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Autore: Le VAMP    14/03/2018    1 recensioni
Si dava il caso che la bella regina andasse a peggiorar di giorno in giorno. Vero: era cagionevole di salute in quel tempo, ma questo perché era malato anche l'animo nella sua volontà di vivere.
Solo la nobiltà, quella sì, sarebbe rimasta pura.
Questo è la storia di due compagne a cui mancò un felice finale.
["Ella rispose: 'Bada ai tuoi tesori. Io, io valgo più di tutto questo. Delle sbarre forti, delle sbarre anche se d’oro. Voglio gli stessi diritti che (hai) tu; e rispetto per ogni giorno. Io, io non voglio che amore'"
- Aïcha, Cheb Khaled, 1996
Dedicato alla libertà di scelta su chi essere, chi amar; e alla dignità d’esercitare il diritto sull'accettazione o meno di quel fatidico male che loro combattono e chiamano “malevolenza”]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shoujo-ai
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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“Aïcha” (1996)

Si dava il caso che la bella regina andasse a peggiorar di giorno in giorno. Vero: era cagionevole di salute in quel tempo, ma questo perché era malato anche l'animo nella sua volontà di vivere.
Solo la nobiltà, quella sì, sarebbe rimasta pura.
Questo è la storia di due compagne a cui mancò un felice finale.
["Ella rispose: 'Bada ai tuoi tesori. Io, io valgo più di tutto questo. Delle sbarre forti, delle sbarre anche se d’oro. Voglio gli stessi diritti che (hai) tu; e rispetto per ogni giorno. Io, io non voglio che amore'"
- Aïcha, Cheb Khaled, 1996
Dedicato alla libertà di scelta su chi essere, chi amar; e alla dignità d’esercitare il diritto sull'accettazione o meno di quel fatidico male che loro combattono e chiamano “malevolenza”] 

___________

Ecco! Ecco che il terrore delle ombre la spinse su, ritta, seduta sul letto, e allora si vide sconfitta ancora una volta dall’incubo che le impediva di riposare.
Ciò che la sovrana non aveva mai compreso prima di quegli ultimi giorni era la ragione per cui suo padre, un uomo di sani principi e valori, avesse manifestato quei terribili segni. Da quanto tempo conviveva con quel fardello? E pensare che aveva sopportato tutto in silenzio.
Quella notte aveva visto solo suo padre avvolto dalla malevolenza. Nient’altro che il suo vecchio padre.

Colta da una tosse improvvisa cercò il fazzoletto con cui coprire le labbra, ma quando lo ritirò e lo pose sotto il giudizio del suo sguardo lo vide imbrattata di grumi sanguinolenti.
Si rivolse allo specchio della camera, rivelando il suo volto turbato, dietro al quale apparse una figura abbigliata di rosso, dalla chioma bianca e gli occhi gentili che assisteva silenziosa al decorso del tempo. Alisha non poteva vederla.
Il compagno le si trovava accanto, standosene sulla sedia dall’altro capo del letto. Si somigliavano: entrambi sarebbero andati incontro alla morte pur di seguire i propri ideali.
_________

Ogni filo d’erba mosso dal vento sembrava voler danzare, seguir un movimento di massa; e quel ballo impetuoso per una parte veniva interrotto laddove erano stesi due giovani a guardar il cielo. Quello a sinistra, vestito d’azzurro e di bianco come lo erano i suoi capelli, cominciò a porgere una domanda all’altro:
«Credi che noi Serafini dovremmo cancellare tutti i tipi di emozioni che non possiamo controllare, per evitare ogni rischio di trasformarci in draghi?» 
«Stai alludendo a qualcosa in particolare?»
Passò del tempo dopo che Sorey rispose a quell’improvvisa domanda con un’altra. Infine la questione si concluse che nessuna delle due trovò risposte, ma si continuò con altri dubbi che si impilarono l’uno sull’altro
«Sto parlando di qualcosa che andrebbe contro la nostra natura»
«Questo dovresti saperlo da te, visto che sei un Serafino» e di nuovo; altre parole controverse
«Continui a dire che la malevolenza è naturalmente presente in voi umani, ma chi può negare che nei Serafini possa germogliare qualcosa di simile, che ci logori dall’interno?»
E allora sì che si preoccupò, si sollevò appena da terra aggrottando la fronte e inceppandosi nei nodi di quei ragionamenti che non presagivano nulla di buono. Il Redentore si fece dunque più serio, ponendo l’ultima domanda di quella catena: «Perché mi fai domande del genere?» e a quella non ricevette risposta, non ci fu nemmeno un nuovo dubbio. Si ridistese, e slegò gli anelli con la sua osservazione
«È da un po’ che sei strano».

