AMANTES AMENTES
Quare
id faciam fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio
et excrucior
«Non
posso andare avanti così» Noriko interrompe il
bacio a
metà e allontana Nemeria da sé; la ragazza la
guarda incredula senza capire.
«Cosa stai dicendo?» chiede, tornando a lambirle il
collo con
baci piccoli e leggeri, per provocarla e invitarla a riprendere il
contatto
appassionato di poco prima. Osa persino una carezza, che dalla guancia,
scivola
lungo la mandibola, ne traccia il profilo delicato, scorre lungo il
collo
bianco, le clavicole sporgenti e sfiora uno dei seni scoperti.
Sono nell’harara, dopo l’ennesimo
estenuante allenamento. Ormai
è diventato un appuntamento fisso: la sauna è uno
dei pochi luoghi dove è
concessa loro un po’ di intimità e un ritaglio di
tempo per uscire da quel
mondo di polvere, sangue, dolore e fatica e immergersi in uno di
vapore,
passione, serenità e piccole attenzioni. A Nemeria piace
intrattenersi tra
quelle mura di legno chiaro con Noriko, più che nella camera
da letto: c’è un’atmosfera
diversa, più spontanea, più naturale, e i vapori
rendono tutto molto più
nebuloso e incerto, come essere immersi in un sogno.
Ma la rossa la scosta di nuovo, infrangendo la sua visione
onirica.
«Che ti prende?» si infiamma subito
l’altra. Da qualche
settimana Nemeria ha notato questo cambiamento in Noriko: è
diventata più
distaccata, più lontana, e i suoi baci non hanno la stessa
passione, la stessa
intensità; le sue carezze sono più fredde,
costrette, come se stesse recitando
una parte che non le piace.
«I-io non posso continuare in questo modo» ripete
la rossa,
alzandosi improvvisamente.
Nemeria non l’ha mai vista così nervosa e agitata:
anche
nell’Arena, poco prima degli incontri, ha sempre
un’espressione neutra,
impassibile e non mostra alcun segno di nervosismo. La ragazza si
è sempre
domandata come riesca a mantenere la calma in ogni situazione e a non
lasciarsi
sopraffare dalle emozioni: è sempre lei a tranquillizzarla e
infonderle
coraggio prima di ogni scontro, ed è sempre lei a impedirle
di far saltare i
denti a qualcuno ogni volta che un altro Gladiatore la provoca.
È palese che
qualcosa preoccupi profondamente la rossa, e Nemeria ha il terrore di
scoprire
di cosa si tratti.
«Recitare! Fingere! Costruire dei sentimenti e una
maschera
che non esistono!» risponde l’altra, senza
guardarla negli occhi.
«Cosa vorresti dire?» esclama Nemeria,
incredula e confusa.
«Quello che ti ho appena detto» risponde Noriko con
una
freddezza che fa rabbrividire l’altra. Il nervosismo pare
essere scomparso,
ibernato da quella calma gelida, piatta e liscia che la
contraddistingue. La
rossa è diventata una lastra di diamante, difficile da
scalfire e ancora più
difficile da interpretare.
«Hai finto che cosa?» sillaba la mora. Ogni parola
le costa
un enorme fatica e le lettere escono strozzate dalla gola, soffocate,
incerte.
Gli occhi iniziano già a riempirsi di lacrime.
Non vuole approfondire il discorso, ha paura di scavare e
scoprire cosa nascondano quelle parole; per la verità, lo
intuisce, ma si
rifiuta di crederlo: è qualcosa che la sua mente nega di
concepire, e rigetta
come un boccone amaro. Cerca di rimandare la propria condanna a morte
fino a
quando diventerà inevitabile.
«Di amarti» dichiara Noriko con voce
atona, senza alcuna
inflessione. Nemeria non riesce a capire se la sconvolgano di
più quelle parole
o il tono neutro con cui sono state pronunciate. Sembra che non le
importi
davvero nulla, che non le interessi avere appena distrutto il suo
intero mondo
e aver ridotto il suo cuore a un ammasso rosseggiante che trema
spasmodico, in
un ultimo, anelante sussulto di vita.
Rimane gelata, spenta, morta: quelle due parole l’hanno
ferita
più profondamente di qualsiasi squarcio possa averle aperto
Roshanai negli
allenamenti o i suoi avversari negli scontri. È un taglio
che non può essere
rimarginato, che continuerà a gocciolare sangue, fino a
lasciarla completamente
svuotata e dolorante.
