Pixie avessero alzato le difese in tale maniera in
assenza di un imminente pericolo, come potevano essere le streghe.
Che
le avessero anticipate?
Sembrava
improbabile, non avrebbero mai potuto venir a conoscenza di una
strategia estrema per eliminare il problema alla radice come la loro.
Se le altre sei avessero seguito il suo consiglio – a parer
suo
toglierle completamente di mezzo era la scelta migliore –
forse
ogni cosa sarebbe andata ancora meglio. Era comunque presto per
giudicare il mondo, del quale vedeva solo qualche misero metro
quadrato: vi erano molti motivi per cui le piccole fate ricorrevano a
chiudere la barriera, come ad esempio l'abbassamento della
temperatura nelle rigide notti invernali, che impediva loro di
preservare il fiore atto a far prosperare l'intero popolo; tuttavia
non avevano mai usato tanto potere per proteggersi.
Qualsiasi
cosa ci fosse al di fuori del villaggio sarebbe stata migliore se le
streghe fossero morte.
E
se fosse stata peggiore?
Aisha
scosse leggermente la testa: da quando si perdeva in pensieri inutili
prima di agire? Per scoprire di cosa o di chi le
Pixie
avessero paura era sufficiente varcare ciò che la separava
dal mondo
esterno. E stava per farlo, se non si fosse accorta che qualcuno
l'aveva raggiunta alle sue spalle.
“Aisha,
cosa ci fai ancora sveglia?” nel solo udirne la voce
riuscì
immediatamente a riconoscere Lockette, e di certo non avrebbe sperato
in fortuna migliore: sarebbe stata in grado di aprirle una fenditura
nella barriera senza andare a distruggerla completamente, lasciandola
uscire a perlustrare l'esterno.
“Pensavo
di andare a controllare la situazione là fuori.”
“Aisha,
no! – l'inaspettato cambio di atteggiamento della piccola
fata la
mise in allerta – Lo sai che è
pericoloso… Noi non usciamo dal
nostro villaggio da anni ormai, là fuori non è
rimasto nulla per
noi.”
Tale
affermazione le aveva fatto mancare il respiro per qualche attimo:
cosa significava?
Per
la prima volta nella sua breve vita sentiva di non avere il coraggio
per chiedere spiegazioni, né per rimanere in una situazione
di
stallo senza sapere. Eppure le sue gambe restavano immobili, rigide,
i piedi inchiodati al suolo.
I
pensieri riguardanti la barriera che aveva formulato in precedenza
tornarono a prendere prepotentemente possesso della sua mente,
portandola ad immaginare come poteva essere un mondo talmente
inospitale da spingere un intero popolo a chiudersi nel proprio
villaggio per un così lungo periodo di tempo.
Non
era molto brava a figurare i luoghi, ma anche quel poco che riusciva
a vedere la aiutava a spronarsi dalla propria posizione eretta.
“Non
voglio chiederti spiegazioni – cominciò,
acquistando sicurezza ad
ogni parola pronunciata – ma devo vederlo con i miei occhi.
Non
tornerò presto, ma so difendermi, quindi non dovete
preoccuparvi
troppo per me, okay?” e prese un passo in avanti, alzando una
mano
verso la barriera.
“Devo
uscire ad ogni costo, Lockette. Aprirmi un varco ti costerebbe meno
energia che a ricostruire tutta la barriera.”
La
Pixie, non ancora del tutto convinta, prese la chiave che portava
sempre con sé: non aveva altra scelta se non farla passare,
non
avrebbe rischiato l'incolumità del proprio popolo
perché non voleva
accontentarla. Uno scuro squarcio si aprì nella notte che
circondava
il piccolo villaggio, mostrando qualche accenno di secco terreno,
così in contrasto con la rigogliosa erba sulla quale
poggiava Aisha.
Senza
una parola si mosse ad attraversarlo, trattenendo il respiro come
prima d'immergersi sott'acqua. Non se ne pentì, ma
ciò che vide fu
molto peggio dell'alternativa più terribile a cui aveva
pensato.
L'opprimente
oscurità continuava a crescere e crescere, soffocando la
luce solare
in una coltre di nere nubi; alzare lo sguardo era a lei
pressoché
impossibile.
Concentrati
sui tuoi nemici continuava
a dirsi concentrati
su ciò che devi fare: poco
importava se il sole era scomparso, aveva il potere di fermare tale
disastro e non ne era minimamente spaventata.
Oppure
lo era?
Non
faceva altro che guardare la distruzione ai suoi piedi, la scarsa
illuminazione rifletteva ombre sanguigne sulle innumerevoli crepe
dell'asfalto. Soffocare il senso di terrore che aveva preso possesso
del suo cervello era talmente difficile da portarla quasi al
rinunciarvici; ma ancora una volta la sua determinazione la stava
salvando dal baratro.
Stella
non avrebbe potuto osservare in silenzio un orripilante spettacolo
come quello che aveva davanti senza alzare un dito per riportare
tutto alla normalità: il problema stava nel cosa
doveva
salvare?
