Questa
fic è stata scritta
per la “Rainbow
Challenge”
proposta da Fanworld.
Il prompt è il colore ‘Arancione’.
Feels like home
«Torno
in Giappone per
qualche giorno.»
È la tua parola d’ordine quando Amburgo comincia a
starti
troppo stretta, quando il suo freddo – anche col sole
– riesce a ghiacciarti le
ossa e quando sei stanco di vedere Kaltz che mastica lo stecchino senza
dire
nulla, ma si capisce lontano un miglio che sta pensando: “La finite di farvi la guerra?”.
E che
stia parlando di te ed il mister non ci vorrebbe la sfera di cristallo
per
capirlo.
Così, smozzichi quella frasetta come fosse una formula
magica ed è quasi divertente vedere come tutti sembrino
capire che stai andando
a casa quando, in realtà, a Nankatsu non ci metterai nemmeno
la punta della
scarpa.
Che poi tu ti senta più a casa lì
che non nella enorme villa in cui sei cresciuto, beh, dovrebbe
farti pensare che forse non è il ‘posto’
a fare ‘casa’
quanto chi ti sta
intorno. Ma al momento il tuo ultimo neurone rimasto sano ti sta
chiedendo
tregua e così lo accontenti, eclissandoti con gli altri
passeggeri all’interno
dell’aereo che ti porterà a Narita. In fondo, i
sentimentalismi non sono il tuo
pane quotidiano, ma non puoi non ripensarci di colpo quando, come tutte
le
volte che fai quella piccola fuga dalla Germania, te lo ritrovi ad
attenderti
all’aeroporto. Non se lo sogna nemmeno di farti prendere il
treno-taxi-quelchevuoi per farti arrivare fino a Shimizu City.
È una di quelle
abitudini che ha, che ti fa improvvisamente sentire nel posto giusto e
non sai
nemmeno perché; sai solo che sei uscito dal gate, lo hai
visto tra la gente in
attesa degli altri passeggeri sostenendosi a quel bastone che fa tanto
retrò –
senza farti venire un colpo secco perché te lo aveva
già detto ed eri preparato
– e ti sei sentito a casa. Niente di più, niente
di meno. E la guerra
silenziosa col mister ti sembra già una gran fesseria,
dopotutto.
«Ehi, Dottor House.» lo prendi in giro, abbassando
gli
occhiali da sole sul mento e lui sorride della tua battuta.
«Spero di non essere antipatico quanto lui.»
commenta prima
di abbracciarti. Storci un po’ il naso perché lo
fa con un solo braccio – visto
che l’altro è impegnato a reggere il bastone da
nonnetto – e ti sembra come se
quel saluto sia quasi incompleto, come se al vostro solito rituale
– che
consiste nel ritrovartelo tutto contro di te – manchi
qualcosa.
«Ma che diavolo hai combinato, Yuzo?» gli domandi
– come se
non lo sapessi già, come se non fossi andato a spulciare sui
canali di SkySport appena lui
ti ha detto di essersi fatto male durante una partita, vero?
– e lui si passa
una mano tra i corti capelli scuri, stringendosi nelle spalle.
«Ah, colpa
mia.» continua
a non perdere il vizio di addossarsi sempre le
responsabilità di ogni errore,
anche quando non c’entra. «Contrasto aereo con
Igawa degli Urawa Reds; io di
pugno e lui di testa. Sono stato un po’ avventato, lo
ammetto, e nel ricadere lui
mi è atterrato sul ginocchio. Un bel tuffo a volo
d’angelo.» ridacchia
divertito e tu scuoti il capo. Non sei troppo preoccupato di come
zoppica,
visto che riesce a scherzarci su.
«Per quanto ne avrai?»
«Qualche settimana di riposo e poi tornerò come
nuovo. Dai
che mi è andata bene.»
Stavolta a spettinargli i capelli sei tu, che lo superi di
un po’.«Ehi!
Non è che hai cercato di
fregarmi il titolo di ‘Acciaccato
DOC’,
vero? Ho la precedenza!»
La gomitata che ti molla allo stomaco non la senti nemmeno.
«Accidenti! Mi hai scoperto!» poi aumenta il passo
come può
– e come il ginocchio gli permette di fare –
sollecitando anche te. «Forza. Che
abbiamo ancora un po’ di strada prima di arrivare a
casa.»
*
Quando guida, Yuzo riesce a fare trecento cose diverse.
Parla con te, smanetta al cellulare, cambia la stazione
della radio, pesca chissà quali oggetti dal cassettino del
cruscotto e poi, forse,
si ricorda anche di guidare. Non ti sei mai chiesto come diavolo
faccia, ma ti
senti piuttosto tranquillo, visto che non vi siete ancora schiantati.
