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Autore: Dave Coraan    20/04/2018    0 recensioni
Tratto da una campagna di D&D. Raiyko, dopo aver perso la memoria, riesce a fuggire dalla fortezza di Divenfall. Il mondo che lo aspetta fuori però è completamente in crisi. Fra lotte di potere, un passato da scoprire e minacce celate, Raiyko dovrà decidere cosa è giusto o sbagliato per poter far tornare la pace e l'ordine nel regno di Kaos.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA FORTEZZA
 
 
 
 
 

La mente faticava ancora a ragionare, ma l’effetto della pozione stava lentamente svanendo. Raiyko non ricordava da quanto tempo lo tenessero prigioniero. I polsi erano già da tempo martoriati dai troppi tentativi di fuga, sangue fresco ancora colava dalle manette dall’ultima volta. Era solo, solo e nell’oscurità più buia appeso meno di un centimetro dal terreno, costretto a stare in punta di piedi per non rischiare di spezzarsi le braccia.
D’un tratto le orecchie, ormai abituate a percepire il più insignificante dei rumori, captarono in lontananza il susseguirsi dei passi del suo carceriere; doveva essere l’ora della nuova iniezione di pozione annebbia-mente e a giudicare dai ragionamenti che riusciva a formulare dovevano anche essere in ritardo sulla tabella di marcia.
La porta della cella si aprì lentamente. La luce del corridoio lo accecò, poi, pian piano, tornò a riacquistare la vista. Le pareti e la pavimentazione erano composte dello stesso materiale, una specie di metallo nero opaco che lui non ricordava di averne mai visto o sentito parlare. Un uomo dai lunghi capelli corvini e un naso adunco si trovava sull’uscio della cella; indosso aveva un lungo camice da laboratorio bianco come un foglio privo di inchiostro. Nella mano teneva saldamente una siringa con uno strano liquido verde. Qualcosa dal profondo di Raiyko lo scosse; gli occhi si spalancarono alla vista del contenuto di quella siringa. Ricordava bene il colore della pozione annebbia-mente e non era verde ma rosa.
«Che cos’è quella roba?!?» Domandò terrorizzato.
Sul volto dello scienziato comparve un lungo sorriso e si apprestò ad entrare. Raiyko cominciò a scalciare e divincolarsi cercando di liberare le braccia dalle catene. Lo scienziato si avvicinò inesorabilmente a lui e quando gli si parò davanti piegò leggermente verso sinistra la testa del prigioniero in modo da avere una bella visuale della vena del collo. Avvicinò l’ago lentamente alla pelle, come a volersi assaporare il momento; la punta della siringa toccò delicatamente il collo proprio quando dal corridoio si sentirono le urla disperate di più persone. Questo distrasse momentaneamente lo scienziato, quel tanto che bastava per poter permettere al braccio destro di spezzare le catene che lo tenevano legato e sferrare un pugno sul suo carceriere. Con determinazione disperata che traspariva dagli occhi, Raiyko tirò anche con il braccio sinistro. Un colpo secco di un osso spezzato e le grida di dolore che ne seguirono furono il suo inno di libertà. Il braccio sinistro, troppo debole per poter replicare il destro, scivolò via dalla manetta dopo essersi spezzato il pollice per lo sforzo fatto. Le gambe atrofizzate, non riuscendo a reggere il suo peso, cedettero, e così si ritrovò sdraiato sul pavimento faccia a terra. Lo scienziato ripresosi dal cazzotto non sprecò altro tempo e si scaraventò sul corpo cercando di immobilizzarlo. Raiyko prontamente scartò di lato e con le gambe sforzate al massimo si diede uno slancio contro il nemico facendolo sbattere contro la parete. Il corpo dello scienziato rimase lì immobile; un rivolo di sangue scese lungo il muro dalla ferita nel cranio, era morto.
Rimessosi in piedi si trascinò verso il cadavere e gli frugò nelle tasche. Ne estrasse una piccola carta rettangolare impossibile da piegare, sopra vi erano scritti vari numeri e lettere che per lui non avevano alcun significato. Se la mise in tasca. Successivamente cercò la siringa così da poter avere “un’arma” di difesa, ma non la trovò. Preso dal panico scostò il cadavere sperando che fosse finita per terra, ma niente. Si toccò la schiena e scese lungo di essa. Qualcosa era conficcato dietro il suo fianco sinistro. Lo estrasse. In mano aveva finalmente la siringa. Era vuota. La disperazione prese possesso di lui e inconsciamente corse fuori dalla cella. Il corridoio che dava sulle prigioni era lungo e stretto e ad entrambe le pareti vi erano tantissime porte senza maniglia, lisce come le pareti e presumibilmente fatte dello stesso materiale. Due di esse erano aperte. Una ragazza dai capelli corti e biondi uscì da una delle due. Indosso aveva lo stesso camice da laboratorio dello scienziato che aveva appena ucciso. I gelidi occhi azzurri di lei si fermarono su di lui.