Cos'era
esattamente l'ambiente in cui si trovava?
“Stella,
smettila di perdere tempo a guardarti le scarpe, abbiamo bisogno di
te qui.” a parlare fu Musa, che in pochi secondi l'aveva
raggiunta;
a differenza della bionda lei aveva tenuto ben alto lo sguardo fin da
subito.
“Dovrò
ricomprarle, guarda come sono ridotte.” rispose, nel
tentativo di
dare all'altra una parvenza di normalità. Il tono spento ed
il
leggero tremore della voce non giocarono esattamente a suo vantaggio,
decise quindi di accantonare la farsa per qualche istante.
“Ma
cos'è successo? Perché siamo qui e non a
Magix?”
L'asiatica
la guardò per un attimo prendendo qualche profondo ed
importante
respiro.
“Stella,
questo posto è Magix.” disse tutto d'un fiato,
indicandole alcuni
posti dove – in passato o nel vero presente? –
avevano trascorso
felici pomeriggi parlando del più e del meno. A lato della
strada,
dalle finestre sprangate e la grande vetrata in frantumi, giaceva
silente il bar che le streghe di Torrenuvola erano solite frequentare
per i loro aperitivi.
Qualcosa
doveva essere passato di lì non poco tempo prima, qualcosa
capace di
sradicare completamente i ricordi dalla memoria di chi passava da
tale luogo, lasciando solo un infelice senso di vuoto.
“Ma
non è possibile, noi abbiamo agito nel giusto! Di sicuro
è colpa di
quelle tre psicopatiche, ci avranno beccato e avranno deciso di farci
questo scherzo di pessimo gusto.”
“Non
lo so, anche io credo che noi non abbiamo fatto niente di sbagliato.
La Dimensione Magica aveva bisogno di riscattarsi ed essere un posto
migliore; però mi sembra quasi impossibile che se ne siano
accorte,
in fondo le uniche che si ricordano il presente per com'era prima
della missione siamo noi.”
La
fata del Sole e della Luna a tal punto allargò le braccia,
rivolgendo la propria attenzione alla strada che conosceva
così
bene, ma che non era in grado di riconoscere.
“Allora
com'è accaduto tutto questo? Una città bella come
Magix non diventa
inospitale da un momento all'altro!”
“Mi
ascolti quando parlo? – disse leggermente alterata la mora,
per poi
darsi un contegno. Non era decisamente né il luogo
né l'attimo per
mettersi a litigare con l'amica – Non ne ho idea di come sia
potuto
succedere. Ma credo che la cosa migliore, a questo punto, sia trovare
direttamente le Trix. Tu hai qualche idea?”
“Non
ho un'idea precisa, ma quando le abbiamo trovate erano qui in
città.
Di sicuro non sono andate tanto lontane.” e detto
ciò la bionda si
chinò a raccogliere la borsa, cadutale durante il non del
tutto
sicuro atterraggio.
“Stella,
non ti sei accorta di star sanguinando?” la
avvertì Musa, facendo
uno scatto per raggiungere l'amica e rivolgendo lo sguardo alle sue
ginocchia; Stella seguì il suo sguardo e storse leggermente
le
labbra, per poi estrarre il proprio cellulare dalla tasca posteriore
dei pantaloncini.
“Non
lo sai che i lividi e le ferite sono aesthetic al
giorno
d'oggi?”
“Sei
incredibile.” le rispose aspramente, tuttavia non
poté nascondere
il mezzo sorriso provocato dalla consapevolezza che la sua compagna
non aveva perso la testa nel vedere il suo luogo preferito ridotto ad
una discarica.
Forse
poteva sbagliarsi, di certo non completamente.
Una
terra così arida raramente l'aveva vista in vita sua;
nemmeno nelle
simulazioni del professor Palladium si era imbattuta in una simile
desolazione e, nonostante di base fosse una persona calma, si sentiva
ad un passo dal perdere la testa.
L'assenza
di natura nell'ambiente ovviamente non la tranquillizzava: si era
svegliata all'improvviso, ansimando per riempire di ossigeno i propri
brucianti polmoni e finendo per respirare solo i tossici fumi della
metropoli.
Il
carbone nel quale giaceva le aveva annerito completamente i vestiti e
l'ambrata pelle, rendendola quasi invisibile nei cumuli bui che
costituivano quasi interamente il paesaggio; nella distanza
intravedeva degli alti palazzi, illuminati da un'insalubre luce
rossastra, le quali cime rimanevano celate da spesse nubi oscure atte
a muoversi fiaccamente verso di lei. Una piccola strada più
chiara,
appena visibile data la scarsa luminosità del cielo
– era notte?
Non erano partite durante il giorno? – si snodava per una
decina di
chilometri fra catasti abbandonati e fuliggine, di tanto in tanto
qualche pietra spuntava ai lati di essa in un patetico tentativo di
delinearla.
