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Autore: Jules Blackwell    07/02/2018    0 recensioni
Akir Bouvier viveva la sua classica, monotona vita, fino a quando gli occhi di qualcuno si posarono su di lui.
Il mistero si infittisce, le risposte diventano sempre più vaghe, la persona davanti a lui sembrava sempre più qualcuno di diverso, di anormale.
Cosa si cela veramente dietro ad Akir?
Cosa sta nascondendo Ryochi?
Chi sono veramente?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quella notte fu lunga e burrascosa per il francese. Non riusciva a chiudere occhio, ma non volendo ricadere in un vortice di dubbi e domande su cosa fosse ciò che gli aveva tolto il sonno decise di dare semplicemente la colpa all'adrenalina accumulata alla gara di quel giorno.

Non aveva avuto nemmeno modo di ribattere alla proposta di Ryochi, o anche solamente chiedergli a che ora sarebbe passato. L'aveva lasciato senza uno straccio di informazioni. Questo genere di persone erano quelle che gli davano più fastidio in assoluto. Chi si prendeva la comodità di comandare, di decidere, senza lasciar modo all'altro di dire la propria.

"E' davvero una persona cosi orribile?"

– Ehi, Jean –

– Akir, giorno! Come stai? – esclamò il ragazzo, di sottofondo si poteva sentire il rumore di un paio di porte che venivano aperte e successivamente chiuse.

– Che stai facendo? – spostò un po' di più la tenda, lasciando che la luce del giorno entrasse meglio nella bianca camera dell'hotel.

– Sto cominciando a tirare fuori le cose per prepararmi il pranzo. Ora che ci penso, che ci fai già sveglio? Non dovrebbero essere le 5 a Tokyo? –

Non ricevette risposta.

– Sei rimasto sveglio tutta la notte? Perché Akir.. – il suo tono di voce si fece deluso.

– Non riuscivo a chiudere occhio, semplicemente. – rispose seccamente lui.

– Non mentirmi, lo sai che ti conosco. Cosa è successo? – chiese.

Esitò prima di rispondere. Avrebbe dovuto dirgli di Ryochi? Della battuta fatta dallo stesso? Del modo in cui l'aveva guardato?

– Non è niente. – si limitò a dire, ma qualcosa nella sua voce doveva averlo tradito, perché dall'altra parte del telefono udì uno sbuffo.

– Ci sarà mai una volta che mi racconterai la verità, Akir? –


 "Al festival di primavera pensavi che scherzassi davanti a quell'Iris giallo?"

Nuovamente, da Akir non ci fu risposta.

– E' successo qualcosa alla gara? Ti hanno dato fastidio? Avanti, devo sempre tirare a indovinare? .. Mi tradisci? – All'ultima domanda si mise a ridacchiare.

"E' sempre tutto un fottuto gioco per te."

– N.. No. Non.. –

– Sto scherzando. – disse fermamente, ma con una nota di dolcezza nella voce. – Solo mi dispiace che tu non mi dica ciò che ti passa per la testa. – aggiunse.

– Scusa, Jean – mormorò, alzando lo sguardo verso l'alto,  gesto istintivo dopo aver sentito prurito al viso e gli occhi inumidirsi.

– Quando tornerai a casa saremo una settimana insieme, se te la senti mi racconterai li cosa davvero ti prende, va bene? – 

– Si – 

Si sentiva ferito in quel momento. Una strana amarezza gli invase il corpo, un nodo alla gola gli bloccava il respiro, apparve nel suo stomaco la stessa sensazione provata con il giapponese il giorno prima, ma non era nulla di positivo. Strinse il cuscino su cui stava poggiato.

– Ci vediamo, scrivimi quando sei tornato a casa. Ciao Akir – 

Riattaccò, senza rispondergli. Lanciò il telefono, che dopo un volo di circa un metro, finì poggiato al bordo del materasso, e singhiozzò.

La  sensazione del dolore gli era ormai familiare, quasi più non ci faceva caso, ma in quel momento non riuscì a fermare le lacrime.

Non capiva nemmeno più il motivo del perché aveva momenti del genere. Piangeva per cosa? Per chi? Per quale motivo continuava a sentirsi cosi? 

Pian piano nella sua mente si fecero vivi diversi ricordi. Cominciò a domandarsi. Cominciò a darsi le colpe. 

– Jean.. – mormorò, lasciandosi poi sfuggire una risata ironica. Non era cambiato ancora nulla.