Resti ad
osservarlo con il gomito appoggiato sul finestrino aperto ed il viso
sul dorso
della mano. Il sorriso di piacevole divertimento sulle labbra e lui che
ti
sommerge di parole; ti racconta un po’ di questo, un
po’ di quello e non chiede
mai. E questo è uno dei tanti motivi per il quale, tra tutti
i tuoi amici –
Tsubasa compreso – , tu preferisca andare da lui e da nessun
altro: perché non
ti fa parlare di ciò che non vuoi, non ti fa domande, non
indaga. Nulla. Ma
aspetta. Aspetta che sia tu a decidere quando e se parlare dei tuoi
problemi,
del perché – anche nel mezzo del campionato
tedesco – molli la squadra per
andare fino lì, fino a Shimizu City, e passare due-tre
giorni di isolamento dai
tuoi doveri proprio con lui. E sa benissimo come ci sia qualcosa che
non vada
dietro ogni tua fuga, ne sei consapevole, perché i giornali
sportivi li legge e
figurati se la notizia dell’ennesima partita in panchina non
è arrivata fino
lì.
Eppure, nonostante tutto, ti senti perfettamente a tuo agio.
E poi ti piace la sua guida disinvolta – distratta sarebbe
più appropriato, però – , il suo modo
di mantenere sempre una mano sul cambio e
l’altra che direziona appena il volante, giusto con tre dita,
pollice, indice e
medio.
«Yuzo, vuoi guardare la strada?» gli domandi ad un
tratto,
con condiscendenza, interrompendo un momento il suo discorso,
perché guarda te
per tutto il tempo e sorridi quando tenta di difendersi dicendo che lui
la sta
guardando eccome la strada e che è solo azzoppato, mica
cieco. E sta’ buono, sei in vacanza!
E un po’ sei preoccupato per il suo ginocchio.
«Vuoi che
guidi io?» gli domandi, ma lui agita animatamente la mano.
«Ma no, ma no! Figurati! Sto benissimo. Fammi fare almeno
questo che mi sto annoiando a morte in questi giorni di riposo
forzato.» sorride,
sporgendosi leggermente verso di te «Adesso sì che
capisco cosa hai provato
quando avevi i polsi e la caviglia fuori uso. Voglia di fare
l’impossibile ed
invece costretto a non fare niente. Da diventare matti. Io devo stare a
riposo
solo per due settimane, ma sto già sclerando!»
«Non lamentarti.» lo ammonisci bonariamente
«E pensa
che puoi usare questo tempo per fare qualcosa di costruttivo.»
«Tipo?»
«Allenarti alla Playstation.»
Lui ride dandoti un pugno che tu pari nel palmo. «Che
scemo!»
Nel tempo in cui rimanete in silenzio, resti a fissare i
suoi movimenti con la coda dell’occhio.
E non ti sai ancora spiegare perché trovi estremamente sexy
l’improponibile quantità di braccialetti che porta
al polso sinistro. Quanti ne
saranno? Otto/nove? E sono anche di più
dell’ultima volta che lo hai visto.
Yuzo li chiama i ‘braccialetti
dell’amicizia’, semplici fili
intrecciati
di cotone colorato a cui tiene
tantissimo e saprebbe elencare uno per uno chi glieli ha regalati.
Quanto sei rimasto sorpreso quando hai scoperto che questi
particolari ammiratori erano dei bambini?
Tanto, ammettilo, perché nella tua testa avevi
già avanzato
le ipotesi più disparate e maliziose, ma dovevi capirlo che
non erano proprio
nello stile di Yuzo.
Osservi le dita stringersi energiche sul cambio e ingranare
la marcia, prima che comincino a tamburellare sulla superficie liscia
dello
stesso tenendo il ritmo della canzone che sta passando la radio, ed
anche il
piede che ha abbandonato la frizione riesce a stento a star fermo e
quando
risali a studiare il suo profilo vedi le sue labbra muoversi appena nel
mimare
le parole. Stavolta però la strada la sta guardando.
Sorridi.
Come cavolo fa a metterti di buon umore anche con quei gesti
banali non lo hai ancora capito, ma glissi su quel pensiero notando
come la sua
pelle abbia un bellissimo colorito dorato. In fondo è
Maggio, e Shimizu non è
Amburgo, e poi ha il mare, motivo più che valido per fare
una capatina sulla
spiaggia prima che la stagione estiva apra i battenti.
E, a proposito, la tavola placida, illuminata dai raggi del
sole in quel caldo pomeriggio, è la vostra compagnia
già da un po’ e ti è
familiare.
Ormai siete quasi arrivati.
*
Se si potesse catalogare ogni città attraverso un colore,
Shimizu sarebbe Arancione.
Predomina ovunque e a te, stranamente, piace. È un colore
rilassante, dopotutto, e poi è anche il colore degli S-Pulse
e l’intera città è
legata alla squadra di calcio da un affetto inscindibile e profondo.
Un affetto che ti dà – anche a te, che strano!
– la
sensazione di ‘casa’.
