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Autore: Melanto    29/06/2009    7 recensioni
Quando arrossisce ti sembra che il tempo si riavvolga piacevolmente su sé stesso.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Feels like home

Questa fic è stata scritta per la “Rainbow Challenge” proposta da Fanworld.
Il prompt è il colore ‘Arancione’.

Feels like home

«Torno in Giappone per qualche giorno.»
È la tua parola d’ordine quando Amburgo comincia a starti troppo stretta, quando il suo freddo – anche col sole – riesce a ghiacciarti le ossa e quando sei stanco di vedere Kaltz che mastica lo stecchino senza dire nulla, ma si capisce lontano un miglio che sta pensando: “La finite di farvi la guerra?”. E che stia parlando di te ed il mister non ci vorrebbe la sfera di cristallo per capirlo.
Così, smozzichi quella frasetta come fosse una formula magica ed è quasi divertente vedere come tutti sembrino capire che stai andando a casa quando, in realtà, a Nankatsu non ci metterai nemmeno la punta della scarpa.
Che poi tu ti senta più a casa che non nella enorme villa in cui sei cresciuto, beh, dovrebbe farti pensare che forse non è il ‘posto’ a fare ‘casa’ quanto chi ti sta intorno. Ma al momento il tuo ultimo neurone rimasto sano ti sta chiedendo tregua e così lo accontenti, eclissandoti con gli altri passeggeri all’interno dell’aereo che ti porterà a Narita. In fondo, i sentimentalismi non sono il tuo pane quotidiano, ma non puoi non ripensarci di colpo quando, come tutte le volte che fai quella piccola fuga dalla Germania, te lo ritrovi ad attenderti all’aeroporto. Non se lo sogna nemmeno di farti prendere il treno-taxi-quelchevuoi per farti arrivare fino a Shimizu City. È una di quelle abitudini che ha, che ti fa improvvisamente sentire nel posto giusto e non sai nemmeno perché; sai solo che sei uscito dal gate, lo hai visto tra la gente in attesa degli altri passeggeri sostenendosi a quel bastone che fa tanto retrò – senza farti venire un colpo secco perché te lo aveva già detto ed eri preparato – e ti sei sentito a casa. Niente di più, niente di meno. E la guerra silenziosa col mister ti sembra già una gran fesseria, dopotutto.
«Ehi, Dottor House.» lo prendi in giro, abbassando gli occhiali da sole sul mento e lui sorride della tua battuta.
«Spero di non essere antipatico quanto lui.» commenta prima di abbracciarti. Storci un po’ il naso perché lo fa con un solo braccio – visto che l’altro è impegnato a reggere il bastone da nonnetto – e ti sembra come se quel saluto sia quasi incompleto, come se al vostro solito rituale – che consiste nel ritrovartelo tutto contro di te – manchi qualcosa.
«Ma che diavolo hai combinato, Yuzo?» gli domandi – come se non lo sapessi già, come se non fossi andato a spulciare sui canali di SkySport appena lui ti ha detto di essersi fatto male durante una partita, vero? – e lui si passa una mano tra i corti capelli scuri, stringendosi nelle spalle.
«Ah, colpa mia.» continua a non perdere il vizio di addossarsi sempre le responsabilità di ogni errore, anche quando non c’entra. «Contrasto aereo con Igawa degli Urawa Reds; io di pugno e lui di testa. Sono stato un po’ avventato, lo ammetto, e nel ricadere lui mi è atterrato sul ginocchio. Un bel tuffo a volo d’angelo.» ridacchia divertito e tu scuoti il capo. Non sei troppo preoccupato di come zoppica, visto che riesce a scherzarci su.
«Per quanto ne avrai?»
«Qualche settimana di riposo e poi tornerò come nuovo. Dai che mi è andata bene.»
Stavolta a spettinargli i capelli sei tu, che lo superi di un po’.«Ehi! Non è che hai cercato di fregarmi il titolo di ‘Acciaccato DOC’, vero? Ho la precedenza!»
La gomitata che ti molla allo stomaco non la senti nemmeno.
«Accidenti! Mi hai scoperto!» poi aumenta il passo come può – e come il ginocchio gli permette di fare – sollecitando anche te. «Forza. Che abbiamo ancora un po’ di strada prima di arrivare a casa.»

