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Autore: Hilarie Winfort    04/04/2018    0 recensioni
Jayne Backett era sempre stata una bambina piena di sogni e aspirazioni, fermamente convinta che la vita le avrebbe donato soddisfazioni e serenità e aveva continuato a crederlo fino all'adolescenza. O almeno fino a quando suo padre l'aveva spedita a Galway, in Irlanda dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia. Jayne aveva accettato la cosa ma un piccolo particolare le era sfuggito di mente. Si era dimenticata di Ace Davies, ma lui non si era affatto scordato di lei. Al contrario aveva sempre adorato giocare con la ragazza e non avrebbe perso occasione per farlo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Jayne Backett era sempre stata una bambina piena di sogni e aspirazioni,
fermamente convinta che la vita le avrebbe donato soddisfazioni e serenità e
aveva continuato a crederlo fino all’adolescenza.
Quando divenne grande, maturò anche l’idea che aveva della propria vita e
cominciò a non curarsi più di essere una ragazza perfetta e di seguire le regole
che le erano state imposte.
Al contrario invece ogni occasione era propizia per andare controcorrente
come quella volta che si era tinta i capelli di un blu elettrico o quando aveva
disobbedito a suo padre uscendo dalla finestra del bagno per recarsi
fuori di casa di nascosto.
All’età di diciassette anni suo padre aveva perso ogni speranza, la sua piccola
Jayne non era più la stessa e avrebbe dovuto fare i conti con quella realtà.
Così quando un giorno le disse che l’avrebbe mandata via di casa, Jayne non
disse niente e non oppose resistenza neanche quando la accompagnò
all’aeroporto.
Certo, non la stava cacciando di casa ma per Jayne era lo stesso.
Qualsivoglia regola rappresentava per lei un’imposizione e una cosa che mai
avrebbe voluto accettare, tantomeno trasferirsi a chissà quanti chilometri di
distanza dalla città in cui era cresciuta.
Una volta giunta all’aeroporto suo padre la strinse in un rapido abbraccio, non
era mai stato tipo da smancerie e a Jayne andava bene così; raccolse la sua
valigia da terra e avanzò senza guardarsi indietro.
Erano ormai passate molte ore quando finalmente l’aereo atterrò con un
piccolo sbalzo quasi impercettibile, facendola sussultare.
Quando uscì dall’aeroporto la pioggia scrosciava lungo i marciapiedi e Jayne si
ritrovò a sbuffare, fissando le minuscole goccioline scendere lungo
la sua mano tesa.
Sarebbe rimasta in quella posizione per un tempo interminabile se una voce
non avesse richiamato la sua attenzione, batté le palpebre come se si stesse
destando da un sogno e si voltò verso quella voce.
“Così ti bagnerai tutta, vieni qui sotto”
Era da anni che Jayne non udiva il suono di quella voce ma la riconobbe
all’istante, apparteneva a Cal Davies nonché migliore amico di suo padre.
Jayne lo conosceva molto bene, Cal l’aveva vista crescere ed era uno di famiglia
infatti quando era piccola passava quasi ogni estate a casa di lui.
“Cal!”, esclamò Jayne correndogli incontro.
Lui la strinse in un abbraccio, facendola mettere sotto l’ombrello per evitare
che si bagnasse ulteriormente.
Salirono in auto e per tutto il tragitto nessuno disse niente, finché Jayne avvistò
la grande tenuta dall’aria così familiare da farla sentire di nuovo bambina.
Non aveva mai dimenticato l’ampio giardino pieno di fiori dai mille colori che la
signora Davies accudiva come fosse un figlio, o il ciliegio sotto il quale aveva
passato così tante giornate a leggere i suoi libri.
Le tornò alla mente una sfilza di ricordi così nitidi da farle stringere il cuore,
ricordando i tempi in cui tutto ancora andava bene ed era perfetto.
Deglutì, percorrendo il piccolo vialetto e seguendo la striscia di ciottoli fino
all’ingresso della casa.
Riusciva quasi a sentire il profumo dei fiori di lavanda con cui Brigit era solita
preparare il tè o il sapore della zuppa che mangiavano spesso a cena.
Jayne aveva passato dei momenti indimenticabili a Galway e adesso si sentiva
come se fosse tornata a quei tempi ma allo stesso tempo si sentiva in qualche
modo inquieta e ansiosa.
“Hai cambiato colore di capelli di nuovo?”, chiese Cal con un sorriso.
Sospirò, stringendo tra le mani una ciocca dei sui capelli lunghi
di un biondo sbiadito.
