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Autore: _Akimi    15/04/2018    1 recensioni
[ Oikage week - giorno III -Coffee shop!AU]
«Il ginocchio, avevo già avuto problemi; ho superato il limite durante gli allenamenti.»
Non lo ferma quando inizia a parlare, è concentrato su un flusso di pensieri che chiedono di non essere interrotti e Kageyama lo ascolta come ha sempre fatto, senza pietà o compassione; è lo stesso Oikawa che sfidava negli anni del liceo, ardore e passione – sentimenti che gli fanno credere che, tralasciando il resto, il Grande Re non ha ancora lasciato il suo trono.
Lo protegge con tutto sé stesso, non può essere cancellato ciò che era e Tobio ne è grato perché, se fosse stato al suo posto, forse non ci sarebbe riuscito.
Oikawa Tōru, invece, è anche questo; un fiume in piena, una dedizione senza precedenti, alla quali Kageyama ha sempre aspirato e forse anche ora – dopo così tanti anni.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Oikageweek 2018'
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Black Coffee

 
{Le cose importanti che ho perso ieri
sono la luce che illumina il domani.
}
Kalafina – Eden

Quando Kageyama apre la porta della piccola caffetteria il profumo di caffè gli solletica le narici, ricordandogli solamente quanto le cose per lui non siano poi così cambiate.
Ama ancora il latte, quando capita macchiato, qualche volta con il tè o solo tiepido – accompagnato da un cucchiaino di miele.
Gli riporta alla mente i vaghi giorni passati davanti alle macchinette della Karasuno, il premere forsennato prima di una lezione, i calci per far cadere il resto e tutti gli scherzi che i suoi compagni di squadra organizzavano nascondendogli i cartoni lontano dal suo armadietto.
Non è mai stato una persona da caffè, a dire il vero, perché è un qualcosa che lo farebbe sentire troppo adulto, anche se – effettivamente – dovrebbe esserlo già da un paio di anni, almeno in un'ottica legale.
Eppure, nonostante continui ad odiarlo, si fa trascinare svogliato in un buco di locale nella splendida Tōkyō, un luogo che apparentemente non gli trasmette nulla, se non noia e anonimato.
È uno dei tanti, un posto che sgomita tra la concorrenza delle grandi aziende internazionali, ma che fatica ad attirare la sua attenzione; l'entrata è semplice, non un'insegna luminosa o un nome particolarmente accattivante.
Sono gli interni, forse, a renderlo un poco più personale; si respira un certo tono d'intimità nell'aria e Kageyama non può che lasciarsi trasportare dalla crescente curiosità che, da semplice sguardi, lo obbliga a trattenersi dall'origliare le conversazioni degli altri clienti.
Un paio di tavolini occupano il pian terreno, le tovaglie colorate la fanno apparire meno seria di quanto sia davvero e lo staff non porta nessuna divisa particolare, ma a Tobio non dispiace perché non è solito bere fuori e la formalità finirebbe con ucciderlo.
I suoi compagni di squadra spariscono nell'ombra, devono avere già ordinato qualche cosa da mangiare senza avvisarlo, e inizia a sentirsi un idiota – così, al centro della stanza – tanto da arrossire vagamente quando una giovane cameriera gli domanda se voglia sedersi.
Risponde solo con un cenno della testa, non riesce a parlare in luoghi dove vi sono molte persone – il che è un paradosso perché la caffetteria non è poi così piena al momento.

Si risveglia dal suo torpore solo quando il lieve profumo di ciambelle appena sfornate gli pizzica il naso, lo invoglia ad avvicinarsi alla vetrina e a sbirciare con il viso attaccato al vetro – evidentemente lucidato da poco.
I dolci hanno tutti aspetti buffi, variano in forma e provenienza; alcuni li riconosce dalle trasferte che ha fatto con la nazionale durante gli ultimi mesi: strudel e tiramisù, i classici europei, per poi passare agli stravaganti namagashi a forma di fiori – che Tobio proprio non riesce a riconoscere – e infine i più classici mochi, ove il suo sguardo si sofferma con più insistenza.
«Fanno trecento yen se li vuole, le chiedo solo di non poggiare le dita sul vetro, grazie.»
Un panno gli colpisce entrambe le mani e Kageyama, al momento, non può che mormorare delle scuse imbarazzanti perché ha ventidue anni, ma essere rimproverato da uno sconosciuto lo ammutolisce, trasformandolo in uno di quei bambini che, davanti ad un errore, non hanno molto margine di manovra per ribellarsi.
Sulla punta della lingua trattiene una risposta sgarbata, vorrebbe almeno togliersi una piccola soddisfazione, dire che un commesso dovrebbe essere più educato nel chiedere un po' di ordine, ma le parole rimangono esattamente lì, premute tra le sue labbra tremanti, non appena gli occhi dei due si incontrano.

