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Autore: Lamy_    10/03/2018    1 recensioni
Thomas le ha fatto una promessa: dove morirà lui morirà anche lei.
Il legame parabatai che si credeva ormai spezzato sembra essere più forte che mai. Astrea scoprirà che non tutti i morti sono sotto terra, anzi scoprirà che camminano tra i vivi. Ritroverà la famiglia che riteneva perduta. Vedrà la felicità con Raphael crollare. Vedrà i suoi amici soffrire. La vera natura del Fuoco Rosso sarà svelata. Imparerà a sue spese quanto sia letale la fiducia. I demoni del passato sono tornati, adesso non resta che affrontarli.
Questa battaglia conclusiva porrà fine alla guerra. Chi vincerà?
L’ultima parte della storia ci chiama a gran voce: Ascoltate!
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Raphael Santiago, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO.
 
 
Quattro anni dopo.
Il cielo di Lisbona non era mai stato tanto luminoso, pensò Astrea. Affacciata alla finestra rettangolare dello studio di suo padre, ammirava la Praça de D. Pedro IV, meglio conosciuta come la Piazza del Rossio, il punto nevralgico della città. Un manto scuro puntellato di stelle si stendeva sulle teste dei cittadini, c’era chi passeggiava, chi andava di fretta, chi rideva, chi piangeva. Ricordò che proprio in quella piazza uccise il suo primo demone, un Iblis, insieme al suo parabatai. Già, Thomas. Erano passati ormai quattro anni dalla sera in cui, sulla finestra del suo appartamento, era comparsa una parte del giuramento parabatai in francese, quattro anni in cui aveva aspettato che Thomas e Sylvie si facessero vivi. Invece, non era successo niente. Dopo quella sera, Raphael aveva deciso che era meglio cambiare casa, e perciò adesso abitavano in un attico a due isolati da Magnus e Alec. Per lungo tempo Astrea si era messa alla ricerca di Thomas, o almeno di una traccia che facesse intendere che il suo ritorno fosse certo, ma non aveva trovato mai nulla. Sembrava scomparso insieme alla sua diabolica socia. Mentre la vita era andata avanti per tutti, lei non faceva altro che vivere nel timore che i suoi cari fossero minacciati da un momento all’altro. Per quanto fingesse di non pensarci più, Thomas e Sylvie erano il suo pensiero fisso. Il Console Blackwell era stato deposto dopo la faccenda di Adam e Carter Miller, così il suo successore non poteva aiutare Astrea nella ricerca del suo folle parabatai. Gabriella Ravenscar, l’attuale Console, aveva ereditato la questione dell’evasione di Thomas, però non spendeva troppe energie nel cercarlo. Astrea era rimasta da sola ad affrontare quella situazione terribile. Certo, c’erano i suoi amici e il suo ragazzo, ma nessuno poteva capire fino in fondo il suo dolore. Un giorno, dopo aver litigato con Raphael a causa della sua ossessione per Thomas, Astrea aveva deciso di smettere di indagare e di cercare di vivere una vita normale. Aveva imparato a mentire così bene da aver paura di mentire anche a se stessa. L’Istituto di Lisbona era a tutti gli effetti un centro di accoglienza per tutti i membri del Mondo delle Ombre, vampiri, licantropi, stregoni e Nephilim. Il lavoro era frenetico, le camere erano piene, così come era impegnativo accontentare circa cento ospiti con esigenze diverse. Per sua fortuna, Sally e Tanisha l’aiutavano con i vampiri, Haru si occupava degli stregoni, e Nikolai si prendeva cura dei licantropi; i Nephilim erano per lo più scappati di casa, orfani, persone dimenticate dal Clave che aveva bisogno di un riparo. Darsi da fare per mantenere l’Istituto era un’ottima distrazione per Astrea, l’aiutava a non pensare. In quei quattro anni, però, non era cambiata solo lei: Raphael era diventato avvocato e lavorava presso uno degli studi legali più importanti di New York. Avevano festeggiato la laurea regalandosi una settimana di crociera, tanto ormai potevano permetterselo. Vedere Raphael realizzare i suoi sogni era una gioia immensa, la prova che la fortuna ogni tanto gira per il verso giusto. Sally, che aveva abbandonato del tutto il clan del DuMort, aveva intrapreso una relazione stabile con Glenys, si erano trasferite in una villetta di periferia e stavano pensando di aprire un’erboristeria. Anche Nikolai aveva fatto progressi, adesso si trovava a suo agio con il lupo che abitava in lui, riusciva a controllarsi, e stava nascendo del tenero con Tanisha, che ormai si era piazzata a Lisbona con Haru. Rafe e Max, di rispettivamente quattordici e dodici anni, erano parte integrante del Mondo delle Ombre, sempre sostenuti da Magnus e Alec. Insomma, la vita procedeva come da manuale. Astrea sospirò, distogliendo lo sguardo dalla piazza, e si sedette alla scrivania per terminare l’elenco dei nomi di chi risiedeva all’Istituto. L’indomani la aspettava un meeting a Idris con il Console circa l’attività dell’Istituto, perché il Clave non aveva più voglia di lasciare che Astrea gestisse una sua proprietà a quel modo. Strinse fra le dita la perla color avorio che portava al collo, un cimelio della famiglia Santiago, alla ricerca di un ristoro, quello stesso che negli ultimi anni non trovava. Dei colpi ripetuti alla porta la destarono dai suoi pensieri. Essendo le sette e mezzo di sera, aveva più o meno idea di chi fosse.
