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Autore: Bael    04/07/2009    4 recensioni
Non è finita, almeno non ancora, perché a tendere i fili delle marionette non è che la noia. La noia e il fuoco.
Genere: Sovrannaturale, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mu L'ultimo capitolo è stato diviso in due, perciò se avete aperto direttamente questo, vi avviso che dovreste leggere prima il precedente. Buona lettura.

MU – Il nulla

 

“Stranamente immaginavo di vederti in un momento come questo…” sospirai allontanando le dita dalle tende.

“Ryuzaki”

Mi sentivo preso in giro da quello Shinigami. Ma non importava. In un certo senso speravo di parlare una seconda volta con Elle.

“Non mi sono lasciato corrompere” ripetei spiandolo con la coda dell’occhio. Lui era in piedi e giocherellava con la lampada della scrivania spingendone il gambo snodabile con l’indice, mentre questo si piegava nuovamente.

Scricchiolava.

“Mi stai ascoltando?” chiesi irritato.

“Io ascolto sempre Yagami” rispose lui, pacato.

“Pensala come vuoi ad ogni modo” concluse, annoiato.

Rimase in silenzio per un po’.

“Mi incuriosisce il fatto di essere tornato proprio in questo momento. Che succede esattamente Light?” chiese.

“Succede…” mormorai alzando la testa e fissando il soffitto.

“… succede che è la resa dei conti, devo cercare di sopravvivere. Ecco tutto”

Lui girò la testa.

“Oh…” fece lui.

“Capisco. Questo significa che presto sarai come me” disse asciutto.

Io sobbalzai appena.

“Ma che stai dicendo?”

“Mi sembra chiaro…” si spiegò lui.

“Se no io non sarei qui non ti sembra?”

Lo guardai in silenzio per qualche secondo.

“Queste sono sciocchezze. Semplicemente tu sei una specie di tortura psicologica. Non sei neanche reale” considerai.

“Se è quello che credi non ti impedirò di pensarlo”

Guardai le nuvole addensarsi fuori e soffocare il sole.

Stava finendo.

Che fosse la mia vita o altro non avrei saputo dirlo. Ma qualcosa stava giungendo al termine.

 

***

 

Il treno si era fermato prima, per un problema sulle rotaie e alla fine era stato costretto ad alloggiare in una città vicina a Narita.

Non importava.

Stava per prendere la metro. Li avrebbe trovati.

Qualsiasi cosa lo aspettasse a breve sarebbe stata la morte. La sua forse.

Si sorprese a ridacchiare. Importava forse? Era stato divertente. Vero?

Kuraji salì. Fortunatamente c’era posto. Scomodo ma c’era.

Accanto a lui sedeva una vecchietta bianca e opaca con una sciarpa verde e l’espressione stanca.

Davanti a lui, invece, c’era una ragazza. Non giapponese, credeva, bionda. Con i capelli lunghi, un maglione con qualche bruciatura di sigaretta e la fronte un po’ alta.

Lo stava fissando in effetti.

“Maro?” disse con una vocina sottile.

Kuraji sobbalzò.

“Mi conosci?”

Lei prima esitò, poi sorrise.

“Sono in classe con te” disse e con la mano gli fece cenno di sedersi accanto a lei.

Lui si alzò un po’ a disagio e si sedette.

Puzzava di fumo di sigaretta. I suoi capelli, ecco. L’odore era forte.

“Sono Kaede, non ti ricordi Maro? Mio padre è giapponese, mia madre turca” disse  sorridendo.

Prese dalla tasca un pacco tutto schiacciato di sigarette, ne estrasse una e se l’accese.

“Ti da fastidio?” chiese.

Kuraji fece segno di no con la testa.

“Mi spiace che non ti ricordi di me” sorrise lei, stringendo gli occhi tondi. Occhi da occidentale.

“Cosa fai qui Kaede?” chiese lui per cambiare discorso.

“Devo vedere una persona. Sai lavoro alla radio. Viaggio abbastanza” rispose lei.

“Ci si annoia” aggiunse.

Lei lo guardò con attenzione.

“E ora perché sghignazzi?” rise lei.

