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Autore: DirceMichelaRivetti    30/04/2018    0 recensioni
Eptapoleis è il nome dell'unico stato esistente nel mondo in cui sarà ambientato il mio prossimo romanzo (ancora ben lontano dalla pubblicazione).
L'idea era di un'ambientazione steampunk ma è uscito più che altro un umanesimo a vapore. Un mondo diviso tra il discreto benessere presente nelle città dello stato (ottenuto più o meno palesemente a discapito di libertà) e le asprezze della vita nei territori esterni dove sorgono Avamposti e Baraccopoli, popolato da somazoi (ibrdi umano-animali) e tribù più o meno stravaganti.
Qui voglio pubblicare alcuni raccontini spin-off (un capitolo a racconto) per farvi conoscere l'ambientazione e alcuni dei personaggi.
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Dove stiamo andando?”

Chiese la bambina, ormai stanca di portare i piedi uno davanti all’altro, senza sosta da ore. Era abituata a camminare e di solito non si lamentava, però ormai lei e l’amico del padre erano in cammino da tre giorni, si fermavano solo per mangiare e dormire, l’asinello che li seguiva era carico di bisacce e non poteva essere cavalcato, mentre lei sentiva i piedi doloranti e pieni di vesciche.

Non ne poteva più!

Sì, era stato suo padre a dirle di seguire Hermanno che l’avrebbe portata a fare un bel viaggio e che lui li avrebbe presto raggiunti, ma non sembrava affatto così. Finora avevano vagato per boschi, evitando il più possibile i campi aperti e lei aveva la netta impressione che l’amico del genitore non avesse davvero idea di dove andare.

“Resisti ancora un poco, Hermeneia.” la esortò lui, voltandosi per sorriderle “Devo solo trovare un posto per la notte.”

“Ieri abbiamo dormito nelle amache, non possiamo farlo anche oggi? Io mi diverto.”

“Non ne dubito, ma preferisco altre soluzioni. Qui vicino ci sono delle colline rocciose, forse troviamo una grotta dove ripararci. Vedi le nuvole?” aggiunse indicando il cielo, per quel poco che si intravedeva tra le fronde.

“Minacciano pioggia. Io preferirei stare all’asciutto e tu?”

La piccola ammise che l’uomo aveva ragione e continuò a camminare, pur controvoglia.

Gli alberi crescevano piuttosto fitti e le chiome intrecciate lasciavano trapelare solo raggi di Sole ormai tenui. Gli occhi dei due viaggiatori avevano dovuto abituarsi alla penombra e spesso erano fissi sul terreno per accertarsi che nulla si nascondesse in mezzo a quell’erba alta fino al ginocchio dell’uomo. Più di una volta Hermanno aveva dovuto mettere mano al lungo coltellaccio che aveva appeso al fianco destro (sul sinistro aveva la spada) per sfrondare un poco il passaggio, non perché fosse ostruito ma per liberarlo dai rovi: non voleva che la piccola si graffiasse le gambe.

In quei lunghi giorni di viaggio avevano avuto la compagnia solo degli animaletti che popolavano il bosco: erano rallegrati dal cinguettio di qualche crociere, oppure Hermeneia si distraeva, seguendo con lo sguardo il rincorrersi degli scoiattoli tra i rami.

Una brezza di vento portò il buon umore all’uomo che annunciò alla bambina che ormai erano arrivati e con la mano la spronò a non fermarsi. L’aria attorno a loro si fece più luminosa, sebbene la luce fosse quella rossiccia del tramonto. La vegetazione divenne più rada fino ad interrompersi bruscamente a una manciata di metri da una parete di pietra, così alta e vicina che, per vederne la cima, non bastava piegare del tutto il collo all’indietro.

“Visto? Proprio come avevo detto.” si compiacque Hermanno, sperando che ciò servisse a rincuorare la bambina a cui poi domandò: “Mi aiuti a cercare una grotta? Facciamo una gara a chi la trova per primo?”

Hermeneia annuì felice e cominciò subito a scrutare la collina, in ogni direzione.