“Avanti.”
Spuntò la figura minuta di Brian Penhallow, il fratello di Theodor, il parabatai di Rafe. I capelli biondo cenere erano tirati indietro con una quantità imbarazzante di gel, i suoi piccoli occhi azzurri erano ansiosi come sempre, e camminava barcollando verso d lei.
“Buonasera, Astrea. Sono qui per ricordarti i tuoi impegni.” Esordì il ragazzo con un sorriso tirato.
Non sapeva per quale motivo lui la temesse, forse perché era un ibrido, forse perché era una donna dalla forte personalità. Brian, venti anni di insicurezze e paranoie, voleva a tutti i costi diventare l’archivista dei Nephilim, dopo che l’attività si era interrotta con la morte di Carlos Monteverde, e da un anno bazzicava nell’Istituto con la speranza di poter accedere ai documenti e ai diari stilati da Carlos. Non avendone avuto ancora la possibilità, si era autoproclamato segretario di Astrea.
“Brian, finiscila. Sei diventato fastidioso. Lo sai che non posso concederti il permesso di accedere a quei documenti perché il Clave non ha intenzione di assumere un altro archivista.”
“Oh, per favore, dammi una possibilità!” disse Brian sedendosi con un balzo sulla sedia. Astrea alzò gli occhi al cielo.
“Senti, a me fa piacere se resti qui a darmi una mano, però non avrai mai il posto da archivista. Adesso ai piani alti preferiscono lavare i panni sporchi in famiglia, ergo non vogliono fare sapere a una terza persona le loro malefatte.”
“Io manterrei il segreto.” Replicò il ragazzo, e Astrea si stupì di quanto potesse essere ingenuo in un mondo oscuro come il loro. Sospirò, esausta di doversi ripetere per l’ennesima volta.
“Nessuno riuscirebbe a lavorare per quella gente, credimi. Soprattutto una brava persona come te. Ora, quali sono i miei impegni?”
Brian, come se nulla fosse, aprì la sua agenda di pelle nera e lasciò scorrere l’indice sulla pagina. La sua grafia era impeccabile.
“Noto che hai già compilato la lista dei nostri ospiti, perciò non mi resta che stamparla. Dunque, ti è rimasto un unico impegno: cena con Raphael.”
Astrea si batté una mano sulla fronte, si era dimenticata della cena. Da quando Raphael lavorava, era poco il tempo che trascorrevano insieme. Lui, infatti, aveva tanto insistito per passare la serata con lei e aveva lavorato di più durante il mese così da potersi liberare.
“Vedi, ragazzino, sei eccezionale come segretario. Saresti sprecato come archivista!”
“Certo.” Rispose Brian mestamente, l’agenda stretta al petto, lo sguardo rivolto al pavimento. Astrea sapeva che quell’insistenza dipendeva dal fatto che, dopo la morte in battaglia di suo padre, Brian si era imposto di non toccare armi e di non scendere in campo, chance che gli poteva garantire solo il lavoro di archiviazione. Il Nephilim si alzò e camminò fino alla porta, così Astrea pensò di mostrarsi gentile.
“Brian.”
“Sì?”
“Domani ti va di accompagnarmi a Idris per il meeting?”
Gli occhi del ragazzo si spalancarono e un radioso sorriso gli aleggiò sulle labbra. Era il ritratto della felicità.
“Sì, sì, sì! Per l’Angelo! Grazie, grazie, grazie!”
“Allora stampa la lista, preparami una scaletta di argomenti, domattina va a prendermi un caffè, e ricorda di non indossare la cravatta arancione!”
 
 
 
Tornare a New York era come tornare a casa, benché fosse portoghese e avesse vissuto per lo più a Lisbona. In cantina, dietro ad un arazzo con lo stemma dei Monteverde, avevano scoperto un Portale fisso che usavano come collegamento tra Portogallo e America.
Il palazzo in cui abitava era di recente costruzione, con un portinaio ben vestito, con un ascensore di ultima generazione, ma a lei mancava il vecchio appartamento. Certo, capiva la volontà di Raphael di cambiare area dopo l’avvertimento di Thomas, però non era necessario un cambiamento tanto radicale. Arrivata all’attico, Astrea si soffermò sulla scritta elegantemente incisa sul campanello di forma ovale: A. Monteverde, R. Santiago. Gli angoli della bocca si piegarono all’ingiù, il terrore che tutta quella routine potesse svanire per colpa di un passato che li perseguitava le faceva incredibilmente male. Infilò le chiavi nella toppa scrollandosi di dosso quella sensazione, si costrinse a sorridere e a fingere di stare bene.
