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Autore: laMills04    26/02/2018    0 recensioni
Uno dei momenti che seguono l'arrivo di Emma Swan a Storybrooke che scatenano nella nostra Evil Queen sentimenti contrastanti e sinceri.
One shot molto sconclusionata. :)
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cora, Emma Swan, Graham/Cacciatore, Henry Mills, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Cara Madre, Anche oggi Henry è andato a scuola senza neanche rivolgermi la parola. Da quando è arrivata Emma Swan, la sua madre biologica che vagabonda per le strade con una stupida maggiolino gialla, ha occhi solo per lei. È successo circa una settimana fa, entrata nella mia vita come un tornado che ha mandato all'aria ogni mio progetto. Non si rende conto che sta lentamente strappandomi la mia unica ragione di vita. Anche Graham prova segretamente qualcosa per lei, e questo mi distrugge. Solo in parte. Per questo ho deciso di alleggerirlo del suo piccolo cuore. Sarebbe stato un intralcio sia per lui che per me. Madre, ho creato questo posto per poter finalmente avere un lieto fine. Storybrooke, una cittadina tranquilla e senza alcun forestiero o senzatetto, i cui abitanti sono totalmente ignari della mia identità. Questo doveva essere. Perchè se Henry scoprisse in qualche modo chi sono veramente, sarei persa per sempre in un oceano di oscurità, senza la piccola ma stabile roccia a cui ero abituata ad aggrapparmi da fin troppo tempo. Ti voglio bene, Madre. Ma forse queste sono solo le parole di una donna distrutta. Sempre tua, anche se non mi hai mai voluta, Regina.

  Una lacrima scese pigra sulla sua guancia, seguendo i tanto temuti lineamenti della strega e andando a schiantarsi contro la carta ruvida della lettera. Regina se ne era procurate tantissime da Archie, dicendo che servivano a Henry per scacciare i fantasmi del passato. Ma era lei che ne aveva bisogno, in qurl momento più che mai. Erano i suoi i fantasmi del passato. Alzò la punta della penna stilo dal foglio e la posò sul tavolino vetrato del suo studio. L'ufficio del sindaco. Lasciò il caldo divanetto nero su cui sedeva un attimo prima e raggiunse a grandi falcate il caminetto, punto focale della stanza, che emanava così tanto caldo da asciugare le guance bagnate di Regina. Piegò accuratamente il foglio e lo gettò nel fuoco senza pensarci due volte. Glielo aveva insegnato suo padre, così caro, così presente nella sua infanzia. Serviva molto per liberarsi di tutti i brutti pensieri che non volevi condividere con nessuno, diceva. Eppure aveva sprecato carta non per lui ma per Cora, una madre severa e glaciale che non le era stata accanto neanche ai primi passi da neonata. Era tutto così incoerente, nella vita di Regina. Tutto buio e solitario. Ma il sidaco smise di pensarci. Aveva decisamente tante altre cose da sbrigare, che se avesse lasciato per ultima nella lista la sua vita, non sarebbe stato un problema per nessuno. Prima di uscire e andare a prendere Henry- sì, era già mezzogiorno e mezza, dopotutto non era semplice come sembrava scrivere una lettera- si guardò attraverso uno dei tantissimi specchi appesi sul muro dalle fantasie nere e bianche. Vide proprio quel che si aspettava. Una bella donna, il rossetto a darle più colore alle labbra carnose, la pelle rosea e un sorriso tutt'altro che sincero. Nessuno si sarebbe preoccupato di provare a scorgere attraverso quella maschera impenetrabile. Nemmeno suo figlio.

