MU – Il nulla
“Stranamente immaginavo di vederti in un momento come
questo…” sospirai allontanando le dita dalle tende.
“Ryuzaki”
Mi sentivo preso in giro da quello Shinigami. Ma non
importava. In un certo senso speravo di parlare una seconda volta con Elle.
“Non mi sono lasciato corrompere” ripetei spiandolo con
la coda dell’occhio. Lui era in piedi e giocherellava con la lampada della
scrivania spingendone il gambo snodabile con l’indice, mentre questo si piegava
nuovamente.
Scricchiolava.
“Mi stai ascoltando?” chiesi irritato.
“Io ascolto sempre Yagami” rispose lui, pacato.
“Pensala come vuoi ad ogni modo” concluse, annoiato.
Rimase in silenzio per un po’.
“Mi incuriosisce il fatto di essere tornato proprio in
questo momento. Che succede esattamente Light?” chiese.
“Succede…” mormorai alzando la testa e fissando il soffitto.
“… succede che è la resa dei conti, devo cercare di
sopravvivere. Ecco tutto”
Lui girò la testa.
“Oh…” fece lui.
“Capisco. Questo significa che presto sarai come me”
disse asciutto.
Io sobbalzai appena.
“Ma che stai dicendo?”
“Mi sembra chiaro…” si spiegò lui.
“Se no io non sarei qui non ti sembra?”
Lo guardai in silenzio per qualche secondo.
“Queste sono sciocchezze. Semplicemente tu sei una specie
di tortura psicologica. Non sei neanche reale” considerai.
“Se è quello che credi non ti impedirò di pensarlo”
Guardai le nuvole addensarsi fuori e soffocare il sole.
Stava finendo.
Che fosse la mia vita o altro non avrei saputo dirlo. Ma
qualcosa stava giungendo al termine.
***
Il treno si era fermato prima, per un problema sulle
rotaie e alla fine era stato costretto ad alloggiare in una città vicina a Narita.
Non importava.
Stava per prendere la metro. Li avrebbe trovati.
Qualsiasi cosa lo aspettasse a breve sarebbe stata la
morte. La sua forse.
Si sorprese a ridacchiare. Importava forse? Era stato
divertente. Vero?
Kuraji salì. Fortunatamente c’era posto. Scomodo ma
c’era.
Accanto a lui sedeva una vecchietta bianca e opaca con
una sciarpa verde e l’espressione stanca.
Davanti a lui, invece, c’era una ragazza. Non giapponese,
credeva, bionda. Con i capelli lunghi, un maglione con qualche bruciatura di
sigaretta e la fronte un po’ alta.
Lo stava fissando in effetti.
“Maro?” disse con una vocina sottile.
Kuraji sobbalzò.
“Mi conosci?”
Lei prima esitò, poi sorrise.
“Sono in classe con te” disse e con la mano gli fece
cenno di sedersi accanto a lei.
Lui si alzò un po’ a disagio e si sedette.
Puzzava di fumo di sigaretta. I suoi capelli, ecco.
L’odore era forte.
“Sono Kaede, non ti ricordi Maro? Mio padre è giapponese,
mia madre turca” disse sorridendo.
Prese dalla tasca un pacco tutto schiacciato di sigarette,
ne estrasse una e se l’accese.
“Ti da fastidio?” chiese.
Kuraji fece segno di no con la testa.
“Mi spiace che non ti ricordi di me” sorrise lei,
stringendo gli occhi tondi. Occhi da occidentale.
“Cosa fai qui Kaede?” chiese lui per cambiare discorso.
“Devo vedere una persona. Sai lavoro alla radio. Viaggio
abbastanza” rispose lei.
“Ci si annoia” aggiunse.
Lei lo guardò con attenzione.
“E ora perché sghignazzi?” rise lei.
Kuraji non se n’era neanche accorto. Prese la sigaretta
dalle dita di Kaede e se la portò alla bocca.
“Non concepisco l’idea della noia” spiegò.
Lei riprese la sigaretta.
“È una buona vita. Sai. Equilibrata, penso a me”
Lui gliela sfilò ancora dalle dita dopo che lei soffiò
piano una piccola scia di fumo.
“Non mi piace l’equilibrio” rispose lui, sempre più
divertito.
“Allora sei destinato a vivere poco”
“Non fa niente”
“E perché la pensi così?”
Inspirò dalla sigaretta.
“Non si può interrompere il sesso prima dell’orgasmo”
Kaede rimase per un secondo interdetta con un sorriso
sorpreso e divertito.