“Già”, rispose priva di entusiasmo.
Erano anni ormai che tingeva i suoi capelli sempre in modo differente,
cercando di coprire la sua vera tonalità rosso rame che ormai spiccava sotto la
ricrescita rendendo il biondo quasi inesistente.
Sua madre le aveva sempre ripetuto quanto fossero meravigliosi i suoi capelli
rossi ma lei non li aveva mai sopportati.
La porta di casa si aprì all’improvviso rivelando la figura di Brigit, il volto
riempito dal suo solito sorriso raggiante.
“Jayne, quanto tempo!”, esclamò correndo ad abbracciare la ragazza che
subito ricambiò la stretta accennando un sorriso.
Jayne era sempre stata molto affezionata a Brigit, una figura quasi materna che
l’aveva accompagnata in parecchi momenti della sua vita e non solo quando si
recava per le vacanze a Galway.
“Quanto sei cresciuta!”, disse osservandola attentamente.
“Sei una giovane bellissima donna”
Jayne si sentì in imbarazzo, ma accennò ugualmente un sorriso in direzione di
Brigit che continuava a sorridere emozionata.
La donna non era cambiata poi molto: aveva le solite guance leggermente
paffute e gli stessi occhi verdi e sinceri incorniciati dai capelli castani.
Jayne notò che aveva perso parecchi chili e stava decisamente meglio, anche se
era sempre stata una donna attraente.
“Lasciala entrare”, disse Cal ridendo.
La moglie gli lanciò un’occhiataccia e fece strada a Jayne all’interno della casa.
Tutto era esattamente come la ragazza ricordava. Le grandi vetrate che
circondavano il soggiorno, il divano di pelle bianca posizionato di fronte al
caminetto antico, le foto che ritraevano la famiglia Davies nei momenti più
importanti della loro vita, i lampadari pendenti con la luce leggermente soffusa
che rendeva la casa incredibilmente accogliente nonostante
i saloni ampi e spaziosi.
Tutto sembrava immutato, a parte ovviamente le persone che ci abitavano.
“Guarda chi c’è, la piccola Jenny Backett”
Jayne avrebbe riconosciuto quella voce anche a distanza di cento anni, sicura e
penetrante come nessun’altra voce avesse mai udito.
Ace Davies se ne stava di fronte a lei, l’espressione divertita dipinta sul volto e
le braccia distese lungo i fianchi.
Jayne aprì la bocca per parlare e poi la richiuse.
Ace Davies era cambiato talmente tanto che avrebbe faticato a riconoscerlo se
non fosse stato per gli occhi scuri e le piccole lentiggini che costeggiavano il
naso ma che da quella distanza non riusciva a scorgere.
I capelli erano sempre gli stessi, scuri e arruffati sulla fronte e perennemente in
disordine come quando era un bambino che gli donavano quell’aria
strafottente che decisamente gli apparteneva.
Solo che adesso incorniciavano un paio di occhi verdi penetranti, scuri e
tenebrosi anche se un occhio attento avrebbe potuto distinguere le minuscole
venature verde smeraldo identiche a quelle della madre.
Le labbra erano piegate nel suo solito sorriso tagliente e carico di scherno che
l’aveva sempre contraddistinto anche se in quel momento erano piene e
incredibilmente carnose.
Ace Davies era sempre lo stesso: attraente, intrigante, egocentrico, narcisista
ma l’occhio attento di Jayne riusciva a notare tutte quelle piccole differenze
che avevano mutato profondamente il suo aspetto.
Era sempre stato un ragazzino assolutamente affascinante ma Jayne non si
sarebbe aspettata di trovarselo di fronte, così dannatamente affascinante.
Non era preparata a rivederlo dopo tutti quegli anni, gli occhi di lui erano
ancora incredibilmente penetranti e capaci di perforare.
“Mi chiamo Jayne, ricordi?”, disse la ragazza con tono di sfida.
Ace la studiò per un istante, come il cacciatore che osserva la sua preda prima
di stanarla e forse era proprio così che il ragazzo voleva farla sentire.
“Ma per me sei sempre stata la piccola Jenny”, sussurrò lui con un ghigno
volutamente pronunciato stampato in volto.
I ragazzi rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, finché Brigit disse: “Oh,
è vero, era così che ti chiamava sempre Ace!”
“Che cosa dolce, si ricorda ancora”, aggiunse sorridendo ai due ragazzi.
Anche Jayne se lo ricordava bene, come si ricordava il tono di scherno con cui
era solito rivolgersi a lei il ragazzo e quanto gli piacesse infastidirla.