“Sono a casa!”
La cucina e il soggiorno, che si trovavano in unico ampio stanzone, erano illuminati da candele alla lavanda. Un intenso odore di vino e pesce impregnava l’aria. Astrea sentì una morsa allo stomaco, ecco che ritornava la paura a congelarle il corpo e la mente. Si addentrò in casa, la giacca e la valigetta di Raphael erano poggiate sulla poltrona.
Bienvenida, mi amor.” La salutò Raphael dalla postazione dei fornelli. Era alle prese col mestolo e una pentola sul fuoco. Era lì, sano e salvo, sorridente, felice della sua vita, era vivo. Era questo che si ripeteva ogni giorno Astrea, ma alla fine non ci credeva neanche lei. Qualcosa si stava muovendo nell’ombra e tutta quella tranquillità era solo un’illusione. Sorrise come da copione.
“Ciao a te, Santiago.”
Gli si avvicinò per stampargli un sonoro bacio sulla guancia, poi abbandonò la felpa e la tracolla sull’appendiabiti.
“Cosa c’è che non va? Te lo leggo in faccia.”
Astrea detestava il modo in cui fosse un libro per Raphael, odiava essere esposta senza neanche provare a nascondersi. Si sedette sullo sgabello della cucina e si versò del vino nel calice.
“La smetti di fissarmi in quel modo?!”
“Avanti, parla. Che succede?” benché si dimostrasse risoluto,il ragazzo non riuscì a mascherare l’ansia nella voce. Avevano tutti paura, questo era chiaro.
“Non è successo niente. Sono solo preoccupata per Brian, continua ad insistere e io non posso aiutarlo.”
Quella non era una bugia, in parte era la verità, ma provò comunque una sofferenza enorme a mentirgli.
“Brian deve trovare la sua strada lontano dal Clave, e prima o poi lo capirà. Non sta a te aiutare sempre tutti.”
Astrea annuì, poi bevve distrattamente il liquido rossastro. Chissà quanti calici di vino era riuscita già a bere Sylvie in quei quattro anni. Si diede della stupida mentalmente passandosi una mano sugli occhi.
“Hai ragione, prima o poi lo capirà. Allora, cosa mi fai mangiare di buono stasera? Sto morendo di fame!”
Raphael non le credeva affatto. La conosceva, aveva capito che Astrea fingeva da quella fatidica notte, che non era in grado di vivere normalmente. Lo sapeva, ma non le aveva mai detto nulla perché lei aveva un modo tutto suo di elaborare il dolore e la tristezza, e l’unica cosa di cui aveva bisogno era tempo per smaltire il passato.
“Poiché sono un uomo dalle mille sorprese, sono riuscito a prepararti il tuo piatto preferito!”
Astrea assottigliò gli occhi per scrutarlo, ben vestito, scarpe costose, orologio altrettanto costoso, capelli in ordine, e una strana espressione nello sguardo.
“Tu hai qualcosa da dirmi, Santiago. Sputa il rospo!”
“Cosa ti fa pensare che io debba dirti qualcosa?”
“Il mio intuito femminile sta suonando il campanello d’allarme.”
Raphael rise, lei non perdeva mai un colpo. Ci pensò su e no, non era ancora il momento giusto. Le si avvicinò e le strinse i fianchi, però lei continuava a fissarlo con le sopracciglia sollevate e le braccia incrociate.
“Beh, in effetti qualcosa da dirti ce l’ho.”
“Parla.”
“Ti amo.”
Astrea lo colpì al petto e arretrò di qualche passo.
“Sei veramente una persona mostruosa, Santiago. C’è qualcosa che bolle in pentola e non mi riferisco alla nostra cena.”
“Volevo solo festeggiare la vittoria del caso Morgan. Nulla di che.”
“E’ la tua ennesima vittoria, perciò festeggiare sta diventando inutile.”
Raphael tornò a controllare la pentola, la cena era quasi pronta. Le rivolse un ghigno divertito.
“Mi stai forse facendo i complimenti?”
“No, neanche per sogno, Santiago!” gli gridò lei in risposta mentre si catapultava sul divano.
“Non sia mai che tu sia gentile, Monteverde!”
“Muori.”
“Ci ho provato, tesoro, ma tu sei sempre venuta a salvarmi.”
La risata cristallina di Astrea fece sorridere Raphael, almeno le cose tra di loro non erano cambiate.
Dopo un’ottima cena a base di bacalhau à bràs, di cui Astra aveva fatto il doppio bis, se ne stavano abbracciati e sdraiati sul divano a chiacchierare.