“È una lezione da imparare”
Lo stava prendendo in giro? Non importava. Era quello che
pensava: la vita non si vive a metà, né nell’equilibrio. Bisognerebbe viverla
ad estremi.
La sigaretta era ancora nelle mani di Kaede.
“Questa è la mia fermata” disse Kuraji.
***
Erano le Dieci meno venti quando Jim buttò a terra il
cellulare da cui Adam River stava gridando come un forsennato. Quando salì in
macchina e guidò come un pazzo fino a casa di Sayu Yagami.
La porta era sfondata, c’era una striscia rossa e bianca
che circondava la casa, ma nessuno sembrava essere di guardia, così Jim passò
oltre.
Lene era entrata lì, la casa era vuota. Cucina, salone,
bagni, camere da letto. Ecco però in una di quelle c’erano due cavi a terra,
vicini al lembo della coperta. Forse significava qualcosa.
Jim fece per girarsi.
“E tu che ci fai qui?”
Jim quasi cadde in avanti per lo spavento, si girò di
scatto e vide tre uomini che lo fissavano severi.
Non rispose.
“Questa è zona di indagini signore, non può entrare”
Zona di indagini.
Non era sicuro, ma doveva parlare. Era l’unico modo.
“Su Kira? Anche voi avete scoperto che era qui!” tentò.
I tre uomini parvero stupiti.
“Cosa sai?” chiese quello con la barba.
“Ho indagato con un’amica. Suo figlio aveva combattuto
Kira. È morto dopo la sua sconfitta. Lei ha voluto indagare. Ha scoperto…
abbiamo scoperto”
“Ok calma” lo interruppe l’uomo. Gli altri erano rimasti
con un’espressione sorpresa.
“Ora ci racconti tutto. Puoi fidarti facciamo parte dei
poliziotti che catturarono il vecchio Kira”
“Aizawa, ma non…”
“No, sentite” s’intromise Jim.
C’era l’urgenza, l’urgenza di salvarla.
“Niente spiegazioni: il nuovo Kira è Sayu Yagami, sono
partiti, non so per dove, ma la mia amica li ha seguiti, è in pericolo, bisogna
aiutarla!”
Jim li superò e scese le scale.
“E dove? Dove sono andati?”
Non lo sapeva, ma avrebbero chiesto. Avrebbero chiesto in
biglietteria chi e per dove era partito la notte prima.
Narita, avrebbero scoperto. Sessantasei chilometri dal
centro di Tokyo: circa due ore di treno. Avrebbero deciso di permettere a Jim
di andare con loro, per trattare con Lene. Lui avrebbe scoperto, poi, che
Aizawa, Mogi e Ide lavoravano a quel caso fin dalle prime morti per attacco
cardiaco, che avevano anche loro sospettato che qualcosa non andasse nella casa
del vecchio Kira e che alla scomparsa di un certo Matsuda ne avevano avuto
conferma. Che erano arrivati col primo volo da Los Angeles, dopo esser stati
spinti lì da una pista sbagliata.
“La donna preferisce essere l’ultima avventura di un uomo”
Sembra una minaccia di morte.
***
Mezzanotte. Il buio.
Il buio è uno stomaco vuoto. È uno stomaco famelico.
È bisogno scuro.
Anzi. Cazzate.
Il bisogno non è la notte, o il buio, o il silenzio. È
dentro di me, bisogno di qualcosa.
Cosa darei. Per vivere.
Sayu è immobile al mio fianco: le prenderemo il quaderno.
Sicuro.
Mancavano ormai pochi Shinigami, secondo i miei calcoli.
Io sarei rimasto in vita, avrei affidato il quaderno a qualcuno senza imporgli
di usarlo. Avrei vissuto sulla terra per la durata di vita di quell’uomo, avrei
imitato la mia antica esistenza. E Sayu.
Sayu sarebbe sopravvissuta, perdonata, scagionata. Ecco.
Il campo da calcio era recintato, lei aveva scavalcato il
muretto e poi la ringhiera bianca arrugginita a tratti, era saltata oltre,
tremando appena sulle gambe per lo sforzo.
L’erba era piena di foglie secche e morbida sotto i miei
passi. Uno davanti all’altro, ignorando il gelo nella gola. Ignorando il
bisogno fiacco sotto le ossa.
Un’auto si avvicina dietro la recinzione, la luce sembra
a scacchi sull’erba del campetto.