 

Camminando sul marciapiedi diretta alla scuola elementare, Regina vide la maggiolino di Emma Swan. Quel fastidioso rottame parcheggiato vicino al bar da Grenny's. Okay. Questa è la prova che non ha nessuna intenzione di andarsene, pensò lei. Ovviamente trovò quella chioma bionda e quel chiodo rosso davanti alla scuola di Henry, in più senza nessun diritto. Le toccò appena la spalla, giusto per farle sapere che era lì. “Mi scusi, signorina Swan, ma perchè è qui?” disse cercando di non sottolineare l'ovvio. “Oggi Henry mangia con me.” si girò completamente verso di lei, squadrandola con quell'aria sospetta. “Ah. Certo. E chi l'ha deciso? Nessuno mi ha detto niente, e lei non ha alcun diritto di farlo senza la mia approvazione.” “L'ha deciso lui. E poi è figlio suo quanto mio, se non di più.” “certo. E se non erro lei l'ha anche consegnato ai servizi sociali appena è nato. Se n'è dimenticata? Non si può distruggere così una famiglia, signorina Swan, strappando un figlio adottato a sua madre. Lei dovrebbe saperlo benissimo, in quanto sceriffo.” Regina le sbattè tutto in faccia- in malo modo, ma sinceramente- perchè non riusciva più a non farglielo sapere, visto che non se ne rendeva conto da sè. Swan non riuscì a ribattere che il suono della campanella raggiunse il cortile, seguito dalle urla strepitanti di bambini felici per la fine della scuola e l'inizio del weekend. Henry, quella testolina di capelli scuri e quello zaino più grande di lui, si stacco dal gruppo e corse verso Emma. La abbracciò forte, sotto gli occhi della sua mamma adottiva. “Henry…” cominciò lei, ma il bambino la guardò storto, zittendola. “voglio stare da Emma per un pò, okay?” “Ma non me l'avevi detto…” “devo dirti sempre tutto, visto che tu fai altrettanto?” scattò Henry con rabbia e rimprovero. Regina, una maschera passiva in volto, si schiarì la voce e si rivolse alla bionda. “Allora buona giornata, Emma Swan.” Si allontanò velocemente dalla piccola piazza ingombra di bambini. Era molto stanca, delusa e altrettanto furente. Come ha potuto… Sa chi sono. Questo pensiero balenò nella sua mente come aria che sposta le foglie autunnali da terra e le fa volare lontano. Solo che la strega stava cadendo lontano. Quel libro, aveva un libro sempre stretto tra le braccia in questi ultimi giorno… ONCE UPON A TIME. Lo avrà ricevuto sicuramente da quell'incapace della sua maestra, Mary Margareth. Regina non le parlava da quando l'aveva sgridata per aver lasciato il portafoglio con la carta di credito al suo interno in bella vista sopra la cattedra. Henry se ne era servito per arrivare a Boston e trovare la donna che Regina aveva imparato a odiare. Perchè le cose non vanno mai nel verso giusto? Era così almeno per lei.

 

Appena sentì il rumore delle coperte che sfregavano sulla sua pelle, aprì gli occhi. Graham era seduto sull'altra sponda del letto matrimoniale di Regina. La pelle della schiena imperlata di sudore rifletteva la fioca luce notturna che filtrava dalle spesse tende chiare. Doveva averlo ridotto così un brutto incubo. Povero Graham. Regina strisciò al suo fianco e gli mise una mano fredda sulla spalla. “Graham? Era solo un sogno.” per la prima volta il tono della sua voce era più dolce e comprensivo, flebile e impastato dal sonno, forse influenzato dalla stanchezza o dalla solitudine o da entrambe le cose. “N-no. Sembrava reale.” si allontanò frettolosamente dal tocco della strega, per poi cominciare a vestirsi. “Non andare…” sussurrò lei, stavolta con più ardore. “Perchè dovrei restare? Per soddisfare ancora i tuoi desideri?” detto questo, sbattè la porta. Meno di un minuto dopo si sentì l'aprirsi e il chiudersi del portone d'ingresso. Era andato via, lontano, lasciandola in un letto troppo grande per una sola persona. Quella notte Regina non chiuse occhio neanche per un secondo, pagando il prezzo delle occhiaie la mattina seguente. Era troppo sconvolta, nonostante per lei fosse normale trattare le persone come giocattoli con la data di scadenza attaccata sopra, che lei doveva obbligatoriamente rispettare. Per la prima volta, incredula, provava dolore nell'aver ferito così tante volte il suo Graham. Ma dopo un secondo di lavaggio mentale, di premesse e giustificazioni, Regina tornò in sè. Sì. La maschera funzionava ancora a dovere. La Regina Cattiva era tornata, più arrabbiata che mai.