Se
avesse passato troppo tempo in un luogo simile di certo non sarebbe
sopravvissuta: l'aria prima di tutto era immensamente più
pesante di
quella che era solita respirare e tutte le polveri sottili che stava
inalando non giovavano alla sua salute. Tuttavia era esausta,
riusciva a malapena a sollevare il busto.
Nel
viaggio per tale mondo sconosciuto era stata colta di sorpresa ed
aveva finito per cadere dal cielo, atterrando sulla schiena: in
parte, quindi, avrebbe dovuto ringraziare la presenza di cumuli di
polvere nera ad attutirle la caduta. Non riuscendo a guardare nulla
all'infuori dell'assenza di colore si lasciò cullare dal
movimento
delle nuvole, cercando di non andare completamente nel panico.
Che
Tecna avesse sbagliato? No, impossibile.
L'aveva
vista provare innumerevoli volte che la percentuale di fallimento
della missione fosse ad un livello talmente basso da esser
considerato trascurabile: disturbare il corso del tempo non era cosa
da farsi, ma quale alternativa avevano?
Dopotutto
a mali estremi, estremi rimedi, così aveva sentito dire.
Non
c'era altro metodo per salvare la Dimensione Magica e, seppur avesse
voluto optare per una variabile meno pericolosa del piano, aveva
ammesso di non aver avuto altra scelta che partecipare attivamente.
Forse
era ora di calmare il proprio tremore e cercare di riunirsi con le
altre, non avrebbe concluso nulla lasciandosi morire in un tossico e
pesante mare; sola, in un ambiente ostile, si alzò
lentamente,
scostandosi gli sporchi capelli dal viso. Levarsi più in
alto era
stato un sollievo per i suoi polmoni, ma Flora non poté fare
a meno
di credere di aver commesso un grave errore. Ciò che vide
non le
piacque affatto, ma prima che pensasse anche solo di tornare ad
osservare il cielo nella sua beata ignoranza, qualcosa premette
contro la corona della sua testa.
Una
mano dalla carnagione leggermente più scura della sua
reggeva
qualcosa di pericoloso, forse un'arma magica, e senza alcun tremore
restava rigida, pronta a fare fuoco.
“E'
lei il bersaglio?” disse con tono cadenzato la figura,
caricando
l'oggetto con il pollice; con la coda dell'occhio la fata scorse un
cellulare nella sua altra mano ed una cascata di lunghi capelli neri
a sfiorarle la vita.
Una
voce profonda dall'altro capo del telefono parlò per almeno
due
minuti, nei quali entrambe le donne rimasero immobili, quasi
trattenendo il respiro. Avrebbe dovuto trasformarsi e difendersi, ma
il pensiero di non essere abbastanza veloce per salvarsi da un
proiettile alla testa la paralizzava a tal punto da impedirle di
usare i propri poteri contro il suo aggressore.
Sarebbe
morta per non esser stata in grado di difendersi?
“Smettila
di tremare, tesoro – la donna richiamò a
sé l'attenzione dopo
aver chiuso la chiamata, Flora la sentì riporre la propria
arma con
l'accenno di un'amara risata – Sembravi alquanto patetica.
Oggi è
il tuo giorno fortunato, vedi di cominciare a farti passare
l'insensata paura della morte. Altrimenti crepi davvero.”
La
fata della natura restò immobile finché non
cominciò ad udire i
passi allontanarsi dal suo corpo; i suoi muscoli si rilassarono e
solo allora la sua mente si riattivò.
“Aspetta!”
non urlò, ma parve bastare ad arrestare la camminata della
mora.
“So
che sembra una domanda strana da fare, ma dove siamo?”
“Dieci
chilometri da Magix – disse senza voltarsi, ma nonostante
ciò la
fata poté figurarsi una malsana espressione dipingerle il
volto –
E questa meraviglia, cara mia, è la verdeggiante foresta di
Selvafosca.”
Avvertenze e condizioni per l'uso:
Premetto
che questa è l'introduzione di qualcosa che non è
ancora stato
precedentemente scritto (di solito faccio il contrario per far fronte
a qualsiasi situazione in cui, ad esempio, non riesco a scrivere) ma
questa volta voglio provare ad essere veramente costante.
Proverò
ad aggiornare ogni due settimane. (Sperando di avere le idee
abbastanza chiare, mio dio)
Nel
pubblicarla metto l'avvertimento AU, perché tecnicamente
sarebbe un
universo alternativo, nonostante sia sempre la Dimensione Magica
(accetto consigli, la situazione è particolarmente
complicata); in
pratica non è l'universo magico in cui è
ambientata la serie, ma un
universo profondamente modificato per la mancanza di un avvenimento
che all'apparenza avrebbe portato solo cambiamenti positivi.
Spero
si capisca qual è nonostante non l'abbia detto
esplicitamente.
Ps:
Non ho dimenticato Bloommete, l'ho lasciata apposta per il prossimo
capitolo. Almeno nel primo non la dovete sopportare ihihihi
Ringrazio
chi mi ha sostenuta fino a qui nelle altre storie, ed anche voi
lettori che siete arrivati fin qui, in fondo a questo delirio.
Mary