Kuraji non se n’era neanche accorto. Prese la sigaretta dalle dita di Kaede e se la portò alla bocca.

“Non concepisco l’idea della noia” spiegò.

Lei riprese la sigaretta.

“È una buona vita. Sai. Equilibrata, penso a me”

Lui gliela sfilò ancora dalle dita dopo che lei soffiò piano una piccola scia di fumo.

“Non mi piace l’equilibrio” rispose lui, sempre più divertito.

“Allora sei destinato a vivere poco”

“Non fa niente”

“E perché la pensi così?”

Inspirò dalla sigaretta.

“Non si può interrompere il sesso prima dell’orgasmo”

Kaede rimase per un secondo interdetta con un sorriso sorpreso e divertito.

“È una lezione da imparare”

Lo stava prendendo in giro? Non importava. Era quello che pensava: la vita non si vive a metà, né nell’equilibrio. Bisognerebbe viverla ad estremi.

La sigaretta era ancora nelle mani di Kaede.

“Questa è la mia fermata” disse Kuraji.  

 

***

 

Erano le Dieci meno venti quando Jim buttò a terra il cellulare da cui Adam River stava gridando come un forsennato. Quando salì in macchina e guidò come un pazzo fino a casa di Sayu Yagami.

La porta era sfondata, c’era una striscia rossa e bianca che circondava la casa, ma nessuno sembrava essere di guardia, così Jim passò oltre.

Lene era entrata lì, la casa era vuota. Cucina, salone, bagni, camere da letto. Ecco però in una di quelle c’erano due cavi a terra, vicini al lembo della coperta. Forse significava qualcosa.

Jim fece per girarsi.

“E tu che ci fai qui?”

Jim quasi cadde in avanti per lo spavento, si girò di scatto e vide tre uomini che lo fissavano severi.

Non rispose.

“Questa è zona di indagini signore, non può entrare”

Zona di indagini.

Non era sicuro, ma doveva parlare. Era l’unico modo.

“Su Kira? Anche voi avete scoperto che era qui!” tentò.

I tre uomini parvero stupiti.

“Cosa sai?” chiese quello con la barba.

“Ho indagato con un’amica. Suo figlio aveva combattuto Kira. È morto dopo la sua sconfitta. Lei ha voluto indagare. Ha scoperto… abbiamo scoperto”

“Ok calma” lo interruppe l’uomo. Gli altri erano rimasti con un’espressione sorpresa.

“Ora ci racconti tutto. Puoi fidarti facciamo parte dei poliziotti che catturarono il vecchio Kira”

“Aizawa, ma non…”

“No, sentite” s’intromise Jim.

C’era l’urgenza, l’urgenza di salvarla.

“Niente spiegazioni: il nuovo Kira è Sayu Yagami, sono partiti, non so per dove, ma la mia amica li ha seguiti, è in pericolo, bisogna aiutarla!”

Jim li superò e scese le scale.

“E dove? Dove sono andati?”

Non lo sapeva, ma avrebbero chiesto. Avrebbero chiesto in biglietteria chi e per dove era partito la notte prima.

Narita, avrebbero scoperto. Sessantasei chilometri dal centro di Tokyo: circa due ore di treno. Avrebbero deciso di permettere a Jim di andare con loro, per trattare con Lene. Lui avrebbe scoperto, poi, che Aizawa, Mogi e Ide lavoravano a quel caso fin dalle prime morti per attacco cardiaco, che avevano anche loro sospettato che qualcosa non andasse nella casa del vecchio Kira e che alla scomparsa di un certo Matsuda ne avevano avuto conferma. Che erano arrivati col primo volo da Los Angeles, dopo esser stati spinti lì da una pista sbagliata.

“La donna preferisce essere l’ultima avventura di un uomo”

Sembra una minaccia di morte.

 

***

 

Mezzanotte. Il buio.

Il buio è uno stomaco vuoto. È uno stomaco famelico.

È bisogno scuro.

Anzi. Cazzate.

Il bisogno non è la notte, o il buio, o il silenzio. È dentro di me, bisogno di qualcosa.

Cosa darei. Per vivere.

Sayu è immobile al mio fianco: le prenderemo il quaderno. Sicuro.