 

Entrò nell'ufficio del sindaco sbattendo la porta, come suo solito. E come se non bastasse, l'umore di Regina non era dei migliori. Bastava accorgersi di certe, piccole imperfezioni che non erano da lei- il rossetto applicato in malo modo, i capelli corvini spettinati e il tubino nero che le fasciava le coscie tutto impolverato- per capirlo. Sì, era proprio furiosa. Non solo con Emma Swan, che si era tranquillamente occupata dei meli di Regina senza il suo permesso, falciando rami e tronchi in gesto di sfida. Era in collera con l'intera Storybrooke. Si lanciò dietro la sua vecchia scrivania, che aveva sopportato ben ventotto anni di maltrattamenti, pugni e punte di penne che calcavano troppo, lasciando profondi solchi sul mogano. Recuperò un mazzo di chiavi argentate dall'aspetto inquietante dal cassetto laterale del mobile. Le esaminò una a una e, trovata quella giusta, la infilò con decisione nella toppa di un altro piccolo cassetto, più nascosto degli altri. Ne estrasse un blocco di fogli a righe e la solita stilo. La impugnò sicura, come fosse un'arma, ma quando la punta della penna sfiorò la carta tutta la sicurezza di un attimo prima la abbandonò di colpo, sostituita dalla sua nemesi. Scivolò via da lei, lontano in un luogo sconosciuto che lei non avrebbe trovato. La strega accartocciò il foglio e buttò la pallina di carta dall'altra parte della stanza, centrando il porta ombrelli. Non le era mai capitato di avere il blocco dello scrittore. Ma a volte succede anche ai migliori. Poi riflettè. Tanto nessuno avrebbe mai letto veramente quella lettera. Sarebbe stata mangiata dalle fiamme come tutte le altre, e lei si sarebbe alleggerita di un peso enorme. La coscienza. Okay, sto parlando come quell'idiota del grillo, pensò.

Cara Madre, Ti ho mai scritto “buongiorno”? No? Ti sei chiesta perchè non l'ho mai fatto? Pausa. Regina si massaggiò le tempie, ignorando il groppo in gola che si faceva sempre più insostenibile e della vena che pulsava impazzita al centro della sua fronte.

Non ho mai osato scrivere quella parola perchè non ne conosco il significato, Madre. Tu non me l'hai insegnato. Tu non c'eri. Perchè? Come si può odiare una bambina che non ha ancora fatto niente, che ha un cuore così puro?

Una bambina. Allora sarei come lei? Pensò. Io odio Biancaneve da anni. Da quando era bambina... Ma lei è un mostro, lei ha ucciso il mio Daniel, lei ha fatto qualcosa di male… Basta così. Vide la carta torcersi, torturata sotto al tocco infuocato e avvolgente delle fiamme da lei create. Poi non restò che polvere, nel palmo della mano aperta verso il cielo di Regina. Basta, io non ho bisogno di sfogarmi. Non mi serve a nulla scrivere a una donna già morta, nella mia testa. Sono abbastanza forte da tenermi le cose dentro. Così sarò libera.

Libera dal giudizio, pensò.

Ma schiava dell'orgoglio.