Erano le 9.30, Ryochi si trovava sotto l'hotel dove alloggiava Akir, lo aspettava un po' impaziente. Aveva chiesto alla receptionist se poteva mandare qualcuno a chiamarlo, e mentre lo aspettava, osservava il traffico di Tokyo, silenzioso. 

Ammise che non avergli dato nessuna informazione, anzi, in generale l'averlo obbligato ieri a seguirlo al bar, e successivamente ad averlo invitato ad uscire per il suo ultimo giorno di residenza nella città, era stato un gesto un po' brusco, nei confronti di un ragazzo chiuso come Akir.

"Ma quanto ci mette.."



Erano ormai passati quindici minuti da quando l'aveva fatto chiamare, ma la sua figura non si azzardava ad apparire. Era già pronto ad andare fino alla porta della sua stanza e chiamarlo di persona, ma il pensiero di aver trattato una persona fragile come lui troppo bruscamente, si fece nuovamente spazio nella sua mente.

Passarono altri cinque, poi dieci minuti. Non sapeva se andare davvero a bussare di persona alla sua porta o semplicemente accettare che Akir Bouvier aveva deciso di restare chiuso nel proprio guscio, e andarsene. 

Ma l'innocenza di quel ragazzo, il suo essere scontroso, chiuso, gli faceva venir voglia di scoprire tutto quanto su di lui. Aveva pensato per molte ore allo sguardo confuso che gli era apparso sul viso, il giorno prima.

"–  Hai talento, peccato. Avrei preferito combattere con te per l'oro. –"

Lo aveva guardato con provocazione, e dall'espressione stampata sul suo viso, seppur durò poco più di un paio di secondi, fece capire a Ryochi che aveva colpito nel segno. Si sentiva sicuro, che quello sguardo, il francese non l'avrebbe dimenticato poi tanto presto. 

Una figura incappucciata lo fece distrarre dai suoi pensieri. Akir stava uscendo dall'hotel.

Una strana gioia crebbe in Ryochi, era contento che fosse venuto, ma il sorriso comparso sul suo viso svanì, quando il francese, probabilmente per cercarlo, alzò la testa.

Portava l'espressione, il viso di chi non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Peggio, di chi aveva appena smesso di piangere. La scarica di gioia sparì all'istante. 

"Cosa gli è successo? Perché stava piangendo?"







Ci volle un po' ad Akir prima di trovare la forza, la voglia di alzarsi. Ryochi era venuto davvero, e lo stava aspettando. Non aveva ricordo di quando, o come si fosse addormentato, ma sentiva il corpo intorpidito, gli occhi gonfi. Era evidente che non stava bene.

Non voleva, non poteva farsi vedere debole. Ci pensò su per molto tempo, ancora con il velo di sensazioni provate la stessa notte. Poi si ricordò della stretta di Ryochi, della sua voce, di cosa aveva sentito standogli accanto.

Si mise il cappuccio della felpa, in modo che il suo viso risultasse meno visibile, e uscito dall'ascensore, si diresse fuori. Raccolse un po' della sua solita apatia, e alzò un attimo la testa dopo essere uscito per cercarlo con lo sguardo. La sua ricerca non durò a lungo.

– Ciao, R.. –

–  Che cos'hai? – il giapponese non gli lasciò tempo di finire di parlare, si era avvicinato a lui velocemente, e lo guardava senza nessun tratto dell'allegria del giorno prima.

"Si è.. accorto?"



Akir abbassò subito lo sguardo.

– Non ho nulla. –

– Non mi dire bugie, t'ho visto – il tono di voce del giapponese si fece serio, ad Akir si congelò il sangue nelle vene. Non voleva parlarne, non voleva che lo vedesse debole.

Si allontanò al tentativo di Ryochi di toccarlo. –  Andiamo. – disse solamente, e cominciò a camminare senza una meta, seguito pochi secondi dopo da Ryochi, con la coda dell'occhio vide che continuava a guardarlo, e cosa rara da parte sua, alzò lo sguardo verso di lui, facendo incontrare gli sguardi.

A quel gesto, a Ryochi spuntò un leggero sorriso. Lo avvicinò a se, e come il giorno prima, circondò le sue spalle con un braccio.

– Dai, ti porto a far colazione in un posto che ti piacerà sicuramente. – 







Camminarono per un breve tratto, in silenzio, per poi prendere la metropolitana, e dopo un viaggio di pochi minuti, scesero a Gaienmae.