Inizialmente è semplice stupore; il Karma è propria una brutta cosa – questo pensa -, ma poi i suoi occhi si assottigliano, il corpo si irrigidisce e l'espressione sul suo volto non è più quella di un ragazzino dispiaciuto, ma di un Kageyama Tobio orgoglioso nell'essere e testardo, come sempre e nonostante tutto.
Riceve una reazione simile, in fondo il suo interlocutore condivide con lui più di quanto abbia mai ammesso, ma non è più l'iniziale insensibilità ad accoglierlo, no, è uno dei sorrisi cortesi che conosce alla perfezione e che mai potrebbe dimenticare.
«Quant'è piccolo il mondo, non avrei mai immaginato di rivedere il mio kōhai preferito proprio dove lavoro.»
Oikawa è dall'altra parte del bancone, è il suo sarcasmo – lo stesso che riconosceva dietro ad una rete da pallavolo anni prima – e i suoi occhi – le stesse iridi che ha visto celare così tante emozioni diverse; indifferenza e rabbia, le più frequenti e dolorose, anche se ora ritrova semplicemente una venatura di innocente ironia.
«Ciao, Oikawa-san.»
Non riesce a dire di più, non subito; vorrebbe chiedergli come gli stiano andando le cose, ma una parte di lui sta già puntando alla porta, è la vocina del buon senso che gli dice di congedarsi il più veloce possibile e di sparire nel nulla – magari segnandosi il nome del locale, così da non ritornarci mai più.
«Tobio-chan, un po' di entusiasmo, è da anni che non ci incontriamo!»
Inizia la distensione, ma non senza prudenza; Kageyama cerca di apparire il più naturale possibile, anche se non è mai stato abile con le parole.
Oikawa è molto più bravo di lui in questo, le apparenze – il suo campo di gioco – una sfida che Tobio non ha mai accettato e che può, stranamente, dire di non voler neppure vincere.
Sì, perché è l'aspetto che ha sempre odiato del più grande; il suo simulare gioia, la falsa cortesia e i sorrisi a doppio taglio – gesti che, per quanto fasulli fossero, hanno sempre lasciato un qualcosa nel suo cuore complicato.
E Tobio non sa esattamente come comportarsi: dovrebbe sentirsi dispiaciuto per non essersi fatto più sentire? O magari è Oikawa ad esserlo, non per il silenzio negli anni, ma perché sembra essersi lasciato il suo capriccioso astio alle spalle ed è diverso, in un qualche strano modo.
Tutti e due lo sono, forse.
«Allora, come sta il numero sei della nazionale? Gli allenamenti non saranno duri per te, immagino.»
Altro sarcasmo, ma non con una particolare cattiveria; riesce quasi a riconoscere un vero interesse nel suo sguardo, screziato da una malinconia che non gli s'addice, anche se Kageyama la trova legittima.
Non gli mancano completamente gli anni delle scuole, erano più difficili per tanti motivi e Oikawa ne faceva parte, ma è spontaneo ricordarsi delle occasioni che hanno condiviso, nel bene e nel male.
«Lo sono anche per me, ma scendere in campo con la divisa del nostro paese supera qualsiasi fatica.»
Lo vede sorridere alle sue parole, un'espressione mesta gli incupisce il volto, ma quando delle voci lo interrompono ritorna ad essere l'Oikawa di sempre.
Gli fa cenno di aspettarlo per un attimo e Tobio segue l'amichevole ordine senza aggiungere nulla; lo osserva solamente, in piedi – nella stessa posizione – scrutandolo mentre interagisce con alcuni clienti che sembrano conoscerlo bene.
E ritrova qualcosa del vecchio Tōru nel modo in cui si presenta agli altri, non solo le bugie, ma anche il carisma e l'atipicità che lo hanno sempre reso diverso dal resto, non solo nel campo, ma anche nella vita.
Sono battute semplici, la ricerca del particolare e la novità a renderlo così popolare con tutti; è efficiente nel servire e Tobio lo trova ironico perché lo era anche giocando, quando doveva dare il via alle partite della sua squadra.
Odiava di lui le falsità e la rabbia, ma quello che rimaneva era tanto, abbastanza per fare sentire Kageyama uno stupido ancora oggi poiché, riflettendoci, Oikawa gli ha insegnato molte cose senza volerlo, su sé stesso e non solo.
La pallavolo era il legame, ma al contempo il loro filo di divisione; erano entrambi troppo testardi, decisi, eppure diversi, paradossalmente, dal momento che Tōru è sempre stato un punto di riferimento per tutti.
Tobio è rimasto cupo e brusco, il lavoro di squadra gli è naturale ormai, ma ha sempre delle riserve sul suo operato; pensa a ciò che era e come è arrivato ad essere il giovane uomo di oggi.
Pensa che potrebbe ritornare all'improvviso la tirannia del passato, un'ombra che lo perseguita e che alle volte lo preoccupa, forse ingenuamente.
Sa di avere imparato dagli errori, ma rivedendo Oikawa questi ultimi riaffiorano incontrollati, forzosi nel volere un loro posto nel suo animo; è un principio di paranoia che lo irrigidisce di nuovo, ma cerca di nasconderlo quando Tōru ritorna zampettando da lui.
Gli offre un altro sorriso, quello per i clienti, domandandogli se desidera qualcosa da mangiare e sì, ricorda solo ora di essere entrato nel locale per volere di altri.
«Mi dispiace ignorarti così, Tobio-chan, ma inizia ad esserci troppa gente e il mio capo è un vero zoticone.»
L'essere cacciato non lo infastidisce, anzi, si sente in parte sollevato perché sa che le domande scomode sarebbero arrivate inevitabilmente, ma il loro non è un addio e l'insistenza con cui Oikawa lo convince a tornare lo destabilizza, non riconoscendo più il suo senpai.
«Yogurt e mirtilli.»
Lo appoggia sul bancone e Tobio arrossisce appena, chiedendosi se sia un caso o se è Tōru a ricordarsi dei suoi gusti.
«Offro io, ma se ti piacerà sei obbligato a ritornare, intesi?»
Kageyama vorrebbe rispondergli che non è disposto a rimettere piede in questo buco, che l'incontro è stato un miracolo e tale deve rimanere, ma la testa, invece, si muove da sola e dal sorriso che riceve teme proprio di avergli appena dato ragione.