La macchina si ferma, uno sportello si chiude, dei passi.
Lene è ferma dietro le sbarre.
“Non girarti” dissi a Sayu. “Vado avanti io”
Lei non si mosse, come le avevo detto.
Lene mi guardava accigliata, mentre mi avvicinavo. Mi
fermai.
Non sapeva che potevo attraversare le pareti, mi sarei
mosso all’improvviso e mi sarei ripreso il quaderno. Sarebbe bastato un attimo.
Lei indietreggiò di un passo.
“Non ti muovere!”
Prese il quaderno dalla borsa a tracolla, c’era una penna
tra le pagine, mi guardò.
“L’altro Shinigami” disse.
“L’altro Shinigami mi ha detto che se uccido lei muori
anche tu, quindi non fare mosse strane” mi minacciò.
Sentii una scossa gelida nel petto.
“Cosa?”
Lene mi fissò.
“Quale Shinigami? Di che parli? Sono io il proprietario
di quel quaderno! Quello che hai fatto rubare da casa nostra!” ribattei
arrabbiato.
Perché è così non è vero? È sicuro, no?
Lene si arrampicò sul
muretto e scavalcò come aveva fatto Sayu.
“Stronzate! Io non ho rubato niente, questo quaderno era
di…” poi si bloccò come se avesse appena capito qualcosa.
“Light!” mi chiamò Sayu.
“STA’ ZITTA E COPRITI IL VISO!” esplosi. Le braccia mi
tremavano per il nervosismo, le scosse arrivavano fino alle dita, facevano
male, sudavo. Questo non era previsto. Chi altro c’era in quella storia?
Maledizione! Maledizione!
“Sei tu che hai ucciso Nate River, mio figlio” sibilò lei
tremando di rabbia.
Near! No! Non era previsto! No no no no no no! Maledizionemaledizionemaledizione!
“Perciò non mi perdonerai se ti rendo il favore”
Scattai prima che posasse la penna, l’afferrai per un
polso senza accorgermi di quanto forte stessi stringendo e la scaraventai a
terra, lei scivolò sull’erba fino a sbattere contro il muretto.
Cercò di puntare il piede per rialzarsi, ma scivolò con
un suono simile a un fischio, prima di potersi sollevare sulle ginocchia.
Aveva ancora in mano il quaderno, non aspettai che si
muovesse, mi scagliai contro di lei, per strapparle il Death Note dalle mani;
nel buio, mentre le afferravo i polsi, vedevo solo sfarfallare schegge di
immagini. Braccia, gomiti che si opponevano jeans bianchi sporchi di erba e di
terra. Una mano sul mio viso, unghie. Dolore.
“AAAAH!”
Premetti la mano sulla guancia. Sentivo tre strisce
bruciare e gonfiarsi; arretrai basito, guardai il sangue sulle mie mani.
Fino a questo punto.
Fino a questo punto mi hanno ingannato. Che Shinigami ero
se sanguinavo e rimanevo ferito come un uomo?
Sentivo il dolore gonfiarmi come di un umore caldo la
carne attorno ai graffi e sotto l’occhio.
“LIGHT”
Imprevisto! Maledetta! Ti uccido! Ti ammazzo, sei morta,
non ti opporre, maledizione, togli quelle braccia prima che te le strappi!
Cercavo alla cieca di spostare la sua difesa di braccia e
calci, storcendomi le dita, piegandole il polso, poi lei lanciò il quaderno per
impedirmi di afferrarlo.
Mi voltai.
Dove cazzo era finito?
Mi sentii afferrare per i capelli e spingere contro il
muro, inginocchiato com’ero mi sbilanciai subito e sbattei la testa sul blocco
intonacato.
“LIGHT! LIGHT! NO!”
Aprii gli occhi intontito.
Era solo una donna cazzo.
L’erba era immobile e piatta davanti a me, poi arrivò il
colpo. Forte, insopportabile, sulla schiena. Sentii le costole appiattirsi sul
terreno, i polmoni svuotarsi, i denti affondarono nella terra e serrai la
mascella per il dolore.
Non ebbi il tempo neanche per tossire e sputare, quando
arrivò il secondo colpo.
“AAAAH”
Che cazzo era? Un tubo? Un piede di porco? Quella
maledetta doveva averlo portato con se.
Aspettai che continuasse quasi tremando, quando invece la
sentii gridare, mi girai: Sayu l’aveva attaccata alle spalle, ma era stata
subito spinta a terra da Lene.
Io cercavo di respirare, ma era come ingoiare lava.