*
Quando guida, Yuzo riesce a fare trecento cose diverse.
Parla con te, smanetta al cellulare, cambia la stazione della radio, pesca chissà quali oggetti dal cassettino del cruscotto e poi, forse, si ricorda anche di guidare. Non ti sei mai chiesto come diavolo faccia, ma ti senti piuttosto tranquillo, visto che non vi siete ancora schiantati. Resti ad osservarlo con il gomito appoggiato sul finestrino aperto ed il viso sul dorso della mano. Il sorriso di piacevole divertimento sulle labbra e lui che ti sommerge di parole; ti racconta un po’ di questo, un po’ di quello e non chiede mai. E questo è uno dei tanti motivi per il quale, tra tutti i tuoi amici – Tsubasa compreso – , tu preferisca andare da lui e da nessun altro: perché non ti fa parlare di ciò che non vuoi, non ti fa domande, non indaga. Nulla. Ma aspetta. Aspetta che sia tu a decidere quando e se parlare dei tuoi problemi, del perché – anche nel mezzo del campionato tedesco – molli la squadra per andare fino lì, fino a Shimizu City, e passare due-tre giorni di isolamento dai tuoi doveri proprio con lui. E sa benissimo come ci sia qualcosa che non vada dietro ogni tua fuga, ne sei consapevole, perché i giornali sportivi li legge e figurati se la notizia dell’ennesima partita in panchina non è arrivata fino lì.
Eppure, nonostante tutto, ti senti perfettamente a tuo agio.
E poi ti piace la sua guida disinvolta – distratta sarebbe più appropriato, però – , il suo modo di mantenere sempre una mano sul cambio e l’altra che direziona appena il volante, giusto con tre dita, pollice, indice e medio.
«Yuzo, vuoi guardare la strada?» gli domandi ad un tratto, con condiscendenza, interrompendo un momento il suo discorso, perché guarda te per tutto il tempo e sorridi quando tenta di difendersi dicendo che lui la sta guardando eccome la strada e che è solo azzoppato, mica cieco. E sta’ buono, sei in vacanza!
E un po’ sei preoccupato per il suo ginocchio. «Vuoi che guidi io?» gli domandi, ma lui agita animatamente la mano.
«Ma no, ma no! Figurati! Sto benissimo. Fammi fare almeno questo che mi sto annoiando a morte in questi giorni di riposo forzato.» sorride, sporgendosi leggermente verso di te «Adesso sì che capisco cosa hai provato quando avevi i polsi e la caviglia fuori uso. Voglia di fare l’impossibile ed invece costretto a non fare niente. Da diventare matti. Io devo stare a riposo solo per due settimane, ma sto già sclerando!»
«Non lamentarti.» lo ammonisci bonariamente «E pensa che puoi usare questo tempo per fare qualcosa di costruttivo.»
«Tipo?»
«Allenarti alla Playstation.»
Lui ride dandoti un pugno che tu pari nel palmo. «Che scemo!»
Nel tempo in cui rimanete in silenzio, resti a fissare i suoi movimenti con la coda dell’occhio.
E non ti sai ancora spiegare perché trovi estremamente sexy l’improponibile quantità di braccialetti che porta al polso sinistro. Quanti ne saranno? Otto/nove? E sono anche di più dell’ultima volta che lo hai visto.
Yuzo li chiama i ‘braccialetti dell’amicizia’, semplici fili intrecciati di cotone colorato a cui tiene tantissimo e saprebbe elencare uno per uno chi glieli ha regalati.
Quanto sei rimasto sorpreso quando hai scoperto che questi particolari ammiratori erano dei bambini?
Tanto, ammettilo, perché nella tua testa avevi già avanzato le ipotesi più disparate e maliziose, ma dovevi capirlo che non erano proprio nello stile di Yuzo.
Osservi le dita stringersi energiche sul cambio e ingranare la marcia, prima che comincino a tamburellare sulla superficie liscia dello stesso tenendo il ritmo della canzone che sta passando la radio, ed anche il piede che ha abbandonato la frizione riesce a stento a star fermo e quando risali a studiare il suo profilo vedi le sue labbra muoversi appena nel mimare le parole. Stavolta però la strada la sta guardando.
Sorridi.
Come cavolo fa a metterti di buon umore anche con quei gesti banali non lo hai ancora capito, ma glissi su quel pensiero notando come la sua pelle abbia un bellissimo colorito dorato. In fondo è Maggio, e Shimizu non è Amburgo, e poi ha il mare, motivo più che valido per fare una capatina sulla spiaggia prima che la stagione estiva apra i battenti.
E, a proposito, la tavola placida, illuminata dai raggi del sole in quel caldo pomeriggio, è la vostra compagnia già da un po’ e ti è familiare.
Ormai siete quasi arrivati.