– Quanto manca? – chiese Akir, un attimo dopo aver udito il proprio stomaco brontolare.

– Abbi pazienza, tra poco siamo arrivati. – sorrise. – Hai fame? – lo guardò, il francese aprì bocca per rispondere, ma prima di poterlo fare il giapponese gli tirò giù il cappuccio della felpa, per poi scompigliargli i capelli. Il gesto, il contatto a cui Akir non era abituato, lo fece arrossire, e nervosamente si sistemò i capelli.

– S..Si. – disse solamente, con una stretta allo stomaco che non poteva associare alla fame.

– Scusa, è da quando ti ho visto che volevo farlo. Non hai motivo di nasconderti – 

Akir si limitò ad annuire sfregando per un paio di secondi le mani, nervosamente, come se avesse freddo.

– E poi cosi non mi dai modo di osservarti meglio. – la voce di Ryochi si fece profonda.

"Cosa?.."

Non riuscì a rispondere. Anche il giorno prima l'aveva sentito lasciarsi andare in dichiarazioni simili. Che stava facendo? Ci stava provando? 

"Non pensare simili stronzate"

– Siamo arrivati? – sviò totalmente il discorso, al suo solito, freddo modo.

– Si, seguimi. – 

 Entrarono in un cafè, aveva un bell'aspetto. Era molto grande, sui toni beige e bianchi, c'era un'immensa vetrina con dolci di ogni tipo, molti raffiguranti personaggi del mondo anime e manga, oppure gattini, ricci o altri animaletti.

– Ti piace? – gli chiese Ryochi, mentre continuava a camminare, zigzagando tra gli altri clienti del bar.

– Si, mi piace – più che altro rispose per il suo stomaco, che mentre scorreva lo sguardo sulle bevande e sui dolciumi, brontolò nuovamente.

Ryochi si fermò poco prima di una scala a chiocciola, accanto ad essa c'era raffigurato un gatto e una parola in giapponese.

– Ti piacciono i gatti? – 

– Credo di si.. perché? – non aveva mai avuto un gatto, qualche volta gli capitava di vedere un gatto per strada quando passeggiava per la città natale, li trovava un po' ruffiani, ma non era mancata una volta che non si fermasse per qualche secondo ad accarezzarli.

A quella risposta, Ryochi cominciò a salire le scale, seguito da Akir.

Arrivati al piano successivo, quasi non spalancò la bocca.

Lo stile della stanza era più o meno lo stesso di prima, in più c'erano però dei pouf e dei divanetti, ma non fu ciò a colpirlo.

C'erano dei gatti.

Gatti, che scorrazzavano in giro. Ne contò almeno sei, ma ne vide di più piccoli scorrazzare veloci nella stanza.

Notò allora che certe persone sedute, mentre conversavano, tenevano un gatto e lo coccolavano, altri stavano a guardarli, ci giocavano, li coccolavano. I gatti avevano il dominio di quella sala.

– Ma che.. – riuscì solo a dire, era la prima volta che vedeva una cosa del genere. Aveva sentito anche parlare di questi "Cat-Cafè", ma trovarsi davanti ad uno di essi era tutt'altra cosa.

Il suo sguardo cadde su un piccolo gatto nero di forse tre mesi, questo rincorreva un altro gattino, ma nell'intenzione di afferrarlo inciampò e cadde rovinosamente a terra. La scenetta fece sorridere Akir, trovava tutto ciò tenero.

– Vieni – gli disse sorridente Ryochi, dopo qualche metro e qualche gatto schivato, si sedettero su morbidi, azzurri pouf.

Dopo essersi messo comodo, Akir si osservò ancora in giro, notò un gatto avvicinarsi a lui, e cominciare a lisciarsi sulla sua gamba, in cerca di coccole.

"Ruffiani.."

Ma nonostante ciò la sua mano vagò quasi in un gesto automatico verso il muso del gatto, sfiorandolo. Lo fece di nuovo, accarezzandogli anche il corpo. Sorrise, per la seconda volta in pochi minuti. 

– Mi sembra di notare che ti piacciono. – Akir alzò lo sguardo verso l'interlocutore, che lo osservava con una mano tra i capelli, sorridente. Abbassò subito la testa, il sorriso sulle sue labbra sparì all'istante.

– Non devi vergognarti di sorridere. Concediti un po' di felicità, Akir. – gli disse il giapponese, afferrando poi il listino poggiato sul tavolino.