 
* * *

La seconda volta che si rivedono è nella stessa caffetteria, lo sguardo di Oikawa si illumina genuino quando lo vede varcare la soglia e, anche se sono passati pochi giorni, dal suo entusiasmo pare siano trascorsi altri anni dal loro primo ritrovo.
Kageyama si avvicina e in questa occasione – forse perché l'effetto sorpresa è svanito – si accorge di tanti, minuscoli dettagli sul viso di Tōru alla quale prima non aveva prestato particolare attenzione.
Sono gli occhiali, intanto, a dargli un'aria più adulta; non è propriamente una persona diversa, ma le lenti rendono i suoi occhi più attenti e l'effetto ricade su Tobio – ora vittima ancor più senza speranza dei suoi modi eccentrici.
Poi è l'orecchino, un piccolo anello argentato a bucargli il lobo destro; è un dettaglio quasi insignificante, eppure contribuisce alla visione di Oikawa-cresciuto a cui Kageyama deve ancora abituarsi.
«Ti sei tagliato i capelli.»
È la prima cosa che gli dice, un'affermazione forse così tanto ovvia da farlo ridere; lo osserva passarsi la mano tra i ciuffi castani e solo per breve attimo tiene lo sguardo basso, sembrando indeciso sulla sua risposta.
«Sì, una stupida scommessa con Iwa-chan; tu, invece?»
Lo osserva aggrottando la fronte, crede di non aver capito a che cosa si stia riferendo esattamente, ma non ha il tempo per domandare poiché le sue parole vengono coperte dalle fragorose risa di un gruppo appena entrato nel locale.
«Anche tu li hai tagliati, sembri uscito dalla Kitagawa Daiichi, che tuffo nel passato.»
Nasconde un fremito stringendosi nella giacca, gli occhi si allontanano dalla figura di Oikawa e cerca una qualsiasi distrazione fuori dalla vetrina, limitandosi ad osservare i passanti per attimi che si estendono all'infinito.
Tōru non è stupido – Kageyama lo sa -, la reazione alle sue parole è sufficiente per fare capire ad entrambi che il periodo delle medie è ancora un buco nero, una voragine dalla quale Tobio non si è ripreso totalmente.
Tōru non è stupido – ha da guadagnarci, cambiando argomento, ed è esattamente quello che fa, con una scioltezza che stupisce e persino rassicura il più piccolo.
«Latte macchiato, tiepido e con poco caffè, che ne dici?»
Accenna solo con il capo, non vorrebbe il caffè, ma al momento non crede di aver forza di ribattere e, dopotutto, è pur sempre mattina e forse un po' di caffeina non può fargli che bene.
La loro conversazione si conclude così, ma quando il suo ordine giunge al tavolo, un piccolo regalo rallegra in poco la sua giornata.

 
“Ho convinto il mio capo a proclamare il giorno degli alieni, goditi i mochi.
Oikawa-senpai.
👽 "
 

* * *

È notte fonda, forse le undici o più tardi; Kageyama si è rigirato spesso nel suo letto e la stanchezza non ha la meglio su di lui, anche se – camminando per le strade della capitale, può essere facilmente scambiato per un vagabondo o, per i più fantasiosi, uno zombie.
La direzione è quella, non è scelta, ma quasi spontanea; il cartello del locale è già sopra la sua testa e quando entra si dirige verso il solito bancone come se fosse diventato il suo passatempo preferito.
Rimane un po' deluso quando ad accoglierlo è un uomo che non ha mai visto prima d'ora, ma una parte di sé si sente sollevata perché incontrare volti conosciuti non lo aiuterebbe a distrarsi.
Prende il solito, alla fine si è lasciato convincere; il latte macchiato che gli viene servito è freddo, il caffè è troppo, ma non ha la forza di fare storie.
Non vuole farne, a dire il vero, perché qualsiasi cosa va bene per distrarlo, anche il croissant secco che una cameriera gli porta sorridendo, ma lui ringrazia con un grugnito, senza neanche mostrare un segno di piacere.
Il cornetto affonda nel bicchiere – ecco il primo morso -, poi scompare ancora nel latte, diventando alla lunga molle perché l'attenzione di Tobio si è spostata dal suo spuntino al ragazzo che è appena entrato nel locale.
Zaino in spalla, si dirige verso il bancone per ordinare qualcosa e Kageyama crede di avere le allucinazioni - odioso sonno - perché non può essere Tōru.
Parrebbe uno scherzo, una coincidenza che si ripete all'infinito e che alle volte lo infastidisce, anche se significa accettare una contraddizione; poteva scegliere un altro posto, eppure, un perché ci deve essere, se è finito con il ritrovarsi sempre nel solito, maledetto buco.
I suoi timori si rivelano reali quando lo sconosciuto si volta, non lo è più dal momento in cui i lineamenti del volto gli risultano familiari: gli occhiali sono lì, appoggiati alla punta del naso, in una mano stringe un paio di libri e nell'altra un bicchiere di carta – soffiando per raffreddare il caffè fumante.

