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Autore: Luna95    11/03/2018    1 recensioni
In questo mondo svegliarsi ogni giorno con la promessa di una giornata perfetta, una settimana perfetta, una vita perfetta non è soltanto possibile: è inevitabile.
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Ovvero: Dostoyevsky riesce a impadronirsi del Libro e crea l'Utopia che ha sempre sognato. È tutto fin troppo bello per essere vero... finché qualcuno non realizza che non è vero.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Fyodor Dostoevsky, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Note iniziali

 

Dedico questa storia veramente indegna alla luce della mia vita, la mia carissima moglie, per il suo compleanno - con un ritardo vergognoso, nondimeno. Mi cospargo il capo di cenere, my love!

Spero che gli avvertimenti non vi abbiano intimorito troppo e che non vi spaventerà troppo questo stile un po' strano, ero in vena di sperimentare.
E per chi non si lascerà spaventare da tutte queste bruttissime premesse: ci vediamo alle note finali per qualche appunto su citazioni, rimandi e qualche spunto per interpretare la storia nel suo complesso. Buona lettura!

 


 

 

Ancora vivevano insieme, le due forme, quella mobile e quella immota, senza mescolarsi, senza offendersi, senza conoscersi.





Il suo sguardo incontra un cielo limpido, il più azzurro che si sia mai visto a Yokohama.

La città è ancora silenziosa – i passerotti cinguettano melodie diverse, da sopra i tetti delle case: l’armonia di quei canti si riavvolge in un filo di sogni, in un buio sconfitto solo nel cerchio di un lampione e nel bagliore di uno sparo, in una vita svolta interamente di notte. Non è la sua vita.

 

Il fioraio sistema i fiori freschi dietro la finestra e il fruscio accompagna il quietissimo palpitare della città che si sveglia, le luci della casa di fronte sono ancora spente, le imposte chiuse; persino il rumore della metro è smorzato, soffocato come uno sbadiglio.

 

È una mattina meravigliosa, di quelle che promettono una giornata splendida, piena di gioia.

Il sole inizia ad emergere dalla superficie del mare e Yokohama torna muta dietro al vetro della sua camera da letto.

 

Si allontana dalla finestra dopo qualche secondo di pacifica contemplazione, perfettamente riposato. Si ferma un momento dopo essersi vestito, un momento prima di andare a preparare il caffè, per sedersi sul bordo del letto e imprimere nella memoria il sapore di quella felicità: il respiro del suo fidanzato è regolare, la sua figura quasi invisibile sotto un groviglio di coperte e lenzuola.

 

Chuuya si sente così ricolmo d’amore che quasi teme che il suo cuore non riesca contenerlo.

 

Sente il materasso spostarsi e allunga una mano per accarezzare le ciocche di capelli scuri che spuntano tra le lenzuola e l’orlo del cuscino; gli sfiora la fronte con il polpastrelli, seguendone il profilo in una carezza delicata.

 

“È presto, puoi dormire ancora un po’,” sussurra, continuando ad accarezzargli le guance e poi il labbro inferiore con un tocco leggerissimo del pollice.

L’altro non dice una parola; si limita a catturare delicatamente il suo polso ed imprime un bacio assonnato sul suo palmo.

 

Non amerà mai nessun altro, non quanto ha amato lui – non quanto ama lui.

 

“Buongiorno.”

E basta la sua voce ancora piena di sonno per farlo sciogliere completamente; percepisce un sentimento morbido come la prima luce del mattino che già sta facendo capolino tra le pieghe della tenda.

“Buongiorno,” gli risponde, la voce non più alta di un mormorio, prima di scendere dal letto per preparare il caffè e dare a Fyodor il tempo di svegliarsi.

 

Già si preannuncia una giornata splendida.





*





I numerosi impegni in agenda lo mettono di buon umore: è il giorno d’apertura della mostra che ha curato personalmente, minuziosamente, e l’intero museo è in fermento.

 

Resterà fino a tardi per intrattenere gli ospiti con conversazioni leggere, dibattiti di storia dell’arte, musica di qualità e litri di ottimo vino; dovrà accontentarsi di un pranzo veloce con il suo fidanzato perché ha promesso a Dazai che avrebbero cenato insieme, e il suo migliore amico diventa insopportabile se le cose non vanno come dice lui. E ad essere del tutto sincero, Chuuya sta rimandando questa cena da troppo tempo: l’Accademia e la Fondazione Musei lo impegnano molto e i suoi numerosi interessi consumano il poco tempo libero che gli resta, ma è il giusto prezzo da pagare per restare ben saldo sulla vetta delle arti e della cultura a Yokohama.

 

Il prezzo, naturalmente, è doversi sorbire le lamentele di Dazai, che non si è mai fatto scrupoli a protestare con veemenza quando Chuuya non gli presta la dovuta attenzione.

E che Dazai sia un egocentrico esemplare è un fatto noto e risaputo a tutti – a Chuuya più di tutti, dato che sono amici sin dalla culla – ma è disposto ad ascoltare le sue lamentose filippiche, una volta ogni tanto; dargli corda sarebbe controproduttivo e lo sa per esperienza.

 

Ancora non si spiega come un tale egocentrico melodrammatico sia riuscito a sposare una persona deliziosa e affidabile come Oda Sakunosuke.

 

Poco importa: la mostra sarà un successo, Kouyou lo ha già previsto – ricevere le lodi della direttrice del museo ha dato un’ulteriore spinta positiva al suo buonumore.

 

La mattina passa in un attimo. Chuuya rincorre gli ultimi dettagli, ripercorrendo ogni centimetro del percorso, ogni didascalia, ogni metro di tappeto: tutto è perfetto.

È una giornata perfetta.

 

L’aria è ancora limpida e il cielo è più azzurro di prima; inspira quella serenità mentre esce dall’ingresso principale, dove Fyodor lo aspetta con il barlume di un sorriso negli occhi.

 

“Dazai ti ha già riempito di messaggi?” gli chiede Fyodor, non senza una punta di divertimento, dopo averlo salutato con un bacio leggerissimo.