Per la prima volta, fu Akir a restare ad osservarlo. Ciò che aveva detto l'aveva colpito. Non aveva mai pensato ad una cosa del genere. Concedersi un po' di felicità. Era una frase che faceva netto contrasto con la notte appena trascorsa. Perso nei suoi pensieri, osservò distrattamente Ryochi, nella sua interezza, ripensando a quello che Amary gli aveva detto al telefono il giorno prima.

Notò il gatto che prima si stava lisciando sulle sue gambe giocare con un ciuffo dei lunghi capelli di Ryochi, quel giorno tenuti sciolti. Erano di colore scuro, a prima vista parevano neri, ma sotto la luce naturale, o con un occhio più attento, si potevano notare dei riflessi blu notte, facendo pensare ad Akir che magari tempo prima se li era tinti. Lo rendevano affascinante, senza dubbio.

Scorreva lo sguardo sul listino, con un'espressione serena stampata in viso. Le sue iridi erano di colore chiaro, come avvolte dalla nebbia.

Spostò subito lo sguardo quando Ryochi alzò il suo, sperando che non avesse notato che l'aveva guardato a lungo.

– Ho scelto. Tieni – allungò verso di lui il listino, e dopo che Akir lo prese, si concentrò sul gatto, che non esitava a smettere di giocare con i suoi capelli.

Non aveva molta cultura sul cibo giapponese, dopo poco più di un minuto, decise di prendere l'Anmitsu.

Una sgargiante cameriera, che indossava un beanie dello stesso colore del vestito con delle orecchie da gatto prese i loro ordini, mentre osservava la ragazza dirigersi verso le scale e scendere, si fermò a pensare. Non poteva dire altro se non che il Giappone gli piaceva. Da quando era arrivato aveva sempre ricevuto un ottimo riguardo, che fosse dal personale dell'hotel, da una cameriera di un bar, di un controllore nella metropolitana, o di un casuale passante. 

– Cos'hai deciso di prendere? – Ryochi interruppe i suoi pensieri, con un tono insolitamente allegro.

Spostò lo sguardo su di lui, notandolo posare a terra il gatto ridacchiando, questo si allontanò, raggiungendo gli altri suoi simili. 

– .. An.. Anmitsu? – ammise mentalmente di non ricordarsi già più il nome.

Lui annuì, socchiuse gli occhi e cominciò a guardarlo. In silenzio. 

A disagio dal suo sguardo, guardò altrove, prima di prendere il telefono. Non funzionò. Riusciva comunque a sentire il suo intenso sguardo addosso. Strinse il telefono, irrigidendosi.

"Perché mi sta fissando?"

– Akir – lo chiamò lui, dolcemente.

Ricambiò lo sguardo solo dopo diversi secondi, e non parlò.

– Ti mette.. No, mi correggo. Ti metto cosi tanto a disagio? – domandò semplicemente.

Lo disarmò quella domanda. 

– No –

– E allora perché ogni volta che ti parlo, o ancor più semplicemente ti guardo, ti fai nervoso? –

Ci pensò su svariati secondi. Cos'era che lo metteva cosi a disagio? Il suo carattere chiuso sicuramente era uno dei motivi, ma sapeva che non era l'unico motivo. Ryochi, nella sua interezza, lo metteva a disagio. La sua sicurezza nell'agire, nel parlare, il modo in cui l'aveva guardato il giorno prima, il modo in cui gli sorrideva. 

Aprì la bocca, una, due volte, ma non riusciva a far uscire una sillaba, quindi, semplicemente abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro frustrato. 

– Non devi sentirti a disagio con me, Akir – il suo tono era dolce, il francese non lo stava guardando, ma seppe che stava sorridendo.







Nei minuti successivi, ci fu silenzio tra i due. Ma non era un silenzio imbarazzante, o almeno inizialmente lo era, ma Akir cominciò pian piano a rilassarsi e la tensione nell'aria si attenuò. Sentiva che era un bene, quindi decise di non dare aria ai suoi pensieri e di giocare con un gatto bianco che si era avvicinato ai due.

Ryochi si limitò a guardare solo un paio di volte Akir  in quei silenziosi minuti, successivi a ciò che gli aveva detto, ma notò con piacere che il suo viso si era, seppur poco, rasserenato. Però non riusciva a smettere di pensare alle occhiaie che aveva, al suo guardo stanco. Sapeva che qualcosa non andava in lui, ma non riusciva a capire cosa, non riusciva a leggere nei suoi occhi come desiderava. 