L’arancio delle tende da sole tese sui balconi,
l’arancio dei
teloni dei bar e caffetterie, l’arancio delle palazzine,
l’arancio dei fiori di
cosmo(1)
, l’arancio delle barche attraccate al porto. Ed
è un peccato che il sole
non tramonti nella baia, perché hai sempre pensato che
sarebbe stato uno
spettacolo fantastico.
Anche uno dei braccialetti di Yuzo è arancione e sembra
quasi che stia a significare: “Ehi!
Per
la miseria! Io appartengo a questa città!”
E che per Yuzo Shimizu sia ‘casa’
ben più di quanto lo sia Nankatsu te ne sei accorto fin
dalla prima volta che sei andato a trovarlo. Quando sarà
stato? Forse un paio di anni
fa. Ed era a suo agio mentre ti faceva vedere il Nihondaira(2)
e il centro
sportivo come se ci fosse nato e cresciuto, come se fosse esattamente
dove
avrebbe dovuto essere. Perché quello è il suo
posto e lui lo sa e in questi anni, in tutte le volte che sei tornato
qui, hai avuto sempre maggiori
conferme.
Perché ha acquisito una sicurezza di sé che prima
non aveva e che ora ti rende
orgoglioso di lui ancora un po’ di più.
Perché qui lui non è il rimpiazzo, ‘il
sostituto di…’, lui qui è il
titolare di diritto; perché l’hanno voluto in
quanto Yuzo Morisaki, perché
hanno riconosciuto quelle capacità che avevi sempre visto
anche tu. Lui qui non
si sente un ‘secondo’.
Lo vedi da
come parla, da come gesticola, da come ride. Ti ricordi che prima quasi
non lo
sentivi mentre rideva? Tratteneva la risata tra le labbra, a cavallo di
un
sorriso, ed ora gli vedi snudare i denti bianchissimi e perfetti in una
risata
aperta e contagiosa, solare, di cuore. E il tuo, di cuore, è
diventato un po’
più tiepido, mentre il gelo che avevi da quando sei partito
ha cominciato a
sbrinare fin dal tuo arrivo a Narita.
Eppure, a vedere lui e a pensare a te, le solite domande
tornano a farsi sentire.
Il tuo posto qual è, Genzo?
Amburgo, certo.
E perché scappi alla prima occasione buona?
Eh, non lo sai. Ma ricordi quando Amburgo era davvero il tuo
posto? Quello che sentivi solo tuo e
dal quale non te ne saresti andato nemmeno sotto tortura?
Perché prima non avevi bisogno di scappare.
Perché prima era
tutto come doveva essere.
Ed ora com’è, Genzo?
Al solito, non ti dai una risposta, ma smuovi il cappellino
e ti concentri sul ‘tac’
che produce
il bastone sul cemento del molo che sorge all’esterno dello S-Pulse
Dream Plaza(3) diretti ad uno dei
bar che si affaccia sulla baia e dove, secondo il vostro solito
rituale, vi
fermate sempre a bere qualcosa. E visto che l’aria
è bella e che il profumo del
mare, lì, sembra come diverso da quello che arriva ad Amburgo, vi sedete ad uno dei tavolini
all’aperto.
L’Orange Rainbow
è
il bar in cui Yuzo e gli altri della squadra vanno sempre – sono
di casa. Questa parola comincia a
perseguitarti, ormai – e piace anche te, perché la
gente è di una cortesia
squisita e perché ti danno proprio quella sensazione di
accoglienza calorosa.
Il tempo che Yuzo appoggi il bastone ad una delle sedie
vuote ed arriva subito la cameriera. Te la ricordi perché
è sempre la stessa –
ed è anche la titolare del bar – e la prima volta
che sei andato lì ti ha
costretto a farti una foto insieme a lei da appendere sulla parete
principale
del locale, tappezzata da centinaia di altre fotografie.
«Yuzo, tesoro!» la senti cinguettare raggiungendovi
in
rapidi passi «Come stai, bambino?».
È una donna sulla cinquantina e, per lei, tutti i giocatori
dello S-Pulse sono dei ‘bambini’.
«Abbastanza bene, Mya.» lo vedi sorridere, mentre
lei si
porta teatralmente una mano al petto.
«Quando ho visto quel bestione che ti rovinava addosso, ti
giuro, mi è preso un colpo.»
«No, ma davvero. Non preoccuparti, non è successo
nulla di
grave.»
- Per fortuna. -
aggiungeresti tu, che gli poteva andare terribilmente peggio, ma taci
quando la
donna si volta proprio verso di te.
«Oh! Ma è venuto a trovarti il tuo amico Genzo!
Ciao
bambino, come stai?» sì, anche tu sei un ‘bambino’
per lei e sembra davvero contenta di vederti e la cosa che forse trovi
assurdamente più bella è che ti chiama per nome,
quando solitamente tutti ti
chiamano SGGK o 'Wakabayashi'. Anche questo ti fa sentire a casa.
«Bene, signora.»