“Non ho proprio preso in mano il telefono, quindi non saprei,” risponde Chuuya restituendogli il sorriso.

 

“Penserà che lo stai ignorando. Non è una cosa che proprio non tollera?” Fyodor gli avvolge un braccio intorno alle spalle e non c’è nemmeno un po’ di preoccupazione nel suo tono di voce – un accenno di risata, forse. I suoi sorrisi a volte sono impossibili da decifrare anche per il fidanzato; Fyodor è sempre stato alquanto enigmatico.

“Bene, lascia che gli esploda la testa, se lo merita,” sbuffa Chuuya, appoggiandosi a lui e stringendogli la vita in un mezzo abbraccio. “Una vita intera di esaurimenti nervosi non basterà a riscattare tutto lo stress che ho provato io al suo matrimonio.”

 

Il percorso per la caffetteria è breve e il calore di Fyodor lo protegge dalle rare folate d’aria fredda.

 

Il compagno si limita a mormorare il suo assenso, annuendo leggermente, e non ritorna sull’argomento; nonostante siano ormai in buoni rapporti, Chuuya sa che Dazai e Fyodor non si sono mai sopportati veramente. Hanno dovuto imparare a tollerarsi per amor suo, l’unica persona che avevano e hanno tuttora in comune.

Chuuya ha sempre sostenuto che la loro reciproca antipatia deriva in realtà da un’estrema somiglianza, ma si guarda bene dal dirlo – vi ha accennato una volta soltanto, e quella volta è bastata per guadagnarsi un’occhiataccia quasi identica da parte di entrambi.

L’ironia della situazione era a dir poco acuta, impossibile da ignorare, ma ha scelto di tenere l’osservazione per sé.



Fyodor gli tiene la porta aperta mentre entra; sono questi semplici gesti, queste piccole prove di galanteria a farlo innamorare ancora e ancora, ogni volta un po’ di più – non sa nemmeno enumerare gli anni che hanno trascorso insieme, ormai ha perso il conto, ma ogni giorno sembra qualcosa di completamente nuovo.

 

“Hai polverizzato ogni imperfezione, stamattina? Spero che tu non abbia fatto correre i tuoi dipendenti per tutto il museo,” dice poi Fyodor mentre si sistemano al tavolo.

Chuuya sbuffa, contrariato da quella mancanza di fiducia e dall’insinuazione sottesa, ma intreccia comunque le sue dita a quelle di Fyodor.

“Ora è tutto perfetto, Kouyou è soddisfatta e tutti gli altri sono in pausa pranzo,” gli fa notare, non negando la sua vena perfezionista.

“Di certo era tutto perfetto anche prima.” Stringe la sua mano in gesto di affetto e spensieratezza prima di districarsi dalla presa e portare i loro ordini al bancone.

 

Il cibo è squisito, il caffè delizioso; il chiacchiericcio degli altri clienti è sommesso, non fastidioso ma di compagnia, e il sorriso di Fyodor lo scalda più della pozza di sole in cui è immerso il loro tavolo.

 

È un pomeriggio davvero meraviglioso.





*





L’apertura della mostra è un successo totale; Chuuya può giurare di aver visto sorridere persino Akutagawa. È incredibilmente fiero del suo lavoro di organizzatore – e nonostante fosse un compito stressante, Akutagawa si è rivelato meticoloso ed impeccabile.

Gli regalerà al più presto una bottiglia di Château d'Yquem per congratularsi del lavoro ben fatto.

 

Kouyou è al settimo cielo: splende come il sole mentre socializza con gli altri membri dell’accademia e con un pubblico entusiasta.

Chuuya riceve una cascata di complimenti e l’architetto che ha curato la location ne riceve altrettanti (ne è lieto: Lucy li merita tutti, ha fatto un ottimo lavoro). Persino Hirotsu infrange il suo abituale silenzio per augurarsi di poter assistere presto ad un’altra mostra.

 

Sei mesi di preparazione e il risultato è splendido.

 

Invia qualche foto a Fyodor ma non riceve risposta. Sarà a lavoro. Fyodor non guarda mai il cellulare mentre lavora.

Certo, riesce quasi a immaginarlo mentre legge – no, mentre scr… mentre supervisiona?

Un rumore statico invade i suoi pensieri mentre cerca di mettere a fuoco il lavoro del fidanzato: è un dato che gli sfugge. Un vuoto di memoria, forse? Dazai lo prenderebbe di certo in giro, gli direbbe che sta invecchiando male.

 

La memoria di Dazai è sempre stata impeccabile e di certo è una fortuna, considerato il suo –

 

Perde di nuovo il filo del pensiero ma non fa niente; è una giornata splendida. Il cielo è una meraviglia, così dipinto con i colori del tramonto: un capolavoro da dieci miliardi, bello quanto le opere esposte nel museo. Peccato non poterlo intrappolare in una cornice.

 

Ha finito qualche minuto più tardi del previsto ma per fortuna ha parcheggiato vicino al museo e non sembra esserci traffico; Dazai non avrà scuse per lagnare di un suo ‘ennesimo’ ritardo.

 

Come se lui fosse puntuale, poi! Chuuya non riesce nemmeno a ricordare l’ultima volta che Dazai si è presentato in orario. Era in ritardo pure nel giorno del suo matrimonio e ha fatto sudare freddo il suo testimone, lo sposo e tutti i presenti – e poi faceva un freddo, no, un caldo terribile. Un giorno indimenticabile, anche se ora gli sfugge la data… il mese. Da quanti anni sono sposati Dazai e Oda?

 

Gli verrà in mente; per adesso deve solo preoccuparsi di prendere il suo miglior vino da offrire agli ospiti e godersi la serata.





*





“Sai, ultimamente mi capita di pensare…” sussurra Dazai contro la brezza che avvolge terrazza, le spalle contratte e la mano destra serrata intorno al suo gomito sinistro. “Che c’è qualcosa che non va. Che qualcosa non va in me.”

 

Non è un discorso del tutto nuovo – sono amici da sempre, Chuuya ha sentito innumerevoli confessioni uscire raschiando dalla gola di Dazai, sputate a forza, e Dazai ne ha accolte altrettante quando Chuuya ha avuto bisogno di parlarne con qualcuno, di parlarne e basta.