Quel mattino che coglieva la luce e indicava uno dei tanti giorni di pace che trascorrevano da tempo fu, in realtà, il primo che segnò la fine della serenità:
l’arrivo di Lailah con quel fare inquieto, ponendosi incredibilmente alta di fronte ai due compagni che stavano semplicemente distesi ad osservare le nuvole sui prati verdi di Elysium. Era una figura imponente, che oscurava il cielo, come la nuova tragedia che si sarebbe abbattuta su di loro per via di quegli errori commessi in passato; tutta colpa della loro esagerazione.
Non fu difficile ottenere una reazione dai due, che si sollevarono in piedi cercando di interpretare quello sguardo: ella lo distolse, tenendo le mani strette e intrecciate fra loro per scaricare il proprio turbamento, e poi annunciò quanto aveva da dire:
«Redentore. Non avrei mai immaginato che le tue Adepte potessero rivelarsi tanto fragili»
Dunque quel fulmine colpì gli altri due, prima che una nuova voce potesse prendere piega, dopo numerosi giorni silenziosi, nella mente del Redentore
«Riesci a sentirmi? Sono io, Alisha Diphda. Perdonami se non ho dato più notizie, credo che questo sia l’ultimo messaggio che sarò mai in grado di trasmetterti. Avrei un favore da chiederti, ed è meglio che te ne parli di persona»
Recuperarono il tempo che gli serviva per riaccende i loro occhi, persi nella confusione, che già si domandavano cosa potesse essere accaduto di tanto grave da aver permesso alla tristezza e al timore di galoppar già verso due delle loro compagne.

Il viaggio fu lungo, per giunta non ci fu alcuna gratificazione nel ritorno a LadyLake: la città decadeva, le mura bianche che la circondavano erano scalfite e l’acqua più torbida; i volti delle genti passavano ai loro occhi e parevano tutti uguali, privi di qualsivoglia speranza. Non pareva la città governata da una sovrana di grande saggezza a cui l’avevano lasciata, poiché ciò che tutti temevano era il regime di sfortune e scontentezza istaurato dalla malevolenza che aveva preso il dominio; non solo in città, ma quel nuovo male si stava diffondendo rapidamente nel regno di Hyland.
E Lailah non pronunciò una sola parola.

L’arrivo a palazzo fu colto da qualche cenno di sorriso da parte di chi credeva nel ritorno del Redentore, sperando che avrebbe soffiato via la tempesta imminente di cattiverie e sventure che stava tormentando quella gente. 
La incontrarono nel pomeriggio, ponendosi in un incontro faccia a faccia divisi da un tavolo che segnava la crescita delle distanze fra i compagni in quegli anni. Ella insistette affinché si vedessero da soli, senza domestiche, o ministri, o altri collaboratori. 
Ad essere immediatamente noto fu la luce che si rifletteva sulle collane, i bracciali e gli anelli di cui era stata ricoperta; e poi le labbra tintesi degli stessi colori della sua insegnante, quel colore che le rendeva più rosse e accese volte ad indicar l’età che avanzava per quella giovane che stava crescendo e si stava affermando come donna.
Nonostante quella maschera, tutti e tre riconobbero dopo tutto quel tempo il suo viso ingenuo ed esile, i cui occhi avevano visto guerre e pestilenze: erano quelli gli occhi d’una regina che si era presa la responsabilità di porsi come guida; eppure nella sua contraddizione sembrava vincere lo sconforto. Era il segno di un qualcosa che si era permesso di sfigurarla così tanto, e Sorey ebbe il modo di osservare ogni traccia di quella tristezza che si insinuava nel viso di Alisha Diphda, la prima umana che incontrò, l’inizio del suo lungo cammino. Era rovinata dalla malevolenza, quel male che per mestiere scacciavano via.

Ed intanto Mikleo realizzò un dettaglio che confermò le sue ipotesi: la ragazza non gli rivolgeva lo sguardo, né a lui tantomeno a Lailah che osservava silenziosa di fianco a loro. Aveva perso la capacità di poterli vedere. L’unico indizio che avevano per sperare che percepisse almeno la loro presenza erano quei momenti in cui s’accorgevano che esitava, e guardava un punto indefinito, incerta dei suoi stessi sensi.
«Sono con te, vero?» e ricevette un cenno d’assenso di Sorey.
Nessuno dei due riusciva a sostenere lo sguardo dell’altro, volendosi nascondere nelle proprie incertezze; e le due creature celesti furono nuovamente degli spettatori esterni.
«Immagino abbiate notato tra i cittadini, e non solo tra loro...il ritorno della malevolenza»
«Cosa sta succedendo?» la frustrazione che percorse le parole del compagno la spinsero a dare le sue spiegazioni, per quanto dolorosa potesse essere la situazione attuale.
«È stato tutto per colpa nostra...» i suoi polmoni sostennero per poco i suoi discorsi, e le resero più difficile conversare: cominciò a tossire violentemente, e fu ben attenta a coprirsi con un fazzoletto che –lo notavano solo ora– continuava a tenere con sé. Era prevedibile, visto quelle condizioni, che in quel malaffare c’entrassero loro. Lei e Rose.
Da buon amico, e come unico che al momento potesse interagire con lei, fu impossibile per Sorey trattenersi dal sostenerla: tentò di fermare quella tosse dandole lievi pacche sulla spalla, provando a calmarla, e poi chiese facendosi portavoce degli altri suoi compagni dove fosse Rose. Quel nome catturò la sua attenzione.
Alisha fece allora un profondo respiro, prese fiato e stese le labbra in un debole e commosso sorriso:
«Io volevo solo fare di lei la mia regina»
E quella dichiarazione fu il secondo fulmine che colpì e illuminò i ragionamenti di Mikleo, il quale alzò il capo e rese più concentrato ed inquieto il suo sguardo.