«Oh, ma chiamami solo Mya, caro. Cosa vi porto?» ma
non vi
dà nemmeno il tempo di rispondere che già lo sa
«Un’arancia rossa ed un caffè
lungo?» annuite entrambi e, mentre si allontana, pensi che
quella donna abbia
una memoria elefantina perché vai in quel bar sì
e no una, massimo due volte
all’anno e, nonostante tutto, si ricorda esattamente cosa
prendi. Come se fossi
un cliente abituale, ormai. Come se anche tu fossi
di casa.
Ti volti nuovamente ad osservare Yuzo e gli vedi
stiracchiare le braccia e distendere le gambe, ma come allunga quella
infortunata fa una smorfia di dolore rapidissima che riesci comunque a
cogliere, tanto ormai ci sei abituato per tutte le volte che ti sei
infortunato
tu.
«Fa male?»
Lui si sente colto di sorpresa per un attimo, poi sorride e
scuote il capo «No, figurati.»
«Yuzo.» il tuo tono sembra quello di un fratello
maggiore e
lui aggiusta il tiro.
«Solo un po’.» ammette e cambia posizione
sulla sedia,
mettendosi un po’ di traverso per stare il più
comodo possibile. E poi riprende
a parlare e mentre ti racconta di come stanno tutti gli altri, il tuo
sguardo
cade proprio su quelle gambe lunghe ed il loro dondolare ti cattura
completamente e pensi che il modo in cui il tessuto dei pantaloni
larghi le sta
fasciando sia quantomeno perfetto ed esasperante perché non
ne segue le linee
in maniera netta, ma le accenna e poi le nasconde e riesci a solo a
notare come
il ginocchio sinistro sia più voluminoso del destro,
probabilmente perché
avvolto dal tutore.
A proposito, neanche di
questo gli hai mai parlato. D’altronde, lui non ti
ha mai chiesto nulla;
come sempre aspetta che sia tu a farlo. Ma tu continui a non parlare
mai di te,
di quello che pensi, di quello che senti, in maniera quasi ostinata. E
i
problemi, le cose da dire continuano ad accumularsi, Genzo, e non
scompaiono
semplicemente accantonandole da un lato.
E Yuzo continua a riempire i tuoi silenzi senza farteli
pesare, mentre puoi continuare a nasconderti dietro la sua voce che
lentamente
ti fa riemergere e prima che si renda conto che tu non hai realmente
sentito
ciò che ti stava dicendo perché troppo impegnato
a guardargli le gambe e a
desiderare di farvi scivolare sopra una mano, capti l’ultima
frase con una gran
fortuna, proprio mentre la signora Mya vi porta le vostre ordinazioni e
si
allontana nuovamente, strizzandovi l’occhio con
complicità.
«Sì, ma qui si accasa anche Hajime, e
tu?» gli domandi, ma
non sprecarti ad ammettere che il solo sentirti pronunciare una cosa
simile ti
è odioso perché stai valutando
l’ipotesi che, effettivamente, Yuzo possa trovarsi
una ragazza e mettere su famiglia. Significherebbe perderlo per sempre
e
perdere quell’idea di casa che stai disperatamente cercando e
che sei riuscito
a trovare solo lì, solo a Shimizu City, solo con lui.
Yuzo ride, di nuovo quella sua risata libera e sincera, e ti
uccide. Ti inchioda sulla sedia, ti mette i brividi perché
è bella, bella da
morire.
«Io?!» fa eco, prima di scuotere il capo e bere un
sorso di
quel succo d’arancia che ha ordinato e che deve essere
gelido; i cubetti si
muovono lentamente. «Vuoi la verità?» ti
domanda appoggiando il bicchiere sul
tavolo, con un tintinnio. Non rispondi, perché è
una domanda retorica che non
ha bisogno di un ‘sì’
o un ‘no’.
«Onestamente, sto bene così e non ne
ho bisogno.»
Onestamente, vorresti baciarlo anche subito, proprio lì.
Giusto per fargli capire quanto tu sia d’accordo con lui. Ma,
onestamente, non
lo fai, solo perché poi dovresti dare una sequela di
spiegazioni e tu detesti
giustificarti. Sei scappato da Amburgo proprio per quello,
perché non hai
voglia di parlare di quello che ti passa per la testa, vuoi solo
sentirti al
riparo per qualche giorno e lucidare la scorza dura del SGGK, prima di
ritornare a casa. Anche se casa non è. O forse lo
è ancora, ma non come prima.
O forse devi solo ritrovare il motivo per cui Amburgo era casa tua.
Perché,
forse, è proprio questo che hai perduto: il motivo, il
perché. Ma ti sembra di
giocare ad un quiz a premi, mentre rincorri i tuoi pensieri, e tu non
li hai mai
potuti soffrire. Così, cerchi un ennesimo modo per distrarti
e stavolta la Provvidenza
ci mette lo zampino.