 

Chuuya sa che il suo migliore amico sta combattendo con una strana forma di depressione ma non ricorda di aver mai sentito una dichiarazione tanto vaga.

Dazai è estremamente lucido e acuto anche quando deve trattare emozioni ancora indefinite o addirittura sconosciute.

 

“Sbagliato? In che senso?”

“Non saprei dire – è come vivere sospeso. È come…” dice, e intanto il suo sguardo sfugge verso la finestra della cucina, dove Odasaku sta sistemando dei bicchieri su un vassoio. “È come dimenticare qualcosa di importante e non sapere cosa.”

 

Qualcosa dentro di lui si agita al suono di queste parole, si contorce, si dimena e scalcia, ringhia e ride, ride–

 

“Come in un sogno?” chiede senza fiato, distratto da quel sogghignare muto che sembra essere di nuovo sprofondato in qualche luogo remoto della sua mente, lontano dai suoi pensieri.

“No, non proprio.”

 

Dovrà accontentarsi di quella risposta stentata; Oda è tornato sulla terrazza e porta con sé una brezza tiepida, l’odore familiare della felicità e un vassoio di liquori.

La conversazione si riassesta in un attimo sui progetti futuri dei due coniugi – la costruzione di un orfanotrofio, forse un’adozione?

 

Passano ore ed ore a parlare, abbracciati dal venticello e da un ritrovato cameratismo; è una serata splendida.





*





Si risveglia nel suo letto un’ora più tardi rispetto al solito: è il suo giorno libero e Fyodor non l’ha svegliato prima di uscire. Si sente rilassato, perfettamente riposato, pronto ad accogliere la freschezza del mattino.

 

Il sole si è alzato prima di lui; Chuuya tira le tende per far entrare più luce nella stanza e nota che a differenza del giorno prima, la giornata non è limpida – nuvole soffici come sogni attraversano il cielo. È uno spettacolo meraviglioso.

Fyodor ha lasciato una ciotola di kasha in caldo accanto a un libro che Chuuya vuole leggere da giorni ma di cui proprio non riusciva a ricordarsi il titolo.

 

Lo pervade un affetto quasi schiacciante, una legge assoluta che gli impone di amare Fyodor. Una condanna senza appello.

 

Non somiglia per nulla all’amore che ha provato per Daz–

No. Lui non ha mai amato Dazai, non in quel modo; come un amico, certo. Come un fratello.

Ricordi confusi e statici si sovrappongono gli uni agli altri: non riesce a togliersi dalla testa l’immagine delle mani di Dazai sulla sua pelle, la sensazione del suo respiro sulle labbra, la certezza che l’abbia amato in modo orribile, malsano – che l’abbia amato davvero. Il loro lavoro…

 

Dazai è un dottore, pensa all’improvviso.

 

Dazai e Oda si sono sposati ad agosto… metà agosto. Quattro anni fa? Sì, quattro anni esatti. Chuuya è stato il testimone di nozze di Dazai, come ha potuto dimenticare la data? Dev’essere stata la stanchezza, ecco perché ora ricorda; sembra passata una vita intera. Quattro anni sono davvero tanti, ora che ci pensa.

 

Cerca stralci di ricordi per tutto l’appartamento – teneva dei diari, ne è certo, sa di aver cosparso pagine e pagine di parole e poemi. Ricorda il peso della carta sotto le dita.

Dove sono finiti?

L’appartamento è immacolato, essenziale; c’è solo una fila di foto appesa sulle pareti.

 

Osserva quei ricordi con un misto di nostalgia e orrore: la sua mente è popolata da fantasmi di ricordi, riflessi di immagini troppo nitide per essere genuine.

Ricorda perfettamente ogni giornata catturata in quelle foto – ricorda di essere stato felice, felicissimo. Ricorda il calore delle labbra di Fyodor sulla sua tempia durante la sua festa di laurea, ricorda il sorriso di Dazai, i complimenti di Oda e l’odore di erba appena tagliata.

Quando è stata la sua festa di laurea?

Non ricorda nemmeno il primo appuntamento con Fyodor o quando ha iniziato ad amarlo. Non ricorda quando l’ha conosciuto.

 

Quelle foto sono le uniche prove che riesce a trovare, le uniche memorie visibili della sua vita, della loro vita, eppure Chuuya sa con disturbante certezza che non sono vere, che non possono essere reali anche se le ricorda perché non sono vere, non sono...

 

Dentro di lui torna ad agitarsi quella risata sinistra, quel caos di follia e desiderio di distruzione che lo dilania da dentro.

Forse non è Dazai a essere sbagliato – forse è Chuuya ad avere qualcosa che non va.

 

Quel disordine l’ha turbato quasi irragionevolmente.

Decide di mettere in frigo la colazione, dimenticando la fame in quel trambusto di risa, scherno e urla che viola ogni centimetro del suo corpo; l’istinto di distruggere e distruggersi non scompare mai del tutto.

 

Passano più di sei ore ma Chuuya si sente elettrico, con quella risata inquietante ancora sottopelle.

Non mangia e non riposa; cammina avanti e indietro, mordicchiandosi la unghie in un vano tentativo di calmare un nervosismo ormai crescente.

 

È tutto sbagliato. Quella perfezione inizia a somigliare a una gabbia.

 

Dal nulla, nasce forte in lui l’idea che forse dovrebbe uccidersi.



Quel semplice pensiero fa deragliare ogni percezione, il tempo e lo spazio – distruggersi, uccidersi? I sogni di morte lo trascinerebbero solo in un’oscurità pericolosa, dolorosa. La morte non sarebbe meno sbagliata, anzi. Un languore scolorito, ecco cos’è la morte – ha visto Dazai perdersi in queste fantasie deliranti ed è stato orribile, orribile. Peggio di quella perfezione che non riesce a inquadrare, quell’utopia spaventosa...

 

Ma il mondo, quel mondo è solo una gabbia priva di colore.