«Hai finto per tutto questo tempo?» singhiozza
Nemeria,
maledicendosi subito dopo: non vuole piangere e mostrarsi debole,
nemmeno
davanti a Noriko che è sempre stata testimone delle sue
mancanze e delle sue
lacrime, ed è stata la forza che sosteneva e compensava le
prime e il conforto
caloroso che asciugava le seconde.
La ragazza si sente un allocco per aver esposto
così tanti
scorci vulnerabili di sé, fidandosi delle promesse fumose
dell’altra che aveva
dichiarato che l’avrebbe protetta a ogni costo, che
l’avrebbe sostenuta.
È stata ingannata e il tradimento brucia come mille schegge
di fiamma; ma non è il fuoco che la anima quando
è sul punto di lanciare un
incantesimo, non è l’incendio alimentato dalla
rabbia.
È un’autocombustione che la sta consumando
lentamente, da
dentro, lasciando di lei niente più che un nugolo di
farfalle di cenere
disperse dal vento.
«Mi era stato chiesto» Noriko si stringe nelle
spalle. Ciò
che fa imbestialire maggiormente Nemeria è proprio questa
indifferenza, la totale
apatia che sembra aver preso il sopravvento sulla gladiatrice,
ricomprendo con
una patina biancastra, che rende tutto uniforme e incolore.
«Ti era stato chiesto?» ogni parola è
per lei una lama che
raschia la gola e le fa sputare sangue.
«Tyrron mi ha chiesto di inventare qualcosa che
potesse
catturare il pubblico, coinvolgerlo, invogliarlo a patteggiare per noi,
per
fare in modo che sopravvivessimo entrambe a queste
ecatombe…che tu
sopravvivessi a questa ecatombe.»
«In che senso?» pigola Nemeria. Per quanto sia
doloroso
scoprire la verità, ha un bisogno viscerale di comprenderne
ogni aspetto, di
capire fin dove si sia protratta la farsa di Noriko e i motivi che
l’abbiano
spinta a giocare con lei in maniera tanto crudele e spietata.
«Tyrron non ha mai pensato che fossi in grado di resistere
all’Arena: troppo esile, troppo buona, troppo poco allenata,
troppo ingenua,
troppo inadatta, e temeva di perderti già dal primo
incontro. Così mi ha
chiesto di ideare un piano che potesse tenerti in vita… E
quale piano migliore
che coinvolgere il lato sentimentale e compassionevole del
pubblico?»
«C-così la prima volta mi hai
risparmiata fingendo di amarmi?
Q-quel bacio, nell’Arena, è stata solo una
messinscena.»
L’ultima frase è stata un’affermazione,
ma Noriko annuisce lo
stesso.
L’ultimo sussulto del cuore di Nemeria si spegne, sostituito
da un baratro nero, senza fondo, senza forma. E la ragazza viene
inghiottita da
quel baratro annullandosi completamente.
Si lascia cadere contro la parete dell’harara, ha
bisogno di
un sostegno per non crollare definitivamente: ogni certezza, ogni
convinzione,
ogni speranza e sogno sono stati sbriciolati. La sua vita è
stata devastata
un’altra volta, così come era stato bruciato ogni
frammento della sua famiglia
e ogni persona cara annullata nel sangue, quando il suo villaggio era
stato
raso al suolo dai predoni, assieme a tutta la sua infanzia.
L’aspetto più lacerante è il fatto che
questo eccidio, questa
volta, sia stato compiuto da Noriko: una persona che aveva giurato di
proteggerla, che l’aveva sempre sostenuta e accompagnata, che
era stata la sua
spalla e la sua guida. E quando le aveva posato delicatamente le labbra
sulle
sue, nell’Arena, in un bacio tremante che aveva il sapore
della terra, del
sangue e delle lacrime, aveva creduto di aver aggiunto un nuovo
significato a
ogni suo gesto: l’amava, e per questo, si era prodigata tanto
nei suoi
confronti.
Nemeria si era illusa che questa motivazione fosse la
spiegazione di ogni comportamento dell’altra: la sua
freddezza, quegli slanci
subito mitigati dal suo sguardo severo e autoritario, quegli
atteggiamenti
indecifrabili nascondevano un sentimento che sconvolgeva la rossa e le
impediva
di comportarsi in maniera razionale e coerente, sorprendendola ogni
volta.