“Essendo avvocato, non ti scoccia risolvere i problemi degli altri?” chiese Astrea alzando gli occhi sul viso di Raphael.
“Risolvo i problemi degli altri per non pensare ai miei.”
“Aspetta, da quando hai problemi?”
Raphael si puntellò sul gomito e ridacchiò, così si beccò un pugno sulla spalla.
“Da circa sei anni, da quando una folle Shadowhunter è entrata nel mio Hotel per chiedere il mio aiuto.”
“Sei uno stronzo, Santiago.”
La smorfia di fastidio dipinta sul volto della ragazza lo fece scoppiare a ridere.
“Vedi? Mi insulti di continuo, questo è un problema.”
Astrea si abbandonò a una risata, e sembrava davvero che non ci fossero problemi.
“Adesso mi dici quella cosa che muori dalla voglia di dirmi?”
“Astrea …”
La ragazza si mise in ginocchio sulla superficie morbida e congiunse le mani.
“Ti prego, ti prego!”
Quel suo essere un po’ bambina, infantile e capricciosa, era qualcosa a cui lui non poteva resistere. Riuscì a liberarsi dall’abbraccio in cui erano avvolti e si diresse in camera da letto, poi ritornò con qualcosa in mano. Astrea, seduta ancora sul divano, ghiacciò. Raphael stava mantenendo una scatola di velluto nero al cui interno brillava un meraviglioso anello con al centro un rubino accerchiato da diamanti. Le strinse la mano sinistra e le si sedette accanto.
“Tempo fa riflettevo su noi due. Ne abbiamo passate veramente tante insieme, ci siamo lasciati, ci siamo ripresi, abbiamo sofferto, abbiamo lottato perché le cose funzionassero nonostante tutto, e alla fine ce la siamo cavata più che bene. Non ho mai pensato di innamorarmi quando ero un vampiro perché sarebbe stato troppo complicato e avevo un clan da gestire, perciò erano vietate le distrazioni, però questo è cambiato quando ti ho incontrata. Avevi bisogno di aiuto, eri una randagia, eri sola, eri pronta a tutto, così hai scoperto il collo e mi hai pregato di morderti in fretta. Ecco, quello è stato il momento in cui ho capito che nulla sarebbe stato come prima. Hai fatto battere un cuore che non batteva più da molto tempo, hai dato una nuova forma alla mia esistenza, mi hai letteralmente ridato la vita. Mi hai perdonato e mi hai riaccolto nella tua vita. Gli ultimi quattro anni sono stati perfetti, ci divertiamo, riusciamo a mantenere comunque la nostra indipendenza, abbiamo costruito un rapporto solido basato sulla fiducia, sulla complicità, sulla sincerità e sull’affetto. E’ vero che non posso darti l’immortalità, ma ti assicuro che ti amerò per tutto il tempo che ci resta insieme. Mi amor, ¿quieres casarte conmigo?
Amore mio, vuoi sposarmi?
Non era stato in grado di contenere l’emozione e adesso i suoi occhi scuri rilucevano di un’intensità particolare. Astrea, dal canto suo, sentiva il cuore in gola, e pensava che quella sensazione fosse peggiore dell’avere un pugnale di magia nera nel fianco. Lei non era adatta al matrimonio, al tipo di responsabilità che ne derivano, all’idea della famigliola felice. Riflettendoci meglio, però, si trattava di Raphael, un uomo straordinario, che non aveva mai limitato la sua indipendenza, che l’aveva sempre appoggiata per il suo bene. Stavano insieme da sei anni, avevano raggiunto una complicità perfetta, avevano superato mille difficoltà, perciò non restava che chiudere in bellezza.
“Sì! Sì! Certo che ti sposo!”
Raphael buttò fuori l’aria che aveva trattenuto e le fece scivolare l’anello al dito. Era fatta, si sarebbero sposati e sarebbe stato per sempre.
“Credevo che stessi per dirmi di no.”
Senza sprecare altro tempo, Astrea si alzò e lo baciò cercando di dimostrargli quanto lo amasse.
“Non avrei mai potuto dirti di no, specialmente non dopo che mi piazzi sotto gli occhi un anello prezioso e costoso. Perché un rubino?”
Raphael le afferrò la mano e prese a giocare con l’anello. Brillava tanto da sembrare che fosse polvere di stella intrappolata nell’oro bianco.
“Rosso, come il fuoco, come una fiamma che non si spegne, come la passione, come l’amore. Rosso come il sangue. Come te.”
Astrea poté avvertire il cuore sbattere come ali nel petto, le vene bruciare, gli occhi pizzicarle per l’ardore e la convinzione che animavano quelle parole. Lui la conosceva come le sue tasche, sapeva che sarebbe stato capace di incantarla, aveva calcolato tutto nei minimi dettagli per lasciarla senza parole. Eppure, lei, di parole ne aveva due.