 

Eppure forse, forse dovrebbe uccidersi davvero, strapparsi questo corpo mortale di dosso e distruggere, schiacciare, polverizzare e ridere, ridere cedendo a quello strano singulto della sua mente, quella risata che si è aggrappata al suo cervello con uncini spietati e che non vuole lasciarlo andare. E al diavolo i ricordi, i fantasmi, le inconsistenze.

 

Non sente lo scatto della serratura, non vede la porta aprirsi, così perso in quei pensieri che trasudano veleno. Sobbalza quando percepisce il tocco gentile di Fyodor sulle sue guance.

 

“Che succede?” Il tono di Fyodor è pacato come sempre, calmo, quasi freddo – un appiglio sicuro contro quella tempesta che minaccia di sopraffarlo.

Chuuya non risponde e il suo silenzio pare preoccupare il fidanzato.

“Passerotto, stai bene? Sei pallido,” riprova Fyodor, sfiorandogli gli zigomi con la punta delle dita; il suo tocco è delicatissimo e sbagliato.

È sbagliato ma Chuuya non sa il perché.

 

“Non riesco a ricordare,” sussurra infine, ancora perso nella sua mente, in quei vuoti che non riesce a colmare in alcun modo.

 

Fyodor aspetta che si spieghi, che aggiunga qualcosa, ma la mente di Chuuya è sprofondata di nuovo in quella cacofonia silenziosa di distruzione e risa – qualcosa in lui tira e strattona, combatte per avere la libertà, per uscire dalla gabbia nel suo torace.

Qualcosa che vuole ucciderlo.

 

“Andrà tutto bene, Chuuya,” lo rassicura l’altro, passandogli le dita tra i capelli come per confortarlo e posando le labbra sul suo collo. “Si risolverà, te lo prometto.”





*





Fyodor non aveva torto – Chuuya si è coricato con la promessa che sarebbe andato tutto bene e si è risvegliato in una mattina stupenda: l’aria è frizzante, la città sta cominciando a svegliarsi insieme a lui e la sua mente non è più torturata dal quel frastuono insopportabile, da quel lutto che non ricorda ma che sa di aver patito.

 

Tutto è chiaro, limpido come il cristallo: ricorda tutto ciò che il giorno prima gli è sfuggito.

Lui e Fyodor si sono conosciuti all’università; lui era al primo anno, Fyodor al terzo. La passione per la poesia e la letteratura li ha avvicinati, l’attrazione reciproca è stata inesorabile, inevitabile – il carisma di Fyodor è sempre stato una forza trainante che gli ha permesso di conquistare decine di ammiratori. Attratto nella sua orbita, Chuuya non ha avuto scelta se non innamorarsi perdutamente; e ancor prima di accorgersene, già lo amava.

 

Sono fidanzati da cinque, forse sei anni. Sembra un’eternità.

Le domande assillanti dei loro amici hanno molto più senso, ora che ci pensa; avranno chiesto loro decine, centinaia di volte quando si decideranno a rendere ufficiale la relazione con un bel matrimonio, prendendo esempio da Oda e Dazai.

 

E di queste dinamiche è piuttosto certo: ha finalmente trovato i diari che teneva nel periodo universitario, dove tutto è registrato di suo pugno giorno per giorno. Fyodor ha persino trovato per puro caso degli album di foto: è tutto lì, davvero. Non manca nemmeno un giorno della loro vita insieme. Eppure…



Dovrebbe chiamare Dazai. Fyodor è già uscito per andare a lavorare – ed è normale, suggerisce un pensiero inatteso, Fyodor ha sempre avuto orari bizzarri, incostanti.

Ma non ha bisogno di Fyodor: Dazai può chiarire i suoi ultimi dubbi.

 

Si conoscono da sempre, d’altronde: dalle scuole elementari… no, dall’asilo. Dalla culla, forse. Sì, si conoscono da sempre, i loro genitori erano amici; sono come fratelli. Dazai non può non sapere.

 

Oggi Dazai è di turno in ospedale, forse anche in ambulatorio. Lo chiama poco prima di pranzo, quando sa che sarà già in pausa.

 

“Chuuya! Che strano sentirti a quest’ora – sentivi la mia mancanza?”

La voce di Dazai è quanto di più spensierato si possa immaginare, ma Chuuya lo conosce troppo a fondo per non sentire un accenno di preoccupazione sotto il sorriso.

“Volevo chiederti una cosa… non sono sicuro. So che dovrei esserlo, ma non sono sicuro.”

“Dimmi tutto, non ho fretta! Sono in pausa pranzo, abbiamo ancora una mezz’ora prima che Kunikida venga a stanarmi.”

“Ancora mezz’ora di pausa? Non dirmi che hai di nuovo obbligato Atsushi a fare il tuo turn–”

“Noooo! È questa la considerazione che hai di me? Sei fuori strada” sbuffa l’altro, oltraggiato. “Sono sparito dall’ambulatorio venti minuti prima di pranzo e mi sono nascosto nel reparto di Nefrologia, ovviamente.”

 

Chuuya s’interrompe, distratto da quella spirale di pensieri distruttivi in cui stava sprofondando, e si lascia scappare un sorriso; è il primo dopo giorni.

 

“Ma cosa volevi sapere? Non ti senti bene? Vengo a portarti le medicine a casa, se hai preso l’influenza”

 

Giusto, il motivo per cui ha chiamato.

 

“No, no,” dice, e lo pervade uno strano nervosismo – è strano, non si è mai sentito a disagio con Dazai, ma proprio mai, nemmeno durante le loro conversazioni più strane. “Ricordi quando mi avevi detto che a volte ti sembra di non ricordare qualcosa di importante?”

L’altro non risponde a parole, ma fa un verso di assenso per incoraggiarlo a proseguire.

 

Chuuya esita; parlarne con il suo migliore amico potrebbe non cambiare nulla; Dazai potrebbe insospettirsi, preoccuparsi. Potrebbe pensare che Chuuya stia impazzendo.

Ma forse è lo stesso anche per lui: forse Dazai aveva ragione fin dal principio.