*
Se si potesse catalogare ogni città attraverso un colore, Shimizu sarebbe Arancione.
Predomina ovunque e a te, stranamente, piace. È un colore rilassante, dopotutto, e poi è anche il colore degli S-Pulse e l’intera città è legata alla squadra di calcio da un affetto inscindibile e profondo.
Un affetto che ti dà – anche a te, che strano! – la sensazione di ‘casa’.
L’arancio delle tende da sole tese sui balconi, l’arancio dei teloni dei bar e caffetterie, l’arancio delle palazzine, l’arancio dei fiori di cosmo(1) , l’arancio delle barche attraccate al porto. Ed è un peccato che il sole non tramonti nella baia, perché hai sempre pensato che sarebbe stato uno spettacolo fantastico.
Anche uno dei braccialetti di Yuzo è arancione e sembra quasi che stia a significare: “Ehi! Per la miseria! Io appartengo a questa città!”
E che per Yuzo Shimizu sia ‘casa’ ben più di quanto lo sia Nankatsu te ne sei accorto fin dalla prima volta che sei andato a trovarlo. Quando sarà stato? Forse un paio di anni fa. Ed era a suo agio mentre ti faceva vedere il Nihondaira(2) e il centro sportivo come se ci fosse nato e cresciuto, come se fosse esattamente dove avrebbe dovuto essere. Perché quello è il suo posto e lui lo sa e in questi anni, in tutte le volte che sei tornato qui, hai avuto sempre maggiori conferme. Perché ha acquisito una sicurezza di sé che prima non aveva e che ora ti rende orgoglioso di lui ancora un po’ di più. Perché qui lui non è il rimpiazzo, ‘il sostituto di…’, lui qui è il titolare di diritto; perché l’hanno voluto in quanto Yuzo Morisaki, perché hanno riconosciuto quelle capacità che avevi sempre visto anche tu. Lui qui non si sente un ‘secondo’. Lo vedi da come parla, da come gesticola, da come ride. Ti ricordi che prima quasi non lo sentivi mentre rideva? Tratteneva la risata tra le labbra, a cavallo di un sorriso, ed ora gli vedi snudare i denti bianchissimi e perfetti in una risata aperta e contagiosa, solare, di cuore. E il tuo, di cuore, è diventato un po’ più tiepido, mentre il gelo che avevi da quando sei partito ha cominciato a sbrinare fin dal tuo arrivo a Narita.
Eppure, a vedere lui e a pensare a te, le solite domande tornano a farsi sentire.
Il tuo posto qual è, Genzo?
Amburgo, certo.
E perché scappi alla prima occasione buona?
Eh, non lo sai. Ma ricordi quando Amburgo era davvero il tuo posto? Quello che sentivi solo tuo e dal quale non te ne saresti andato nemmeno sotto tortura?
Perché prima non avevi bisogno di scappare. Perché prima era tutto come doveva essere.
Ed ora com’è, Genzo?
Al solito, non ti dai una risposta, ma smuovi il cappellino e ti concentri sul ‘tac’ che produce il bastone sul cemento del molo che sorge all’esterno dello S-Pulse Dream Plaza(3) diretti ad uno dei bar che si affaccia sulla baia e dove, secondo il vostro solito rituale, vi fermate sempre a bere qualcosa. E visto che l’aria è bella e che il profumo del mare, lì, sembra come diverso da quello che arriva ad Amburgo, vi sedete ad uno dei tavolini all’aperto.
L’Orange Rainbow è il bar in cui Yuzo e gli altri della squadra vanno sempre – sono di casa. Questa parola comincia a perseguitarti, ormai – e piace anche te, perché la gente è di una cortesia squisita e perché ti danno proprio quella sensazione di accoglienza calorosa.
Il tempo che Yuzo appoggi il bastone ad una delle sedie vuote ed arriva subito la cameriera. Te la ricordi perché è sempre la stessa – ed è anche la titolare del bar – e la prima volta che sei andato lì ti ha costretto a farti una foto insieme a lei da appendere sulla parete principale del locale, tappezzata da centinaia di altre fotografie.
«Yuzo, tesoro!» la senti cinguettare raggiungendovi in rapidi passi «Come stai, bambino?».
È una donna sulla cinquantina e, per lei, tutti i giocatori dello S-Pulse sono dei ‘bambini’.
«Abbastanza bene, Mya.» lo vedi sorridere, mentre lei si porta teatralmente una mano al petto.
«Quando ho visto quel bestione che ti rovinava addosso, ti giuro, mi è preso un colpo.»
«No, ma davvero. Non preoccuparti, non è successo nulla di grave.»
- Per fortuna. - aggiungeresti tu, che gli poteva andare terribilmente peggio, ma taci quando la donna si volta proprio verso di te.
«Oh! Ma è venuto a trovarti il tuo amico Genzo! Ciao bambino, come stai?» sì, anche tu sei un ‘bambino’ per lei e sembra davvero contenta di vederti e la cosa che forse trovi assurdamente più bella è che ti chiama per nome, quando solitamente tutti ti chiamano SGGK o 'Wakabayashi'. Anche questo ti fa sentire a casa.
«Bene, signora.»
