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Autore: addict_with_a_pen    13/02/2018    1 recensioni
Ti ricordi il nostro primo incontro? Eri lì, fuori dal rifugio, nudo dalla testa ai piedi che rubavi un po’ della nostra acqua credendo di non essere visto da nessuno, ma sbagliandoti.
Ho avuto compassione di te, un’emozione che non provavo da tempo, come tutte in fin dei conti, e ricordo di essermi tolto la giacca ed avertela messa sulle spalle per cercare di coprirti almeno in parte.
Ti ho portato dentro.
Ti ho dato un bicchiere d’acqua, un po’ di quello schifoso cibo in scatola rubato la scorsa settimana e ti ho chiesto quale fosse il tuo nome.
“Frank” mi hai risposto, e sentire qualcuno che si presenta davvero col suo nome di nascita e non con uno sciocco nomignolo mi ha incuriosito sempre di più.
“Party Poison” ti ho detto io, e la tua risata arrivatami in risposta non potrò mai farla uscire dalla mia memoria.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Underneath the stars we came alive*



*Piccola nota inutile*
Anche se si capisce subito, questa storia è ambientata nel mondo di Danger Days, e ve la regalo come augurio di un buon San Valentino se anche voi non avete qualcuno con cui passarlo <3
Spero vi piaccia :*






Ti ricordi il nostro primo incontro? Eri lì, fuori dal rifugio, nudo dalla testa ai piedi che rubavi un po’ della nostra acqua credendo di non essere visto da nessuno, ma sbagliandoti.
Ricordo come sei sobbalzato quando ti ho colto alla sprovvista di spalle puntandoti la pistola contro la nuca e ricordo anche come poi i tuoi occhi si sono velati di lacrime, spaventato e stanco dopo tutto quello che ti era successo, dopo tutto quello che ti avevano fatto.
Ho avuto compassione di te, un’emozione che non provavo da tempo, come tutte in fin dei conti, e ricordo di essermi tolto la giacca ed avertela messa sulle spalle per cercare di coprirti almeno in parte.
Ti ho portato dentro.
Jet e Kobra mi avrebbero ucciso se mi avessero visto portare un estraneo nella nostra baracca, ma eravamo soli. Loro due di pomeriggio andavano sempre a fare il loro solito giro di ricognizione, così che avevamo ‘casa’ libera.
Eri così piccolo, così spaventato, ma così meraviglioso, con tutti quei tatuaggi e quel piercing al labbro, vietati e puniti entrambi con la tortura, poiché di questi tempi oramai chiunque abbia personalità, non merita di tenersela.
Ti ho dato un bicchiere d’acqua, un po’ di quello schifoso cibo in scatola rubato la scorsa settimana e ti ho chiesto quale fosse il tuo nome.
“Frank” mi hai risposto, e sentire qualcuno che si presenta davvero col suo nome di nascita e non con uno sciocco nomignolo mi ha incuriosito sempre di più.
“Party Poison” ti ho detto io, e la tua risata arrivatami in risposta non potrò mai farla uscire dalla mia memoria.


Ti ricordi di come si sono incavolati Jet e Kobra quando, tornati a casa, ti hanno trovato comodamente sdraiato sul nostro logoro divano?
Eri così spaventato, con quegli occhioni dal colore indecifrabile che ci fissavano mentre discutevamo e mentre io, unico tra tutti e tre, ti difendevo con tutto me stesso.
Non so spiegarti perché fossi così convinto di potermi fidare di te, non so nemmeno spiegarti perché ti avessi offerto parte delle nostre provviste così faticosamente guadagnate, ma posso dirti che se dovessi tornare indietro nel tempo, allora rifarei questa pazzia senza rifletterci sopra nemmeno un secondo.
Ricordo che a un certo punto sei schizzato in piedi e ti sei parato davanti a Jet e Kobra, uscendotene con un “insegnatemi” che al momento non ha fatto altro che lasciarci tutti e tre confusi e senza una risposta.
Volevi essere anche tu parte del nostro gruppo, volevi anche tu essere parte di qualcosa, qualcosa che si opponesse a tutto lo squallore in cui il nostro mondo è caduto e qualcuno che potesse placare la tua fame di vendetta dopo essere stato strappato dalla tua casa, dalla tua vita e famiglia, e dopo essere stato messo a mollo in una vasca colma di decolorante corrosivo per cercare di ‘sbiancarti’ e ripulire la tua pelle da tutti quei tatuaggi che lo ricoprono.
Ricordo che alla fine hanno acconsentito, dicendo che una persona in più avrebbe significato più provviste e medicine, e ricordo di come hai esultato, ringraziandoci tutti e tre, e di come poi mi hai sorriso mormorando un grazie a bassa voce che stavolta era indirizzato solo ed esclusivamente a me.


