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Autore: DarkYuna    11/02/2018    1 recensioni
"Tra la luce e le tenebre, nasce una linea sottile, un luogo senza nome,
sconosciuto ai più, che non esiste né in cielo e né in terra,
lì gli amanti separati dal fato continuano a vivere inscindibili.".
Genere: Malinconico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.
                             Il canto della sirena.






 
Tra la luce e le tenebre, nasce una linea sottile, un luogo senza nome, sconosciuto ai più, che non esiste né in cielo e né in terra, lì gli amanti separati dal fato continuano a vivere inscindibili.
 
 
Sono stanco.
No, non una stanchezza dettata dal fisico provato dagli antidepressivi, l'alcool e le sigarette, la stanchezza che nutro è nella testa, soprattutto nel cuore... o almeno ciò che ne resta.
Ho promesso di non morire, tuttavia non sono più certo che riuscirò a mantenere la parola data, perché, se la infrangessi, mi riunirei con colei che la meschina sorte ha strappato via. Domani, saranno esattamente tre anni che Amelia è morta, tre anni che sopravvivo all'incessante incubo da cui non vi è risveglio, tre anni che ho smesso di esistere definitivamente.
 
 
Che ci faccio ancora qui? Cosa aspetto? Un miracolo illusorio?
 
 
Nessuno torna dalla morte e se i prossimi tre anni, sono come gli ultimi, voglio smettere di respirare stanotte stessa: il fardello è divenuto insopportabile.
La notte è sempre più difficile dormire, non è più una semplice insonnia, ho smesso di riposare da non so quanto tempo e tutto ciò mi ha reso una persona alquanto insoffribile.
 
 
Schiaccio rabbioso la sigaretta nel posacenere, afferro la boccetta trasparente del Prozac. Ci sono poche pillole, ho dimenticato la posologia. Svuoto l'intero contenuto nel palmo destro e le mando giù con un abbondante sorso di Fisu, dal sapore di penetrante liquirizia.
Ho il corpo avvelenato da quella robaccia, dai litri di alcool e dal tabacco usato smodatamente.
 
 
Amelia non c'è più.
Gli HIM non ci sono più.
Io non ci sono più.
 
 
Il mondo continua a girare vorticoso, mentre ho smesso di corrergli dietro. Tutto quello che ho di lei, a parte i miei ricordi, è il suono della sua voce e nulla di più.  
Nel cassetto del comodino c'è un album fotografico, che Francesca mi ha spedito dall'Italia. Il viso sorridente di Amelia è fermo nei ritratti lucidi, eterna nel mio cuore, ma per sempre assente dalla mia vita.
Chiudo gli occhi e per un lungo ed interminabile istante lei è di nuovo qui, il profumo che aleggia nella stanza, i capelli a caschetto, l'espressione maliziosa e gli occhi colmi di un amore indissolubile.
Nessuno m'ha mai guardato a quel modo travolgente, né prima e né dopo.
 
 
Ravano confuso il pacchetto di sigarette, ho la testa leggera, il cervello annebbiato, pieno d'ovatta: l'antidepressivo sta facendo effetto. Porto una sigaretta alla bocca, la mano trema nell'azionare l'accendino, riesco a fare centro al primo tentativo.
Dovrò tornare dallo psichiatra, per far aumentare la dose. Voglio dormire subito e non aspettare tutto questo tempo prima che l'oblio mi assorba.
Stropiccio gli occhi gonfi e, non mi accorgo neanche quando il silenzio indigesto viene sostituito con una dolce voce femminile proveniente in strada. Canta una nenia in francese, una nenia che conosco fin troppo bene.
Il cervello fatica non poco a razionalizzare gli eventi, da una parte c'è ancora un briciolo di concretezza che intuisce che non è possibile: i morti non tornano dalla tomba. Dall'altra mi chiedo stupidamente come, Amelia, abbia fatto a trovarmi, visto che ho cambiato casa. La torre sapeva di lei, non riuscivo a sopportarlo.
 