Camminarono rasenti alla parete per diversi minuti, prima di imbattersi in una spaccatura. L’imboccatura era bassa e stretta per una persona adulta ma immetteva in un antro ampio a sufficienza per accogliere cinque o sei persone sdraiate, senza che sbattessero la testa se decidevano di stare in piedi.

“Bene, io accendo il fuoco con la legna avanzata, tu vanne a cercare dell’altra.” ordinò Hermanno, iniziando a liberare l’asino da alcuni pesi “Non allontanarti troppo, mi raccomando. Ogni due minuti fa un fischio, se senti il mio di risposta, bene, altrimenti significa che devi tornare più vicina.”

“Sì, lo so.” sbuffò la bambina “Me l’hai già detto.”

“Cosa devi fare se sei in pericolo?” la mise alla prova lui.

“Gridare con tutta la voce, così corri subito.”

“Brava. Va e torna presto!”

Hermeneia tornò tra gli alberi a cercare bastoni secchi e rami spezzati. Pareva non sentire più male ai piedi: avere una responsabilità la rendeva felice e ignorava tutto il resto. Avrebbe tanto voluto avere braccia più lunghe, in modo da poter raccoglier più legna in una sola volta e non essere costretta a fare avanti e indietro innumerevoli volte, ma non se ne lamentava.

Più tardi, mangiando un po’ di pane ormai duro e carne secca, accompagnati da qualche frutto che Hermanno aveva raccolto durante la giornata, la bambina dovette ammettere che dormire in un luogo riparato, riscaldati dal fuoco, era un’ottima idea.

Sentiva la vampa della fiamma davanti a lei che la riscaldava piacevolmente: non era una stagione fredda, ma quel tepore era ugualmente un toccasana, dopo la lunga marcia.

“Scusa se sono stata brusca con te.” mormorò Hermeneia, dopo cena, tenendo gli occhi bassi per la vergogna.

“Ma cosa ti salta in mente?” domandò l’uomo, dapprima sbigottito e poi divertito “Non c’è motivo per cui tu ti debba scusare.”

“Sono stata nervosa, ho dubitato di te e ti ho anche risposto male.” gli fece notare la bambina, sorpresa da quella reazione.

“Non ci pensare. Vieni qui.” replicò Hermanno, intenerito per quella dimostrazione di stima e rispetto.

Sapeva che lei gli voleva bene, lo conosceva da sempre, le era stato spesso vicino.

Hermeneia girò attorno al falò e si sedette accanto all’uomo che l’abbracciò e la rassicurò: “Sei stanca, affaticata e preoccupata per tuo padre. È naturale che tu non sia gentile e dolce come al villaggio e non mi offendo.”

La piccola si strinse maggiormente a lui. Tacque per lungo tempo, ripensò alla casa che aveva lasciato in fretta e furia. Nessuno le aveva voluto dire perché, nessuno le aveva voluto spiegare che cosa stesse accadendo.

Un viaggio, le avevano detto, ma lei sapeva che era una bugia. Aveva visto alcune famiglie radunare alla svelta le proprie cose e lasciare il villaggio a piedi o su carretti. Si era accorta di come il clima, nelle ultime settimane, si era fatto sempre meno sereno e più teso.

Pensavano di ingannarla solo perché aveva dieci anni? Che assurdità!

Potevano tacerle la verità ma non credere che lei non si fosse resa conto che qualche sventura li aveva minacciati.

Non sapeva che cosa avesse spaventato così tanto il suo villaggio, non era riuscita ad origliare le ultime assemblee. Probabilmente era qualcosa legato al fatto che sempre più spesso uomini e donne che partivano per misteriose missioni, ritornavano feriti o non tornavano affatto.

Si sarebbe combattuto al villaggio? Suo padre era rimasto per lottare e l’aveva allontanata?

Era ciò che la ragione le suggeriva ma a cui lei non voleva credere.

Delle lacrime sgorgarono dalle palpebre chiuse e con un filo di voce domandò: “Papà e Rask stanno bene?”