I fatti erano questi, e bastò quel pomeriggio per raccontarli:
Rose aveva ricominciato a uccidere. La colpa di cui insieme si ricoprirono fu quella di voler esternare al mondo il sentimento reciproco che nutrivano, e di rivolgersi alla Chiesa perché potessero essere sposate e riconosciute entrambe come sovrane, così come sarebbe stato tra un re e una regina, ma era evidente che nessuno fosse pronto ad esaudire quella richiesta; e che anzi il Papa spiegò loro che se avessero insistito lui sarebbe stato costretto a scomunicarle, poiché quella decisione causava sgomento tra tutti quei religiosi.
Ma si sa che pettegolezzi come quelli sono oggetto d’interesse, e assieme all’interesse cominciava a insinuarsi l’esitazione; non ci volle molto per rendere quell’argomento oggetto di scandalo. Qualcuno tra i sudditi manteneva il buon senso e aveva memoria dell’affetto che aveva sempre provato per la principessa quando ancora lo era e stava a fianco della sua gente; altri meno, e i discorsi che nacquero nelle case principiavano a somigliarsi tra loro: “Finché se lo tenevano per loro andava bene; ma rivolgersi addirittura al Papa! E poi chi salirà al trono senza un erede?”.
C’era chi diceva che non era normale, ma qualcosa di innaturale. Alcuni tra quei discorsi si facevano meno tolleranti, e dai discorsi vennero le azioni, come quando durante un viaggio la loro carrozza subì un assalto e furono costrette a difendersi: proprio mentre lottavano compresero dagli stessi malfattori le motivazioni di quel gesto denigratorio, e che poco aveva a che vedere con un semplice furto.
Pativano entrambe la medesima sofferenza, che ognuna manifestò a proprio modo: mentre Alisha mascherava il suo disagio, mostrando una sopportazione che la spingeva al pianto ogni volta che terminava il dì, Rose pativa per la sua amica. Era per lei che in realtà penava poiché per le reazioni di quella gente provava nient’altro che l’ira –perché erano giudizi discriminanti quelli, e che colpivano dritto al cuore–, ma sapere che ciò faceva star male la giovane a cui tanto si era legata, faceva crescere in lei un nuovo desiderio di vendetta.

Una notte decise di eliminare la fonte dei loro mali.
Tutto ebbe inizio con la decapitazione del Papa, un uomo mite se confrontato all’altro, eppure simbolo sacro di quelle persone che furono le prime a rifiutarle.
Lei l’aveva seguita, e Rose per la prima volta provò vergogna in ciò che faceva. Si era fatta vedere così, con quella testa presa per i capelli in una mano e l’altra che teneva ancora il coltello: aveva fatto tutto da sola.
Si era fatta vedere col viso imbrattato dagli schizzi di sangue e col vuoto negli occhi; un vuoto che avrebbe preferito che venisse dimenticato dalla sua amata Alisha, che non smetteva di fissarla incredula. Non estraeva la spada.
Continuava a fissare. E fissare.
Rose non riusciva più a sopportare i suoi occhi innocenti che la accusavano, così se ne andò e non si fece più viva, abbandonando la regina nel suo grandioso e vuoto palazzo. Nessuna delle due, in ogni caso, s’era mai resa conto che dal giorno dell’assalto Lailah cominciava ad interessarsi di loro. Non avevano notato la sua presenza, che vagava come un’anima errante seguendo angosciata ogni loro scelta.

Tornando a quel cupo pomeriggio: i quattro compagni s’erano promessi di purificarla ad ogni costo al fine di donarle la pace.
Alisha aveva insistito molto perché fosse Rose la prima a subire il trattamento; non solo perché la catena degli omicidi che andava costruendosi era portatrice di disgrazia, ma anche perché quella malevolenza esplosa in loro –sì, Sorey lo ricordava: era proprio quella la sensazione, un’esplosione in petto– era il culmine di tutta quella che avevano immagazzinato in battaglia durante quei giorni in cui si erano prefissi assieme di purificare i draghi, e nessuno avrebbe garantito, se avesse agito per primo sulla regina, che gli sarebbero rimaste forze sufficienti per purificare in tempo anche Rose. Si dava il caso che, ovviamente, nella sua dose infinita di speranza Sorey non credesse alle tragiche ipotesi di Alisha.
Una volta compreso il luogo in cui lei avrebbe colpito, la notte successiva partirono silenziosi: l’assenza di suono e qualsiasi rumore permetteva loro un tipo di conversazione più lunga e ricca composta da tristi sguardi.
Sempre pronta a sacrificarti, eh?
In occasione di quel viaggio s’era privata di quei gioielli e s’era coperta di nuovo dell’armatura. Impugnò la spada ancora una volta.
______________