Una gran confusione, un vociare querulo e forte e
scoordinato e tuttoinsiememanchedipiù si avvicina a voi di
gran carriera,
entrando nell’area del bar e disperdendosi tra i tavoli. Per
un attimo hai
l’impressione che un mare color arancione ti stia per
travolgere. Beh, a
guardare bene… decisamente un bel
mare color arancione. Saranno una quindicina, e dalla gonnellina
rasoculo ed i
pon-pon colorati pensi che siano delle cheerleader, ma non ne hai mai
viste
tante tutte insieme. E stanno facendo un fracasso considerevole.
Cantano inni,
alzano gambe all’aria facendo sollevare le gonne
già cortissime e non hai
nemmeno più bisogno di immaginare di che colore abbiano la
biancheria perché
tanto te la stanno appena facendo vedere, qualcuna lancia un pon-pon e
poi lo
riprende per mostrare ad una compagna la giusta mossa da fare. E
attirata da
quel frastuono indescrivibile, esce anche Mya con le mani ai fianchi ed
il piglio autoritario.
«Bambine, ma insomma la volete finire?! Vi sentono in tutta
Shimizu!»
«Zia My’-san!» squittiscono in coro e
vedi la donna ruotare
gli occhi al cielo con rassegnazione prima di – oh, cazzo!
– indicare proprio
voi ed aggiungere.
«Avanti un po’ di decoro, signorine, non vedete che
state
disturbando Yuzo e il suo amico Genzo?!»
In quel preciso istante osservi quindici teste castane
girarsi contemporaneamente verso di voi e Yuzo che impallidisce per un
secondo
prima che, alla velocità del vento, ti dica con
serietà e senza farsi sentire
da nessun altro tranne te «Ok, calma e sangue freddo. Non
avere paura, sono
innocue, va bene?» e prima che tu possa anche solo
comprendere il reale
significato di quella frase senti uno squittire ancora più
forte e sempre
sincronizzato.
«C’è Morisaki-saaaaaaan!»
E lì, capisci che la paura ce l’hai eccome.
Soprattutto
quando la marea arancione si muove saltellante verso di voi. Tutta. E
in un
attimo vi ritrovate accerchiati da un gruppo di ragazze che parlano
tutte
insieme, ridacchiano tutte insieme, squittiscono tutte insieme. Ad una
scena
simile avevi assistito solo una volta, molto prima che Karl Heinz
passasse al
Bayern, quando tu e lui vi eravate trovati isolati dal resto della
squadra alla
fine di una partita – che modestamente avevate vinto
– e avevate corso come
disperati per sfuggire all’orda incontenibile delle fan. Ed
anche adesso ti
saresti aspettato di dover agguantare Yuzo – che non
può correre -, caricartelo
in spalla e scappare a gambe levate ed invece… Yuzo sta
amabilmente conversando
con loro che, sì, sono rumorose, querule e tutto quello che
vuoi, ma, ehi!,
sono davvero innocue. Le vedi attente a quello che lui dice, ti
lanciano occhiatine incuriosite ed imbarazzate e non
cercano di
saltarti addosso costringendoti a divenire per forza il padre dei loro
figli.
Sì, forse puoi anche rilassarti.
«Morisaki-san come sta il suo ginocchio?!»
«E quando torna a giocare?!»
Gli danno… del lei?! Alcune potrebbero essere vostre
coetanee, eppure si rivolgono a Yuzo dandogli del lei. Pensi che cose
come
queste possano avvenire solo in Giappone.
«Va molto meglio, grazie ragazze. Dovrei rientrare tra una
settimana.» spiega con cortesia e loro sembrano entusiaste.
«Evviva!»
«Ma Tsuyoshi mi sta sostituendo molto bene.» si
affretta ad
aggiungere Yuzo. La ragazza che è inginocchiata, appoggiata
al bracciolo della
sua sedia, dondola un po’ la testa.
«Sì, è vero. Però
Morisaki-san è Morisaki-san.»
«E vedrà che bel rientro le abbiamo
preparato!» afferma
entusiasta una giovane in piedi, ma subito quella accanto le molla una
gomitata.
«Sachiko! Doveva essere una sorpresa!» la ammonisce.
«Oh!» si copre la bocca allarmata
«Scusate.»
«Cretina.»
E Yuzo sorride dicendo loro che non devono preoccuparsi e
che sono state davvero gentili. Quella che era inginocchiata si alza e
fa un
inchino, venendo imitata anche dalle sue compagne.
«Scusateci se vi abbiamo disturbato, Morisaki-san,
Wakabayashi-san. Buona serata.» e fanno per allontanarsi,
quando una si attarda
ed ha il viso rosso acceso, continua a mantenere uno sguardo basso e
non smette
di torturarsi le mani.
«Morisaki-san, senta… non è che mi
saluterebbe Satou-san,
appena lo vede?»
«Ma certo, Nina.» l’altra squittisce al
colmo della
felicità, saltellando come un grillo.
«Ah! Grazie, Morisaki-san! Lei è sempre
così carino!» e
raggiunge subito le sue compagne.