Lene lasciò cadere con un tonfo sordo la cosa che aveva
avuto in mano fino a quel momento. Fece qualche passo fino al quaderno. Guardò
Sayu e impugnò la penna.
Poi esitò fissandola con odio.
Non ne aveva il coraggio. Naturalmente. Tale e quale a
quello stupido del figlio.
Cercai di rialzarmi, poggiandomi sulle mani, poi mi
bloccai. Un rumore. Come un rombo, le luci. Anzi una luce, forte, bianca contro
gli occhi. Niente più rombo.
Silenzio.
BANG
BANG
BANG
Sbattei le palpebre per vedere.
Qualcuno con un casco aveva sparato al catenaccio blu del
cancello, stava entrando.
“SAYU COPRITI IL VISO!” gridai.
“Kuraji” sibilò Lene.
Questo ragazzo. Chi era?
Lui si tolse il casco e lo lasciò rotolare a terra.
Dalla mia posizione vedevo solo i riflessi della luce
sull’erba, le scarpe e i pantaloni del tizio appena arrivato.
“Sta’ zitta, puttana” disse lui, calmo.
Le puntò la pistola contro e prima che potesse muoversi
sparò.
Lene gridò e cadde in ginocchio tenendosi forte la spalla
con le mani, mentre le dita non trattenevano le gonfie scie di sangue.
“Peccato, ho sbagliato mira” disse lui con tono ancora
apatico.
Non mi stava guardando, forse potevo…
Resi il mio corpo immateriale e rotolai a sinistra
uscendo dal recinto. Gattonai fino al cancello. Il ragazzo mi dava le spalle,
mi alzai in piedi.
Mia sorella era inginocchiata di spalle davanti a quel
Kuraji, con le mani premute sul viso.
“E così tu sei Sayu Yagami” disse, puntò la pistola senza
aggiungere altro, io lo spinsi, facendolo cadere, l’arma gli sfuggì dalle mani,
Sayu si alzò in piedi e cercò di scappare dal campetto.
“CHE FAI!” gridai.
Quando passò davanti a noi Kuraji le afferrò la caviglia
facendola cadere, si alzò in ginocchio, l’avvicino e la guardò in faccia.
“CAZZO!” imprecai, afferrai Kuraji per gli abiti, lo
girai a pancia in su.
Il quaderno! Era nella tasca della felpa, glielo sfilai,
lui cercò di impedirmelo e riuscì a strappare un pezzo di carta. Troppo piccolo,
ghignai. Sayu stava strisciando verso l’arnese di ferro con cui Lene mi aveva
colpito.
Strinsi i pugni e colpii Kuraji sul viso, lui piegò la
testa all’indietro, ma riuscì a divincolarsi.
Lene era appoggiata al palo della porta, stringendosi la
spalla e boccheggiando.
Kuraji corse in avanti, ma Sayu lo colpì col tubo sulla
nuca. Lui cadde supino.
Avevo il quaderno. Dovevamo scappare.
“SAYU” la chiamai.
Uscii di corsa dal cancello, lei correva ma era indietro
rispetto a me.
Sentii un rumore. Sirene. Polizia, luci, troppe! Girai dalla
parte opposta, tra recinzione e palazzo c’era troppo poco spazio per essere
seguiti facilmente dalla polizia. Un uomo: quel Jim stava correndo verso Lene,
che era uscita zoppicando dal campetto. Kuraji era ancora dentro. Aveva preso
la pistola. Sparò alla cieca oltre le sbarre della recinzione.
Un colpo, due, tre, quattro.
“JIM!” un urlo, aprii gli occhi e mentre correvo vidi
Lene sorreggere il corpo dell’uomo.
“JIM! NO!”
Le luci nei palazzi si accendevano, un cane abbaiava
sporgendo il muso dal cancello, io pensavo solo a correre. Sayu dietro di me.
I poliziotti gridavano contro Kuraji, altri spari, ma lui
era riuscito a infilarsi nella strada stretta.
Alle mie spalle c’erano mia sorella, ancora dietro Kuraji
e prima di lui tre poliziotti che lo inseguivano, lui provò a sparare, ma i
proiettili erano finiti, si fermò, prese la penna dalla tasca e un foglio
intero piegato in due.
Io mi fermai.
NO! Aveva con se se una pagina del quaderno! L’avrebbe
uccisa e io…
Però se avessi scritto il nome di Kuraji salvando Sayu…
sarebbe stata comunque la fine.