E ogni secondo che passava, bramava ancora più ardentemente sapere cosa aveva. Perché, cosa, ma soprattutto chi dava modo ad Akir di distruggersi. Sentiva un fastidio alla bocca dello stomaco. Sarebbe partito per tornare a casa sua il giorno successivo, aveva troppo poco tempo.

– Parteciperai ad altre gare quest'anno? – gli chiese, tutto d'un tratto.

Akir si fermò a pensare, prima di rispondergli. – Si, ma non dove saremo coinvolti entrambi. – 

"E' riuscito a capirlo?.." 

Sorrise. – Ci diamo appuntamento all'anno prossimo, allora.. –

– Si. – 

Le loro ordinazioni arrivarono. Akir scoprì che l'Anmitsu era una scodella contenente frutta gelatinosa, intera a pezzi, alcuna intagliata a forma di piccoli fiori e foglie ed una pallina di gelato al tè verde. Ryochi prese in mano la sua fumante tazza di tè verde, e socchiuse gli occhi, sorridendo. Notò su un piattino dei paninetti, con qualche seme di sesamo nero sopra.  

Ma prima di chiedergli cos'erano, un leggero sussulto, non spontaneo, uscì dalle sue labbra. Sentiva la gelatina alla frutta sciogliersi in bocca, era fresca, deliziosa.

Sentì il giapponese ridacchiare. L'aveva sentito. Si ricompose velocemente, deglutendo.

– ti piace, Akir? –

– .. Si. Mi piace. – era già la seconda volta che diceva quella frase in quella giornata.

– Non hai mai mangiato nulla di simile? – gli chiese, prima di morsicare il piccolo panino. 

– Mai.. – si gustò un altro cucchiaio, prima di puntare lo sguardo sul dolciume che Ryochi aveva in mano. – Che cosa sono? – chiese.

– Anpan. Sono dolciumi ripieni con pasta di azuki zuccherata. – Il giapponese allungò il dolciume verso Akir, che preso in mano, lo osservò. Il ripieno era rosso/marroncino.

– Azuki?.. – 

– Sono fagiolini rossi coltivati principalmente in Asia, Europa e Africa. Assaggia – lo invitò.

– Sai davvero tutto.. – ammise, prima di mordere il dolciume. Era dolce, morbido, gli piaceva.

Spostò lo sguardo sul giapponese. Lo stava guardando nuovamente, con intensità. Il suo sguardo assomigliava a quello del giorno prima, dopo la gara. 

Si sentì arrossire. 

– Allora? –

– E' buono. – disse solamente. Gli passò il dolciume, e si concentrò sul proprio Anmitsu, silenzioso.

Fecero colazione ascoltando il miagolare dei gatti, le conversazioni degli altri clienti.

Ryochi finì il suo tè e i suoi Anpan prima di Akir, senza dirgli nulla si alzò e si avvicinò in un'area della sala dove c'erano vari giochi per gatti. Akir lo osservò. Nemmeno Amary aveva i capelli cosi lunghi. Coprivano più della metà della sua schiena, erano leggermente mossi. Mentre finiva la sua colazione, lo guardò giocare con i gatti, che si avvicinavano a lui come una calamita. 

Cosa aveva di diverso dalle altre persone, il francese non riusciva a capirlo. Ma qualcosa c'era.

Usciti dal Cat-Cafè, camminarono in silenzio per il quartiere. 

– Dove andiamo, ora? – chiese Akir.

– In stazione, dove prenderemo la linea Yamanote. – rispose tranquillamente.

– Certo, Yamanote..per andare?.. – parlò con tono ironico.

– So che ti piacciono i parchi, quindi ho deciso di portarti al santuario Meiji – lo guardò, sorridendo.

– Meiji..? – era confuso.

Velocemente, Roychi prese il telefono, e cominciò la ricerca.

Un minuto dopo gli mostrò la foto di una piantina di un grande parco, al suo interno, segnato da un puntino rosso, probabilmente c'era il santuario di cui parlava.

Anche solo il pensiero di camminare in mezzo ad un bosco, fece venire l'adrenalina ad Akir. 

– Immaginavo che l'idea ti sarebbe piaciuta. – gli fece un grande sorriso.

– Dopotutto sai davvero, sempre tutto.. – rispose il francese, spostando la testa altrove per nascondere, invano, il sorriso che gli era spuntato sulle labbra.
   
 
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