 

(Qualche tempo dopo)

“Emma Swan.” Regina la accolse nell'atrio della grande villa con un sorriso talmente melenso da risultare falso anche a un bambino. “Volevo solo parlare…” cominciò la bionda, insicura. Arrivate in cucina, la strega si lisciò la gonna che non aveva bisogno di essere lisciata e si appoggiò al tavolo in marmo che occupava il centro della stanza in attesa che proseguisse. Dopo un lungo sospiro, Emma continuò: “ho deciso di lasciare Storybrooke.” Vittoria. Senza accorgersene, stupita, Regina allargò le labbra fin che possibile, scoprendo i suoi denti bianchissimi. Dopo esserci andata giù pesante e aver reso la vita di Emma Swan un inferno, aveva ottenuto proprio ciò che voleva. Dopo avrebbe festeggiato con un bel bicchiere di spumante e Graham… giusto. Graham. Uscito dalla sua vita per sempre -se mai ci era entrato. Aveva lasciato un vuoto notevole dentro di lei, o forse era solo il freddo tipico che sentiva quando dormiva da sola. Sì, proprio questo. Perchè in fondo, erano state le sue mani a stringersi forte attorno al quel piccolo, debole cuore purpureo. Chi ci aveva sofferto di più era la madre biologica di Henry, che aveva lavorato con lui e imparato ad apprezzare anche la parte più fragile dell'uomo, e alla fine se n'era innamorata. “Sta facendo la scelta giusta.” annuì e si voltò verso la teglia che aveva appena sfornato, facendo un cenno a Emma. “Perchè non prendi un pezzo della mia buonissima torta di mele? Ne sarei molto felice.” Non aspettò la risposta che mise il dolce dentro un contenitore e lo porse alla donna. Emma, la squadrò, insospettita, ma tutti i dubbi svanirono all'istante, lasciando il posto a un sorriso di ringraziamento appena accennato. “Lo dirò io a Henry, non si preoccupi.” Regina la accompagnò alla porta e quasi la spinse fuori, nel portico, in balia del tiepido vento primaverile. “Allora arrivederci, sindaco Mills, e…” Regina non sentì pronunciare la fine della frase da quelle labbra rosee e carnose, così simili a quelle della madre… Si sbattè la porta alle spalle e andò a sedersi su una delle tante poltrone che occupavano il salotto, un ghigno vittorioso dipinto sul volto, ad aspettare l'inevitabile in un silenzio sordo.

 