«Sei anche tu un prigioniero?» Domandò lei indicando lo straccio che lui aveva addosso.
Dall’altra porta uscì una terza figura. Le catene strisciavano sul pavimento per via delle estremità ancora legate intorno ai polsi, la mano destra era sporca di sangue. Ruggì come una bestia assetata di sangue.
«Se non volete morire sarà meglio che vi facciate da parte!»
Raiyko cercò di rimanere il più lucido possibile mentre cercava di studiare al meglio la situazione.
«Calma, amico. Potremmo tornarci utili a vicenda, in tre sarà più facile scappare da qui, non credi?» L’uomo ci rifletté, poi grugnì un verso di assenso. La ragazza lo imitò con la testa. «D’accordo, io sono Raiyko, voi chi siete?»
«Aequitas!» Rispose l’uomo.
«Yotta.» Le fece eco la ragazza.
«Bene. Yotta, Aequitas anche a voi hanno per caso iniettato un liquido verde in corpo?» Lei confermò con un cenno del capo.
«Non so di che colore fosse, ma qualcosa me l’hanno iniettata di sicuro.»
«Sarà meglio non perdere altro tempo. Andiamo, per di qua!» E si incamminò per il corridoio tenendo sulla destra la sua cella.
«Perché di qua e non dall’altra parte?» Domandò lui.
«Perché le urla dei vostri scienziati hanno distratto il mio, quindi le vostre celle erano prima della mia. L’unica soluzione possibile è che siano arrivati da destra, ed essendo questa la zona delle prigioni non penso abbiano più di una uscita, non credi?»
«Suppongo di sì.»
Percorsero tutto il corridoio fino a raggiungere una porta in metallo con al centro un pannello di vetro, su di essa non vi erano maniglie. Aequitas si avvicinò e spinse, ma invano. «Siamo bloccati!»
«I vostri scienziati avevano per caso delle chiavi?»
«No.» Rispose Yotta.
Aequitas in tutta risposta scrollò le spalle, gli altri due lo guardarono dritto in faccia completamente esterrefatti. «Che c’è?! Non mi sono messo mica a guardare cosa aveva addosso! Non potevo perdere tempo, sono rinchiuso qui da troppo, voglio andarmene!»
Raiyko aveva già smesso di ascoltarlo e stava riflettendo su tutta la situazione; senza che se ne rendesse conto le sue mani scivolarono lentamente in tasca, e la destra iniziò a giocherellare con una carta più resistente del normale. Un lampo attraversò il suo cervello e senza perdere altro tempo estrasse la carta e se la avvicinò alla faccia. La guardò minuziosamente con cura, nella sua testa era balenata una chiara idea, gli sembrava improbabile, ma tentare alla fine non gli sarebbe costato nulla. Si accostò al pannello di vetro e ci poggiò la carta dalla parte delle scritte. Il pannello si illuminò e la porta salì verso l’alto rivelando una piccola stanza quadrata con una porta per ogni parete e nell’angolo sinistro un piccolo tavolo fatto dello stesso materiale delle pareti e del pavimento. Tutti e tre entrarono nella stanza, e la porta si chiuse alle loro spalle. Aequitas si avvicinò al tavolo.
«Qua c’è un’altra cosa di vetro!»
Raiyko si avvicinò al tavolo e la esaminò. Era molto simile a quella sulla porta, però su questa vi era disegnato un piccolo quadrato. Lo premette. Sul vetro comparve quella che a prima occhiata sembrava una mappa di qualche posto. Riconobbe il corridoio delle prigioni. Era la mappa di quel luogo. L’edificio era diviso in quattro piani e ogni stanza aveva la stessa lunghezza e larghezza delle altre, fatta eccezione per quattro. Una di quelle quattro era le prigioni, che si trovavano al primo piano. Dentro di sé sentì chiaramente nascere la curiosità di sapere cosa si nascondesse dentro quelle altre tre stanze così diverse dalle altre, ma sapeva che doveva sopprimere quell’istinto che altrimenti lo avrebbe portato ad essere nuovamente catturato. Come in precedenza poggiò la tessera sul pannello di vetro. La porta che dava sulla parete di sinistra si aprì. Insoddisfatto ripremette la tessera sul pannello. La porta di sinistra si richiuse e al suo posto si aprì quella centrale. «Per di qua!»
Come aveva già visto dalla mappa, si ritrovarono in una stanza identica alla precedente. Ripeté le stesse azioni e così proseguirono per le successive quattro stanze.
«Per quanto ancora sarà così?»
«Alla prossima stanza dovremmo trovare le scale per il piano inferiore.»