 
Balzo giù dal letto, il cuore in gola, il sangue in tempesta, non mi fermo a riflettere che sono già alla finestra e la vedo. Dio! Sono trascorsi tre anni, tuttavia la morte non ha sfiorito la bellezza pallida, delicata ed armoniosa, come una rosa nera su una distesa di neve.
Canta. Canta per me. La mia sirena, la mia musa, colei che è la parte mancante del mio essere. È tornata, è qui per me, per portarmi via con sé.
Corro a perdifiato per le scale, non indosso scarpe, non penso a coprirmi dal freddo che mi attende fuori casa, ogni cosa ha smarrito d'importanza, non voglio perdere tempo inutile. Impulsivo apro la porta e, affondando nella neve alta esco nella strada deserta. Fa un freddo terribile.
 
 
Non c'è nessuno, è mezzanotte, a parte la mia Amelia, che continua a cantare.  Il lampione bianco dall'altra parte della strada, rischiara una parte della figura fragile e tenue. È vestita di bianco.  
Si apre in un sorriso malinconico, gli occhi grandi colmi di amarezza, allarga le braccia in un chiaro invito a raggiungerla e, mentre le sto filando in contro, felice come non lo sono stato mai, qualcosa muta impercettibilmente. È come quando si getta un sasso sulla superficie di un fiume, non si riesce a distinguere bene al di là dell'acqua smossa, ma appena ogni cosa torna alla normalità, la visione è d'un tratto chiara.
 
 
Amelia non è qui, la persona verso cui sto andando non è lei: ho le allucinazioni. Deve essere il cocktail di alcool e farmaci, ingurgitato poc'anzi.
 
 
La donna che ho scambiato per Amelia ha in mano una macchina fotografica, una di quelle costose e professionali. Non dimostra più di trent'anni, i capelli neri sono acconciati in un taglio asimmetrico corto, le dona un'aria aggressiva, battagliera e sicura di sé. Longilinea e molto snella, le clavicole fanno capolinea da sotto la stoffa del maglione. Ha dei vistosi orecchini a forma di croce capovolta, l'intero abbigliamento verte sul nero e non è solo un accostamento casuale, le piace vestirsi così.
Gli occhi sono due frammenti di ghiaccio imperturbabile che mi fissano infastidite, truccati con abbondante ombretto nero. Fa un passo indietro e mi scruta dalla testa ai piedi, nauseata dalla vista di un uomo in mutande e piedi nudi su metri di nevi, a pochi passi da lei.
 
 
<< Che cazzo fai? >>, sbotta fredda, come per sottolineare il paradosso del momento fuori dal normale. << Hai intenzione di morire? >>.
Se avessi abbastanza palle per morire, non sarei di certo qui a rincorrere un fantasma che vive solo nella mia mente.
Batto più volte le palpebre, sconcertato.
Il freddo invernale di Helsinki è come uno schiaffo potente in pieno viso e serve a riprendere le piene facoltà intellettive.
Una donna, in piena notte, con una macchina fotografica, davanti casa mia: un paparazzo.
 
 
<< Tu che cazzo fai?! >>, replico adirato. Ha sbagliato momento, persona e contesto. Ho smesso definitivamente di essere Ville Valo, il bel cantante tenebroso degli HIM, adesso sono un coglione e basta. Se spera in qualche scoop del secolo, ha preso una cantonata pazzesca. << Che cazzo vuoi da me? >>, continuo, il tono è collerico, per nulla amichevole e molto minaccioso. Sono convinto che sia qui per me.
 
 
Inarca un sopracciglio, impassibile.
<< Prego? >>.
 
 
<< "Prego" un cazzo! >>. Non so il perché, lo stavo solo pensando e un attimo dopo le tiro uno spintone brutale, con entrambe le mani, che le fa perdere l'equilibrio e cadere malamente sulla schiena. La macchina fotografica rotola qualche metro più in là.
 
 
<< Ma tu sei una testa di cazzo! >>, strepita rude, fissandomi come se fossi un povero pazzo fuggito dal manicomio. Okay, magari vestito (o svestito) così, potrebbe essere la prima impressione, ma che altra interpretazione potrebbe esserci, se non che sia una giornalista? << Che cazzo di problema hai, eh? Razza di malato mentale, esibizionista del cazzo e pure coglione patentato. >>. Si alza di slancio e, senza che possa fermarla mi restituisce lo spintone. Stavolta sono io che finisco a terra.
 
 
<< Ma vaffanculo! >>, urlo, accusando il colpo. Ho sbattuto su qualcosa di duro, che mi ha infilzato la schiena.
 