«Oh, ma chiamami solo Mya, caro. Cosa vi porto?» ma non vi dà nemmeno il tempo di rispondere che già lo sa «Un’arancia rossa ed un caffè lungo?» annuite entrambi e, mentre si allontana, pensi che quella donna abbia una memoria elefantina perché vai in quel bar sì e no una, massimo due volte all’anno e, nonostante tutto, si ricorda esattamente cosa prendi. Come se fossi un cliente abituale, ormai. Come se anche tu fossi di casa.
Ti volti nuovamente ad osservare Yuzo e gli vedi stiracchiare le braccia e distendere le gambe, ma come allunga quella infortunata fa una smorfia di dolore rapidissima che riesci comunque a cogliere, tanto ormai ci sei abituato per tutte le volte che ti sei infortunato tu.
«Fa male?»
Lui si sente colto di sorpresa per un attimo, poi sorride e scuote il capo «No, figurati.»
«Yuzo.» il tuo tono sembra quello di un fratello maggiore e lui aggiusta il tiro.
«Solo un po’.» ammette e cambia posizione sulla sedia, mettendosi un po’ di traverso per stare il più comodo possibile. E poi riprende a parlare e mentre ti racconta di come stanno tutti gli altri, il tuo sguardo cade proprio su quelle gambe lunghe ed il loro dondolare ti cattura completamente e pensi che il modo in cui il tessuto dei pantaloni larghi le sta fasciando sia quantomeno perfetto ed esasperante perché non ne segue le linee in maniera netta, ma le accenna e poi le nasconde e riesci a solo a notare come il ginocchio sinistro sia più voluminoso del destro, probabilmente perché avvolto dal tutore.
A proposito, neanche di questo gli hai mai parlato. D’altronde, lui non ti ha mai chiesto nulla; come sempre aspetta che sia tu a farlo. Ma tu continui a non parlare mai di te, di quello che pensi, di quello che senti, in maniera quasi ostinata. E i problemi, le cose da dire continuano ad accumularsi, Genzo, e non scompaiono semplicemente accantonandole da un lato.
E Yuzo continua a riempire i tuoi silenzi senza farteli pesare, mentre puoi continuare a nasconderti dietro la sua voce che lentamente ti fa riemergere e prima che si renda conto che tu non hai realmente sentito ciò che ti stava dicendo perché troppo impegnato a guardargli le gambe e a desiderare di farvi scivolare sopra una mano, capti l’ultima frase con una gran fortuna, proprio mentre la signora Mya vi porta le vostre ordinazioni e si allontana nuovamente, strizzandovi l’occhio con complicità.
«Sì, ma qui si accasa anche Hajime, e tu?» gli domandi, ma non sprecarti ad ammettere che il solo sentirti pronunciare una cosa simile ti è odioso perché stai valutando l’ipotesi che, effettivamente, Yuzo possa trovarsi una ragazza e mettere su famiglia. Significherebbe perderlo per sempre e perdere quell’idea di casa che stai disperatamente cercando e che sei riuscito a trovare solo lì, solo a Shimizu City, solo con lui.
Yuzo ride, di nuovo quella sua risata libera e sincera, e ti uccide. Ti inchioda sulla sedia, ti mette i brividi perché è bella, bella da morire.
«Io?!» fa eco, prima di scuotere il capo e bere un sorso di quel succo d’arancia che ha ordinato e che deve essere gelido; i cubetti si muovono lentamente. «Vuoi la verità?» ti domanda appoggiando il bicchiere sul tavolo, con un tintinnio. Non rispondi, perché è una domanda retorica che non ha bisogno di un ‘sì’ o un ‘no’. «Onestamente, sto bene così e non ne ho bisogno.»
Onestamente, vorresti baciarlo anche subito, proprio lì. Giusto per fargli capire quanto tu sia d’accordo con lui. Ma, onestamente, non lo fai, solo perché poi dovresti dare una sequela di spiegazioni e tu detesti giustificarti. Sei scappato da Amburgo proprio per quello, perché non hai voglia di parlare di quello che ti passa per la testa, vuoi solo sentirti al riparo per qualche giorno e lucidare la scorza dura del SGGK, prima di ritornare a casa. Anche se casa non è. O forse lo è ancora, ma non come prima. O forse devi solo ritrovare il motivo per cui Amburgo era casa tua. Perché, forse, è proprio questo che hai perduto: il motivo, il perché. Ma ti sembra di giocare ad un quiz a premi, mentre rincorri i tuoi pensieri, e tu non li hai mai potuti soffrire. Così, cerchi un ennesimo modo per distrarti e stavolta la Provvidenza ci mette lo zampino.
Una gran confusione, un vociare querulo e forte e scoordinato e tuttoinsiememanchedipiù si avvicina a voi di gran carriera, entrando nell’area del bar e disperdendosi tra i tavoli. Per un attimo hai l’impressione che un mare color arancione ti stia per travolgere. Beh, a guardare bene… decisamente un bel mare color arancione. Saranno una quindicina, e dalla gonnellina rasoculo ed i pon-pon colorati pensi che siano delle cheerleader, ma non ne hai mai viste tante tutte insieme. E stanno facendo un fracasso considerevole. Cantano inni, alzano gambe all’aria facendo sollevare le gonne già cortissime e non hai nemmeno più bisogno di immaginare di che colore abbiano la biancheria perché tanto te la stanno appena facendo vedere, qualcuna lancia un pon-pon e poi lo riprende per mostrare ad una compagna la giusta mossa da fare. E attirata da quel frastuono indescrivibile, esce anche Mya con le mani ai fianchi ed il piglio autoritario.