Ti ricordi di quanto spaventato fossi quando hai preso in mano per la prima volta una pistola?
Era primo pomeriggio, Jet e Kobra erano usciti lasciandomi con il compito di insegnarti a maneggiare un’arma e saper rispondere ad un attacco.
Tremavi Frankie, le tue pupille erano enormi e i tuoi occhi non riuscivano a staccarsi da quell’arma che ti avevo messo in mano e ricordo di aver provato una sensazione nel vederti così terrorizzato che nella mia memoria si avvicinava molto alla tenerezza.
Non riuscivi a capacitarti del fatto che con quell’arma avresti dovuto uccidere qualcuno, non volevi saperne di ascoltarmi, ma quando poi ti ho detto che o ti facevi spiegare come utilizzarla oppure potevi pure tornartene a vagare nel deserto, allora hai fatto un bel respiro e sei stato in silenzio, in attesa che cominciassi con la mia lezione.
Eri un disastro, non riuscivi a centrare il bersaglio nemmeno se distava solo due metri, e le tue mani non volevano saperne di smettere di tremare.
Ricordi di quando poi ho messo le mie mani attorno alle tue e di come hanno immediatamente smesso di tremare?
Tenevamo la pistola insieme, il tuo dito era sul grilletto e poi hai magicamente centrato il bersaglio.
Siamo stati fuori ad esercitarci fino a sera, fino a quando Kobra ci ha minacciati di morte se non l’avessimo fatta finita con tutto il rumore che stavamo facendo, e tu in risposta sei scoppiato a ridere, contagiando subito anche me che non ho saputo trattenermi.
La tua risata, mio piccolo Frank, non riuscirò mai a cancellarla dalla mia memoria.


Ti ricordi del nostro lungo dibattito notturno su quale fosse il nomignolo perfetto da affibbiarti?
Non ne capivi l’utilità, non riuscivi a comprendere perché mai dovessimo usare quei soprannomi infantili per chiamarci, ma alla fine vi hai rinunciato e mi hai dato retta.
Non mento, ho apposta rimandato la decisione del tuo ‘secondo nome’ alla notte, giocando sulla tua stanchezza che, ancora adesso, ti fa somigliare tanto ad un ubriaco incapace di prendere decisioni e, soprattutto, opporsi ad una presa da qualcun altro.
Continuavi a ridacchiare, ogni nome che ti proponevo era un pretesto per ridere, e non so quante minacce di morte da parte di Jet e Kobra abbiamo ricevuto quella notte.
Alla fine l’abbiamo trovato, Fun Ghoul hai deciso, ma hai anche deciso che io non avrei mai e poi mai dovuto usarlo per chiamarti.
Io avrei dovuto chiamarti Frank sempre e comunque, perché era quello il tuo vero nome e perché non ti avrebbero mai potuto togliere la tua identità.
Tu eri Frank, una piccola bomba di energia che amava la musica e a cui mancava così tanto la sua chitarra, e io ero solo uno stupido nomignolo, ma non questa volta.
“Gerard…” ho bisbigliato nel silenzio della notte, e il sorriso dolce che mi hai rivolto mi ha messo in subbuglio lo stomaco.
“Gerard… mi piace” e sentire il mio nome uscire dalle tue labbra per la prima volta mi ha come risvegliato dopo tutto quel tempo passato a vivere solo come un anonimo e disgustoso fuorilegge.