«Dai, lo fai apposta.»
Oikawa trattiene una risata gonfiando le guance, sembra un bambino – non che stupisca Tobio -, eppure trova qualcosa di divertente nel suo oscillare tra ponderatezza e immaturità.
Quando si avvicina al suo tavolo aspetta prima di sedersi, come se non fosse un'ovvia possibilità; concede spazio a Kageyama, qualcosa che raramente ha fatto in passato, e quest'ultimo – forse meno titubante di quanto volesse – gli sposta la sedia per aiutarlo ad accomodarsi.
«Tobio-chan, passi più tempo qui di me; e io ci lavoro.»
Sembra una critica, non sa esattamente come reagire, ma pochi secondi dopo Tōru si concede un sorriso, quasi eccessivo, mentre con la mano preme la pancia per trattenere le risate.
Forse lo trova appagante, vederlo confuso, e in un certo senso Tobio lo capisce perché anche lui approfitterebbe del divertimento se la situazione fosse rovesciata.
«Come mai sveglio a quest'ora?»
«Potrei domandare la stessa cosa.»
È una risposta veloce, Tobio appare più scorbutico di quanto sia realmente, ma Oikawa non la prende sul personale, anzi, alza le spalle e la sua espressione rappresenta un touché senza bisogno di parole aggiunte.
«Tesi, purtroppo per me.»
L'unica informazione che sa di lui, frequenta un'università con Iwaizumi, da quello che ha sentito dire in giro, ma non sa molto altro e quasi ha il timore di chiedere perché non è sicuro che siano pronti ad intavolare una conversazione del genere.
Il non sapere nulla di più significa pur qualcosa, non ha mai chiesto e nessuno ha mai parlato del Grande Re in sua presenza; era tutta una questione chiusa una volta diplomati, ma è ironico ritrovarsi ad un tavolo con lui, come se il Karma – sì, sempre il Karma – li avesse portati in quel posto.
«Tu sarai impegnato per la World Cup, no?»
Un sorriso sarcastico gli illumina il viso stanco, è una domanda puntigliosa, chiesta per infastidirlo – Kageyama lo capisce perché Oikawa si è sempre comportato così con lui e forse è un lato del suo carattere che non è cambiato, nonostante tutto.
«Abbastanza, gli allenamenti sono impegnativi.»
Forse è la risposta che si aspetta; vederlo in difficoltà – deve esserne contento, anche se Tobio legge nel suo sguardo solo comprensione, strana empatia, la sua.
«Mi hanno detto che studi con Iwaizumi-san, giocate assieme nella squadra universitaria?»
Non dice chi, se lo ha chiesto o se l'ha scoperto per caso; deve apparire come una domanda naturale perché quando si è grandi si discute di cose come queste, corretto?
«È una storia lunga.»
«Ho tempo.»
Vorrebbe rispondere che non ha nessun posto dove andare, che ha tempo da sprecare in sua compagnia e che una parte di lui lo vuole davvero sapere; si rende pochi attimi dopo di aver parlato, di averlo detto per davvero, e la realizzazione lo porta a distogliere lo sguardo, arrossendo – non sa come – lontano dagli occhi distratti di Oikawa.
«Non gioco più a pallavolo, Tobio-chan.»
Un bisbiglio sommesso, quasi singhiozzato, anche se Tōru non sta piangendo; è Kageyama che percepisce la sua tristezza nel dirlo ed è normale, sì lo è, comprendere il suo dolore – nonostante siano stati nemici per anni, avversari in campo e oltre.
È una confessione che lo rattrista e pensa a tutte le volte che ha osservato Oikawa, lo ha considerato come un mito da seguire, una linea da superare e battere.
Ma sapere che ha smesso di seguire la sua passione non è una vittoria, non lo è per nessuno.
«Non fare quella faccia lunga, ho smesso da quasi due anni; a dire il vero, credo di essermelo un po' meritato.»
Tobio non vede Tōru come un imprudente, non se si parla di questioni importanti; ha diversi difetti, sarebbe disposto a sottolinearli uno a uno, ma l'essere eccessivamente stupido non è tra questi.
Pondera le sue scelte, è un giocatore razionale – se serve – e mettere a rischio la sua carriera è un qualcosa che non gli s'addice.
Dovrebbe dirgli che ne è dispiaciuto, ma non vuole, non per ripicca, ma poiché sa che Oikawa non ha bisogno di inutile compassione.
È sempre stato più forte di questo, nonostante alcuni evidenti dubbi che lo assalivano; li hanno tutti – anche Tobio, ancora adesso – sebbene rivelarlo significherebbe far ridere l'altro.
«Non lo direi se non lo pensassi, ma credo non sia giusto, Oikawa-san.»
Tōru lo guarda accigliato, i suoi occhi imbarazzano Kageyama che tenta di dire la cosa giusta, di non cadere in qualche suo sciocco tranello; le parole sono difficili, è uno strumento che Tobio non sa sfruttare bene e se paragonato, nessuna giocata sul campo sarebbe altrettanto complicata.
«Come? Dovresti essere più allegro, hai vinto
La reputa un'offesa, significa che Oikawa non ha superato completamente il suo complesso di inferiorità.
Lo stuzzica, forse vuole sentire Kageyama dire di essere soddisfatto, ma quest'ultimo non lo è perché non ha mai imparato ad odiare Tōru del tutto e, sebbene non abbia mai ricevuto scuse da parte sua, non riuscirebbe a vivere con tanto odio nascosto per sempre.
Kageyama è una persona più semplice di così, la sua vittoria è stata un risultato di un match, non un godere di una disgrazia altrui.
«Oikawa-san...»
«Lo so, non intendevo dirlo in quel modo.»
Lo vede alzare le spalle in segno di resa e dal suo volto pare essere scomparso qualsiasi fantasma di odio passato; sorride di nuovo, meno convinto delle solite volte, ma è un qualcosa che riserva a Tobio ed è sincero, finalmente.
«Il ginocchio, avevo già avuto problemi; ho superato il limite durante gli allenamenti.»
Non lo ferma quando inizia a parlare, è concentrato su un flusso di pensieri che chiedono di non essere interrotti e Kageyama lo ascolta come ha sempre fatto, senza pietà o compassione; è lo stesso Oikawa che sfidava negli anni del liceo, ardore e passione – sentimenti che gli fanno credere che, tralasciando il resto, il Grande Re non ha ancora lasciato il suo trono.
Lo protegge con tutto sé stesso, non può essere cancellato ciò che era e Tobio ne è grato perché, se fosse stato al suo posto, forse non ci sarebbe riuscito.
Oikawa Tōru, invece, è anche questo; un fiume in piena, una dedizione senza precedenti, alla quali Kageyama ha sempre aspirato e forse anche ora – dopo così tanti anni.
«Ero al secondo anno, Iwaizumi si è infuriato così tanto con me, il che è assurdo visto che per qualche motivo lui lo è sempre.»
Beve un sorso di caffè, la mano è ferma e i suoi occhi incontrano quelli di Tobio senza esitazione; legge in essi dell'ovvio rimorso, ma non così tanto dall'averlo consumato.
Forse Oikawa è diventato davvero adulto, escludendo i suoi gesti alle volte infantili; è cresciuto perché è riuscito ad affrontare la vita e sarà sempre pronto, forse anche più dello stesso Kageyama.