L’aveva fatta impazzire, perché non capiva, e solo
allora aveva creduto che
tutte le tessere del mosaico avessero raggiunto il loro posto,
formandone una
figura.
Noriko aveva appena distrutto quel disegno con un colpo di
martello, spargendo tutti i tasselli, che come schegge di vetro le
lacerano
l’animo.
Il dolore si tramuta in rabbia e la rabbia in odio: è stata
illusa, usata, sfruttata, mossa come una marionetta senza che si avesse
alcun
riguardo per lei e i suoi sentimenti. Volevano che sopravvivesse e
hanno
raggiunto perfettamente il loro obiettivo: perché tutto
quello che considerava
vita non era stata altro che uno spettacolo in cui recitare il ruolo
dell’ingenua che ancora crede all’amore e alle
promesse, ha fiducia negli altri
e viene irrimediabilmente delusa e ferita.
Solleva lo sguardo verso Noriko, gli occhi fiammeggiano,
scintillanti di lacrime. Schiude le labbra: vorrebbe dirle qualcosa,
riversare
su di lei il marasma di sentimenti in ebollizione dentro di lei, ma
questi sono
troppo violenti, troppo ingarbugliati, si intrecciano l’un
l’altro mordendosi a
vicenda, sovrastandosi a vicenda, impedendole di esprimere a parole
quel
coacervo di serpi suicide.
Solleva anche il resto del suo corpo abbattuto e sfilacciato,
diventato ormai un involucro vuoto. Lo fa deambulare fino
all’ingresso del
bagno. Getta un ultimo sguardo a Noriko, risentito, carico di rabbia ma
soprattutto delusione. È una pugnalata al cuore, e la rossa
sente un dolore
atroce all’altezza del costato, quasi vi avesse confitta una
lama reale.
Nemeria si trascina fuori dall’hanara, e Noriko la
guarda
allontanarsi.
Solo quando l’anta torna a incastrarsi nel riquadro, con uno
sciocco secco, che ha il terribile suono di qualcosa di definitivo, si
morde le
labbra, crolla sulle ginocchia e inizia a piangere.
Violenti singhiozzi la scuotono, mentre la maschera di
impassibilità e freddezza che si è costretta a
indossare fino a quel momento si
crepa, e i frammenti scivolano sulle sue guance assieme alle sue
lacrime.
Nulla di quello che le ha appena detto è vero:
Tyrron mai le
ha chiesto di inscenare una relazione per aumentare le
probabilità di Nemeria
di sopravvivere; la sua raccomandazione era stata solo quella di
impedire che
la ragazza si bruciasse subito, di evitare che le sue emozioni
prendessero il
sopravvento, rischiando di commettere qualche strage che avrebbe
segnato la sua
condanna. E Noriko aveva rispettato il patto…
Fino a quando, nell’Arena, erano state costrette a scontrarsi
e Nemeria era crollata sotto la spinta dei suoi attacchi: era caduta a
terra, e
Noriko aveva esitato, la naginata sospesa sopra la testa, il colpo
già caricato.
Non si era aspettata che soccombesse così rapidamente, non
credeva che
sarebbero arrivate a quel punto, e un terrore cieco aveva invaso il suo
petto:
il pensiero che il pubblico decidesse per la morte della ragazza
l’aveva
sopraffatta, gettandola in uno stato di panico che mai aveva
sperimentato e mai
aveva pensato di poter provare. L’urgenza del momento, il
terrore di poterla
perdere e quel sentimento informe, che da tempo tormentava la sua
anima, l’avevano
incalzata e spinta a compire un gesto ardito -del quale,
però, non si era
pentita e mai avrebbe rinnegato- e invece di infliggerle il colpo
mortale, come
il pubblico incitava, aveva gettato lontano l’arma e sotto lo
sguardo sconvolto
dei presenti si era voltata verso la tribuna d’onore.
«Mi arrendo» aveva dichiarato, e il pubblico aveva
iniziato a
rumoreggiare.
«Mi arrendo» aveva ripetuto,
«E non mi interessa se sarò
ricoperta di infamia e ignominia. Mi arrendo, perché
è l’unica cosa che posso
fare per non uccidere colei che amo. E preferisco morire con il
disonore che
macchia la mia persona, perché mi sono ribellata e non ho
obbedito all’ordine,
piuttosto che vivere con l’onta di averla uccisa e il peso di
aver preferito la
mia vita alla sua.»