Ti ricordi di quando ti ho portato con me a fare il giro di ricognizione per la prima volta?
Era mattina, ci eravamo svegliati presto apposta per ridurre al minimo il rischio di incontrare qualche stupido draculoide, ma sbagliandoci di grosso…
Dopo a dir tanto dieci minuti di ronda, un gruppo di cinque draculoidi nascosti in una baracca fatiscente ci è saltato addosso, cogliendoci alla provvista e ferendoti a una mano.
Dio Frank, non puoi immaginare quanto in colpa mi sia sentito quando, ucciso anche l’ultimo idiota, mi sono reso conto che la tua mano sinistra era ferita e perdeva sangue, tanto sangue…
Ti ho caricato sul camioncino dal quale eravamo scesi per colpa dell’imboscata e sono corso alla nostra baracca più veloce che potevo, con i sensi di colpa che mi stavano mangiando vivo e l’immagine del tuo sangue che non voleva darmi tregua.
Nessuno avrebbe mai dovuto farti del male, nessuno avrebbe solamente dovuto pensarci, ma invece io, da bravo ammasso di inutilità che sono, avevo permesso questo.
Arrivati a ‘casa’, ti ho subito fatto sedere sul divano, infischiandomene di Jet e Kobra che, svegliati di soprassalto dal nostro rientro caotico, ci stavano sommergendo di domande.
Ho preso una benda, quel poco di disinfettante che avanzava, e mi sono premurato di medicarti meglio che potevo.
Per tutto il tempo, non ho fatto altro che ripetere “scusa”, come fosse una litania, e ricordo che alla fine una lacrima di rabbia e tristezza mi è scappata da un occhio dopo anni che non sentivo più quella strana sensazione di bagnato sulle guance.
Ricordo che la tua mano non infortunata si è posata sulla mia guancia e ricordo che il mio viso si è subito alzato e il mio sguardo incollato al tuo, dove non ho trovato nulla se non due occhioni dolci e un sorriso dolce e comprensivo ad illuminarti il volto.
“Va tutto bene Gee…” hai bisbigliato piano, per fare in modo che né Kobra né Jet ti sentissero, e ricordo che alla fine, dopo aver finito di fasciarti la mano, te l’ho baciata piano, senza staccare i miei occhi dai tuoi.
Quella era la prima volta dopo troppo tempo in cui compivo un gesto d’affetto, affetto che nemmeno nei confronti di mio fratello avevo più dimostrato.


Ti ricordi di quella notte che sei venuto a dormire con me nel mio sacco a pelo?
Saranno state circa le tre di notte e qualcosa dentro me mi aveva impedito di addormentarmi e fatto restare sveglio fino a quell’ora.
Non credo di avertelo mai detto, ma stavo pensando a te Frankie…
In un mondo dove le emozioni e ogni forma di personalità erano bandite, tu mi avevi riacceso come una lampadina, facendomi provare tante di quelle sensazioni che credevo morte e sepolte per sempre e facendomi ricordare cose che oramai non facevano più parte della mia vita e mai l’avrebbero fatto.
E poi, sei arrivato tu, rivoluzionando tutto.
Ricordo che a un certo punto ti ho visto avvicinarti piano a me gattonando e, una volta raggiuntomi, non mi hai nemmeno chiesto il permesso e ti sei sistemato sotto le coperte accanto a me, senza fiatare.
Ricordi quando poi le nostre mani si sono unite e la tua testa si è poggiata al mio petto?
Io non riesco a dimenticarlo, come non riesco a dimenticare quel “ti batte fortissimo il cuore” e la risatina che l’ha accompagnato.
Io non sapevo cosa fosse l’amore, l’avevo scordato, ma tu, piccolo mio, sapevi benissimo cosa fosse e, come un bambino che deve imparare l’alfabeto, me lo stavi insegnando di nuovo.
Non ho risposto alla tua osservazione, ti ho solo abbracciato, per poi cadere addormentato con un sorriso sulle labbra e il tuo respiro che mi solleticava piano il collo.
Quella notte, ho sognato noi.