«Ma la nota positiva, sì ce n'è una, è che ho iniziato seriamente ad insegnare in un piccolo club per bambini; è diverso dal giocare, ma aver imparato ad aiutare gli altri mi è servito.»
Adesso distoglie lo sguardo, non riesce a reggere la curiosità di Tobio, ma quest'ultimo capisce che è dispiaciuto per altro; una vicenda che riguarda solo loro, dei pessimi scontri e della sua negligenza come senpai.
«I bambini devono essere contenti di avere un insegnante così.»
Così cocciuto? O bravo?
Lascia la frase in sospeso, aspetta che sia Oikawa a completarla, ma lui ride – ancora e ancora – divertito sempre di più dalla pacata gentilezza di Kageyama; sono complimenti semplici, ma del tutto sinceri.
Tobio sa che l'orgoglio di Oikawa – quello attuale – non ne sarà mai sazio e per una volta, forse perché ci tiene davvero, non gli dispiace vederlo accettare i suoi elogi senza sentirsi preso in giro.
È sempre stato lo stesso per lui, lo ha ammirato come alzatore sin dai tempi delle medie ed è stata una stima incrinata solamente dal loro cattivo rapporto, anche se questo non cambiava il dato oggettivo sulle sue prestazioni sportive.
«Lo sono, ma sono più entusiasti nel sapere che conosco un certo giocatore della nazionale...»
Un sorriso complice compare sul viso di Oikawa e Kageyama non riesce a guardarlo, sapendo che la punta delle sue orecchie stia arrossendo lentamente.
Un imbarazzo che non riesce a controllare, che Tōru riconosce subito, ma che – forse per un improvviso senso di bontà – non commenta, continuando a parlare pacato.
«C'è un bambino che ti assomiglia molto, è un po' duro di comprendonio, ma ha un dono.»
«Mi stai dicendo che sono stupido.»
Il suo tono serio lo fa ridere, è una risposta che sembra non stupirlo molto e per un attimo – breve – Kageyama ha la sensazione di essere ritornato indietro nel tempo, ricordando i giorni in cui erano ancora compagni di squadra.
Indossavano la stessa divisa, la palestra li ospitava entrambi, ma i loro incontri non erano mai pacifici; Oikawa aveva un pessimo temperamento, una personalità che è andata migliorando solo allontanandosi da Tobio.
E Kageyama inizia a pensarlo, forse era meglio così; ritrovarsi seduti ad un tavolo non è la migliore delle soluzione, non stanno litigando – sembrano quasi amici -, ma aspetta il momento in cui le vecchie versioni riaffiorino, ricominciando tutto dall'inizio.
«Sei solo impulsivo e testardo, ma non sei una persona cattiva; ero io lo stupido, avrei dovuto capirlo prima.»
Una confessione bisbigliata con umiltà e imbarazzo; Oikawa accetta di aver sbagliato qualcosa, non è una scusa ufficiale, ma è un passo che Tobio accetta, senza pretendere altro.
Immagina che ci sia qualcosa nell'atmosfera, all'interno del locale; forse è il silenzio che per qualche minuto si instaura tra loro, è il picchiettio di una pioggia improvvisa contro la vetrina della caffetteria.
Un insieme di cose, di coincidenze strane a cui Kageyama ancora stenta a credere; è sempre il buco nella splendida capitale – nella sua semplicità, ma che li riunisce sotto un unico tetto.
«Sai, potresti venire un giorno;» sono parole pronunciate con leggerezza; «credo che ai bimbi potrebbe fare piacere.»
Un invito inaspettato, un impegno che intimorisce Tobio; non è mai stato bravo con i ragazzini più piccoli di lui, con le persone in generale – a dire il vero – e teme che la proposta di Oikawa sia solo una cortesia, non un desiderio di rivedersi ancora.
«Io e i bambini non andiamo molto d'accordo.»
Tōru accenna un sorriso, è un sottinteso “lo so già”, ma senza cattiveria o ironia; lo ripete per convincerlo, un modo per dirgli che non è stata una domanda casuale.
Vuole incontrarlo di nuovo nel contesto in cui si sono conosciuti, dove si sono odiati – è troppo per entrambi, forse, ma Kageyama non prova rimorsi, pensa solo di non essere all'altezza.