 

“Non ricordavo cose fondamentali – mi sembrava di aver dimenticato tutte le date, tutti gli eventi chiave della mia vita. Il mio matrimonio, la mia carriera…” gli confessa Dazai dopo quel breve silenzio, e sembra quasi vergognarsi. “La mia vita mi sembrava una storia già scritta da qualcun altro.”

 

E Chuuya trattiene il fiato perché è così, gli pare proprio così – è la sensazione giusta. A Dazai non manca mai quella sua spiccata lucidità e Chuuya non ha mai provato tanta gratitudine.

 

“Ma è stata solo una breve crisi, ho ricordato poco dopo. Oda ha persino recuperato delle vecchie foto solo per rassicurarmi… pensa te che assurdità. Ma mi sento molto più tranquillo ora, sono felice che le abbia trovate.”

 

Scioglie il nodo che gli serra la gola schiarendosi la voce, e dice: “Il tuo matrimonio è stato ad agosto, vero? Io ero il testimone…? Non ne sono sicuro.”

“Sei stato il miglior testimone che si possa desiderare!” lo rassicura l’altro, ridendo. “Sì, comunque. Il 16 agosto.”

 

Il 16 agosto: una giornata caldissima. Dazai era in ritardo. Chuuya ha dovuto contenere il panico di un centinaio di ospiti e di entrambe le famiglie.

Fyodor era già al suo fianco.

 

“Io e Fyodor…” inizia, incerto, e sente l’altro sbuffare lievemente – quasi non riesce ad evitarlo, quando si parla di Fyodor.

“Già, io non ero d’accordo fin dal principio. Hai tutta la mia approvazione, se ora vuoi mollarlo.”

“No, volevo solo sapere… stiamo insieme da quanto, cinque o sei anni?”

“Mh,” conferma Dazai, più imparziale rispetto a poco prima. “Direi di sì. Dal nostro primo anno all’università, no?”

 

Ha senso, tutto quadra, ha tutto perfettamente senso, ma quella risata sinistra sta iniziando a ribollire di nuovo in fondo al suo petto; gorgoglia e risale, paziente, aspettando che Chuuya crolli del tutto.

 

“Scusa, non avrei dovuto chiamare, è una sciocchezza.” Parla d’impulso, rinchiudendosi dietro un muro invalicabile, una pila di imbarazzo, sensi di colpa e la netta impressione che sia tutto troppo perfetto per essere vero.

“No, non lo è. Sai che puoi chiamarmi quando vuoi, per qualunque cosa, vero?”

 

Non è vero.

Certo, Dazai è sempre stato disponibile, è sempre stato al suo fianco ma non è vero, non è reale; in realtà Dazai l’ha abbandonato, a Dazai non importa. A Dazai importa solo di se stesso.

Dazai ha lasciato la Maf–

 

Un rumore statico cancella ogni pensiero precedente e tutto il suo turbamento: perché torturarsi così? È una giornata meravigliosa, Dazai è il chirurgo più giovane e talentuoso della nazione, la mostra al museo di Kouyou è un successo strepitoso. Il loro futuro splende.

 

“Devo andare, scusa ancora.”

Riattacca e posa il telefono sul comodino.

Non sente niente.





*





Non riesce a dormire: ci ha provato e riprovato ma ogni volta che il sonno sembra riuscire finalmente a reclamare la sua mente, una risata agghiacciante lo strappa dal torpore e lo getta di nuovo in quella frenesia autodistruttiva che lo sta lentamente consumando.

 

La mancanza di sonno lo sta danneggiando, lo sa: a volte ha come l’impressione di riuscire a sentire il raschiare di una penna contro la carta… il ticchettare di un tempo che riscrive continuamente la realtà. È delirante, sono allucinazioni, devono esserlo; non può essere altrimenti perché l’alternativa è semplicemente–

 

Non è la sua vita.

 

Risponde al telefono automaticamente – c’è qualcosa di strano, di…

 

“Chuuya-san!” esclama qualcuno allarmato, sollevato; ha una voce similissima a quella di Akutagawa ma non uguale, è più roca, aggravata da una tosse perenne.

“Chi parla?”
“Chuuya-san, ti prego, svegliati,” rantola il suo interlocutore. “Devi svegliarti!”










Apre gli occhi a un’ora imprecisata, in una mattina stupenda – la suoneria del cellulare l’ha riscosso da un sonno agitato.

 

“Pronto?” bisbiglia, ancora disorientato.

“Chuuya, amore, sei riuscito a dormire? Ero in pensiero, non ti sentivo da un po’, quindi ho pensato di chiamarti.”

 

Non può aver dormito molto, non ricorda di essersi addormentato presto, ma ora che ci fa caso, sono passate diverse ore dalla sua ultima risposta ai messaggi del suo fidanzato. Il tempo gli è sfuggito, in qualche modo.

 

“Sì, no… non bene, volevo dire.” Non è una risposta coerente – è piuttosto debole, a dirla tutta – ma onestamente, è il meglio che riesca a fare, e poi è con Fyodor che sta parlando. Di certo capirà.

“Forse è proprio il caso di prendere uno di quei sonniferi che ti ha prescritto Dazai, passerotto,” dice Fyodor, la voce morbida e rassicurante. E sembra percepire il suo scontento perché aggiunge: “So che detesti l’idea, ma se penso che potresti stare ancora peggio… almeno provali, fallo per me.”

 

Non è mai riuscito a non cedere, e stavolta non ha nemmeno le forze per provare a resistere, in ogni caso.

 

“Va bene,” dice, troppo stanco anche per protestare. “Va bene.”










Il sonnifero ha fatto miracoli: si è risvegliato riposato, sereno. Fyodor dorme dietro di lui, raggomitolato intorno alla sua schiena come a volerlo proteggere dalla luce del mattino.

 

Ed è ancora una volta una giornata splendida.





*





È tornato da lavoro con un poco di anticipo – Kouyou li ha congedati prima per andare a prendere a scuola sua figlia, la piccola Kyouka – e Fyodor è già a casa, glielo suggerisce il suono di un violoncello. È una delle melodie più belle che abbia mai sentito.

Esita ad aprire la porta d’ingresso: non vuole interrompere il brano. Potrebbe rimanere ad ascoltarlo per sempre.