“Ti amo.”
Il sorriso raggiante di Raphael che seguì fu la risposta a tutti i suoi dubbi: sì, era la scelta giusta. Il bracciale col pendente a forma di luna tintinnò quando gli prese le mani per trascinarlo in camera da letto. Accese la lampada sul comò e chiuse le tende, mentre lui si appoggiava allo stipite della porta per ammirarla. Era bella. I capelli, un tempo grigi, adesso erano lunghi e castani, i grandi occhi nocciola sempre carichi di una forza incredibile, quel sorrisino fanciullesco che carpiva anche gli animi più duri, e quel corpo che conosceva a memoria, difetti inclusi. Gli fece cenno con l’indice di avvicinarsi e lui eseguì con passo elegante, dando sfogo a tutto il suo charme. Astrea lo spinse sul letto, si sistemò cavalcioni e gli schioccò un veloce bacio sulle labbra. Lui immediatamente le strinse i fianchi attirandola, voleva sentire ogni centimetro di quella pelle a contatto con la sua. Nel buio si andavano pian piano perdendo nei loro sentimenti. Astrea si sfilò la maglia, mettendo in mostra il semplice reggiseno nero a cui era attaccata la spilla a forma di tulipano, sotto lo sguardo malizioso di Raphael. Non resistendo più, la baciò con estrema passione, desiderando maggiore contatto. Ansimavano uno sulla bocca dell’altro, le mani che accarezzavano pelle bollente, cuori che battevano frenetici. Astrea gli sbottonò la camicia mentre lui le regalava una scia di baci caldi sul collo e sulle clavicole, al che lei gemeva gravemente. Quando le dita di Astrea gli toccarono il petto e la fredda superficie dell’anello entrò in contatto con la sua pelle, Raphael rabbrividì. Ribaltate le posizioni, adesso la guardava dall’alto ammirandola, e la liberò dei jeans in poche mosse.
“Troppi vestiti.” Si lamentò lui facendola ridere. La ragazza, allora, si affrettò a slacciargli i pantaloni eleganti e a lanciarli sul pavimento. Gli passò le dita lungo la molla dei boxer e sorrise languida.
“Va decisamente meglio ora, Santiago.”
“Oh, sta per andare meglio, mia cara.”
Raphael dapprima le baciò le guance e le labbra, poi intraprese una deliziosa discesa dal collo verso le spalle, le tolse il reggiseno e le dedicò carezze, continuando a muoversi sempre più giù. Baciò le cicatrici, l’ombra biancastra della runa parabatai, beandosi dei gemiti della ragazza. Percorse con la bocca anche la cicatrice lasciata dal pugnale intriso di magia nera.
“Raphael.” Lo strano tono di voce di Astrea lo costrinse a fermarsi. Si allontanò quando la vide alquanto frastornata, sedendosi di fronte a lei. Indossando solo gli slip, Astrea si coprì con le braccia il petto nudo. Raphael le scostò dal viso una ciocca di capelli e le accarezzò la guancia.
“Ehi, tesoro, che succede?”
 “Promettimi che andrà sempre così tra di noi.”
“Astrea, non andare nel panico proprio adesso. Andrà tutto bene. E’ vero che la maggior parte delle coppie sposate cade nella monotonia, ma non succede a tutti. E noi non siamo come gli altri. Quindi sì, ti prometto che continuerà ad andare così tra di noi, che saremo complici, che ci ameremo sempre di più, che continueremo a fare l’amore ogni volta che vorremo. Non sei sola. Ci sono io con te.”
Astrea si rilassò a quelle parole, voleva soltanto sentirselo dire. Aveva bisogno di una conferma decisa.
“Va bene.”
Raphael le fece l’occhiolino, poi si alzò per andare a spegnere la luce.
“Che stai facendo?”
“Spengo la luce perché stiamo andando a dormire.”
“Mi hai appena promesso che faremo l’amore ogni volta che vorremo, e io lo voglio adesso.”
Lui tornò da lei senza replicare. Ripresero a baciarsi e a spogliarsi completamente, mentre fuori il buio inghiottiva la città.
“Ai suoi ordini, padrona.”
“Come mi hai chiamata?” gli domandò Astrea con gli occhi colmi di malizia.
“Padrona.” Le mormorò Raphael sulle labbra.
“Ripetilo.”
Raphael si morse le labbra a vedere quel corpo armonioso sotto di sé, a sentire e proprie membra incollate a quelle di lei.
“Padrona.”
Un bacio.
“Padrona.”
Cinque baci.
“Padrona.”
Dieci baci.
“Padrona.”
Venti baci.
“Padrona.”
E così fino alle prime luci del mattino, quando la sveglia del telefono vibrò sul comodino. Raphael si fece una rapida doccia e tornò in camera per vestirsi, dove trovò Astrea già sveglia ancora semi avvolta tra le lenzuola. Il brillante all’anulare luccicò come un pezzo di stregaluce nelle tenebre. Si mise seduta con la schiena contro la testa del letto lasciando le gambe del tutto scoperte.