Yuzo aspetta che sia abbastanza lontana prima di tornare a
guardarti, cercando di non scoppiare a ridere. «Ora puoi
respirare.» ti dice e
tu sei ancora troppo frastornato per poter articolare una frase diversa
da un semplice:
«Ma che diavolo…»
«Sono le Orange Wave(4)
.
Le nostre supporter.»
E non le avevi mai incontrate durante le altre tue visite.
Per fortuna. Però sono davvero carine – e poco
vestite – e così assumi
un’espressione sorniona delle tue quando dici
«Però, vi trattate bene. E tu
vorresti farmi credere che non hai mai fatto nulla nemmeno con una di
loro?»
Vederlo imbarazzato, con quell’espressione sgomenta, ti
piace terribilmente.
«Genzo! Assolutamente no! Potrebbero essere le mie
sorelle!»
nega con foga, ma tu sai essere perfido.
«Devo crederti?» insinui e lui afferra
minacciosamente il
bastone per tirartelo in testa.
«Genzo!»
Quando arrossisce ti sembra che il tempo si riavvolga
piacevolmente su sé stesso.
*
È bello come il profumo del mare riesca a raggiungervi
ovunque siate. Anche mentre state camminando verso casa di Yuzo che
è un po’
più all’interno della città, ma
l’odore tipico di salsedine è una compagnia
così piacevole che non ti dispiace affatto di avvertirlo
nell’aria. Avete
parcheggiato una traversina più lontano dalla villetta che
fino a qualche mese
prima Yuzo divideva con Takeshi Kishida. Ma Kishida è stato
ceduto al Galatasaray, grande
occasione per il
difensore, ed ora c’è solo il portiere in quella
casa che è forse troppo grande
per lui, ma che quando lo vai a trovare diventa improvvisamente
perfetta.
«Come te la cavi da solo?» domandi, tenendo il
borsone sulla
spalla e le mani nelle tasche.
Lui non si volta a guardarti, ma rivolge uno sbuffo di
sorriso al cemento sotto i vostri piedi.
«Bene. Però un po’ mi manca Takeshi,
abbiamo convissuto per
anni. Non hai idea di che bellissima festa di addio gli abbiamo
preparato ed
anche tutti i tifosi lo hanno salutato con affetto.» il
sorriso si allarga mentre
si volta verso di te «L’abbiamo fatto
commuovere.»
«E tu? Non hai mai pensato di lasciare il Giappone? Provare
con
qualche squadra estera…»
«Sono un maledetto sentimentale, lo sai.» ammette
e,
differentemente
da come faresti tu, non prende la cosa come fosse un limite
«Mi affeziono
subito ai luoghi, alle persone. E qui sto veramente bene, a mio agio. A
casa. Quindi,
no. Non ho mai pensato di esplorare ‘l’altrove’.»
Tu assumi un piglio fintamente severo mentre richiudete il
cancelletto alle vostre spalle e salite gli scalini, con Yuzo che
sfoglia il
mazzo alla ricerca della chiave giusta.
«Quando parli così, a volte mi sembra di non
averti mai
insegnato abbastanza.» perché avresti sempre
voluto che fosse più ambizioso di
quello che realmente è «Sembri una vecchia
nonnetta, tanto il bastone ce l’hai
già.» sghignazzi, anche se sei consapevole che, se
fosse stato diverso, non
sarebbe più stato lo Yuzo a cui sei così legato.
Ed è proprio in quel momento che arrivano le parole che non
ti saresti mai aspettato.
«Oh, Genzo, andiamo. Sono cresciuto ormai, non ho
più
bisogno che tu mi faccia da balia e la predica, eh.» e anche
se te l’ha detto
con un tono scherzoso, sei rimasto come impietrito da quella frase.
Come se ti
avessero scaricato addosso un secchio di acqua gelida. E resti immobile
sulla
porta, mentre Yuzo ti volta le spalle entrando
nell’abitazione.
Ed improvvisamente senti l’aria mancarti dai polmoni e la
sensazione di ‘casa’
che hai provato
fino a quel momento dissolversi come nebbia al sorgere del sole, mentre
finalmente comprendi quel fantomatico motivo dietro ogni tua sensazione
sgradevole, dietro ogni tua fuga da Amburgo. Comprendi il motivo per il
quale
cercavi rifugio a Shimizu e non altrove. Comprendi ogni cosa e ti senti
come
schiacciare.
Ti ha appena detto che non ha più bisogno di te.
Ed è questo il perché
al quale non sapevi risponderti.
Anche ad Amburgo non hanno più bisogno di te, vero Genzo?
Altrimenti
il mister non ti terrebbe in panchina solo per una questione di
orgoglio.
E quella città non è più casa tua
perché non ha più bisogno
di te.
E se né Yuzo, né ad Amburgo hanno più
bisogno di te… che
farai? Dove potrai nuovamente sentirti a casa?