“Certo, perché non dovrebbero?” rispose Hermanno, passandosi una mano sull’oblunga testa pelata, poi sospirò e tra sé e sé pensò: Lo vorrei tanto.

L’uomo cercò poi di distrarre la bambina e le chiese se avesse vesciche nuove. Lei non se lo fece ripetere: sfilò le scarpe di cuoio e indicò le bolle d’acqua.

Hermanno prese un ago e lo passò qualche istante sulle fiamme per sterilizzarlo, poi vi inserì un filo. Si accinse infine a bucare le vesciche, lasciando al loro interno la cordicella, sporgente, in modo che tutta l’acqua fosse drenata.

Invitò poi la piccola a coricarsi: anche il giorno dopo avrebbero marciato e le sarebbe convenuto riposare!

Lui sarebbe rimasto a vegliare per un po’. Non era contento di passare, ogni notte, diverse ore a dormire, senza nessuno che controllasse che non sorgessero pericoli ma, d’altra parte, non voleva neppure far fare la guardia alla bambina.

Hermeneia non se lo fece ripetere e si sistemò sul pagliericcio, coperto da un telo, che si erano portati dietro, stando sempre ben attenti che l’asinello non finisse col mangiare quel giaciglio.

Prese dalla propria bisaccia un velo azzurro, lo avvolse attorno alla mano e l’avambraccio destro e si addormentò tenendolo vicino al volto: era la caliptra di sua madre, morta già da diversi anni, era l’unico ricordo di lei che era riuscita a portare via dal villaggio. Un dolce ricordo.

Il padre, invece, le aveva dato il proprio cappotto, chiedendole di custodirlo finché lui non fosse tornato a riprenderlo.

Un’altra bugia dettale per confortarla.

Passò la notte e, poiché pioveva, rimasero nella grotta tutto il giorno. Uscì solo Hermanno, nel pomeriggio, quando il Sole era tornato a splendere, per cacciare con la balestra e procurare della carne fresca per avere un pasto migliore per la cena.

Il mattino seguente il tempo era migliore e si rimisero in cammino, decidendo di continuare a costeggiare le colline rocciose.

Dopo alcune ore di marcia, giunsero in vista di una strada: larga e ben battuta, nonostante non fosse lastricata. Era alla destra della cresta di pietra.

Hermeneia si meravigliò non appena la intravide, corse verso di essa per guardarla meglio, nonostante i richiami dell’uomo.

“Non sapevo ci fossero strade come questa, fuori dal villaggio!” esclamò la bambina, girando su se stessa per non perdere nessun dettaglio “È grande almeno il doppio della nostra principale, vero?”

“Sì, sì.” concordò Hermanno, distrattamente.

Anche lui si guardava attorno, ma non era la curiosità a guidarlo, bensì il timore. Sembra tutto deserto, quindi l’uomo  tirò un sospiro di sollievo.

“Dai, torniamo nel bosco.” ordinò, secco, Hermanno.

“No, camminiamo qui: è molto più comodo e non rischiamo di prendere le zecche! Ieri me ne hai dovute togliere quattro, nonostante porti pantaloni lunghi!”

L’uomo ragionò, si grattò la testa e infine acconsentì a percorrere una breve parte del tragitto su quella strada, almeno finché non avessero incontrato una locanda dove comprare acqua potabile: le loro scorte non erano abbondanti.

La sua intenzione era quella di lasciar entrare la bambina a concludere l’acquisto, mentre lui se ne sarebbe rimasto in attesa, poco lontano: era sicuro che nel locale fosse appeso un manifesto con il suo volto e una grossa taglia, quindi preferiva non farsi vedere.

Certo, una bambina da sola avrebbe potuto suscitare qualche perplessità, ma i locandieri non facevano troppe domande, se vedevano il denaro.

Per sicurezza, però, Hermanno alzò il cappuccio del mantello che lo copriva, sperando lo aiutasse a passare inosservato e non che lo facesse notare maggiormente.