«Bambine, ma insomma la volete finire?! Vi sentono in tutta Shimizu!»
«Zia My’-san!» squittiscono in coro e vedi la donna ruotare gli occhi al cielo con rassegnazione prima di – oh, cazzo! – indicare proprio voi ed aggiungere.
«Avanti un po’ di decoro, signorine, non vedete che state disturbando Yuzo e il suo amico Genzo?!»
In quel preciso istante osservi quindici teste castane girarsi contemporaneamente verso di voi e Yuzo che impallidisce per un secondo prima che, alla velocità del vento, ti dica con serietà e senza farsi sentire da nessun altro tranne te «Ok, calma e sangue freddo. Non avere paura, sono innocue, va bene?» e prima che tu possa anche solo comprendere il reale significato di quella frase senti uno squittire ancora più forte e sempre sincronizzato.
«C’è Morisaki-saaaaaaan
E lì, capisci che la paura ce l’hai eccome. Soprattutto quando la marea arancione si muove saltellante verso di voi. Tutta. E in un attimo vi ritrovate accerchiati da un gruppo di ragazze che parlano tutte insieme, ridacchiano tutte insieme, squittiscono tutte insieme. Ad una scena simile avevi assistito solo una volta, molto prima che Karl Heinz passasse al Bayern, quando tu e lui vi eravate trovati isolati dal resto della squadra alla fine di una partita – che modestamente avevate vinto – e avevate corso come disperati per sfuggire all’orda incontenibile delle fan. Ed anche adesso ti saresti aspettato di dover agguantare Yuzo – che non può correre -, caricartelo in spalla e scappare a gambe levate ed invece… Yuzo sta amabilmente conversando con loro che, sì, sono rumorose, querule e tutto quello che vuoi, ma, ehi!, sono davvero innocue. Le vedi attente a quello che lui dice, ti lanciano occhiatine incuriosite ed imbarazzate e non cercano di saltarti addosso costringendoti a divenire per forza il padre dei loro figli. Sì, forse puoi anche rilassarti.
«Morisaki-san come sta il suo ginocchio?!»
«E quando torna a giocare?!»
Gli danno… del lei?! Alcune potrebbero essere vostre coetanee, eppure si rivolgono a Yuzo dandogli del lei. Pensi che cose come queste possano avvenire solo in Giappone.
«Va molto meglio, grazie ragazze. Dovrei rientrare tra una settimana.» spiega con cortesia e loro sembrano entusiaste.
«Evviva!»
«Ma Tsuyoshi mi sta sostituendo molto bene.» si affretta ad aggiungere Yuzo. La ragazza che è inginocchiata, appoggiata al bracciolo della sua sedia, dondola un po’ la testa.
«Sì, è vero. Però Morisaki-san è Morisaki-san.»
«E vedrà che bel rientro le abbiamo preparato!» afferma entusiasta una giovane in piedi, ma subito quella accanto le molla una gomitata.
«Sachiko! Doveva essere una sorpresa!» la ammonisce.
«Oh!» si copre la bocca allarmata «Scusate.»
«Cretina.»
E Yuzo sorride dicendo loro che non devono preoccuparsi e che sono state davvero gentili. Quella che era inginocchiata si alza e fa un inchino, venendo imitata anche dalle sue compagne.
«Scusateci se vi abbiamo disturbato, Morisaki-san, Wakabayashi-san. Buona serata.» e fanno per allontanarsi, quando una si attarda ed ha il viso rosso acceso, continua a mantenere uno sguardo basso e non smette di torturarsi le mani.
«Morisaki-san, senta… non è che mi saluterebbe Satou-san, appena lo vede?»
«Ma certo, Nina.» l’altra squittisce al colmo della felicità, saltellando come un grillo.
«Ah! Grazie, Morisaki-san! Lei è sempre così carino!» e raggiunge subito le sue compagne.
Yuzo aspetta che sia abbastanza lontana prima di tornare a guardarti, cercando di non scoppiare a ridere. «Ora puoi respirare.» ti dice e tu sei ancora troppo frastornato per poter articolare una frase diversa da un semplice: «Ma che diavolo…»
«Sono le Orange Wave(4) . Le nostre supporter.»
E non le avevi mai incontrate durante le altre tue visite. Per fortuna. Però sono davvero carine – e poco vestite – e così assumi un’espressione sorniona delle tue quando dici «Però, vi trattate bene. E tu vorresti farmi credere che non hai mai fatto nulla nemmeno con una di loro?»
Vederlo imbarazzato, con quell’espressione sgomenta, ti piace terribilmente.
«Genzo! Assolutamente no! Potrebbero essere le mie sorelle!» nega con foga, ma tu sai essere perfido.
«Devo crederti?» insinui e lui afferra minacciosamente il bastone per tirartelo in testa.
«Genzo!»
Quando arrossisce ti sembra che il tempo si riavvolga piacevolmente su sé stesso.