«Genzo, va tutto bene?» ti ha appena rivolto la
parola,
leggermente preoccupato mentre tu continui a restare inchiodato su
quella
dannata soglia senza avanzare.
“No, non va bene.”
sarebbe così facile da dire, perché non lo fai?
Perché ti ostini a trincerarti
dietro quella specie di muro che hai lentamente eretto ogni volta che
accantonavi i problemi?
Questa è la tua unica possibilità ora che sai,
ora che hai
capito, cosa stai aspettando? Ammettilo che tutto questo non
è sopportabile,
che hai bisogno di sentirti importante per qualcuno.
Ammettilo, Genzo!
Non senti né il rumore del borsone che tocca terra,
né tantomeno
quello del bastone che Yuzo ha lasciato cadere dopo che l’hai
costretto contro
il muro. Tutto ciò che le tue orecchie riescono a percepire
sono il tuo stesso
respiro pesante e quell’eco lontana della tua stessa voce che
mormora «Sei
davvero sicuro di non aver più bisogno di me?» ed
anche se il tono è roco e
profondo, si può percepire la consistenza sottile della
supplica che nasconde.
Lui ti osserva spaesato per un attimo, probabilmente colto
di sorpresa, poi il suo viso si distende e ti sembra di nuovo, con
più forza,
di tornare indietro nel tempo, quando Yuzo ti guardava con adorazione
ed
ammirazione, quando lo vedevi pendere dalle tue labbra per ogni
consiglio che
gli davi e sentivi di essere la cosa più importante del suo
mondo. Adesso, ti
accorgi che ti sta guardando nello stesso, identico modo di quando
eravate
bambini e poi ragazzi ed ora che siete uomini riesci a vedere che
c’è molto di
più nei suoi occhi di cui non ti sei mai accorto. E le sue
labbra si distendono
in un modo che ti fa girare la testa ed è a suo agio tra le
tue braccia, tanto
che capisci improvvisamente perché lui ‘sta
bene così e non ha bisogno’ di cercarsi
una ragazza. Capisci di non aver
mai capito niente, perché in fondo neanche tu gli hai mai
chiesto nulla e lui
non ti ha mai davvero parlato di sé. Ti sei sempre fatto
ingannare da tutte le
sue parole, mentre in realtà pensavi ad altro, e non ti
accorgevi di come
condividesse solo la superficie del suo cuore. Un po’ come
facevi tu. E all’improvviso
ti senti egoista per aver sfruttato questo vostro ‘non
dire’ senza renderti conto di quello che davvero
c’era dietro
quel rincorrersi di fiori, bar e tavolini arancioni, dietro quella
sensazione
di ‘casa’ in
cui ti sentivi coccolato
e tranquillo. Ti senti egoista per non aver mai chiesto, ti senti
egoista per
non aver mai parlato.
Poi, la sua mano che si appoggia sul tuo petto sembra
sciogliere di colpo il freddo che aveva di nuovo attanagliato il tuo
cuore e le
sue parole ti accarezzano le labbra.
«Ma io avrò sempre bisogno di te, Genzo.»
Ed avvertire le sue dita che risalgono dietro la nuca a
sfiorare la base dei tuoi capelli sempre arruffati senza il solito
cappellino,
avvertire il suo braccio che ti avvolge la schiena e le sue labbra che
baciano
le tue fa sentire a tuo agio anche te. E mentre lo stringi a tua volta,
mentre
avverti il cotone dei suoi braccialetti carezzarti la pelle, mentre la
tua
bocca divora la sua, senti che stai ridendo e che sta ridendo anche lui
e che
hai voglia di parlare di tutto quello che non vi siete mai detti e che
Amburgo
ti manca e che vuoi dimostrare a tutti i costi che ha ancora bisogno di
te e tu
di lei e che hai sempre desiderato baciarlo in questo modo e sentirlo
in questo
modo e che ora hai addirittura due luoghi da chiamare ‘casa’:
uno che è la tua città e aspetta paziente il tuo
ritorno,
dall’altra parte dell’Oceano, e l’altro
che è proprio lì, che sta ridendo con
te senza smettere di baciarti, che non importa quanto sarete lontani,
lui sarà
sempre ‘casa’
per te.
E forse, a modo tuo, tutte queste cose gliele stai dicendo
davvero mentre mordi leggermente le sue labbra, mentre senti la sua
schiena
sotto le dita, coperta dalla t-shirt, e senti le sue mani che ti
accarezzano il
viso, i capelli e ti riservi di rimandare le spiegazioni a
più
tardi, con calma, quando sarete più
lucidi.
Adesso vuoi solo goderti il calore delle sue braccia. Il calore
delle risposte che hai sempre cercato. Il calore di
casa.