«Come lo sai?» Chiese Yotta.
«Dalla mappa che ho visto nella prima stanza.» Neanche il tempo di dirlo e il gruppo raggiunse una stanza diversa dalle altre o almeno in parte, essa infatti aveva una porta in meno.
«Sinistra o destra?» Chiese Aequitas
«È indifferente. Se non ho capito male da entrambe le parti ci saranno delle scale che porteranno al piano inferiore.»
«Allora sinistra!»
Raiyko passò nuovamente la tessera e la porta di sinistra si aprì. Vi entrarono. Restò confuso. La stanza era della stessa grandezza delle altre, ma non aveva alcuna porta o scala al suo interno eccetto quella da cui erano entrati. In alto a sinistra notò un altro pannello di vetro; su di esso vi erano incise due frecce, una che indicava su e una che indicava giù. Premette la tessera sulla freccia che indicava verso il basso. Contemporaneamente la porta da cui erano entrati si chiuse e uno strano rumore di ingranaggi si propagò per tutta la stanza.
«Che cazzo hai combinato!?!»
«Non lo so!»
La stanza cominciò a scendere verso il basso come un secchio vuoto in un pozzo. Di colpo la stanza si fermò e il rumore degli ingranaggi cessò. La porta si aprì, ma la stanza dall’altra parte era diversa. Erano scesi.
«Che fantastico marchingegno, chi lo ha ideato è un genio!»
«Ehi genio, dove dobbiamo andare ora?» Chiese spazientito Aequitas.
«Non lo so.»
«Come non lo sai?»
«Ci sono due stanze diverse dalle altre su questo piano, e sono una all’opposto dell’altra. Una delle due potrebbe essere l’atrio principale, ma entrambe hanno la stessa probabilità di esserlo. Comunque, uscendo da qui e girando a sinistra arriviamo alla più vicina. Direi che non ci resta che tentare la sorte.» E senza aggiungere altre parole si incamminarono.
La stanza non era quella dell’entrata principale, bensì un laboratorio. Ampolle di ogni genere riempivano buona parte della superficie della stanza; libri a primo impatto antichi e di valore erano sparpagliati qua e là, alcuni aperti e altri chiusi. Il laboratorio era veramente grande, vi erano varie postazioni di lavoro una più disordinata dell’altra. C’erano otto porte, quattro da un lato e quattro dall’altro.
«È meglio andarsene senza toccare niente.»
Neanche il tempo di dirlo che Aequitas aprì la prima porta sulla sinistra.
«Maledizio…» Il resto della parola gli morì in gola. Dentro la stanza, in un letto a castello, uno scienziato stava dormendo. Silenziosamente Raiyko entrò nella stanza e si avvicinò all’uomo prontò ad ucciderlo nel sonno. Si paralizzò. Lo scienziato era identico a quello che aveva ammazzato dentro la sua cella, eccetto per una piccola macchia verdastra sul collo. Ci volle un po’ prima che si rendesse conto che l’uomo non respirava. Doveva essere morto mentre dormiva. «È morto… Aequitas rifletti prima d’agire!»
«Taci, non vedi che abbiamo fatto centro!» E con il ditone puntò verso una piccola cassaforte che faceva anche da comodino. A turno provarono a scassinarla. Non ci riuscirono.
«Non mi viene in mente altro modo. Scansatevi, Ci penso io!» Esclamò Yotta mentre un’aura oscura la circondò. Davanti agli occhi increduli dei suoi compagni un grosso demone con enormi corna, ali da pipistrello e una coda che poteva sembrare un enorme serpente comparve nella stanza, e con un solo pugno spaccò la cassaforte. Come era apparso il demone scomparve; su di lei non aleggiava più alcuna aura.
«Cosa diavolo era quello?!?» Strillarono in coro i suoi compagni.
«Diciamo il mio angelo custode.»
«Alla faccia dell’angelo» puntualizzò Raiyko e si mise a rovistare dentro la cassaforte. Ne estrasse cinque piccoli anelli d’oro. Su ognuno di essi una pietra di un colore diverso dalle altre: una rossa, una verde, una azzurra, una viola e una arancione. Allungò la mano per mostrare cosa aveva trovato anche agli altri. Aequitas ne prese subito uno.
«Mio!» Lo indossò. L’anello si illuminò per un attimo. Sulla liscia pietra azzurra era comparso un numero: cinque.
«Sei impazzito?!? Poteva essere maledetto!»
«Ora ne voglio uno anche io.» Replicò la ragazza.
«Voi siete pazzi.» E le porse un anello «Fatti vostri se morirete per questo. A me importa solo di uscire da qui.» Poi mise gli altri in tasca.