Ti ricordi di quella volta che abbiamo fatto la doccia insieme?
Era mattino presto e stavate tutti e tre dormendo ancora, ma non io.
Ero agitato, spaventato oserei dire, poiché provare amore per qualcuno era forse considerata la cosa più sbagliata da fare, ma non riuscivo a far finta che non esistesse e non riuscivo ad evitare di provarlo.
Sono uscito sul retro della baracca dove vi era un misero doccino con l’acqua razionata per lavarsi, mi sono spogliato e ho cominciato a lavarmi dopo quelle che oramai credo fossero due settimane.
Non potevamo lavarci spesso, l’acqua era un bene prezioso, di lusso, e prima di pulirci era importante bere e non morire di sete.
Ricordo che a un certo punto mi sono perfino messo a canticchiare sotto l’acqua, altra cosa sbagliatissima dato che ogni forma di musica era bandita, ma ancora una volta non potevo evitare di farlo.
Oh mio dolce Frank, che cosa mi avevi fatto?
Ricordo che a un certo punto ti ho visto uscire dalla porta sul retro e ricordo di come abbia provato a coprirmi, ma ricordo anche e soprattutto di come hai cominciato a spogliarti a tua volta e, senza dire una parola, sei venuto sotto l’acqua insieme a me per lavarti.
“Per risparmiare acqua” hai detto alla fine, guardandomi fisso negli occhi e togliendomi una ciocca di capelli rosso sbiadito dagli occhi, ma io non ho mai creduto, o forse voluto credere, che la motivazione fosse davvero quella.
Ci siamo lavati in silenzio, forse entrambi troppo imbarazzati per poter parlare o forse troppo emozionati per trovare le parole giuste, ma ricordo che alla fine, dopo aver spento l’acqua ed essere rimasti ancora qualche istante a fissarci, ti ho abbracciato.
“Perché…?” ti ho chiesto in un sussurro all’orecchio, un perché che significava così tante cose, ma soprattutto un “perché mi sento così?”, e la tua risposta, spero vivamente che non te ne sia dimenticato, è stato un bacio a stampo e due guance rosso fuoco dopo averlo fatto, il tutto seguito da una fuga dentro il rifugio, ancora nudo e bagnato.
Ricordo che ti sei lasciato una scia di imbarazzo alle spalle e anche che il cuore mai in vita mia aveva preso a battermi così forte.
Piccolo Frank, se solo non fossi schizzato dentro, allora in risposta avresti ricevuto un altro bacio, ma non posso biasimarti: stavamo andando contro troppe regole per poter rimanere tranquilli e impassibili davanti a tutto.
Per la prima volta dopo tempo, ho ricordato cosa fosse davvero l’amore.