Un grosso sasso posizionato a lato della strada avvisava i viaggiatori che la prossima locanda era ormai vicina.

Poco più avanti, Hermanno scorse due sagome in lontananza. Sembravano uomini a cavallo su destrieri molto più grossi del normale. Ebbe un sospetto e avrebbe tanto voluto lasciare la strada e nascondersi nel bosco ma ciò sarebbe risultato sospetto: se quegli uomini erano soldati, allora sicuramente si erano già accorti di loro e, vedendo la deviazione, avrebbero fatto alzare in volo i loro drachi per inseguirli.

Sì, scappare li avrebbe messi nei guai. Avrebbero dovuto continuare dritto per la strada. Calò ancor di più il cappuccio sulla propria testa.

Non disse nulla alla piccola: l’informarla del pericolo l’avrebbe potuta innervosire, facendole fare qualcosa che avrebbe attirato l’attenzione delle guardie.

L’avvicinarsi tra le due coppie di viaggiatori era molto rapido.

Hermeneia si meravigliò nel vedere due uomini cavalcare dei lucertoloni giganti con ali piumate: che animali strani!

La intimorivano, eppure non riusciva a staccare lo sguardo da loro.

I soldati stavano parlando ad alta voce tra di loro. Sembravano ubriachi e infatti ondeggiavano un poco sulle selle.

“Ehi voi, chi siete?” domandò un militare, vedendo i due viandanti con l’asino.

“Oh, nessuno.” si affrettò a rispondere Hermanno, guardando a terra e tenendo d’occhio le ombre degli interlocutori “Non siamo uomini delle polis, ma nemmeno banditi, viaggiamo alla ricerca di …”

“Taci!” lo interruppe il soldato, scendendo dal draco e sforzandosi di non barcollare “Questa regione è infestata da sofisti e sicofanti. Mostrami il tuo volto.”

L’uomo trattenne un’imprecazione, con la sinistra si tolse il cappuccio, mentre tenne la destra pronta a sfoderare la spada.

Il soldato si avvicinò di qualche passo e poi trasalì: “È lui! È lui l’autore dell’eccidio di Aleajakt.”

“Arrenditi!” intimò il secondo, mentre l’altro stringeva la lancia.

“Giammai!” esclamò Hermanno, sguainando la lama.

Ormai era un decennio che aveva imparato a maneggiare le armi, aveva acquisito tecnica e agilità. Sfoderare l’arma e conficcarla nella gola dell’uomo davanti a lui fu l’affare di pochi istanti.

Il secondo soldato, furioso, spronò il draco contro il ricercato: le zampe del lucertolone lo atterrarono senza fatica.

Nel cadere, ad Hermanno la spada si sfilò tra le mani e volò all’indietro.

Schiacciato a terra dall’animale, urlò alla bambina di fuggire.

“Scappa! Vattene!” erano le grida soffocate che uscivano dalla sua gola, strozzate dal peso che gli opprimeva il petto.

Il soldato smontò, determinato a finirlo.

Hermeneia era rimasta impietrita. Vedere l’amico del padre squarciare la gola di un uomo l’aveva paralizzata. Non immaginava che il suo animo fosse tale da permettergli di uccidere a sangue freddo. Sì, l’aveva visto esercitarsi con le armi al villaggio, le aveva anche insegnato qualche posizione di guardia e di difesa, ma per lei non si era tratto d’altro che di un gioco. Ora, lì, c’era del sangue!

Certo, aveva già visto persone ferite, aveva anche assistito alla lotta tra la vita e la morte a cui Hermanno era scampato un paio di anni prima, ne aveva osservato il corpo piagato dalle ferite.

Adesso, però, era diverso. La violenza non era più un mero racconto, né testimoniata solo da tagli. Aveva assistito a un assassinio. Aveva visto un volto sbiancare per la mancanza di sangue, le ginocchia di un uomo cedere, non riuscendo più a sostenere il peso di quel corpo che era caduto, privo di vita.

L’esortazione alla fuga non fu che una vaga eco nella sua testa.