 
Un paradosso, sì, per il grande numero sei.

«Sono sincero, Tobio-chan, mi farebbe piacere, ma non devi rispondermi ora. Sai dove trovarmi, no?»
Capisce che la conversazione sta per concludersi, Tōru sembra in qualche modo provato, lo è anche Kageyama – nonostante tenda ad essere meno palese.
Vorrebbe ringraziarlo per il tempo trascorso assieme, ma si alza di fretta dal tavolo e l'unico attimo rimasto è occupato dal suo ultimo, piccolo gesto.
«Scrivimi, se dovessi avere qualche idea.»
È un foglietto logoro, quello che lascia sotto ai suoi occhi, e basta per lasciare qualcosa a cui pensare per l'intera notte.
Il numero di Oikawa nei suoi contatti, per la prima volta.


 
* * *
 
Kageyama chiude la porta senza fare alcun rumore, si sistema nervosamente il borsone sulla spalla e fa qualche passo avanti, fermandosi davanti alla reception della minuscola palestra.
Trova una donna anziana impegnata con un laptop, ma appena si accorge della presenza del giovane sorride, accogliendolo dolcemente.
«Di che cosa hai bisogno?»
«Sono qui per Oikawa Tōru.»
La sua voce trema, si sente uno sciocco perché teme che qualcuno potrebbe scoprirlo, non sa chi né il motivo per cui se ne deve vergognare tanto.
La signora non lo ha riconosciuto, probabilmente non è una grande appassionata di pallavolo, ma la sua informalità lo aiuta a rilassarsi, almeno sino a quando non scopre di non essere del tutto estraneo.
«Devi essere Tobio? Il povero Tōru pensava che non ti saresti mai presentato.»
Bene – è l'unica parola a cui riesce a pensare; non si aspettava un incontro in grande stile, ma Oikawa sembra considerarlo importante, aspetto che non fa che innervosirlo maggiormente.
«Trovi la palestra dopo il corridoio, alla tua sinistra; cambia le scarpe prima di entrare.»
Detta un ordine non contestabile e Kageyama si limita a rispondere con un cenno timido del capo, intimorito dall'improvviso cambio di personalità; non è solo l'anziana a spaventarlo, ma in particolare il silenzio che lo accompagna lungo gli ultimi metri che lo dividono dall'entrata della palestra.
Sospira, prima di entrare, anche se le sue orecchie sono già attente al suono dei palleggi contro le pareti.
Quando apre la porta un gruppo di bambini è occupato ad allenarsi sulle basi, Oikawa li ha disposti in fila e passa davanti a loro, con occhi attenti, sistemando la posizione delle mani e delle gambe.
Nessuno si accorge della sua presenza e per un po' Tobio rimane in silenzio, trovato il suo angolo tranquillo, lasciando che Tōru si occupi dei suoi piccoli allievi.
Alcuni bambini lo chiamano tirando affettuosamente la sua maglietta, richiedono la sua attenzione e il più grande, inginocchiandosi con prudenza, li ascolta borbottare i loro problemi e insicurezze.
Sorride ad ognuno di loro – Tobio lo nota spesso -, ma è diverso dalla gentilezza che dedica ai clienti della caffetteria; appare come una persona differente, più in pace con sé stessa, senza il bisogno di dimostrare nulla.
Lo sguardo dei bambini brilla di un entusiasmo che Kageyama comprende subito – era lo stesso che aveva alla loro età e che forse non ha mai perso; è un quadro malinconico, anche se non sono momenti che ha mai vissuto realmente in passato.
L'Oikawa delle medie è scomparso, un ricordo di chissà quanti anni prima; il ragazzo che ha di fronte è più solare, sincero, e la dedizione che prima dedicava alla sua carriera ora si riversa lì, in quella modesta, piccola palestra.
Koguma Club – legge sulle maglie; una divisa informale che regala un senso di appartenenza ai partecipanti, e per Tobio non è difficile immaginarseli come una squadra – sebbene sia troppo presto per dirlo.
Percepisce, però, la forza di volontà di tutti quanti; alcuni più pigri si sdraiano non appena Oikawa gli volta le spalle, ma balzano in piedi non appena quest'ultimo li rimprovera – quasi scherzando -, dicendo loro che il tempo per rilassarsi è ancora lontano.
Rispondono più o meno convinti, ridono nel provare a ricevere i palloni che Tōru gli lancia, ma non smettono di provare – alcuni corrucciando la fronte come se si trovassero davanti ad un avversario da temere.
Sembrano promettenti; Tobio riesce a riconoscere in loro qualche modo di fare dei suoi ex-compagni alla Karasuno: al centro i bambini più chiassosi, quasi una copia perfetta di Noya e Tanaka, e poco più in là una ragazzina inforca gli occhiali contro il naso, mostrando un'espressione annoiata che ricorda il classico cinismo di un certo megane di sua conoscenza.