I
think I've walked
too close to love
And now I'm falling in
There’s so many things this weary soul can't take
Maybe you just caught me by surprise
The first time that I looked into your eyes
There's a life inside of me
That I can feel again
It's the only thing that takes me
Where I've never been
I don't care if I lost everything that I have known
It don't matter where I lay my head tonight
Your arms feel like home
Feel like home
This life ain’t the fairy tale we both thought it would be
But I can see your smiling face as it's staring back at me
I know we both see these changes now
I know we both understand somehow
There's a life inside of me
That I can feel again
It's the only thing that takes me
Where I've never been
I don't care if I lost everything that I have known
It don't matter where I lay my head tonight
Your arms feel like home
They feel like home
(hold on, you're home to me)
There's a life inside of me
That I can feel again
It's the only thing that takes me
Where I've never been
I don't care if I lost everything that I have known
It don't matter where I lay my head tonight
Your arms feel like home
They feel like home
3 Doors Down – Your arms feel like home
Fine
(1)Fiori di Cosmo: non sapevo nemmeno che esistessero. Giuro. O_O Cioè, non sapevo fosse il loro nome, poi ho dato un’occhiata alla città di Shizuoka e il quartiere di Shimizu per vedere che fauna avessero e… hoplà! Fiori di Cosmo belli e serviti. E che culo trovarli anche arancioni! XD
(2)Nihondaira: è lo stadio di ‘casa’ della Shimizu S-Pulse, situato a Shizuoka City (ex-Shimizu City, che ora è Shimizu-ku, cioè un quartiere di Shizuoka City. XD sì, i giappi sono complessi e giocano a nomi-cose-città anche adesso, senza far trovare loro un po’ di pace. Perché io continuo a chiamarla Shimizu City? X3 Pura praticità, quando sarò di genio, cambierò la dicitura, ma io sono culopesante! XD).
(3)S-Pulse Dream Plaza: è un centro commerciale dedicato esclusivamente alla Shimizu S-Pulse (*_* voglio andarci!)
(4)Orange
Wave:
gruppo di cheerleader della S-Pulse (XD ce l’hanno davvero!
Non me lo sono
inventata! LOL)
La
Shimizu S-Pulse è
davvero benvoluta dal pubblico che la segue con un tifo vivacissimo e
colorato
(e terribilmente casinista XD), e allo stadio vanno indistintamente
giovani e
famiglie (proprio come in Italia, che se non ti stai attento ci muori
pure allo
stadio, come no.). Posso amarli? *-*
…E poi bla bla bla…
Dopo
aver
conosciuto
un po’ di storia della ShiSPu
(X3
diminutivo affettuoso con cui la chiamo) ho pensato che, per una volta
che
fosse una, Takahashi aveva fatto la scelta giusta. *-* La ShiSPu
è PERFETTA per Yuzo,
non poteva trovare squadra migliore
(ghgh anche se io penso che Takahashi sia pro-Jubilo XP) per il loro
essere
molto uniti un po’ come ‘una grande
famiglia’, per essere nati dal nulla
ed aver raggiunto livelli molto buoni per
quanto non eccelsi, per l’affetto che riversano i tifosi. X3
sono dei tatini
immani ed è una squadra davvero niente male. Ed io ormai ci
sono affezionata,
ecco T_T
In merito alla storia…
Boh! XD
Che vi devo dire?
Era da un bel po’ che
avrei voluto scrivere una Genzo/Yuzo (sempre Santa Eos
che mi ha fatto
piacere questo pairing!*-*), ma non era questa la prima trama
che
avevo pensato e che avevo un po’ messo da parte
perché, ariboh, non lo so XD
Ero ispirata a scrivere altro.
Poi è arrivata la Rainbow Challenge
di Fanworld e l’arancione
sembrava proprio
dire “SHIMIZU S-PULSE!
ADESSO!” che
potevo fare?! X3 (c’avevo pure i coretti da stadio nella
testa…
LocooooLocoLocoLocoLocoooo)
E’ stata difficile da
scrivere perché non ho mai mosso Genzo per più di
*mmm* tre/quattro battute?!
XD E l’ultima volta che l’ho mosso un po’
di più, l’ho ucciso XD
Ed invece, ecco che
spuntano le cose che NON AVREI MAI CREDUTO DI FARE: scrivere attraverso
il POV
di Genzo, e scrivere con la SECONDA PERSONA!!! \O/
E poi questa storia mi
ha fatto scoprire i 3 Doors Down :3
Non è poi andata così
male, no? X3
Via! Mi sento
soddisfatta! X3
- “Your arms feel
like home” appartiene ai
3 Doors Down che ne detengono i
diritti. Pace.
-
I
Personaggi di Captain Tsubasa
appartengono
a Yoichi Takahashi e
alla Shueisha
che ne detengono i
diritti. Pace2.
- La Shimizu
S-Pulse appartiene a TUTTA
SHIMIZU-KU! And… WE
BELIEVE, belli
della Zia Mela! *O*V
Piccola noticina extra per ringraziare Berlinene che mi ha detto che ad Amburgo, almeno un po', l'odore del mare arriva anche se è parecchio distante dal Mare del Nord. *_* grazie mille, tessora per avermelo detto! *_*v