*
È bello come il profumo del mare riesca a raggiungervi ovunque siate. Anche mentre state camminando verso casa di Yuzo che è un po’ più all’interno della città, ma l’odore tipico di salsedine è una compagnia così piacevole che non ti dispiace affatto di avvertirlo nell’aria. Avete parcheggiato una traversina più lontano dalla villetta che fino a qualche mese prima Yuzo divideva con Takeshi Kishida. Ma Kishida è stato ceduto al Galatasaray, grande occasione per il difensore, ed ora c’è solo il portiere in quella casa che è forse troppo grande per lui, ma che quando lo vai a trovare diventa improvvisamente perfetta.
«Come te la cavi da solo?» domandi, tenendo il borsone sulla spalla e le mani nelle tasche.
Lui non si volta a guardarti, ma rivolge uno sbuffo di sorriso al cemento sotto i vostri piedi.
«Bene. Però un po’ mi manca Takeshi, abbiamo convissuto per anni. Non hai idea di che bellissima festa di addio gli abbiamo preparato ed anche tutti i tifosi lo hanno salutato con affetto.» il sorriso si allarga mentre si volta verso di te «L’abbiamo fatto commuovere.»
«E tu? Non hai mai pensato di lasciare il Giappone? Provare con qualche squadra estera…»
«Sono un maledetto sentimentale, lo sai.» ammette e, differentemente da come faresti tu, non prende la cosa come fosse un limite «Mi affeziono subito ai luoghi, alle persone. E qui sto veramente bene, a mio agio. A casa. Quindi, no. Non ho mai pensato di esplorare ‘l’altrove’
Tu assumi un piglio fintamente severo mentre richiudete il cancelletto alle vostre spalle e salite gli scalini, con Yuzo che sfoglia il mazzo alla ricerca della chiave giusta.
«Quando parli così, a volte mi sembra di non averti mai insegnato abbastanza.» perché avresti sempre voluto che fosse più ambizioso di quello che realmente è «Sembri una vecchia nonnetta, tanto il bastone ce l’hai già.» sghignazzi, anche se sei consapevole che, se fosse stato diverso, non sarebbe più stato lo Yuzo a cui sei così legato.
Ed è proprio in quel momento che arrivano le parole che non ti saresti mai aspettato.
«Oh, Genzo, andiamo. Sono cresciuto ormai, non ho più bisogno che tu mi faccia da balia e la predica, eh.» e anche se te l’ha detto con un tono scherzoso, sei rimasto come impietrito da quella frase. Come se ti avessero scaricato addosso un secchio di acqua gelida. E resti immobile sulla porta, mentre Yuzo ti volta le spalle entrando nell’abitazione.
Ed improvvisamente senti l’aria mancarti dai polmoni e la sensazione di ‘casa’ che hai provato fino a quel momento dissolversi come nebbia al sorgere del sole, mentre finalmente comprendi quel fantomatico motivo dietro ogni tua sensazione sgradevole, dietro ogni tua fuga da Amburgo. Comprendi il motivo per il quale cercavi rifugio a Shimizu e non altrove. Comprendi ogni cosa e ti senti come schiacciare.
Ti ha appena detto che non ha più bisogno di te.
Ed è questo il perché al quale non sapevi risponderti.
Anche ad Amburgo non hanno più bisogno di te, vero Genzo? Altrimenti il mister non ti terrebbe in panchina solo per una questione di orgoglio.
E quella città non è più casa tua perché non ha più bisogno di te.
E se né Yuzo, né ad Amburgo hanno più bisogno di te… che farai? Dove potrai nuovamente sentirti a casa?
«Genzo, va tutto bene?» ti ha appena rivolto la parola, leggermente preoccupato mentre tu continui a restare inchiodato su quella dannata soglia senza avanzare.
“No, non va bene.” sarebbe così facile da dire, perché non lo fai? Perché ti ostini a trincerarti dietro quella specie di muro che hai lentamente eretto ogni volta che accantonavi i problemi?
