"But I see your true colors,
shining through"
shining through"
Bianco
Bianco.
Il bianco è il colore della pura innocenza, dell’immacolata virtù, della lattea infantilità. Il bianco è per i puri di spirito, per i mocciosi che si nutrono di sogni, per le donne che amano senza risparmiarsi nulla, per gli uomini che si macchiano il corpo e la mente con un giusto ideale.
Il bianco è tutto questo, non devastazione, non dolore, non follia. Ma il bianco (devo ammetterlo) mi dona da morire. Risalta tutte le mie più grandi qualità e una di questa è l’umanità mancata. Perché io sono un uomo, Pride, un uomo all’apparenza come tanti altri; un uomo che è riuscito ad andare oltre questa semplice concezione (e costrizione) terrena. Uccidere i propri simili non è ritenuto morale, diamine, non è assolutamente ed eticamente accettabile, ne sono consapevole; ma in passato qualcosa ha preso il sopravvento. Ishval porta ancora i segni della mia follia omicida, io li porto addosso, sfoggiandoli come trofei.
Il bianco mi dona da morire, certo, ma vestirlo è come una punizione che io stesso ho deciso d’impormi. Il bianco, su di me, fa quasi ridere. Io faccio ridere.
Eppure mi va bene così, Pride. Sono pazzo perché sono umano, malleabile come fango e freddo come il ghiaccio. E gli umani, a differenza tua, si chinano e chiedono perdono al momento giusto.
Io non mi sono chinato e non ho chiesto perdono, non direttamente, almeno: il bianco della mia giacca, della mia camicia e dei miei pantaloni sta a significare l’eterno lutto che sarò costretto a celebrare per tutta la vita. Parlerà sempre al mio posto, griderà giustizia per gli ishvaliani, sussurrerà per te quando sarai troppo codardo per farlo.
Non puoi annientarmi, Pride, non puoi assopirmi. Perché per ritrovare la mia individualità ho dovuto massacrare migliaia di persone.
E vestirmici, senza avere rimpianti.