“Devi già andare via?”
Raphael le lanciò uno sguardo divertito attraverso lo specchio e annuì.
“Devo informarmi sul caso di oggi prima di incontrare il cliente, avrei dovuto farlo ieri sera ma siamo stati impegnati.”
“Io incontro il Console tra due ore, quindi penso di fare colazione da Magnus e Alec.”
“Ci vediamo a pranzo o direttamente stasera?”
Recuperò un paio di boxer puliti e li indossò, poi si infilò dei pantaloni grigio scuro e scelse una camicia.
“A pranzo mi vedo con Brian per mettere a punto la questione del riordino dei libri in biblioteca.”
Astrea si precipitò sotto l’acqua sperando di riuscire a svegliarsi. L’agitava l’idea di dover incontrare il nuovo Console, l’ennesimo, e poggiò la fronte contro le fredde piastrelle. Doveva farsi coraggio, tirare fuori il meglio di sé per provare che la sua attività all’Istituto era un’ottima opzione per tutti, persino per il Clave.
“Astrea!”
Si schiarì la voce prima di rispondere, doveva fingere ancora.
“Che c’è?”
Raphael comparve in bagno con un tubino nero nella mano destra e un paio di scarpe col tacco nell’altra.
“Stando al messaggio di fuoco, Magnus esige che tu indossi questo abito.”
“Quello stregone e la sua stupida fissa per i vestiti!”
Il ragazzo le passò l’accappatoio e lasciò il tutto sul letto, poi tornò a prepararsi. Astrea andò in cucina per controllare il telefono mentre si spazzolava i denti, e non si stupì dei numerosi messaggi di Brian e Sally; decise di ignorarli.
“Stai disseminando schizzi di dentifricio dappertutto.” La rimproverò Raphael, che stava sistemando alcune cartelle nella valigetta che lei gli aveva regalato per la laurea.
“Fof fafe sempfe la donfa di cafa!”
“Non faccio sempre la donna di casa, evito solo di dover lavare di nuovo a terra per colpa tua.”
Astrea gli lanciò un’occhiataccia e si rinchiuse in bagno per vestirsi. Ne uscì una ventina di minuti dopo, il tubino nero a maniche corte era di raso e odiava la sensazione delle calze sulla pelle. Calzò le scarpe, si pettinò i capelli per poi legarli in una treccia, e si spruzzò qualche goccia di profumo. Quando Raphael entrò in camera per recuperare il cellulare, lei gli indicò la zip aperta dell’abito.
“Chiudilo, per favore.”
“Preferirei togliertelo.” Commentò Raphael con un sorriso farcito di malizia. Non appena la cerniera fu chiusa, Astrea si voltò e lo baciò.
“Potrai togliermelo stasera.” Gli sussurrò all’orecchio, e scese a baciargli il collo.
“Così mi uccidi, fuego.
“Come si suole dire, l’attesa aumenta il desiderio.”
Quando lei tentò di allontanarsi, Raphael la bloccò contro il muro e le alzò il mento con l’indice.
“Il mio desiderio è già all’apice.”
“Dovrai aspettare, Santiago. Ti toccherà soffrire tutto il giorno al pensiero di me a Idris, lontana dal tuo corpo che dolorosamente reclama il mio.”
Gli diede un bacio a stampo e si liberò dalla sua presa, quindi si infilò la giacca di pelle e uscì di casa.
 
 
Alicante era pittoresca nell’aria primaverile di aprile. I giardini erano rigogliosi, i fiori erano chiazze colorate, e le case tempestate di rune erano un tocco caratteristico della città. Astrea, Magnus, Sally, Haru e Brian camminavano dietro una delle guardie del Console, un Nephilim dalla pelle scura e dallo sguardo micidiale. Il portale li aveva condotti ai cancelli Nord della città, l’ingresso dei Nascosti, ed erano stati prelevati per proseguire a piedi. Stavano percorrendo una strada isolata, parallela alla via centrale, per evitare che qualcuno li vedesse. Era stato loro vietato di presentarsi direttamente alla Guardia.
“Quanto manca ancora? Sono esausta.” Esordì Sally, che quel giorno indossava un tailleur a pantalone color sabbia e si era acconciata i capelli biondi in una perfetta coda di cavallo. Brian esaminò la mappa, quella che aveva studiato per tutta la notte, e alzò la mano; la vampira lo invitò a parlare con un cenno del capo.
“Stando ai miei calcoli, mancano circa quindici minuti.”
“Dieci, se muovete quelle gambette.” Disse bruscamente la loro guida. Astrea, già nervosa di suo, si parò davanti all’uomo e lo spintonò.