Questa è la tua unica possibilità ora che sai, ora che hai capito, cosa stai aspettando? Ammettilo che tutto questo non è sopportabile, che hai bisogno di sentirti importante per qualcuno.
Ammettilo, Genzo!
Non senti né il rumore del borsone che tocca terra, né tantomeno quello del bastone che Yuzo ha lasciato cadere dopo che l’hai costretto contro il muro. Tutto ciò che le tue orecchie riescono a percepire sono il tuo stesso respiro pesante e quell’eco lontana della tua stessa voce che mormora «Sei davvero sicuro di non aver più bisogno di me?» ed anche se il tono è roco e profondo, si può percepire la consistenza sottile della supplica che nasconde.
Lui ti osserva spaesato per un attimo, probabilmente colto di sorpresa, poi il suo viso si distende e ti sembra di nuovo, con più forza, di tornare indietro nel tempo, quando Yuzo ti guardava con adorazione ed ammirazione, quando lo vedevi pendere dalle tue labbra per ogni consiglio che gli davi e sentivi di essere la cosa più importante del suo mondo. Adesso, ti accorgi che ti sta guardando nello stesso, identico modo di quando eravate bambini e poi ragazzi ed ora che siete uomini riesci a vedere che c’è molto di più nei suoi occhi di cui non ti sei mai accorto. E le sue labbra si distendono in un modo che ti fa girare la testa ed è a suo agio tra le tue braccia, tanto che capisci improvvisamente perché lui ‘sta bene così e non ha bisogno’ di cercarsi una ragazza. Capisci di non aver mai capito niente, perché in fondo neanche tu gli hai mai chiesto nulla e lui non ti ha mai davvero parlato di sé. Ti sei sempre fatto ingannare da tutte le sue parole, mentre in realtà pensavi ad altro, e non ti accorgevi di come condividesse solo la superficie del suo cuore. Un po’ come facevi tu. E all’improvviso ti senti egoista per aver sfruttato questo vostro ‘non dire’ senza renderti conto di quello che davvero c’era dietro quel rincorrersi di fiori, bar e tavolini arancioni, dietro quella sensazione di ‘casa’ in cui ti sentivi coccolato e tranquillo. Ti senti egoista per non aver mai chiesto, ti senti egoista per non aver mai parlato.
Poi, la sua mano che si appoggia sul tuo petto sembra sciogliere di colpo il freddo che aveva di nuovo attanagliato il tuo cuore e le sue parole ti accarezzano le labbra.
«Ma io avrò sempre bisogno di te, Genzo.»
Ed avvertire le sue dita che risalgono dietro la nuca a sfiorare la base dei tuoi capelli sempre arruffati senza il solito cappellino, avvertire il suo braccio che ti avvolge la schiena e le sue labbra che baciano le tue fa sentire a tuo agio anche te. E mentre lo stringi a tua volta, mentre avverti il cotone dei suoi braccialetti carezzarti la pelle, mentre la tua bocca divora la sua, senti che stai ridendo e che sta ridendo anche lui e che hai voglia di parlare di tutto quello che non vi siete mai detti e che Amburgo ti manca e che vuoi dimostrare a tutti i costi che ha ancora bisogno di te e tu di lei e che hai sempre desiderato baciarlo in questo modo e sentirlo in questo modo e che ora hai addirittura due luoghi da chiamare ‘casa’: uno che è la tua città e aspetta paziente il tuo ritorno, dall’altra parte dell’Oceano, e l’altro che è proprio lì, che sta ridendo con te senza smettere di baciarti, che non importa quanto sarete lontani, lui sarà sempre ‘casa’ per te.
E forse, a modo tuo, tutte queste cose gliele stai dicendo davvero mentre mordi leggermente le sue labbra, mentre senti la sua schiena sotto le dita, coperta dalla t-shirt, e senti le sue mani che ti accarezzano il viso, i capelli e ti riservi di rimandare le spiegazioni a più tardi, con calma, quando sarete più lucidi.
Adesso vuoi solo goderti il calore delle sue braccia. Il calore delle risposte che hai sempre cercato. Il calore di casa.