Giunsero una notte presso una casa nei boschi; lì si trovava il capo della banda che le aveva assalite. Erano arrivati tardi per salvare quell’anima, perché già avevano trovato il cadavere ai piedi dell’assassina che oramai teneva poco dell’aspetto di Rose, compagna d’una regina, dei Serafini, e Adepta di colui che purifica i mali, perché s’era rivestita completamente di ciò che loro scacciavano.
Indossava quel terribile costume fatto di denti aguzzi e d’una criniera folta, di zampe che sostituivano le mani e la voce fattasi cupa contrariamente a quella che apparteneva alla ragazza.
Fu una notte lunga, colma di inseguimenti e corse; attacchi e difese, e soprattutto ricerca: una ricerca che impedì ogni tipo d’armatizzazione poiché dovettero dividersi più volte per rintracciarla. Quando se la ritrovarono davanti si stupirono che riuscisse ancora a usare parole umane:
«Non avvicinatevi!» li pregò vedendo già che le spade erano state sguainate, ed Redentore aveva già cambiato il suo aspetto, pronto a colpire.
Fu la stessa Alisha a cercare di farle tornare la ragione, parlandole di come la spirale d’odio in cui era caduta non poteva che portare altro dolore, e le ricordò di quel sacrificio compiuto per porre fine alla malevolenza nel mondo
«Ricordi Dezel? È morto per porre fine a tutto questo! Non rendere vano il suo sacrificio!» per un po’ ci fu il silenzio.
Credettero che ricordarglielo l’avrebbe fatta rinsavire, eppure quel vuoto si riempì di risate macchiate dall’isteria. Era evidente che stava soffrendo, e si faceva beffa della propria debolezza, poiché se la si osservava con attenzione si poteva vedere un lato ancora umano ben rappresentato dalle lacrime che cercava di nascondere.
«Dezel si sarebbe sacrificato per qualsiasi altro motivo che mi avrebbe riguardato. E poi per vent’anni della mia vita mi ha spinto a uccidere: sto solo scegliendo una strada che mi avevate obbligato ad abbandonare!»
Non compresero quel discorso: non l’ebbero costretta a far nulla. Aveva compreso da sola che l’omicidio non era una buona soluzione, e poi aveva combattuto al loro fianco per ripulire il mondo dalla malevolenza, la vera nemica di tutti gli esseri viventi. E non poterono credere che a parlare fosse ancora Rose, ma si convinsero che quella forza maligna la possedeva.
Fu allora che avvenne.

«Lascia che ti liberi dal tuo fardello»
Mentre il Redentore chiudeva gli occhi e si concentrava, estraendo la freccia e poggiandola sulla corda che cominciò a tendere –e in quel frangente, Alisha si incamminò al suo fianco per pregargli di creare il legame che avrebbe reso possibile farle accumulare altra malevolenza in sé–.
Egli non voleva darle ascolto, e quando tornò con gli occhi vigili per centrare l’obiettivo la vide ancora immobile: Rose non agiva. Si era resa una statua che pareva attendere il colpo; questo finché, non si conficcò nel petto il coltello ancora stretto nella sua mano destra, mentre sulle sue labbra andava a disegnarsi un sorriso malato.  

E così Rose fu la prima martire.

Durante il viaggio cercarono di dimenticare lo sgomento nel vedere un’altra compagna morire sotto i loro occhi. Un’amica che si era rivelata preziosa, e che aveva scelto il suicidio pur di non farsi salvare.
Ce l’avevano messa tutta per dimenticare le urla disperate che avevano udito quella notte, e le lacrime condivise da ciascuno che bruciavano sulla pelle come la grande sconfitta che avevano subito.
Dondolarono le grandi campane, dondolarono partecipando al canto funebre che si tenne per quel corpo che avevano portato con loro nel viaggio del ritorno.
La verità gli si velava dal telo gelido che rivestiva i suoi pensieri: ciò non gli faceva comprendere il rimorso che si annidava nei cuori della sovrana di Hyland e del Redentore, che rendeva ancora più scarni e pallidi i loro volti pronti a sciogliersi sotto la pioggia che gli inveiva contro, impedendogli di goder delle prime luci del mattino. Mikleo non comprendeva perché dovessero patire tanto dolore, e prendersi colpe che non potevano appartenergli –sapeva che sarebbero stati mirati dal tormento di non aver fatto abbastanza–. A sua differenza, Lailah sembrava capire ogni cosa, eppure nessuno dei due riusciva a rivolger la parola all’altro in quel frangente. Come creature celesti quali si dimostravano, i Serafini riuscivano a scavare nel profondo delle anime umane.

Forse era questo il motivo che spinse gli umani, in quel secolo andato, a volersi separare da loro: nella loro fragilità non riuscivano a viver d’onestà nemmeno con se stessi, e saper che ci fossero delle figure a osservarli in quel modo e a conoscerli più di quanto concedevano al mondo, dovette disturbarli molto.
Venne la purificazione del cadavere, cosicché almeno quello non venisse ricordato sfigurato dalla propria maledizione: difatti quel lavoro sfiancò il ragazzo che si era preso l’onere di riassorbire la malevolenza dispersa in Rose, si vide accasciato al suolo.
Ebbe accolto una grande quantità di quel male, sentiva i muscoli più deboli e le vene che gli pregavano di non macchiare ulteriormente quel sangue. Il primo effetto fu il grande senso di colpa che lo travolse, pensando alle loro battaglie: si erano fidate di lui, le aveva lasciate accumulare in loro tutto quel maleficio, così come aveva permesso il sacrificio di un compagno per un proprio capriccio; e tanto fu il dolore che portò le mani alle orecchie, intento ad arrestar tutte quelle grida atroci che attraversavano la sua coscienza. In quel frangente Mikleo gli stava accanto, pregandogli di resistere, ma tra tutte le urla che percepiva Sorey non riusciva a distinguere la sua voce, né quella di Alisha che lacrimava, né quella di Lailah che le si era avvicinata. Era la seconda volta che la vedeva così alta; per una seconda volta la sua figura s’era scagliata contro il cielo grigio.  
«Ha fatto una scelta»
Così pronunciò nella sua solennità Fethmus Mioma, custode delle fiamme, mentre poggiava la sua mano sulla guerriera che non poteva vederla, inginocchiata a terra sul corpo della compagna, col capo chino –il biondo dei suoi capelli pareva anche quello più spento–, lasciandoselo bagnar e colpire più volte dagli acumi d’acqua gettati da quelle nuvole scure: come se avesse percepito quelle parole, Alisha alzò lo sguardo verso il cielo, e cercò lì le sue risposte. Suonavano, e ancor suonavano, e diffondevano il loro eco le campane che accompagnavano i cori di mille voci che si innalzavano.