Mancavano ormai pochi Shinigami, secondo i miei calcoli. Io sarei rimasto in vita, avrei affidato il quaderno a qualcuno senza imporgli di usarlo. Avrei vissuto sulla terra per la durata di vita di quell’uomo, avrei imitato la mia antica esistenza. E Sayu.

Sayu sarebbe sopravvissuta, perdonata, scagionata. Ecco.

Il campo da calcio era recintato, lei aveva scavalcato il muretto e poi la ringhiera bianca arrugginita a tratti, era saltata oltre, tremando appena sulle gambe per lo sforzo.

L’erba era piena di foglie secche e morbida sotto i miei passi. Uno davanti all’altro, ignorando il gelo nella gola. Ignorando il bisogno fiacco sotto le ossa.

Un’auto si avvicina dietro la recinzione, la luce sembra a scacchi sull’erba del campetto.

La macchina si ferma, uno sportello si chiude, dei passi. Lene è ferma dietro le sbarre.

“Non girarti” dissi a Sayu. “Vado avanti io”

Lei non si mosse, come le avevo detto.

Lene mi guardava accigliata, mentre mi avvicinavo. Mi fermai.

Non sapeva che potevo attraversare le pareti, mi sarei mosso all’improvviso e mi sarei ripreso il quaderno. Sarebbe bastato un attimo.

Lei indietreggiò di un passo.

“Non ti muovere!”

Prese il quaderno dalla borsa a tracolla, c’era una penna tra le pagine, mi guardò.

“L’altro Shinigami” disse.

“L’altro Shinigami mi ha detto che se uccido lei muori anche tu, quindi non fare mosse strane” mi minacciò.

Sentii una scossa gelida nel petto.

“Cosa?”

Lene mi fissò.

“Quale Shinigami? Di che parli? Sono io il proprietario di quel quaderno! Quello che hai fatto rubare da casa nostra!” ribattei arrabbiato.

Perché è così non è vero? È sicuro, no?

Lene si arrampicò sul  muretto e scavalcò come aveva fatto Sayu.

“Stronzate! Io non ho rubato niente, questo quaderno era di…” poi si bloccò come se avesse appena capito qualcosa.

“Light!” mi chiamò Sayu.

“STA’ ZITTA E COPRITI IL VISO!” esplosi. Le braccia mi tremavano per il nervosismo, le scosse arrivavano fino alle dita, facevano male, sudavo. Questo non era previsto. Chi altro c’era in quella storia?

Maledizione! Maledizione!

“Sei tu che hai ucciso Nate River, mio figlio” sibilò lei tremando di rabbia.

Near! No! Non era previsto! No no no no no no! Maledizionemaledizionemaledizione!

“Perciò non mi perdonerai se ti rendo il favore”

Scattai prima che posasse la penna, l’afferrai per un polso senza accorgermi di quanto forte stessi stringendo e la scaraventai a terra, lei scivolò sull’erba fino a sbattere contro il muretto.

Cercò di puntare il piede per rialzarsi, ma scivolò con un suono simile a un fischio, prima di potersi sollevare sulle ginocchia.

Aveva ancora in mano il quaderno, non aspettai che si muovesse, mi scagliai contro di lei, per strapparle il Death Note dalle mani; nel buio, mentre le afferravo i polsi, vedevo solo sfarfallare schegge di immagini. Braccia, gomiti che si opponevano jeans bianchi sporchi di erba e di terra. Una mano sul mio viso, unghie. Dolore.

“AAAAH!”

Premetti la mano sulla guancia. Sentivo tre strisce bruciare e gonfiarsi; arretrai basito, guardai il sangue sulle mie mani.

Fino a questo punto.

Fino a questo punto mi hanno ingannato. Che Shinigami ero se sanguinavo e rimanevo ferito come un uomo?

Sentivo il dolore gonfiarmi come di un umore caldo la carne attorno ai graffi e sotto l’occhio.

“LIGHT”

Imprevisto! Maledetta! Ti uccido! Ti ammazzo, sei morta, non ti opporre, maledizione, togli quelle braccia prima che te le strappi!