 

Fyodor s’interrompe lo stesso al suono di una voce allegra; Chuuya non riconosce la voce. Dev’essere uno sconosciuto.

 

Si decide infine ad aprire la porta proprio mentre Fyodor risponde alla domanda posta dall’interlocutore sconosciuto.

 

“Ho tenuto vicino a me i più pericolosi.”

“Ah, capisco!” replica l’altro, e suona lietissimo; Chuuya non riesce a immaginarne il motivo. “E chi sarebbe il più pericoloso?”

La voce di Fyodor è tenue, gentile quando dice: “Il più vicino di tutti.”

 

Devono aver sentito la serratura girarsi perché scende di nuovo il silenzio.

Chuuya si toglie il cappotto con un inspiegabile nervosismo ma tiene i guanti – sono dei colleghi di Fyodor? Suoi amici? Non ha mai incontrato i suoi amici.

 

“Chuuya, sei tornato presto,” lo saluta Fyodor – è già vicino a lui e gli tende una mano; il suo corpo gli ostacola la visuale sul salotto mentre il viola dei suoi occhi lo scruta con intensità inusuale.

“Ti ho mandato un messaggio prima di partire,” risponde, accettando con piacere il bacio di bentornato.

“Mh? Non l’ho letto, scusa, passerotto.”

 

“Ehi, Dos! Non ci presenti?” interviene un uomo sconosciuto; non è l’interlocutore di poco prima, quello perennemente allegro – la voce è diversa.

“Certo: Chuuya, loro sono Nikolai e Ivan.” Fyodor non sembra compiaciuto dalla situazione, ma fa comunque le dovute presentazioni.

 

Chuuya stringe la mano ad entrambi; Ivan lo accoglie con apparentemente grande diletto (ma da quel poco che ha potuto vedere, sembra accogliere tutto con grande diletto) mentre Nikolai lo guarda con occhi taglienti, calcolatori, e un sorriso quasi inquietante. Chuuya non potrebbe essere più contento di aver tenuto i guanti.

 

“Nikolai Gogol, incantato,” si presenta di nuovo l’uomo, guardandolo con fare predatorio. “Non so davvero come Dostoyevsky abbia potuto averti tutto per sé finora – sei una delizia per gli occhi: tenerti nascosto è praticamente un crimine.”

 

Chuuya si congela sul posto: come rispondere a una simile sfacciataggine? Non vuole essere scortese, ma quel Gogol l’ha preso in contropiede.

 

Ma l’altro lo spiazza ancora una volta ridendo, spensierato. “Scherzavo, cielo, scherzavo!” dice, molto più tranquillo e ragionevole, alzando le mani in segno di resa. “Ma sono davvero incantato: la tua fama non rende onore alla tua bellezza.”

 

Fyodor non sembra impressionato – osserva la scena con quel suo solito fare neutrale mentre Chuuya cerca di non farsi confondere da quel vertiginoso cambio di personalità.

 

Sembrano persone deliziose.





*





L’insonnia è tornata; lo divora con una risata agghiacciante e il peso di una stanchezza infinita, di una vita riflessa su un vetro – una gabbia perfetta, trasparente, inafferrabile.

Il vino non l’ha aiutato; mezzo bicchiere in genere lo aiuta a dormire, ma nulla sembra riuscire a portare un po’ di quiete tra i suoi pensieri, ormai.

 

Il primo impulso, quelle notti, è prendere qualcosa di affilato e tagliare profondamente la sua stessa carne per assicurarsi di essere vivo di essere reale, per far andare via quella voce che gli sussurra, tra le risa, che tutto in lui è corrotto. Il suo dolore è corrotto.

 

Deve dormire, non c’è altro modo.

Prende il flacone di pillole e–





*





È di turno in ospedale quando gli portano la barella di corsa, gridando di fare largo, che si tratta di un codice rosso.

 

Dazai corre per aiutare gli infermieri a trasportare il paziente fino all’entrata del pronto soccorso quando gli dicono che si tratta di un arresto cardiaco. Il paziente potrebbe non farcela.

 

“Iniettate un milligrammo di epinefrina e preparate il defibrillatore,” ordina, calmo ma non senza urgenza – non è la sua prima rianimazione, sa dirigere una squadra senza problemi. I suoi collaboratori sono già all’opera; Atsushi se la cava benissimo, in questi casi.

 

“Dottore,” lo chiama una delle infermiere, porgendogli la cartella. “Si tratta di un’overdose. Sonniferi e alcolici.”

Prende il fascicolo dando un’occhiata veloce ai dati: il paziente ha 24 anni, nessun problema precedente da segnalare. Si chiama Nakahara Chu–

 

In un attimo gli crolla il mondo addosso.

 

“Chuuya!” grida, facendosi largo tra i soccorritori; Chuuya è pallido, il suo petto è fermo, orribilmente fermo, Chuuya non respira. Sta rischiando la vita per un’overdose, Chuuya è–

 

“Lo conosci?” gli chiede qualcuno, una voce indistinta dai contorni sfumati, e non riesce a concentrarsi, non riesce a riconoscerla, tutto ciò che vede è Chuuya sulla barella mentre Atsushi cerca di rianimarlo.

Non è in sé quando risponde – dapprima riesce soltanto a muovere la testa in un cenno affermativo. La gola serrata gli impedisce di articolare una risposta.

 

“Okay, dammi, Dazai, non sei lucido.”

Qualcuno, una donna – la dottoressa Yosano, comprende infine – gli strappa il fascicolo dalle mani e lo allontana gentilmente dalla scena.

Quando finalmente ritrova la voce, le dice con voce strozzata: “È il mio migliore amico.”

 

Lo stanno intubando, ma il suo cuore ha ripreso a battere. Ancora non riesce a respirare.

 

“Va’ e non preoccuparti, qui ci penso io.”

 

Si allontana dalla scena, completamente disorientato: non ha senso. Chuuya non avrebbe mai fatto una cosa del genere, Chuuya…

Chuuya non morirà: Yosano è un’esperta, ha visto con i suoi occhi cosa è in grado di fare. Riesce a strappare miracoli da casi disperati. Un’overdose non è un problema, non lo sarà.