Alisha non rivolse la parola a nessuno durante tutto il viaggio di ritorno –se non che era ancora intenta a non lasciarli intervenire sulla sua malevolenza nemmeno quando avrebbero recuperato le forze–, poiché stava formulando nuove idee, e per quello servivano capacità e concentrazione assoluta: le uniche volte che ricordava agli altri della sua presenza era quando tossiva, oppure nel momento in cui s’accorgevano che stava per svenire e per poco non cadeva dal destriero.
Qualcosa non quadrava, e i sospetti furono confermati quando, tornati a palazzo, una delle inservienti al servizio della famiglia reale rivelò che la regina era gravemente ammalata di un male apparentemente incurabile.
Quello stesso pomeriggio andarono tutti e tre a cercarla nella sala d’armi, e videro la giovane riporre la sua spada.
Nel veder che, contrariamente a quanto lei stava facendo, il compagno era sulla difensiva e con l’arma ben stretta in pugno, non poté fare a meno di domandargli cosa stesse pensando di fare, sebbene ne avesse già un’idea...
Non avrebbe dovuto: Alisha non voleva essere la causa della sua rovina.
«Devo purificarti dalla la malevolenza, o morirai anche tu!»
«Quella di Rose è stata una scelta!» e così la ragazza controbatté ammirando con fede il suo nuovo punto di vista sperando di convincerlo; e Sorey, trascinato dalla frustrazione nata da quel rifiuto, tanta fu la paura di perdere un’altra amica che chiamò a sé la Serafina del fuoco, ma questa scosse il capo e rimase lì a guardare. Si dovette così rivolgere ancora una volta a Mikleo, unico vero alleato in quella lotta contro il fato, e quando Alisha Diphda lo vide armatizzato e che le si rivolgeva contro, spazzò via quella tensione con un altro dei suoi malinconici sorrisi –anche loro andavano a indebolirsi sempre di più; e pensare che prima molti di questi erano generati dalla meraviglia o dalla gioia sincera– e gli si pose difronte, a braccia aperte
«Vedi forse un mostro?»
Dunque il ragazzo rilassò una volta per tutte le contrazioni del suo viso, rendendosi incapace di sostenere lo sguardo della sovrana che in pochi giorni era cambiata a tal punto da non riuscire a riconoscerla. Esitò, abbassando la spada, la lama sfiorava il pavimento  
«Voglio solo aiutarti»
Non riuscì a vederla, perché i suoi occhi erano ancora a terra, ma percepì delle mani poste sulle sue spalle. Nel momento in cui incrociò per un’ultima volta il suo sguardo vide ch’ella stava ancora sorridendo, e l’ultima sua richiesta la pronunciò in toni sommessi che si tramutarono in un docile sussurro:
«Allora, accetta le nostre scelte»
E così, la lasciarono andare.

So sweet, so beautiful
(Così dolce, così bella)
Everyday like a queen on her throne
(Ogni giorno come una regina sul trono)
No, nobody knows how she feels
(Nessuno sa come si sente)
Aicha, lady one day it will be real
(Aicha, Signora, un giorno sarà tutto vero)

Era quella; quella la nobiltà del suo sangue reale, che la guidava nel contenere il sonno eterno senza mai dimostrarlo.
Non si spiegavano come, ogni volta che sedeva al trono e prendeva di giorno in giorno importanti decisioni –guerra e pace, miseria e pestilenza–; potesse apparir tanto regale anche se rivestita in ogni dove dei segni della malevolenza, che probabilmente nemmeno lei riusciva più a veder quando si ammirava allo specchio –se lo faceva–. Non voleva rivelare ad altre persone il suo morbo, che sentirono dai dottori nominarsi “tubercolosi”.
Quando i tre terminavano di scacciar la malevolenza tra il popolo, la sera erano invitati a consumar assieme a lei la cena –sebbene i Serafini ne fossero comunque esclusi sia perché non potevano esser visti, sia perché non necessitavano di nutrirsi–; e ciò si rivelava ancora più inutile poiché la parola mancava a tutti i commensali, e vero signore di quei banchetti era un profondo imbarazzo.
Eppure solo in quei momenti potevano tener d’occhio su di lei i segni del male che continuava a diffondersi: sapeva portarli alla perfezione, come gli anni che si accumulano sul viso di una dama di gran classe, e si opponeva a quei segni volendo nasconder le sue nocche scheletriche con gli anelli che incastrati alle sue dita; e poi a quelle numerose macchie che solo loro potevano vedere e che si contavano sulle sue guance, andava sempre a contrapporsi quel rosso vivo e acceso delle sue giovani labbra.