“Ascoltami bene, idiota, perché non mi ripeterò. Sta attento a come parli ai miei amici se non vuoi morire arso vivo. Non siamo bestie che puoi maltrattare solo perché sei un Cacciatore, devi portarci rispetto come se fossimo uno dei tuoi.”
Sally sorrise scoprendo i canini, era fiera del carattere peperino della sua migliore amica.
Il viaggio proseguì in silenzio e, come previsto da Brian, dopo un quarto d’ora si ritrovarono nel corridoio che conduceva all’ufficio del Console. Astrea ricordò quando ci era stata per affrontare Goldstorm e per accettare il patto con la Blackwell.
“Potete entrare.” Disse il nephilim, e si scansò per farli passare.
La stanza era stata di nuovo arredata da cima a fondo, ora le pareti erano azzurrine, i mobili davano sulla tonalità del bianco, e la finestra che dava sulla piazza dell’Angelo era stata ridimensionata a tal punto che il lago Lyn spariva dai bordi neri. Gabriella Ravenscar era una donna alta, dalle braccia forti, i ricci capelli corvini le arrivavano alle spalle, e aveva due occhi severi verdi coperti da uno spesso paio di occhiali da vista rossi. Era in piedi quando loro entrarono. Magnus fu il primo a stringerle la mano, a lui seguì Haru e poi Brian, mentre Astrea e Sally si limitarono a fissare la mano tesa verso di loro senza ricambiare.
“Prego, accomodatevi.”
Dopo aver preso posto, fu offerto loro un the ma rifiutarono tutti.
“Mettiamo da parte i convenevoli. Andiamo al punto.” Disse Astrea, le mani incrociate sul grembo, le gambe accavallate. Magnus le colpì la caviglia con la punta della scarpa ma lei non gli diede retta. Gabriella fece un sorriso tirato.
“Signorina Monteverde, lei e i suoi amici siete stati convocati perché ci preoccupa la sua iniziativa indipendente. Lei, come ben sa, non è stata reintegrata nella nostra comunità, pertanto sta usufruendo di una proprietà che non le appartiene. Ora comprenderà la mia posizione.”
“L’Istituto appartiene a me. Rita Blackwell me lo ha restituito senza reintegrarmi, lo ha fatto perché sono stata una grande risorsa per la vostra comunità.” Astrea stava facendo fatica a mantenere la calma, sentiva la rabbia dimenarsi nelle ossa.
“La restituzione era dovuta ad un favore personale, signorina. Lei non ha alcun diritto sull’Istituto di Lisbona, nessun atto conferma la restituzione. Capisco l’attaccamento alla casa dove ha vissuto da bambina, però le cose sono cambiate. Lei ha abbandonato l’Istituto dopo la morte dei suoi genitori ed è stato momentaneamente chiuso, perciò la colpa per averlo perso è sua. So che la sua vita non è stata facile ma questo non l’autorizzava a voltarci le spalle.”
“Siamo stati convocati per quale motivo esattamente?” chiese Magnus, anche lui cominciava ad innervosirsi. Le mani ingioiellate stringevano i braccioli della sedia. Gabriella sospirò e si rilassò sulla sedia. Qualcosa in lei era particolarmente inquietante, pensò Brian mentre se ne stava rannicchiato nel suo angolino.
“L’Istituto funge da rifugio da ormai quattro anni e smettere adesso equivarrebbe a dover trovare una sistemazione per tutti i risiedenti in poco tempo, però in questo momento non abbiamo nessuna alternativa. Vi ho convocati per dirvi che avete il permesso di continuare con l’accoglienza e per proclamare un supervisore.”
“No! Non ne abbiamo bisogno!” protestò Astrea balzando in piedi. Come diceva sempre Alec, lei era una fiamma che ardeva di continuo.
“Signorina Monteverde, si dia una calmata. A Idris la chiamano ‘la mietitrice di Consoli’ dopo che ha causato le dimissioni di Goldstorm e Blackwell, e l’avverto che con me non ci riuscirà. Ho impiegato anni e forze per arrivare qui e non sarà una mezza strega a rovinare tutto.”
Ecco che la vera corruzione dei Nephilim emergeva dal profondo, risaliva a galla lo scarto nascosto sotto una bella facciata. Haru andò nel panico e le sue guance arrossirono, non era un tipo che amava la tensione.
“Console, mi permetta di chiedere maggiori spiegazioni al riguardo.”
“Vi concedo di continuare ad accogliere Nephilim e Nascosti a patto che uno dei miei più fidati consiglieri si stabilisca all’Istituto in qualità di supervisore. Non prenderà nessuna posizione di potere, si limiterà ad osservare e a segnalare atteggiamenti di cattiva condotta qualora ve ne fossero. E’ solo un modo per tenere a bada il Clave e per ridimensionare la paura della comunità. Se rifiutate, l’Istituto vi sarà sottratto.”