 

Chuuya non morirà e lo sa, ma il suo mondo non si ricompone; resta in pezzi sul pavimento vicino all’ingresso del pronto soccorso.

 

Dazai non si allontana di un passo dalla camera dove stanno rianimando Chuuya.  Il panico non scompare.





*





Quando Chuuya si risveglia è quasi mattina – l’odore di ospedale e di disinfettante è ovunque. Gli ricorda Dazai.

 

Qualcuno gli toglie il tubo che lo sta soffocando e all’improvviso c’è un peso sulle sue spalle che gli impedisce di muoversi. Chissà dov’è Fyodor.

 

“Pensavo che il suicidio fosse una mia prerogativa, Chuuya.” Il tono quasi scherzoso di Dazai non è altro che una maschera sottile: il suo sguardo tradisce immediatamente la serietà reale del suo umore. “Perché l’hai fatto?”

 

Chuuya non risponde; fissa un punto indefinito sul muro. Dazai non l’ha mai sentito così distante.

 

Interviene una terza voce.

“Lascialo riposare, Dazai.”

 

E Chuuya sprofonda di nuovo nel torpore.





*





Non sa quanto tempo sia passato; è Chuuya ad essere in un sonno profondo, ma Dazai ha perso la cognizione del tempo, divorato da un’angoscia e una disperazione che non aveva mai provato prima.

 

Odasaku – suo marito l’ha raggiunto non appena possibile, allarmato quanto lui, confuso più di lui. I suoi discreti tentativi di confortarlo non sono serviti a molto; cosa potrebbe risollevarlo, a questo punto? Il suo migliore amico ha tentato il suicidio. Non può esistere nulla di peggio.

 

E Fyodor Dostoyevsky è già nella stanza di Chuuya da ore, gli tiene la mano e lo guarda con il capo lievemente inclinato a sinistra e uno sguardo calcolatore che non perde mai lucidità.

 

È colpa sua, Dazai lo sa, non può essere altrimenti. Chuuya è sempre stato una persona positiva, un amante della vita in ogni suo aspetto – è sempre stato così diverso da lui… dev’essere colpa di Dostoyevsky, non c’è altra spiegazione.

Lo ucciderà a mani nude, se gli ha fatto qualcosa.

 

Perché Chuuya ha cercato di uccidersi? Non ha alcun senso, non ha mostrato alcun sintomo, nessun segno di depressione. Dazai non è estraneo ad alcuni aspetti della depressione, e nonostante non sia mai arrivato a considerare seriamente il suicidio, saprebbe riconoscerne i segnali su qualcun altro… sul suo migliore amico.

 

Conosce Chuuya: non l’avrebbe mai fatto. È così e basta.

 

Entra nella stanza per controllare che vada tutto bene non appena sente una lieve variazione dei suoni dei vari monitor. Chuuya si sta svegliando.

 

Il suo primo sguardo nello spazio della stanza è di pura confusione – non ha più bisogno del ventilatore, ma l’ambiente circostante sembra disorientarlo ancora.

 

“Mi senti? Chuuya?” gli chiede, controllando la reattività della pupille.

 

E Chuuya finalmente posa lo sguardo su di lui, annuendo a stento.

Bene, è cosciente: è un buon segno. Starà bene.

 

“I tuoi valori sono abbastanza buoni, considerato…” lo informa subito, ma il nodo che gli serra la gola non gli fa terminare la frase. “Il fegato non è messo bene, però. Non è in condizioni pessime, ma lo abbiamo salvato per un pelo – ti terremo qui per un po’.”

 

Dostoyevsky, che l’aveva osservato intento per quei pochi momenti, riporta tutta la sua attenzione su Chuuya; gli stringe con delicatezza la mano libera dalla flebo e tenta un tenue sorriso.

“Sentito, passerotto? Starai bene.”

 

Dazai deve farsi violenza per non colpirlo in faccia con il carrellino della flebo.

 

“Dobbiamo parlare. Senza la scorta, se possibile,” aggiunge, lasciando trasparire una certa asciuttezza nel tono mentre rivolge uno sguardo gelido a Dostoyevsky.

 

Dostoyevsky non pare affatto colpito dalla sua ostilità e non sottolinea quanto sia crudele chiedergli di lasciare il fidanzato appena sveglio dopo che ha rischiato di perderlo; si alza lentamente, sistema i capelli di Chuuya dietro le orecchie con un gesto familiare e delicato e gli posa un bacio sulla tempia, prima di uscire dalla stanza.



“Te l’ho già chiesto una volta e non hai risposto, ma devo saperlo, Chuuya,” dice Dazai non appena sente la porta chiudersi. “Perché l’hai fatto?”

E Chuuya risponde di nuovo con un silenzio pesante. Stavolta non lo accetterà.

 

“È stato Dostoyevsky? Ti ha fatto del male, ti ha costretto a fare qualcosa che non volevi fare? A me puoi dirlo, lo sai.”

 

Ti prego, pensa. Ti prego, voglio solo proteggerti.

Preferirebbe di gran lunga una rabbia folle alla paura gelida che lo sta paralizzando.

 

“No, no,” risponde finalmente Chuuya, la voce ancora roca per via del ventilatore che gli ha salvato la vita. “Santo cielo, Osamu, certo che no.”

“E allora perché?” lo incalza Dazai, determinato – stavolta vuole una risposta. Ha bisogno di una risposta. “Perché lo hai fatto?”

 

Chuuya lo guarda e Dazai coglie subito tutti i piccoli dettagli che fanno la differenza, quando si tratta di Chuuya: nota le spalle rigide e le labbra serrate, e quella piccola ruga sulla fronte che compare quando Chuuya è confuso.

Già si aspetta la risposta; quando Chuuya aggrotta così le sopracciglia poi risponde sempre: “Non lo so.”

 

Ma Chuuya lo sorprende: “È stato un errore,” sussurra.

 

Un errore?

 

“No. No, no, no.”

Non lo accetta. Non è nemmeno una risposta – è un’assurdità. È follia pura.