Comme si je n'existais pas
(Come se non esistessi)
Elle est passée a cote de moi
 (Ella mi è passata accanto)
Sans un regard, reine de Saba
(Senza uno sguardo, Regina del Sabbat)
J'ai dit Aicha, prends, tout est pour toi
(Ho detto, Aicha, prendi, tutto è per te)

Poi giungeva la notte, e tutti si separavano, girovagando nel palazzo cercando ciascuno delle risposte alle proprie domande.
In particolar modo quello che fra tutti si faceva più domande era il Redentore –sebbene fossero più tormentate e meno costruite rispetto a quelle tempo fa che gli poneva Mikleo–, spoglio della tunica che gli ricordava d’essere al servizio di un bene superiore, e andava a rifugiarsi tra le fiamme del caminetto di una saletta che aveva scoperto da poco.
Sapeva bene che l’ira doveva andar soppressa, ma in quel momento in cui non doveva dar prova di nulla si permetteva di stringere forte i pugni e fissar la danza del fuoco; di corrugare la fronte e perfino di stridere i denti fino a provar dolore. E la luce delle fiamme lo incorniciava dal basso, a rendere nota quella debolezza che non rivelava a nessuno se non ora rimasto solo con se stesso.
Perché tutto stava crollando in quel modo?
Aicha, Aicha, écoute-moi
Perché Alisha Diphda accettava così di buon grado la morte?
Aicha, Aicha, t'en vas pas...
Ogni giorno che passava si sentiva ancora più impotente
Aicha, Aicha, regarde-moi
E quelle riflessioni lo spinsero a tremar finché il freddo non s’infiltrò improvviso e malevolo tra le sue ossa.

Aicha, Aicha, reponds-moi!

Poi le fiamme si spensero.
Qualcuno gli apparse alle spalle, c’erano delle mani che si ponevano amiche, e che portavano lo stesso calore che prima doveva appartener al fuoco.
«Ha solo bisogno di sapere che continuerai a esserle amico»
Quella era la voce di Lailah.

____________

Ancora una volta fu un evento notturno.
La sovrana era da sola a girovagare per i corridoi, già pronta per coricarsi, e si sarebbe dovuta soltanto dirigere nella sua camera.
Era da molto che camminava con la candela in mano, cominciava a percepire in maniera assordante i suoi passi sul levigato pavimento di marmo, e ognuno di quei rumori, assieme ai grilli notturni, faceva da sfondo alle mura che si allungavano, e ad una luce che forse proveniva...credeva da sinistra. Era una luce calda, piccola e tonda. Forse un’altra candela come la sua.
Non riusciva a ragionar bene, e dei sensi non poteva più fidarsi, ben presto le mancarono le forze.
Le ginocchia si rendevano, disgraziatamente, ancor più futili e molli e non potevano sorreggerla, cosicché il palmo suo andò a cercar la parete e sbatté contro di essa mentre continuava a scivolar giù, ancora, e ancora, e le unghia che cercavano di aggrapparsi a quella superficie così bianca mentre il piccolo lume si allontanava dalla sua vista.
Il nero la accecò per un’istante, ma continuava a rimaner cosciente. Lo sapeva, ne era certa di esser ancora viva! Questo perché elaborava tanti ragionamenti, tante frasi sconnesse tra loro; poi parole, poi sillabe.

D’improvviso sentì una stretta attorno alle spalle, e qualcuno che pareva volerla sorreggere ponendole il braccio sotto l’ascella.
S’era resa solo un ammasso di carne...
«Lasciati aiutare»
Quella voce, tramutatasi in eco come gli altri rumori, l’ebbe riconosciuta, e comprese che si trattava di qualcosa di più vivido dell’abbraccio della morte –perché, difatti, quelle braccia erano troppo calde per appartener a un’entità cupa e solitaria come la morte–.
Solo allora si concesse di annegar nella spossatezza, e lasciò ch’egli la portasse con sé. Del tragitto percorso non ebbe memoria.

Ha bisogno di qualcuno su cui contare
Qualcuno che sia corpo, mente e anima
Che le prenda la mano, che prenda il suo mondo
e le mostri il tempo della sua vita, così vero
Getta via il dolore per il bene
Non pensarci più

Per uno strano scherzo del destino, o forse per via della sua debolezza, sentiva quel corpo più pesante di quanto avrebbe voluto, e per portar la compagna nella sua stanza dovette egli stesso poggiarsi alla parete.
Di quel piccolo gesto che poté compiere per lei Sorey ne andò fiero, poiché l’amica ebbe fiducia in lui e gli aveva permesso di esser testimone della sua fragilità, lasciando che si prendesse cura di lei.
Dopo il suicidio di Rose credeva che nulla del genere potesse ancora accadere, eppure quella notte ebbe di nuovo l’opportunità rompere le barriere, coglierla mentre cadeva e aiutarla a mettersi stesa sul quel letto che le faceva da tomba.
Allor volle trasformar quella triste analogia; e come accadde in passato prese delle coperte che l’avrebbero tenuta al caldo, e si assicurò che le coprissero bene fino al viso.
Non gli fu difficile trovar un po’ d’acqua e un panno da passarle sulla fronte, mentre poco a poco ella si risvegliava dal sonno, e dopo tanto tempo la vide tornar a sorridere.
Nel momento in cui stava per prendere il panno e portarlo nuovamente a bagnare, la giovane riuscì ad afferrargli la mano, posarsela sulla guancia, e non la abbandonò più. Rimase interdetto, confuso, ma non le privò quel contatto, godendo quanto poteva di quel rinnovato sorriso ch’ella gli rivolgeva, sperando che l’avesse mantenuto anche quando si sarebbe spenta per sempre.
Fino a quel momento, tuttavia, continuava a percepir bollente la sua pelle e lasciava che lei gli trasmettesse quel calore.

Il mattino successivo s’erano affacciate le domestiche nella camera, dapprima incuriosite dal motivo che costringeva la loro regina a letto, ma quando la videro in quelle condizioni si affollarono tutte assieme per domandarle della sua salute. Sorey, che si era lasciato trascinare da quell'andirivieni, fu quasi spinto verso la porta e allora sulla soglia agitò la mano per cercar di farsi vedere dalla ragazza, che non poteva fare a meno di sorridere: «Tornerò!»