Vedeva solo Hermanno, l’unico amico che le era rimasto, bloccato a terra dal draco e che cercava inutilmente di divincolarsi.

Sì, lo aveva appena visto togliere una vita, ma sarebbe stato ben peggio che qualcuno gli prendesse la sua.

La sagoma del soldato che stava per abbattere la propria lancia sull’uomo fece scattare qualcosa nella bambina.

Hermeneia non si accorse di ciò che fece, il suo corpo si mosse d’istinto. Si chinò a raccogliere la spada e l’agitò davanti a sé all’altezza dei polpacci indifesi del guerriero.

Il militare urlò per il dolore e cadde sulle ginocchia. Si voltò, poi, fissando la piccola con sguardo omicida e ruotò il bastone della lancia, pronto a cambiare obbiettivo.

La bambina si rese conto in quel momento di ciò che aveva fatto. Il cuoricino cominciò a battere rapido all’improvviso. Lei deglutì ed indietreggiò, senza mollare la spada, tenendola con la lama verso l’alto, ricordando ciò che l’amico le aveva insegnato, sperando di riuscire a difendersi.

Hermanno, rinvigorito dal timore per lei, riuscì a rotolare su se stesso e liberarsi dalla presa del draco. Preoccupato, non esitò a colpire con un calcio la schiena del saldato che perse l’equilibrio in avanti. Il ricercato ne approfittò per calcarlo a terra, poi gli afferrò l’elmo e lo tirò all’indietro finché la cinghia di cuoio che lo teneva legato sotto il mento non lo strinse attorno al collo.

Hermanno non pensò che ricorrere al coltellaccio avrebbe posto subito fine a quell’agonia e continuò a tirare e tirare.

Il soldato era senza aria, si agitò cercando di sfuggire, inutile.

Il corpo smise di contorcersi. L’uomo continuò a tirare l’elmo per alcuni minuti: voleva essere certo che fosse morto.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto vedere questo.” disse Hermanno alla bambina che lo guardava intimorita e confusa “Purtroppo dovrai farci l’abitudine. Fuori dal villaggio, le cose vanno così.”

Hermeneia non disse nulla: sapeva che il suo villaggio aveva dei nemici, sapeva che molti dei suoi compaesani avevano combattuto altrove per difenderli. Lo sapeva, nonostante i tentativi di tenerla all’oscuro, ma c’era una netta differenza tra il sapere qualcosa a il viverlo. Sentiva anche che quella era stata una scaramuccia e che situazioni ben peggiori attendevano lei e il suo compagno di viaggio.

Guardò la lama, il sangue del soldato era ancora lì. Era stata la prima volta in cui aveva ferito una persona. Aveva avuto paura e anche ora che tutto era finito, non si sentiva bene. Non si sentiva orgogliosa di quel che aveva fatto, né provava piacere. L’unico pensiero che la confortava è che l’aveva fatto per proteggere Hermanno.

L’uomo aveva preso confidenza coi drachi, ora ne teneva le redini. Li usò per trasportare i cadaveri nel bosco, sperando che non fossero trovati in tempi brevi, meglio se fossero scomparsi per sempre.

Fu indeciso se uccidere anche i drachi: se l’esercito li avesse visti senza i proprietari, avrebbe iniziato operazioni di ricerca. Alla fine decise di risparmiarli, tolse loro ogni arma, bardatura e oggetto, tenendo da parte quel che sarebbe potuto servire (compresi acqua e denaro), poi li lasciò volare via. Sarebbe bastato a farli credere selvatici? Lo sperò.

“Vieni, proseguiamo nel bosco. Sulla strada si fanno brutti incontri.”

Hermanno accompagnò l’esortazione porgendo la mano alla piccola.

La bambina lo guardò e tanto bastò per dirsi quello che non si erano detti prima, da quando avevano lasciato il villaggio: da quel momento sarebbero stati loro due, da soli, ad affrontare tutto ciò che la vita avrebbe posto sul loro tragitto.

Hermeneia prese la mano dell’uomo e insieme si incamminarono.

 

   
 
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