Yotta imitò Aequitas ed indossò l’anello. Successe la stessa cosa. Un lampo di luce scaturì dall’anello e sulla pietra arancione comparve anche a lei un numero: tre. Diedero un’ultima occhiata alla stanza, poi uscirono.
«Direi che l’uscita di sto posto si trova nell’altra stanza. Basta curiosare in giro, più rimaniamo qui dentro più rischiamo che ci scoprano e ci ricatturino.» Come un uccello del malaugurio, l’allarme scattò proprio in quell’istante. «Corriamo!»
Si precipitarono a rotta di collo verso l’altra stanza che speravano fosse la loro via di fuga. L’allarme non sembrava voler cessare di suonare; in ogni stanza una luce rossa lampeggiante andava a ritmo con il suono. Finalmente raggiunsero l’atrio principale. La stanza era grande quanto il laboratorio e dava sull’entrata, un’apertura di almeno otto metri senza alcuna porta.
«L’uscita!» Esclamarono con gioia.
Un rumore metallico alle loro spalle però attirò la loro attenzione. Si voltarono.
Un immenso essere meccanico seguito da uno molto più piccolo erano alle loro calcagna. Il più grosso emise una piccola luce rossa che puntò Aequitas dritto sulla fronte. Dal corno del robot partì un raggio laser che gli trapassò la testa e scheggiò il pavimento. Fu questione di un secondo, ma Raiyko riuscì a vedere chiaramente la scena. Proprio nel momento in cui il raggio stava per trapassare il suo compagno, Aequitas era diventato semi trasparente. La cosa doveva averlo scombussolato abbastanza perché era riverso a terra su un ginocchio e ansimava.
«Che è successo?» Chiese Raiyko.
«N-non ne ho idea, ma non mi sento molto bene!»
«Tiralo su e correte!» Urlò Yotta, riportando i due alla situazione di pericolo.
«Yotta e tu?»
«Vi raggiungo subito, il tempo di occuparmi di quei due!»
Raiyko tirò su Aequitas e corse verso l’uscita.
Una volta fuori poggiò il compagno e si apprestò a riprendere fiato, ma quello che vide all’esterno lo lasciò senza respiro. Si trovavano in una città. Ma non una città qualunque, ogni edificio era fatto dello stesso materiale nero di cui era fatta la fortezza, la quale svettava su tutti gli altri in altezza e imponenza.
«Sbrighiamoci, non è ancora finita.» E raccolse Aequitas da terra. Non fece in tempo a fare un passo che davanti a lui cadde, completamente distrutto, il robot più piccolo. Lasciò ricadere il compagno e si avvicinò alla carcassa. Notò che in mano teneva una di quelle strane armi e senza pensarci due volte se la infilò dentro i pantaloni.
«Ehi non eravamo di corsa?» Protestò Aequitas.
«Sì, scusa.»
«Aspettatemi!» Yotta, in braccio al suo demone, si stava dirigendo a tutta velocità verso di loro. Quando li raggiunse il demone scomparve e lei scese delicatamente a terra.
«Wow, ma dove siamo?»
«Non ne ho idea, non ho memoria di questo posto, deve essere colpa di quella roba che ci hanno continuato ad iniettare.»
«E ora da che parte si va?»
«Per di là c’è la strada principale, se è come una città normale, dovrebbe portarci all’uscita. Andiamo!» Raiyko fece un passo, poi tutto intorno a lui scomparve e si ritrovò nel vuoto più assoluto. Davanti gli si materializzò l’immagine dell’entrata della fortezza con nove figure che la stavano varcando. Le figure erano indefinite, tutte eccetto una, lì al centro di tutti c’era lui, con al dito l’anello con la pietra verde.
La voce di Yotta lo riportò alla realtà. Era steso a terra grondante di sudore, la testa gli pulsava dolorosamente, cercare di comporre una frase di senso compiuto gli comportava un’estrema fatica, come un infante da poco avvezzo alla capacità di parlare.
«C-ci sono. A-andiamo.»
Raggiunsero la via principale e la seguirono fino all’origine. Le abitazioni spettrali e il fatto che non ci fosse anima viva in giro appesantì l’aria circostante, pareva più un cimitero che una città. Infine, in lontananza la speranza sotto forma di carri in legno trainati da cavalli. Quell’immagine così familiare e al tempo stesso così in contrasto con l’ambiente circostante li destabilizzò. In fondo, all’inizio della carovana c’era il portone di entrata della città. Quando videro scomparire ogni carro che superava l’entrata, capirono che dovevano sbrigarsi o non ci sarebbe stata più nessuna via di fuga. Cominciarono a correre disperatamente, come a voler battere il proprio record personale. A fatica raggiunsero l’ultimo carro e con altrettanta si issarono al suo interno. Raiyko mirò per l’ultima volta la fortezza. Erano riusciti a scappare. 
    
 
   
 
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