 
Punta il dito contro, gli occhi due tizzoni ardenti.
<< No, vaffanculo tu! >>. Si china a raccogliere la macchina fotografica, per accertarsi che non si sia rotta. << Te ne esci in strada come un maniaco sessuale e fai lo stronzo. Tu non stai bene di cervello, fatti vedere, ma da uno bravo. >>. 
In cura da "uno bravo" già ci sono, mi riempie di porcherie ed inutili luoghi comuni sulla morte e sulla vita.
Lo spintone ha provocato un moto irrefrenabile di nausea, un forte dolore addominale e, nonostante ci siano molti gradi sotto lo zero, sto sudando come se fossi in una sauna. Non faccio in tempo a capire che sto male, che rotolo sulla neve e vomito anche l'anima.
 
 
Le mani della donna mi scostano i capelli dalla fronte umidiccia e mi tiene la testa in un gesto rassicurante. Non la infastidisce la scena rivoltante.
<< Ti sei drogato per caso? >>, chiede lecita, con aria professionale.
Appena finisco di dare il peggio di me stesso, mi sposta il viso verso di lei ed esamina gli occhi.
 
 
<< Vuoi cavarmeli? >>, farfuglio a stenti, intanto un'altra fitta, stavolta ai polmoni, mi piega in due. Fatico a riprendere fiato.
 
 
<< Sono un medico, pezzo d'asino. >>.
Non vengo offeso così tanto da quando Amelia non c'è più, lei adorava avere battaglie verbali con me, ed io amavo questo gioco tra di noi.
 
 
<< Io pensavo che volessi fotografarmi. >>. Indico la macchina fotografica, di nuovo sulla neve. L'ha lasciata lì per soccorrermi.
 
 
<< Per quanto mi impegni, non vedo una motivazione valida per cui io debba fotografare un relitto umano. >>. Controlla il battito cardiaco nell'incavo del polso. << Che cosa hai ingerito? >>.
 
 
<< Sto per morire? >>, chiedo ironico, eppure ci spero. Sono così spezzato ed annoiato da questa vita, che non ho altro motivo che potrebbe convincermi a rimanere.
 
 
La donna mi afferra facinorosa per il tessuto della maglietta e mi tira due cinquine che mi fanno balzare dalla sorpresa. Non so se continuare ad insultarla o scoppiare a ridere per le dolorosissime reminescenze che, questo incontro, sta riportando in superficie.
Il tempo non ha attenuato la perdita, ha solo allargato la voragine in cui sto precipitando.
È così che è iniziata con Amelia, l'ho amata quella stessa notte e non gliel'ho mai detto. Una colpa imperdonabile che mi trascino dietro.
 
 
<< Cosa hai ingerito? >>, riprova perentoria, sperando di riportare un briciolo di discernimento nel cervello. << Hai un avvelenamento da farmaci in corso! >>. C'è urgenza nella frase. Non le importa davvero di me, sta solamente facendo il suo dovere di medico, nulla di più.
 
 
Apro la bocca per comunicarle il nome del medicinale, mischiato con gli alcolici, tuttavia le tenebre scendono spedite e spietate e, prima che possa realmente capire cosa sta accadendo, smetto di esistere.

 





 
Beh, sì lo so, avevo detto che non avrei mai più pubblicato storie in questa sezione, però si sa, sono una persona incostante e non mi andava di lasciare stare Ville con il finale terribile della precedente long, quindi dal nulla è nata questa ff: la mia ispirazione ringrazia per averla ascoltata. 
Aspettatevi un Ville più dark, più devastato, malinconico e psicologicamente annientato.

Sarà una ff molto cruda, sofferente, con emozioni contrastanti e situazione difficili... in pratica ciò che scrivo in tutte le mie ff xD 
La storia non è ancora terminata, però sono a buon punto. Pubblicherò un capitolo al mese, salvo imprevisti e salvo che non termini di scrivere la ff. 

Strutturo il testo in questo modo per facilitare la lettura. 

 
Il Fisu è un liquore finlandese alla menta forte e penetrante, che unisce la vodka al gusto caratteristico delle pastiglie alla menta più forti, che l'industria delle caramelle abbia mai prodotto
Il prozac è un medicinale realmente esistente, usato per curare depressione ed insonnia.


Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda.Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.
La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta. 


Un abbraccio.
DarkYuna.  
 
  
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