Difatti era vero che tornava: Mikleo lo poté constatar personalmente poiché da allora molte di quelle notti anch’egli e Lailah si trovavano lì. Non ricordava quante volte ebbe riempito la bacinella d’acqua in cui poter ribagnar il fazzoletto da deporre sulla fronte dell’ammalata –tutto ciò mentre la custode delle fiamme s’impegnava a tenerla al caldo–, ma seppe contare quante volte i due incrociarono i loro sguardi con una nuova complicità da cui egli era ormai lontano, e da una parte quella spiacevole sensazione che provava al petto lo angosciava. Spesso si allontanava e si distraeva nel contemplar la volta celeste, e rifletteva su quelle domande per le quali cercava ancora delle risposte.  
Una volta l’aveva raggiunto Lailah
«È meraviglioso il modo in cui gli umani dominano giorno dopo giorno i loro lati più cupi. Non credi?»
Continuava a stargli dietro, ed il Serafino non si voltò verso di lei nemmeno per farle veder quanto quelle parole l’avessero colpito. Tanto, ella sapeva già tutto.

Erano maggiori, tuttavia, le notti che i due giovani trascorrevano da soli. Di tanto in tanto una cameriera a controllar che andasse tutto bene, e vedeva entrambi addormentati; l’una a letto, col panno divenuto asciutto –chi veniva a vegliare si preoccupava di imbeverlo nuovamente nell’acqua–, e l’altro che, vinto dalla fatica per tutti i compiti che svolgeva in giornata, riusciva a prender sonno sulla sedia. A loro volta ricambiavano quei gesti solidali: quando Sorey si destava, dopo che udiva la compagna agitarsi nel sonno, spesso scopriva di esser avvolto da un paio di coltri.
In quei giorni stava imparando qualcosa sulla temuta malevolenza, qualcosa che forse era meglio sapere prima: aveva compreso quanto poco bastasse per scacciarla.
Una di quelle notti, poi, gliel’aveva detto anche lei, poiché nessuno dei due riusciva a dormire, e così cominciavano le loro chiacchiere.
«Oggi sono arrivati Edna e Zaveid per darci una mano. Vedrai: ora che siamo in cinque saremo molto più veloci!»
E per quanto volesse mostrarsi serena, Alisha non riusciva a finger per troppo tempo l’entusiasmo che non provava. Il Redentore allora mutava, e determinato a terminar al più presto ogni forma di dolore le ricordò di quel maleficio che lei aveva accettato senza batter ciglio
«Ricorda che potrei far finire questo in qualsiasi momento» le disse allora prendendole le mani, cercando di farsi rimirar diritto negli occhi: voleva che lei sapesse che stava facendo sul serio «non è giusto che tu debba prenderti questo carico tutto da sola. Ho assorbito la malevolenza che si era accumulata in Rose e non mi è accaduto nulla, quindi-» ma, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, fu interrotto.
«Non servirebbe a niente contro la malattia»
Quei toni rassegnati e la malinconia sul suo viso lo destabilizzarono, e senza che se ne rese conto le aveva lasciato le mani prima afferratele con tanta foga. Lo fece poco alla volta, come se separar quel contatto significasse lasciar morire la compagna.
Eppure anche la sovrana soffriva. Non fu in grado di sostenere a lungo lo sguardo di quello che pareva assomigliar a un bambino deluso. In ciò la ragazza lo riconosceva: tanto era innocente, specie in momenti come quello, che non poteva figurarselo diversamente da un bambino che cercava di comprendere la natura del mondo –com’era stato fino ad allora nel suo viaggio compiuto alla ricerca di risposte sul male del genere umano–
«Hanno detto che sono stata contagiata durante l’ultima pestilenza che si è abbattuta sulla città, mentre davo una mano a quella povera gente»
«Erano gli assassinii di Rose?»
Non riuscì a rispondergli. Se ne stette per un po’ in silenzio, tenendo basso il capo e guardando le coltri del suo letto.
Poi, ebbe il coraggio di rialzarlo e guardare dinanzi a sé
«Non limitatevi a combattere contro chi è stato colpito. Provate a offrire del pane, delle medicine laddove sono necessarie, e tendete la mano a chi lo domanda...siate dei bastoni su cui appoggiarsi per queste persone che non hanno nessuno al mondo: sono convinta che potrete vincere la vostra battaglia anche in questo modo»
Avendo memoria della prima notte in cui l’aveva soccorsa, Sorey aveva compreso appieno il senso di quei mali, e di come scacciarli via. Non sempre la spada era necessaria.
Ed era per questo che da allora aveva preso l’abitudine, quando si accorgeva che era tormentata perfino nel sonno, di passare una mano sulla sua guancia e continuar a donarle lievi carezze finché non si acquietava.