Dopo meno di un'ora Regina ricevette una telefonata da lei del tutto inaspettata. Sgomenta, alzò la cornetta. Dall'altro capo della linea regnò il silenzio per meno di un secondo, poi venne sostituito da una profonda voce maschile, che con tono grave le dette la notizia che la spezzò una volta per tutte. Henry era all'ospedale, per presunta intossicazione. La fattucchiera lasciò cadere il telefono, che con un tonfo atterrò sulla moquette del pavimento. Quando uscì di casa, non prese nè borsa, nè il pesante giaccone blu scuro; andava di fretta. Varcò la soglia del piccolo ospedale cinque minuti dopo, con il fiatone per la corsa e un groppo in gola pesantissimo e fastidioso, che non intendeva sciogliersi a causa di un brutto presentimento. In sala d'aspetto si era formata una piccola folla, di cui Regina riuscì a individuare solo Mary Margareth Blanchard, probabilmente venuta a trovare lo 'sconosciuto' per portargli qualche patetico fiore e leggergli una qualche stupida favola. Era arrivata in tempo, dopotutto. Per fortuna l'ospedale si trovava a pochi isolati dal grande portico bianco di casa Mills. Si fece largo a spintoni tra il capannello di persone, ignorando gli insulti e le imprecazioni ogni volta che pestava un piede o spingeva lontano qualcuno, e quando riuscì a entrare in pronto soccorso, non credette ai suoi occhi. Il piccolo Henry sdraiato su un grande letto, le flebo attaccate ai polsi che gli tiravano la pelle chiara. Il dolce viso rotondo di solito colorito era pallido, le palpebre abbassate in un sonno profondo. Sonno profondo. Nel silenzio che seguì la sua comparsa, Regina udì solo il rumore dei battiti cardiaci di suo figlio. Che si facevano sempre meno frequenti. Sempre più deboli. Emma Swan era inginocchiata al bordo del letto e gli teneva la mano. La strega non riuscì neanche a parlare che lo sceriffo le si avventò contro, spingendola all'angolo della stanza e bloccandole per un istante il respiro con il braccio muscoloso premuto sulla la sua esile gola. "che cosa gli hai fatto! Che cosa gli hai fatto!" stava urlando, gli occhi arrossati dalle lascrime e la presa tremante. Alla vista di Emma Swan in quello stato, Regina non potè che sospirare e lasciare scendere un'unica lacrima, che veloce bagnò il colletto bianco della sua camicetta. Quando finalmente riuscì a respingerla, entrò il mittente della famosa telefonata, il dottor Whale. Con un cartella stretta in pugno, si avvicinò al display che mostrava i battiti di Henry senza spiccicare parola. Solo dopo un' accurata analisi del contenuto dei fogli che aveva in mano, squadrò entrambe le donne e cominciò a parlare. "Sembra che il ragazzino sia stato avvelenato, ma dai risultati è impossibile risalire al veleno, che deve essere stato molto potente, in quanto Henry è caduto in una specie di coma." "la signorina Swan non può stare qui" sussurrò Regina a voce bassa. Non c'era rabbia nelle sue parole, solo disperazione e risentimento. "si figuri, ne ha diritto quanto lei, sindaco Mills." okay, si disse la donna, non è un problema. Emma si asciugò le mani sudate sui jeans e si strinse nella sua armatura di pelle rossa, che a quanto pare aveva smesso di proteggerla dal dolore. Guardò la mora. "Ha mangiato il tuo stupido dolce, Regina" mormorò dopo che Whale se ne fu andato. Quella frase, quell'unica frase mise un fondamento ai sospetti di lei. Aveva avvelenato il suo Principe Azzurro. Il suo Aitante Eroe. Suo figlio. In un raptus di follia, Regina gridò contro la fonte dei suoi problemi, dell'inizio dell'astio che provava Henry verso la sua madre adottiva. "dovevi mangiarlo tu, quello stupido dolce, era per te, dovevi cadere te nel Sonno!" Emma non rimase sbalordita da quella rivelazione, forse perchè non lo era affatto. Non parlarono più per molto tempo. La stanza era succube di un andirivieni di medici, infermiere, Grenny, Mary Margareth e Archie da circa un'ora. Regina non aveva distolto lo sguardo dal display- o meglio, alternava il cuore di Henry al suo faccino- da quando lei e lo sceriffo avevano litigato. Finchè non successe la cosa più inaspettata degli ultimi 28 anni. Quest'ultima appoggiò le labbra alla fronte imperlata di sudore di suo figlio. Ma non fu tanto quel gesto materno, quanto quello cheprovocò, che terrorizzò e rianimò Regina allo stesso tempo. Il bambino spalancò gli occhioni. E spezzò il sortilegio. Quello che lei stessa aveva lanciato. Il Sortilegio Oscuro spezzato dal bacio del Vero Amore. Quello di Emma. La strega si guardò attorno, accortasi che tutti gli abitanti di Storybrooke stavano riacquistando la memoria. L'avrebbero voluta morta. Forse persino Henry Mills. Quindi fece l'unica cosa che le venne in mente. Gli accarezzò la testa e, mentre lui la guardava, sussurrò in modo che solo il diretto interessato sentisse quello che stava per dire. "Ricorda Henry, qualunque cosa ti diranno, io ti voglio bene." la sua bocca si piegò in un lieve accenno di sorriso, più come a dire 'credo in te'. Poi, prima di vedere le reazioni di Grenny, Geppetto e soprattutto Biancaneve, la Regina Cattiva sparì in una densa nuvola viola, portando con sè, forse, anche tutte le parole non dette.

Quelle che facevano male davvero.

   
 
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