I think I've walked too close to love
And now I'm falling in
There’s so many things this weary soul can't take
Maybe you just caught me by surprise
The first time that I looked into your eyes

There's a life inside of me
That I can feel again
It's the only thing that takes me
Where I've never been
I don't care if I lost everything that I have known
It don't matter where I lay my head tonight
Your arms feel like home
Feel like home

This life ain’t the fairy tale we both thought it would be
But I can see your smiling face as it's staring back at me
I know we both see these changes now
I know we both understand somehow

There's a life inside of me
That I can feel again
It's the only thing that takes me
Where I've never been
I don't care if I lost everything that I have known
It don't matter where I lay my head tonight
Your arms feel like home
They feel like home
(hold on, you're home to me)

There's a life inside of me
That I can feel again
It's the only thing that takes me
Where I've never been
I don't care if I lost everything that I have known
It don't matter where I lay my head tonight
Your arms feel like home
They feel like home

3 Doors DownYour arms feel like home

Fine

 


(1)Fiori di Cosmo: non sapevo nemmeno che esistessero. Giuro. O_O Cioè, non sapevo fosse il loro nome, poi ho dato un’occhiata alla città di Shizuoka e il quartiere di Shimizu per vedere che fauna avessero e… hoplà! Fiori di Cosmo belli e serviti. E che culo trovarli anche arancioni! XD

(2)Nihondaira: è lo stadio di ‘casa’ della Shimizu S-Pulse, situato a Shizuoka City (ex-Shimizu City, che ora è Shimizu-ku, cioè un quartiere di Shizuoka City. XD sì, i giappi sono complessi e giocano a nomi-cose-città anche adesso, senza far trovare loro un po’ di pace. Perché io continuo a chiamarla Shimizu City? X3 Pura praticità, quando sarò di genio, cambierò la dicitura, ma io sono culopesante! XD).

(3)S-Pulse Dream Plaza: è un centro commerciale dedicato esclusivamente alla Shimizu S-Pulse (*_* voglio andarci!)

(4)Orange Wave: gruppo di cheerleader della S-Pulse (XD ce l’hanno davvero! Non me lo sono inventata! LOL)

La Shimizu S-Pulse è davvero benvoluta dal pubblico che la segue con un tifo vivacissimo e colorato (e terribilmente casinista XD), e allo stadio vanno indistintamente giovani e famiglie (proprio come in Italia, che se non ti stai attento ci muori pure allo stadio, come no.). Posso amarli? *-*


…E poi bla bla bla…

Dopo aver conosciuto un po’ di storia della ShiSPu (X3 diminutivo affettuoso con cui la chiamo) ho pensato che, per una volta che fosse una, Takahashi aveva fatto la scelta giusta. *-* La ShiSPu è PERFETTA per Yuzo, non poteva trovare squadra migliore (ghgh anche se io penso che Takahashi sia pro-Jubilo XP) per il loro essere molto uniti un po’ come ‘una grande famiglia’, per essere nati dal nulla ed aver raggiunto livelli molto buoni per quanto non eccelsi, per l’affetto che riversano i tifosi. X3 sono dei tatini immani ed è una squadra davvero niente male. Ed io ormai ci sono affezionata, ecco T_T
In merito alla storia…
Boh! XD
Che vi devo dire?
Era da un bel po’ che avrei voluto scrivere una Genzo/Yuzo (sempre Santa Eos che mi ha fatto piacere questo pairing!*-*), ma non era questa la prima trama che avevo pensato e che avevo un po’ messo da parte perché, ariboh, non lo so XD Ero ispirata a scrivere altro.
Poi è arrivata la Rainbow Challenge di Fanworld e l’arancione sembrava proprio dire “SHIMIZU S-PULSE! ADESSO!” che potevo fare?! X3 (c’avevo pure i coretti da stadio nella testa… LocooooLocoLocoLocoLocoooo)
E’ stata difficile da scrivere perché non ho mai mosso Genzo per più di *mmm* tre/quattro battute?! XD E l’ultima volta che l’ho mosso un po’ di più, l’ho ucciso XD
Ed invece, ecco che spuntano le cose che NON AVREI MAI CREDUTO DI FARE: scrivere attraverso il POV di Genzo, e scrivere con la SECONDA PERSONA!!! \O/
E poi questa storia mi ha fatto scoprire i 3 Doors Down :3
Non è poi andata così male, no? X3
Via! Mi sento soddisfatta! X3

DISCLAIMER:


 - “Your arms feel like home” appartiene ai 3 Doors Down che ne detengono i diritti. Pace.

- I Personaggi di Captain Tsubasa appartengono a Yoichi Takahashi e alla Shueisha che ne detengono i diritti. Pace2.

- La Shimizu S-Pulse appartiene a TUTTA SHIMIZU-KU! And… WE BELIEVE, belli della Zia Mela! *O*V


Piccola noticina extra per ringraziare Berlinene che mi ha detto che ad Amburgo, almeno un po', l'odore del mare arriva anche se è parecchio distante dal Mare del Nord. *_* grazie mille, tessora per avermelo detto! *_*v

   
 
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