Era l’alba che veniva dopo una lunga notte, in cui la ragazza l’aveva destato più volte e non si trattava dei suoi incubi. Il respiro accelerava e la febbre pareva aumentare, e Sorey cominciava a veder allora la vera forma di quell’orribile malessere mentre cercava di trovare delle soluzioni, e infine dovette rivolgersi all’inserviente che stava per venire a visitarli.
Per via di quell’emergenza nessuno a palazzo era riuscito a dormire, tra i responsi del medico e la preoccupazione di chi teneva alla sua regina.
Tutto terminò solamente all’arrivo delle prime luci del sole. Tra poche ore si sarebbero separati come di consuetudine.  
Allora lei gli aveva chiesto, prima che la lasciasse
«Sono con te adesso?»
Si riferiva a loro, ai loro compagni, ai Serafini che non poteva più vedere per colpa del maleficio. Il ragazzo si vide costretto a scuotere il capo.  
«Capisco. Mi dispiace non averli potuti vedere un’ultima volta»
«Oh...non temere! Questa notte li farò venire tutti con me, e faremo dei tentativi. Li rivedrai, Alisha»
C’era qualcosa che non andava nello sguardo della giovane, perché non aveva aggiunto nulla a quella speranza che l’amico voleva darle: nessun commento, se non quel sorriso debole e rassegnato a cui oramai si era abituato, e se solo si fosse reso conto che con quel sorriso ella stava aspettando quel sonno eterno ormai prossimo, probabilmente quel giorno sarebbe rimasto con lei fino alla fine.

Alisha Diphda, sovrana di Hyland, morì il tardo pomeriggio, ma le voci non erano giunte ai suoi compagni che operavano ai margini della città.
Quando quella notte, tornando nella sua camera, videro il lenzuolo bianco stendersi sul suo viso, mentre i Serafini riuscirono a controllare ogni forma di tristezza che potesse nascere limitandosi ad un lungo ed inquieto silenzio, il Redentore non riuscì a reggersi sulle proprie gambe, ma questa volta non ebbe nessuna parete su cui appoggiarsi. Consumò le sue lacrime su quel letto dove si trovava il cadavere.
Ed ecco che aveva fallito di nuovo, aveva permesso che qualcun altro morisse.
Dimenticò che pensieri come quelli sarebbero potuti rivelarsi rischiosi e per un po’ si lasciò annegar in quel mare di malevolenza depredata da Rose pensando, per la prima volta, a l’inutilità di quello ch’egli stesso rappresentava.
Quei pensieri i Serafini riuscivano a scorgerli, e come dei giudici ad un tribunale videro quell’animo puro cominciar a macchiarsi lievemente, poco a poco, rendendo più sporco il suo bianco mantello.

Un palmo.
Un solo palmo chiaro s’era posto sulla sua spalla che sobbalzava per i singhiozzi.
Se non avesse lasciato la ragione trionfar su tutto, probabilmente anche lui un giorno avrebbe rischiato una malevole metamorfosi.
Entrambe le ragazze si erano fatte martiri per la dignità che volevano conquistare, ma avevano portato malevolenza, pestilenza e morte: Mikleo ebbe trovato, da quelle sventure, le risposte che stava cercando.  

Elle a dit, "Garde tes trésors
Moi, je veux mieux que tout ça
Des barreaux sont des barreaux, même en or
Je veux les mêmes droits que toi
Et du respect pour chaque jour
Moi, je ne veux que de l'amour"

 

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Il brano a cui si è fatto riferimento dall’inizio della storia è “Aicha”, di Cheb Kaled. È un brano che rivela molto a proposito della figura femminile:
“Aicha è un nome arabo, molto diffuso nei paesi del Nord Africa e nei paesi musulmani in generale. Era il nome della terza moglie del Profeta Maometto.  
La canzone è un chiaro riferimento alle condizioni di vita delle donne musulmane che, seppur amate, sono mantenute in condizioni di sottomissione.
La donna che se ne va senza uno sguardo è la risposta di una donna musulmana che vuole libertà e rispetto. ” (-cit. una risposta di Yahoo Answer).

È un brano che è stato eseguito in molteplici versioni (le tre lingue in cui è spesso cantato sono arabo, francese e inglese, -quest’ultimo seguendo l’interpretazione degli Outlandish che hanno riscritto il lyrics).
Consiglio questa cover alla chitarra acustica per le parti in cui è riportato il testo sia inglese che francese della canzone, oppure questa cover con i violini.

Per l’ultima parte è invece vivamente consigliato per tutta la durata della lettura l’ascolto di quest’altra interpretazione. 

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Ho seguito per caso la serie animata inerente a questo videogioco (consigliato per altro da mia sorella, essendo lei la vera videogiocatrice) e l'ho vista piena di potenziale che non hanno sfruttato; almeno in quei ventisei episodi che ho avuto modo di seguire, non sapendo come il tutto possa essere stato trattato in altri titoli e con altri personaggi. 
Il brano mi è venuto in mente quando, nel sentire per la prima volta il nome di "Alisha" ho cominciato a trovare delle assonanze in quello nominato dal brano, che ripresi a canticchiare da non so quanto tempo (forse da quando avevo dieci anni, quando lo mettevano alla radio). 
Volendo provare a seguire le dinamiche del fandom inerente (per ciò che riguarda le accoppiate fatte insomma, ed inserirle in un contesto sociale più "realistico" (quindi non dando per scontato che ci fosse questo popolo devoto e affettuoso) alla fine sono riuscita a trovare dei punti di legame importanti col senso della canzone, sebbene non segua l'interpretazione originale e invito invece a darne voi una vostra visione. 
Ho inserito il racconto col profilo condiviso, visto che ne ho parlato un po' anche con Laura (di cui aspetterò a breve le sue interpretazioni :)), ed in questo caso appunto la "sperimentazione" gioca tutto sul piano psicologico, in un certo senso "psicofisico". 

-Paola delle VAMP

   
 
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