Sbuca, poi, un bambino dal nulla; si accorge di lui e si ferma ad osservarlo, nascondendo negli occhi timore misto a legittima curiosità.
Il pallone gli scivola dalle mani e sul volto – prima cupo e solitario – si forma un sorriso luminoso che espone Kageyama, obbligato a resistere sotto lo sguardo attento di tutti gli altri bambini.
«Kageyama Tobio!»
Dita affusolate lo indicano, occhi vispi lo scrutano e le espressioni variano da puerile entusiasmo a timoroso rispetto; i più pacati salutano con un inchino – un po' troppo formale per le sue abitudini -, ma è affascinante rendersi conto quanti bambini diversi siano sotto l'ala premurosa di Oikawa.
«Oikawa-sensei, dicevi la verità.»
Un ragazzino – forse più grandi degli altri – batte le mani con entusiasmo, un senso di orgoglio lo fa rimare impettito, come se volesse fare bella figura davanti al nuovo arrivato.
Kageyama trova il suo comportamento divertente, potrebbe essere un ottimo capitano, anche se vi sono tanti altri bambini vivaci quanto lui.
«Hey, Tobio-chan, grazie per essere venuto.»
Tōru tiene a bada l'entusiasmo del gruppo, ammutolito nell'attesa di una risposta da parte sua; sembrano aspettare, come se volessero sentire la voce del giocatore che hanno intravisto alle volte in TV.
Kageyama non si considera una grande celebrità, sono passati i tempi in cui cercava l'attenzione altrui, e ciò che gli rimane è un orgoglio genuino, accompagnato da una testardaggine incancellabile.
«È vero che il Giappone prenderà il suo primo oro alla prossima World Cup? Ti chiameranno per le Olimpiadi? Tu e Oikawa-sensei giocavate nella stessa squadra?»
Un folto gruppo di bambini lo circonda, uno sistema garbatamente la sua borsa a terra e altri recuperano una sedia per farlo sedere, trattandolo con così tanta riverenza da far sorridere divertito Tōru.
Assiste alla scena inerme, isolato persino, anche se gli allievi non si sono dimenticati completamente di lui; d'altra parte, Kageyama lo guarda in cerca di aiuto – lo aveva detto, in fondo, di non essere bravo -, ma il più grande si limita ad alzare le mani, abbandonandolo al suo destino.
«Voglio essere un alzatore come Kageyama»
«Ma Oikawa-sensei è più bravo.»
Due compagni litigano, sbuffando non appena un terzo, con inusuale maturità, li rimprovera e li zittisce, scusandosi per l'inconvenienza.
A quel punto lo sguardo di Tobio incontra il viso di Tōru, quest'ultimo socchiude la labbra per parlare, ma viene interrotto poco dopo, stupito persino dall'eccessiva gentilezza dell'ospite.
«Se non avessi conosciuto Oikawa-san, probabilmente non sarei il giocatore che sono ora; è un compromesso, no?»
Tōru si sente lusingato, Kageyama lo capisce perché lo vede sbuffare imbarazzato; è un qualcosa che Tobio intende realmente, nel bene e nel male del loro rapporto, la presenza di Oikawa ha un significato fondamentale per la sua carriera.
Involontariamente, forse, ma non cambia il passato di stima nei suoi confronti; Kageyama ricorda il suo stile di gioco alla perfezione, è certo che sia persino migliorato nel corso degli anni, sebbene i suoi problemi al ginocchio devono averlo limitato decisamente.

«In una sola cosa continua a superarmi;» ricomincia il discorso, intravedendo un sorriso divertito sulle labbra dell'interessato; «il suo servizio è imbattibile.»
I bambini mormorano, bisbigliano in segno di approvazione e, poco dopo, uno di loro propone di allenarsi tutti assieme; insistono, Kageyama deve aiutare, e Oikawa sembra assecondarli.
Una parte di sé già lo aveva previsto, anche se Tōru non era stato esplicito a riguardo; doveva essere un incontro normale, un modo per conoscere l'ambiente, ma Tobio non rinuncerebbe mai ad un pallone – anche se i suoi temporanei obiettivi sono diversi dal vincere un match.
Ugualmente importante, gli allievi si aspettano qualcosa da lui; suggerimenti, aiuto o semplice presenza – un modo per rendere indirettamente anche Oikawa felice.
Non lo avrebbe mai pensato prima, ma Tōru pare soddisfatto grazie al suo arrivo e il solo pensiero di aver contribuito a rallegrare la palestra lo rende socialmente meno incapace, poco meno del solito.
Il posto è piccolo, lo è per l'ego dei due, ma quando ricominciano gli allenamenti – questa volta anche sotto la supervisione di Tobio – la palestra si mostra il luogo perfetto per entrambi.
Scherzano, persino, come se si fossero del tutto abituati l'uno alla presenza dell'altro; Oikawa è il più paziente tra i due, capita che Kageyama lo chiami per spiegare un qualche concetto che lui espliciterebbe a gesti, ma i bambini non criticano e non sono delusi dal modo impacciato in cui Tobio si presenta.
Ridono anche loro, ossessionati ancora di più dal grande alzatore, perché si rendono conto che dietro l'espressione cupa che hanno visto in TV, si nasconde il realtà un ragazzo come tutti gli altri.
Kageyama è più dell'eccezionale giocatore che hanno imparato a conoscere, il suo nervosismo – paradossalmente – li avvicina e permette di non sentirsi in soggezione.
Faticano, cercando di mantenere la giusta posizione per ricevere; esultano, non appena Oikawa si lascia convincere a tracciare una linea bianca per creare un campo improvvisato.
La stessa linea rievoca ricordi lontani, Tōru e Tobio sono ancora avversari, riportati alla realtà solo dal chiacchiericcio dei bambini di sottofondo.
Non vi è tensione né preoccupazione, sono gli stessi, ma la situazione basta per commentare quei giorni con una leggerezza che era mancata, a dire il vero, ad entrambi.