A quel punto aveva afferrato una mano di Nemeria e l’aveva
rimessa in piedi, e prima che l’altra capisse la situazione,
si era appropriata
delle sue labbra, baciandola delicatamente. In quel brevissimo istante,
Noriko
aveva temuto il peggio: aveva disatteso un ordine, aveva risparmiato
Nemeria
quando era stato decretato che morisse, e probabilmente aveva
condannato
entrambe. Ma uno scroscio di applausi e grida di incitamento avevano
approvato
quel gesto impulsivo e irrazionale, dettato dall’istinto e
dall’ondata di
sentimenti che l’avevano trascinata. Aveva sospirato contro
la bocca dell’altra
e aveva avvolto la mora in un abbraccio.
Contro ogni previsione il suo gesto aveva sorpreso e
conquistato il pubblico: avevano stupito e regalato qualcosa su cui
spettegolare, scommettere, commentare, sostenere o deprecare. Avevano
fornito
un nuovo intrattenimento, una scusa per invogliare il pubblico a tonare
nell’Arena, per scoprire come questa storia d’amore
impossibile si sarebbe
sviluppata. Da allora, erano diventate le eroine dell’Arena,
raccogliendo
consensi e sostegno, molti sponsor si erano prodigati per loro, e
Tyrron aveva
inventato una storia che rendesse ancora più tragica e
disperata la loro
situazione, e dopo aver rimproverato la rossa per
un’iniziativa tanto
sconsiderata, si era complimentato per l’idea e
l’aveva appoggiata totalmente,
incitandola in quella direzione. Ciò che Tyrron ignorava era
il fatto che
Noriko provasse davvero quei sentimenti che dichiarava, ma con
l’uomo aveva
sempre finto che fossero costruiti, i personaggi di una storia
architettata per
il teatro dell’Arena, come se ne vedevano spesso. Non aveva
alcuna intenzione
di esporre le proprie debolezze a chiunque, tantomeno
all’uomo che poteva disporre
della sua vita come meglio credeva.
Ma ben presto quella relazione, che ondeggiava costantemente
tra la realtà e la finzione, era diventata una catena e una
lama: da un lato le
rafforzava perché potevano trovare sostegno e conforto
l’una nell’altra; ma
dall’altro le rendeva vulnerabili perché
l’una era il punto debole dell’altra,
un possibile mezzo di ricatto o di minaccia, una fragilità
che avrebbe potuto
spezzarle. Erano l’una i piedi di argilla
dell’altra e il torneo era diventato troppo
competitivo e asserragliato per potersi mostrare vulnerabili e esili:
Noriko
non voleva che Nemeria fosse coinvolta in qualcosa a causa della loro
relazione, che diventasse un mezzo per giungere a lei, che le facessero
male
perché potessero provocare la rossa. Doveva preservarla: la
amava troppo per
vederla ferita da qualcuno, o sfruttata per colpire lei.
Così aveva preferito distruggerla lei stessa, con un solo,
poderoso fendente mortale, prima che un altro nemico decidesse di
ridurla
lentamente a brandelli. Era stato più doloroso, ma era un
dolore simile allo
strappo di una benda: improvviso e lancinante, ma fondamentale per
permettere
alla ferita di guarire, ed evitare che la carne imputridisca. Aveva
appena evitato
che Nemeria si incancrenisse, e con lei il loro rapporto.
Si passa una mano sul volto, cercando di scacciarne le
lacrime: nessun accenno di cedevolezza deve essere mostrato, sarebbe
stato un
appiglio fornito ai nemici per colpire più in
profondità.
Noriko stringe il busto con le braccia, alla ricerca di un
pallido spettro di uno di quegli abbracci di Nemeria, entusiasti e
capaci di
avvolgerla completamente, nonostante la mora fosse sempre stata
più esile di
lei. Si era sempre mostrata restia a quel contatto, rispondendo al
gesto in
maniera rapida e incerta, senza il trasporto e
l’intensità dell’altra, come se
non le fosse mai importato granché. La verità,
era che lei amava essere
abbracciata da Nemeria: tra le sue braccia poteva mostrarsi fragile e
vulnerabile,
e depositare per un momento la maschera che si costringeva a indossare
ogni
giorno. Era un assaggio di sincerità, spontaneità
e fiducia.