Ad Astrea sembrò di rivivere la riunione in cui aveva accusato Goldstorm di odiare i Nascosti e l’incontro in cui aveva accusato la Blackwell di essere egoista. Non era cambiato nulla. Sorrise maligna, sfoderando uno sguardo determinato.
“Vi insinuerete nel mio Istituto con questa scusa, contaminerete il nostro operato, e alla fine ci sventrerete come fossimo animali da macello.”
La Ravenscar sostenne il suo sguardo, sembravano due cani sul punto di sbranarsi. Sally avvertì i battiti accelerati di tutti e desiderò essere sorda.
“Queste sono le mie condizioni. Prendere o lasciare.”
“Chi sarebbe il supervisore?” si intromise Magnus, autoritario ed esuberante nel suo completo color petrolio.
“Entra pure!” gridò Gabriella, e poco dopo la porta si aprì rivelando una donna sulla quarantina che le somigliava terribilmente. Gli stessi capelli corvini e gli stessi occhi verdi erano il segno che le due fossero sorelle. Astrea ebbe un sussulto interno, aveva la vaga idea di conoscere quella donna.
“Kara Ravenscar, piacere di fare la vostra conoscenza.” Persino la sua voce era rigida come la sua postura.
“Il Clave propone mia sorella Kara come supervisore. Accettate?”
“Nepotismo.” Commentò Sally con tono amaro. Il Console non le diede retta.
Tutti gli occhi si puntarono su Astrea. Ancora una volta i Nephilim erano riusciti ad infiltrarsi nei suoi affari. Sapeva che, se avesse rifiutato, avrebbe abbandonato non solo la sua casa ma anche tutti quelli che l’abitavano e avevano bisogno del suo aiuto. Sebbene riluttante, annuì.
“Accettiamo.”
 
 
La sala da pranzo dell’Istituto di New York era un trionfo di chiacchiere e risate. Erano tutti riuniti, Jace e Clary con Celine e Stephen, Simon e Izzy, Magnus e Alec con Max, Astrea e Raphael, Sally e Glenys, Nikolai e Tanisha. Rafe mancava perché si trovava con Theodor a Monaco di Baviera per l’anno all’estero concesso a tutti i Cacciatori.
Stavano allegramente cenando tra abbondanti e succulente pietanze. Maryse si era già ritirata nella sua stanza, benché fossero solo le nove di sera, e i bambini pian piano si stavano stancando a rincorrersi e giocare. Astrea era stata silenziosa per tutta la serata, aveva raccontato a Raphael come si era concluso il meeting e poi si era chiusa in se stessa. Non aveva cenato, aveva spiluccato un po’ di insalata e nulla di più. Alec le aveva regalato sorrisi paterni durante tutta la cena per consolarla e il peso sul cuore si era alleggerito. Anche Max, Celine e Stephen si erano prodigati per riempirla di baci e abbracci così da farla stare meglio, e aveva funzionato un pochino. Raphael, seduto accanto a lei, le circondava le spalle col braccio e giocava con la catenella della collana di sua madre.
“Lo so che magari adesso hai altro a cui pensare, però dovremmo annunciare la notizia a tutti.” Le mormorò con dolcezza, cercando di non farla sentire oppressa. Astrea sorrise e annuì, almeno qualcosa di positivo c’era e andava festeggiato.
“Facciamolo adesso.”
Fece tintinnare il bicchiere con la forchetta e si alzò in piedi così che tutti la vedessero; il chiacchiericcio si tacque all’istante. Nessuno aveva idea di cosa stesse per dire, aveva tenuto l’anello nascosto a tutti e lo aveva messo al dito prima di alzarsi.
“Io e Raphael abbiamo una notizia da darvi. Noi ci sposiamo!” esclamò sollevando la mano per mostrare il rubino. Sally e Magnus strillarono come due ragazzine isteriche e corsero ad abbracciarla. I minuti successivi furono un alternarsi di auguri, complimenti, altri abbracci, raccomandazioni e strette di mano. Dopo un’ora circa, Astrea e Raphael si congedarono e scesero in strada.
“E’ andata bene.” Disse lui mentre si chiudeva il pesante portone alle spalle.
“Già.”
“Domani è sabato e non lavoro, ti va un gelato in centro?”
“Cerchi di corrompere il mio malumore col cibo?”
“Assolutamente sì.”
Astrea lo prese a braccetto e si incamminarono sotto una luminosa luna piena.
“Andiamo a mangiare, su! Poi torniamo a casa e mi togli questo vestito come avevamo stabilito stamattina.”
Il ragazzo scosse la testa ridendo e le baciò il dorso della mano.
“Ogni desiderio è un ordine, futura signora Santiago.”
 
 
Salve a tutti! :)
Sono ritornata per l’ultima volta con questa storia, ahimè.
Allora, ve lo aspettavate questo matrimonio?
E che fine hanno fatto Thomas e Sylvie?
Le cose non saranno affatto facili questa volta.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
 
 
 
 
 
 
 

 
  
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