 

“No, romperti il polso mentre cercavi di arrampicarti sul mio balcone quando eravamo piccoli è stato un errore. Ingoiare una fiala intera di sonniferi con mezza bottiglia di vino non è un errore,” ringhia, determinato a ottenere qualcosa, a riscuoterlo da quel torpore. “Un tentato suicidio non può rientrare in alcun modo nel concetto di errore.”

 

Lo sguardo di Chuuya torna fuori fuoco, come se stesse cercando di vedere e sentire qualcosa di diverso, qualcosa di lontanissimo.

 

“Chuuya, puoi dirmi tutto, sai che puoi farlo,” lo incalza, spinto da una disperazione che lo sta rosicchiando ai bordi. “Non potrei mai giudicarti, ma forse ti posso aiutare… tu l’hai fatto innumerevoli volte con me. Vorrei solo poter fare lo stesso.”

Ed è vero, è assolutamente vero: non sarebbe mai sopravvissuto senza il saldo, gentile supporto di Chuuya e, più tardi, la pazienza sconfinata di Oda.

 

Dopo un’infinità di tempo, Chuuya risponde: “Non lo so, dico sul serio. Non ero nemmeno io… non mi sentivo me stesso.”

 

Dazai non ha mai preso in mano un libro di psichiatria e neurologia decisamente non è il suo campo di specializzazione, ma è evidente che qualcosa non va. Lo sente.

Elenca mentalmente tutti gli specialisti a cui può rivolgersi – aiuterà Chuuya, in un modo o nell’altro. Il primo passo sarà rimettere in sesto un fegato a pezzi.

 

Chuuya fa una breve pausa. È un silenzio che pesa come un macigno.

“È stato un errore,” conclude, ancora disorientato. “È stato solo uno stupido errore.”





*




Si sveglia lentamente, sereno e riposato; il sole scalda la sua camera da letto, illuminando una mattina che già si preannuncia splendida.

Il suo comodino è occupato da fiori colorati e freschissimi, alla sua sinistra c’è un vassoio pieno di delizie preparate da Fyodor e il calendario segna il 22 aprile. La data è cerchiata con un pennarello rosso.

 

“Buon anniversario, amore,” lo saluta il suo fidanzato, baciandolo su entrambe le guance e sulla punta del naso.

Il suo cuore per poco non scoppia d’amore, così illuminato da un tiepido sole primaverile e dalla promessa di una vita perfetta.

 

È davvero – sempre –  una giornata meravigliosa.

 


 

Note finali

 

Grazie per aver letto questa storia!

Come promesso, un paio di note sui rimandi presenti nel testo:
- la citazione iniziale è tratta da un racconto breve di Massimo Bontempelli: l'opera in questione si chiama "Quasi d'amore" e ha ispirato il titolo di questa storia.
- il soprannome "passerotto" e le frequenti descrizioni del cielo rimandano ad una poesia del 'vero' Chuuya Nakahara, "Morning Song" (e mi riferisco in particolare ai versi: "The wee-birds' songs not to be heard / The sky today seems a cerulean hue").
- i frequenti riferimenti a quel mondo utopico descritto come una gabbia priva di colore e ai sogni di morte sono un diretto rimando alla character song di Chuuya nell'anime (ed in particolare ai versi: "'In languor dreams of death'... who was the one that said it? /The world is a bird cage, faded in colour / Even if I lament, I can't get out of this prison)

Quanto alle possibili interpretazioni, ci sono diverse opzioni che posso indicare come fondamentali o basilari, ma incoraggio sempre e prima di tutto l'interpretazione del lettore: la ricezione di una narrazione è importante quando la sua costruzione, se non di più. Se la vostra interpretazione si discosta dalle opzioni da me proposte, sarei curiosissima di sentirle. 
E come sempre, vi invito a lasciare tutti i commenti che volete, se vi va: li leggo tutti e li apprezzo infinitamente!
- Il primo tipo di interpretazione che vorrei suggerire è anche il più fedele alla lettera del testo: come suggerito dall'introduzione e da diversi passaggi del testo, tutti i personaggi si trovano nell'Utopia costruita da Dostoyevsky, che si è assicurato di distribuire con accortezza le sue pedine (come accenna nella conversazione privata con i suoi alleati, ha tenuto i più pericolosi vicino a sé per poterli controllare meglio: Chuuya e Dazai sono i primi della lista, naturalmente). Nonostante le Abilità non esistano più, chi aveva un'Abilità simile a una creatura senziente risente più dell'artificio, lo nota; nel caso di Corruzione (un'abilità non solo senziente, ma anche incredibilmente distruttiva), i suoi tentativi di riemergere si dimostrano pericolosi non solo per Chuuya, ma anche per l'equilibrio del mondo creato da Dostoyevsky.
Le inconsistenze e le tempistiche vaghe, i ricordi mancati, sono tutti sintomi di una realtà che si riscrive in continuazione per tenere un equilibrio interno.
- Chuuya è l'unico prigioniero della realtà creata dal Libro (o di un'abilità simile a quella di Poe), alla mercé di Dostoyevsky, che lo tiene rinchiuso per sottrarre alla Mafia la sua arma più pericolosa.
Le voci e i deliri sono i tentativi dei suoi alleati di riportarlo nel mondo esterno, 'reale'.
- Ultima, nonché la meno sostenuta dalla lettera del testo, l'ipotesi che tutta questa Utopia sia solo una complessa costruzione della mente di Chuuya, che ha perso il controllo ed è ormai sprofondato nella follia di Corruzione.

Mi pare di non aver dimenticato nulla - nel caso, mi premurerò di aggiungere le note che mi sono persa. Chiedete e segnalate pure tutto ciò che volete nei commenti, leggerò e risponderò molto volentieri!

Un ringraziamento speciale va a Sara, che ha colmato le mie lacune mediche, e a Giulia, che mi ha prestato la sua competenza in museologia e dintorni. Grazie ancora a tutti coloro che avranno eroicamente superato le note finali, arrivando fin qui! (vi prometto che la prossima storia sarà molto meno pesante) (mi sono lasciata prendere la mano, lo ammetto. Ops).

   
 
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