Ti ricordi di quando abbiamo visto le stelle cadenti?
Jet e Kobra non me l’hanno fatta passare liscia e, come una madre con il proprio figlio, mi hanno rimproverato per aver perso la testa ed essermi innamorato di te.
Loro ti adorano tesoro, lo sai bene, ma sai altrettanto bene che sull’amore di questi tempi non si può nemmeno più fantasticare e che, volendoci bene e non desiderando vederci mentre un mucchio di draculoidi ci torturano, hanno preferito mettere subito in chiaro le cose.
Ti ricordi quanto mi sono incavolato dopo averli sentiti sparare quel mucchio di fesserie?
“Gerard, prova a ragionare!” mi aveva detto Kobra, o meglio Mikey, il mio fratellino che da troppo tempo non mi chiamava più col mio vero nome, ma io di ragionare non ne avevo proprio voglia, così che ho preso la mia pistola, ho inforcato la maschera e sono uscito per sbollire e calmarmi.
Ricordo che tu eri fuori sotto il portico, o meglio quello che rimaneva di esso, ad ascoltare musica con le cuffiette, altra cosa rischiosa e proibita, e che quando mi hai visto uscire così incavolato hai provato a fermarmi, ma io non mi sono voltato.
Frank, tu eri e sei tutto ciò che le regole temono, sei ogni cosa che non le rispetta e forse è proprio questo che mi ha attratto e fatto eccitare così tanto di te, la tua scarsa considerazione di tutti questi stupidi obblighi che ci sono stati imposti e questa tua tendenza ad infrangere ogni singola cosa, tanto che pure io alla fine, mi sono ritrovato ad infrangere la più grande delle regole…
Quando sono tornato finalmente a ‘casa’, era già notte fonda ma tu eri ancora fuori seduto sotto quel malconcio portico ad aspettarmi.
Ti eri addormentato, eri tutto rannicchiato su te stesso ed avevi la testa poggiata tra le braccia, e ancora adesso credo di non aver mai visto scena più adorabile e dolce di quella.
Mi sono avvicinato per farti una carezza e tu subito hai aperto gli occhi, per poi prendere ad insultarmi e dirmene dietro di tutte per averti fatto stare così tanto in pensiero.
E poi, non sono più riuscito a trattenermi.
Ho preso il tuo viso tra le mani e dopo l’ennesimo “stronzo!” urlatomi contro con rabbia, ti ho finalmente baciato.
Non mi hai respinto, piuttosto hai portato le braccia attorno al mio corpo e mi hai abbracciato, continuando a baciarmi e ridacchiando di tanto in tanto quando dovevamo separarci per riprendere fiato.
Oh Frankie, se solo avessi potuto allora sarei andato avanti a baciarti per sempre, stringendoti a me per l’eternità ed infischiandomene di ogni singola regola e divieto.
È stato un bacio meraviglioso, ho amato ogni singola cosa di quel momento e ho soprattutto amato il tuo sorriso alla fine e quel “grazie Gee” pronunciato piano sulle mie labbra.
Il mattino dopo sarebbe stato divertente vedere le facce di Jet e Kobra mentre ti avrei baciato ancora, perché ora che avevo scoperto quanto bello fosse baciare le tue labbra morbide, mai avrei potuto smettere di farlo.
Ti ricordi quando poi ci siamo accucciati a terra, tu tra le mie gambe e io appoggiato con le spalle al muro, ed abbiamo visto quella stella cadente enorme?
Io non posso dimenticarlo, poiché adesso ogni singola volta che alzo gli occhi verso il cielo stellato e scorgo una stella cadente, non posso far altro che pensare a te e ai tuoi baci che, da dopo quel giorno, non hanno fatto altro che aumentare ogni giorno sempre più.
Kobra e Jet l’hanno presa bene? No, assolutamente no, ma col tempo si sono abituati concedendoci quelle due orette di privacy ogni pomeriggio per poter stare insieme, a patto che non uscissimo dal nascondiglio, ma sinceramente di andare in giro a zonzo per il deserto non me ne importava e non me ne importa nulla tuttora.
Tutto quello che mi importa, è stare con te, con la mia piccola stellina che ha riportato luce nella mia e in generale nella nostra vita.
Non puoi dimenticare come da dopo il tuo arrivo qualcosa sia cambiato nel nostro piccolo rifugio, come la paura di uscire allo scoperto si sia attenuata fino quasi a scomparire, come il terrore di ascoltare musica sia stato eliminato dal tuo MP3 sempre sparato al massimo del volume e come il timore di abbracciarci, di dirci “ti voglio bene” e di ridere sia andato a finire sotto terra, sepolto per sempre.
Come abbiamo smesso di essere tre stupidi ragazzi anonimi spaventati da tutto e tutti e come invece siamo diventati quattro fuorilegge ricercati e pronti a far di tutto pur di riprendersi le proprie vite una volta per tutte.
Come siamo diventati i Killjoys.


E infine, amore mio, ti ricorderai di questo momento?
Ti ricorderai di me, di noi, dei miei baci e delle mie promesse di volerti regalare una vita migliore?
Io me lo ricorderò, ti prometto che mi ricorderò di noi e di tutto quello che abbiamo dovuto passare, me ne ricorderò quando questo incubo in cui viviamo sarà finito e quando, una volta che tutto sarà tornato alla normalità, potremo vivere insieme e andare in giro mano nella mano senza la pistola carica pronta nell’altra.
Io me lo ricorderò Frankie, a patto che tu farai lo stesso, come mi ricorderò di oggi, di adesso, se anche tu non te ne scorderai mai.
Ora, mentre siamo nudi sdraiati a terra su questo ridicolo materasso spesso a dir tanto cinque centimetri, tu con la testa poggiata sul mio petto e io con le braccia strette attorno al tuo busto, mi sento la persona più fortunata del mondo, sebbene di fortuna di questi tempi se ne veda ben poca.
“Gee, posso dirtela una cosa?”
“Dimmi.”
“Io penso di amarti…”
“Penso di amarti pure io…”
Ti ricorderai di questo momento, mio piccolo Frank?
  
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