Un piacevole calore si diffondeva nel suo petto, talmente
inaspettato da essere doloroso. Era sempre lei ad allontanarla e
Nemeria, dopo
i primi tempi, aveva smesso di protestare, e si rallegrava per quelle
schegge
sbeccate di affetto che le concedeva, taglienti e fredde come frammenti
di
cristallo.
Noriko ripensa a tutte le volte in cui avrebbe potuto
dimostrare maggiormente la sua affezione per l’altra, quanto
le facessero
piacere i suoi piccoli gesti d’amore, che non aveva mai
dimostrato di
apprezzare abbastanza, quando anche il più piccolo sguardo
era fonte di gioia e
conforto. Lei era sempre stata la più intraprendente, ma
Nemeria era stata
quella più tenace e affettuosa, che era scivolata lentamente
nel suo cuore,
senza che se ne accorgesse e vi si era raggomitolata, diventando una
presenza
minuscola e ignorabile, ma costante, che lentamente aveva scavato,
ritagliandosi
un cantuccio sempre più profondo e stabile, fino a diventare
imprescindibile. Un
pezzo della sua anima che se gli fosse stato strappato non sarebbe
più riuscita
a riprendersi. Per questo aveva preferito farlo da sé,
distruggersi da sola, in
modo che nessuno ne avesse la possibilità, acquistando un
vantaggio su di lei e
l’occasione per controllarla.
Noriko si arpiona il petto, all’altezza del
proprio cuore
ridotto in briciole: non aveva tenuto conto della sofferenza devastante
che ne
sarebbe seguita. Accecata dal miraggio di pace e serenità
che le attenzioni di
Nemeria, i suoi baci e le sue carezze avevano intessuto sulle sue
palpebre, non
aveva notato l’inganno celato dalla trama, che pian piano la
stava imbrigliando
nella sua ragnatela, imprigionandola e impedendole di potersi difendere
dagli
attacchi dei suoi nemici. Aveva deciso di lacerare quella ragnatela, di
rompere
la bolla di serenità, ma almeno, avrebbe potuto difendere
Nemeria come aveva
sempre fatto: da lontano e in segreto, senza rischiare di essere
limitata o
minacciata dal loro rapporto.
Era stata una decisione sofferma, ma l’unica possibile.
Nemeria
sarebbe diventata più forte dopo la rottura: la rabbia e il
dolore si sarebbero
trasformati in forza e tenacia, sarebbero stati il fuoco che
l’avrebbero
animata nell’Arena, sbaragliando i nemici. La mora era sempre
stata più forte e
resistente, nonostante sostenesse il contrario. Si sarebbe ripresa
egregiamente
e avrebbe bruciato i propri avversari.
Noriko sorride tristemente, convincendosi di aver fatto la
scelta migliore. Perché, dunque, sentiva tanto dolore e
provava l’impulso di
correre da lei e raccontarle tutto?
«No,» mormora tra sé e sé,
«è meglio tenerla all’oscuro,
lasciare che mi odi e che l’odio, come è stato per
l’amore, siano l’energia e
la forza di volontà che la condurranno fuori da
quest’inferno.»
Noriko crede che Nemera abbia una possibilità, a
differenza
sua; Tyrronn gliel’h confessato: Nemeria riscuote successo,
è capace di farsi
amare dal pubblico, lei no. E preferisce che almeno una delle due si
salvi,
piuttosto che entrambe periscano a causa di legacci troppo stretti e
limitanti.
Noriko sospira e si lascia cadere e appoggia la schiena
contro la panca; anche lei ormai svuotata.
È stata una sciocca, per ben due volte: la prima decidendo
di
iniziare quella relazione, la seconda scegliendo di troncarla. Era una
pessima idea,
lo sapeva, ma aveva preferito affidarsi al suo istinto e dichiarare il
proprio
amore per Nemeria, nascondendolo dietro un’espediente per la
sopravvivenza di
entrambe. Era stata un’ingenua a esporsi in quel modo, non
tenendo conto che
quell’amore avrebbe potuto ritorcersi contro di loro,
diventare la loro rovina.
Rendendosi conto del madornale errore, si è vista obbligata
a
spezzare le catene che lei stessa aveva creato.
Solleva lo sguardo, le lacrime che non è riuscita a
cancellare a rigarle le guance, ancora calde delle labbra
dell’altra.
«Perdonami» singhiozza, «perdonami di
amarti e di avertelo
lasciato capire.»
La porta dell’hanara rimane chiusa.