«Tobio-chan che si complimenta con me, sono emozionato.»
Tōru approfitta di un momento di pausa per avvicinarsi a lui; i bambini sono distratti con le loro bottigliette e il bisbiglio del più grande quasi lo spaventa, ritrovandoselo di fianco mentre fruga nella sua borsa.
«Non è la prima volta, ma il fatto che tu te ne accorga adesso spiega tante cose.»
Kageyama abbassa lo sguardo, cerca di tenersi impegnato con qualsiasi cosa trovi tra le mani, ma si dispiace, al contempo, perché non voleva apparire così sulla difensiva.
Ormai ha imparato a riconoscere il sarcasmo di Oikawa – non vi era nulla di cattivo nelle sue parole, ma l'espressione scontenta che ritrova sul viso del senpai è sufficiente per farlo ragionare.
«No, non mi chiedere scusa, ci vogliono mille di queste risposte per essere alla pari, vero?»
Tobio si aspetta di nuovo una facile ironia, un sorriso divertito ad illuminargli il volto, ma Tōru è serio – un'espressione che quasi lo intimorisce, spaventato dall'idea di dover affrontare discorsi che hanno evitato volutamente nelle ultime settimane.
«Oikawa-san, non sono arrabbiato con te, se lo fossi, avrei rifiutato il tuo invito e non sarei più ritornato in caffetteria.»
Vorrebbe aggiungere che ci aveva pensato più di una volta; dimenticare tutto per sempre – ritornando alla pacifica ignoranza che lo aveva allontanato dal suo passato.
Eppure, ha deciso, forse la strada più difficile, la più sciocca, ma non sarebbe Kageyama Tobio se si accontentasse di vivere senza problemi.
«È questo che non riesco a comprendere;» mormora, assicurandosi che i bambini non possano sentire ciò di cui stanno discutendo; «perché?»
«Me lo domando anche io.»
Si dedicano uno sguardo confuso, stupidi come sono; non sanno cosa desiderano, o forse sì, ma rivelarlo significherebbe esporsi più del dovuto.
Tobio crede di aver fatto già a sufficienza, ha perdonato Oikawa dal momento in cui ha deciso di rimettere piede nel posto dove lavora e Tōru, sì, Tōru deve averlo necessariamente capito.
Il suo dubbio è un qualcosa che Kageyama comprende; crede di non meritarselo – dopo tutto ciò che gli ha fatto sopportare, ma dalla sua parte, Tobio può sostenere di non essere stata una vittima inerme del suo odio.
Ha contribuito, rafforzando per anni la rivalità tra loro; ha accettato il comportamento sbagliato dell'altro rispondendo in modo altrettanto infantile.
Ora, però, sono cresciuti – almeno crede – e una parte di lui, quella che lo ha convinto a non allontanarsi, guarda già oltre, ogni volta che Oikawa gli sorride con sincerità.
«Pensavo che fossi tu lo stupido, ma anche io metto la mia parte, temo.»
Ritorna il sarcasmo, alleggerisce gli animi e fa sorridere entrambi, interrotti solamente dai bambini spazientiti dall'attesa.


«Allora sensei, giochiamo una partita?»
La pallavolo, come li ha divisi, li unisce ancora una volta.

 
* * *

Oikawa si sente particolarmente giocoso oggi, forse è la vittoria al Koguma club di qualche giorno prima a renderlo così contento.
Sono seduti l'uno di fronte all'altro, Oikawa ha appena concluso il suo turno di lavoro e si è – stranamente – offerto di pagare quella che dovrebbe essere una colazione, anche se è ormai sera inoltrata.
Kageyama si accorge della sua eccessiva allegria quando, con il piede sotto il tavolo, gli sfiora la gamba - non accidentalmente - portandolo ad arrossire per timore di essere visto.
Cerca di sembrare impassibile, ma sul viso di Tōru è già apparso un abbozzo di sorriso soddisfatto, un silenzioso modo per sottolineare la timidezza del suo kōhai – aspetto che non è mai cambiato dai tempi delle scuole superiori.
«Non dovresti studiare, Oikawa-san?»
La sua voce trema in attesa di un altro inaspettato movimento da parte del più grande, ma quest'ultimo appoggia il piede sul pavimento, sbuffando piuttosto annoiato.
«Ho bisogno di qualcosa per rimanere sveglio.»
Replica con malizia, aspettandosi una risposta altrettanto complice da parte di Tobio, ma alcune abitudini non cambieranno mai e – al di fuori della pallavolo – Kageyama rimarrà sempre il solito distratto.
«Prendiamoci altro da bere, allora.»
È l'aroma a richiamare entrambi, Tobio continua a preferire il suo amato latte, ma ordinando assieme un lungo caffè nero si domanda se – finalmente – siano diventati entrambi un po' più adulti.


 
Angolo dell'autrice:
Per il giorno due ho preparato un edit Gods!AU – Link.
I mochi che Oikawa offre la seconda volta a Tobio sono tipo questi.





 
  
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