Mia sorella era ancora distante da me e correva come una
disperata nella mia direzione. I poliziotti erano caduti a terra morti. Kuraji
aveva la penna in mano.
Alzai gli occhi.
Il sole stava sorgendo.
Ryuk in volo e distante mi osservava.
Sarei morto comunque, era finita. Era valsa la pena
vivere per una speranza inutile?
Scrissi il nome di Kuraji Maro sul quaderno. Il sole ora
mi bruciava gli occhi, fino a passare dal rosso al bianco, fino a sovrastarmi e
a costringermi a piegare la testa. A gemere quasi. Potevo vedere i pensieri di
Kuraji mentre moriva. Capelli biondi. Odore di fumo. “È una lezione da imparare”
Nei miei occhi: solo la luce.
***
***
***
Erano passati tre anni.
Lene aveva venduto la casa in Giappone ed era andata a
vivere in America. Voleva vederla da anni, dopotutto. Aveva divorziato da suo
marito Adam River due anni prima, ricordava ancora la sua ultima telefonata.
“Porti solo disgrazie”
“Vaffanculo”
“Fai morire la gente”
“Sto aspettando il tuo turno”
“Lo amavi, vero puttana che lo amavi?”
A Lene venne da ridere per il tono di Adam.
“Già” disse divertita.
“Vedrai come ti rovino” e aveva riattaccato.
Adam non aveva rovinato nessuno, alla fine, se non se
stesso. Di lui non aveva saputo più niente da quando gli avevano fatto causa
per qualcosa. Chissà. Non ricordava.
Aveva una casa in campagna Lene, con i fiori sul balcone.
Non era da lei. Le piaceva.
In fondo le cose che odiava erano quelle a cui si
affezionava di più.
Già.
***
Le tazze da tè sono ancora sul tavolino, con i cucchiaini
e lo zucchero appiccicato sul tavolo insieme a qualche goccia.
Dovrei ripulire. Secondo Tota sono una ragazza
disordinata, me lo dice ridendo. È molto buono con me. Lo sarò anche io con
lui.
Ho cominciato a fumare un anno fa. Fuori al balcone, per
non disturbare il caro Matsuda.
Come ora.
L’aria è ferrosa, il cielo è polvere bagnata.
Light non credo che tu volessi davvero sacrificare la tua
vita per salvare la mia. Credo che desiderassi davvero tornare a vivere.
In questo momento sono soltanto svuotata. Senza scopo, né
voglia di uno scopo. La vita di noi uomini non è avventurosa, vero Light?
Una settimana dopo tutto quello che è accaduto ho
ascoltato la radio. C’era una ragazza che ha parlato della morte di un suo
amico. Molto poco professionale a dire il vero. C’era una canzone come
sottofondo, una canzone tratta da un telefilm. Quella mi è piaciuta.
L’ho cercata su internet scrivendo il testo e ho trovato
il titolo: Gaeta’s lament
Ecco che piove. Non ti piaceva la pioggia in vita, vero,
Light?
Alone she
sleeps in the shirt of man
With my three wishes clutched in her hand
Fumo di sigaretta e pioggia. Dovrei
ripulire quelle tazze.
The first
that she be spared the pain
That comes from a dark and laughing rain
Ora è tardi. Non posso
fantasticare, vedi, alla fine sono solo un’umana.
When she
finds love may it always true
This I beg for the second wish I made too
But wish no more
E non ho desideri. Solo bisogni.
My life
you can take
To have her please just one day wake
Solo il mio egoismo, perché in
fondo mi sono sentita sollevata per essere sopravvissuta al tuo posto.
To have
her please
To have her please just one day awake
To have her please just one day
“Non si può interrompere il sesso
prima dell’orgasmo” aveva pianto la voce alla radio.
“È una lezione da imparare”
awake
Voi
uomini che vivete nella perenne incertezza, nel perenne bisogno non sarete mai
simili a noi neanche se acquistaste i nostri poteri. Neanche se riusciste a
ucciderci.
Tu non eri un Dio. Eri solo un uomo sconclusionato
e in sospeso, che per la seconda volta ha visto la sua fine, che si è fermato un attimo prima di arrivare
al culmine.
Gli umani
che hai lasciato andranno avanti nella loro miseria.
Né tu potrai mai più toccare il loro mondo. Il loro
è il mondo dell’egoismo, della fame della propria carne. Tu stesso hai
desiderato la tua e di questo ti sei consumato. Ma questa è davvero la fine
perché…