Ace Davies era sempre stato un bambino capriccioso e soprattutto dispettoso,
non amava condividere i suoi giocattoli con gli altri bambini e soprattutto non
aveva mai sopportato la presenza di Jayne e non aveva mai perso occasione
per dimostrarglielo.
“Ciao, ti ricordi di me?”
Alis Davies si avvicinò a Jayne con un sorriso, la figlia dei Davies era cresciuta
parecchio fisicamente nonostante avesse soltanto all’incirca quattordici anni.
Aveva gli stessi capelli castani della madre, ma non scuri come quelli del
fratello ma una sfumatura molto più chiara.
“Ehy, ciao!”, esclamò Jayne e abbracciò la ragazzina.
“Certo che mi ricordo. Sei cresciuta tantissimo Alis”
Brigit continuava a sorridere, felice di riavere Jayne con loro.
“Non c’è bisogno che ti mostri la casa, vero? Te la ricordi ancora, no?”
Jayne annuì con la testa, si ricordava alla perfezione ogni singolo dettaglio di
quelle stanze anche se erano passati anni dall’ultima volta
che era stata dentro quelle mura.
“Tra poco sarà pronta la cena”, aggiunse Brigit.
“Alis perché non mostri la sua camera a Jayne?”
Jayne raccolse nuovamente la valigia che aveva appoggiato sul pavimento e si
preparò a salire le scale.
“Aspetta Alis, la accompagno io”
La voce di Ace la colpì come un pugno nello stomaco, mentre il ragazzo le
sfiorava la mano per toglierle la presa sulla valigia.
“La valigia è pesante”, aggiunse lui con un sorriso angelico in direzione della
madre che sembrava piuttosto sorpresa.
“Come sei gentile, caro”
Ace sfoderò nuovamente un sorriso perfetto, prima di dirigersi al piano
superiore seguito da Jayne.
Era l’ultima persona che la ragazza avrebbe voluto seguire, ma non voleva
creare problemi all’interno della casa quindi camminò dietro di lui in silenzio.
Continuarono a camminare per un po’ senza dire nulla e Jayne ne fu sollevata,
dopotutto erano cresciuti ed era sicura che Ace non fosse ancora lo stesso
bambino dispettoso che era un tempo.
All’improvviso Ace si fermò, davanti alla piccola stanza degli ospiti in cui era
solita soggiornare Jayne quando era piccola e fece segno
alla ragazza di entrare.
“Te la ricordi questa stanza, piccola Jenny?”, mormorò lui sghignazzando
mentre la ragazza posava la valigia sul letto.
Lei si voltò verso Ace per fronteggiarlo, lui ricordava esattamente quanto lei
odiasse quel nomignolo che le aveva affibbiato.
“Sono Jayne, chiaro?”, disse lei con un tono di voce meno deciso
di quanto avrebbe voluto.
Ace posò lo sguardo su di lei, fissandola attentamente negli occhi come
qualche attimo prima e gustandosi gli occhi incerti della ragazza.
Ace Davies aveva sempre amato giocare con Jayne e non avrebbe rinunciato
per nessun motivo al mondo.
“Non sono più la piccola Jenny”, aggiunse lei sperando di riuscire a sostenere lo
sguardo deciso di lui.
Quest’ultimo scoppiò in una risata fragorosa, che Jayne trovò tremendamente
fastidiosa e puntò gli occhi scuri su di lei.
La squadrò da capo a piedi, percorrendo ogni centimetro del corpo della
ragazza e poi risalendo al viso dove indugiò per qualche secondo.
“A me sembri sempre la stessa”
Jayne deglutì a fatica, incapace di sostenere quegli occhi così magnetici.
“Nonostante i tuoi patetici tentativi di nasconderti dietro dei capelli biondi
stinti, sarai sempre la solita piccola Jenny”
Il ragazzo scandì bene le ultime parole, per essere sicuro di colpire nel segno.
Jayne indietreggiò fino a sfiorare il letto dietro di lei in attesa di trovare il
coraggio per ribattere e per fronteggiare Ace.
“Farai meglio a sbrigarti, la cena è pronta”
Lui sfoderò di nuovo quel sorriso angelico, finto e forzato che avrebbe potuto
funzionare solo con Brigit e poi uscì dalla stanza a grandi passi.
Jayne rimase un attimo immobile, seduta sul letto cercando di trovare il
coraggio per scendere al piano di sotto.
Il suo soggiorno a Galway era appena iniziato, così come il suo inferno
personale che aveva i capelli scuri e gli occhi penetranti e portava il nome di
Ace Davies.
  
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