Cercavo alla cieca di spostare la sua difesa di braccia e calci, storcendomi le dita, piegandole il polso, poi lei lanciò il quaderno per impedirmi di afferrarlo.

Mi voltai.

Dove cazzo era finito?

Mi sentii afferrare per i capelli e spingere contro il muro, inginocchiato com’ero mi sbilanciai subito e sbattei la testa sul blocco intonacato.

“LIGHT! LIGHT! NO!”

Aprii gli occhi intontito.

Era solo una donna cazzo.

L’erba era immobile e piatta davanti a me, poi arrivò il colpo. Forte, insopportabile, sulla schiena. Sentii le costole appiattirsi sul terreno, i polmoni svuotarsi, i denti affondarono nella terra e serrai la mascella per il dolore.

Non ebbi il tempo neanche per tossire e sputare, quando arrivò il secondo colpo.

“AAAAH”

Che cazzo era? Un tubo? Un piede di porco? Quella maledetta doveva averlo portato con se.

Aspettai che continuasse quasi tremando, quando invece la sentii gridare, mi girai: Sayu l’aveva attaccata alle spalle, ma era stata subito spinta a terra da Lene.

Io cercavo di respirare, ma era come ingoiare lava.

Lene lasciò cadere con un tonfo sordo la cosa che aveva avuto in mano fino a quel momento. Fece qualche passo fino al quaderno. Guardò Sayu e impugnò la penna.

Poi esitò fissandola con odio.

Non ne aveva il coraggio. Naturalmente. Tale e quale a quello stupido del figlio.

Cercai di rialzarmi, poggiandomi sulle mani, poi mi bloccai. Un rumore. Come un rombo, le luci. Anzi una luce, forte, bianca contro gli occhi. Niente più rombo.

Silenzio.

BANG

BANG

BANG

Sbattei le palpebre per vedere.

Qualcuno con un casco aveva sparato al catenaccio blu del cancello, stava entrando.

“SAYU COPRITI IL VISO!” gridai.

“Kuraji” sibilò Lene.

Questo ragazzo. Chi era?

Lui si tolse il casco e lo lasciò rotolare a terra.

Dalla mia posizione vedevo solo i riflessi della luce sull’erba, le scarpe e i pantaloni del tizio appena arrivato.

“Sta’ zitta, puttana” disse lui, calmo.

Le puntò la pistola contro e prima che potesse muoversi sparò.

Lene gridò e cadde in ginocchio tenendosi forte la spalla con le mani, mentre le dita non trattenevano le gonfie scie di sangue.

“Peccato, ho sbagliato mira” disse lui con tono ancora apatico.

Non mi stava guardando, forse potevo…

Resi il mio corpo immateriale e rotolai a sinistra uscendo dal recinto. Gattonai fino al cancello. Il ragazzo mi dava le spalle, mi alzai in piedi.

Mia sorella era inginocchiata di spalle davanti a quel Kuraji, con le mani premute sul viso.

“E così tu sei Sayu Yagami” disse, puntò la pistola senza aggiungere altro, io lo spinsi, facendolo cadere, l’arma gli sfuggì dalle mani, Sayu si alzò in piedi e cercò di scappare dal campetto.

“CHE FAI!” gridai.

Quando passò davanti a noi Kuraji le afferrò la caviglia facendola cadere, si alzò in ginocchio, l’avvicino e la guardò in faccia.

“CAZZO!” imprecai, afferrai Kuraji per gli abiti, lo girai a pancia in su.

Il quaderno! Era nella tasca della felpa, glielo sfilai, lui cercò di impedirmelo e riuscì a strappare un pezzo di carta. Troppo piccolo, ghignai. Sayu stava strisciando verso l’arnese di ferro con cui Lene mi aveva colpito.

Strinsi i pugni e colpii Kuraji sul viso, lui piegò la testa all’indietro, ma riuscì a divincolarsi.

Lene era appoggiata al palo della porta, stringendosi la spalla e boccheggiando.

Kuraji corse in avanti, ma Sayu lo colpì col tubo sulla nuca. Lui cadde supino.

Avevo il quaderno. Dovevamo scappare.

“SAYU” la chiamai.

Uscii di corsa dal cancello, lei correva ma era indietro rispetto a me.

Sentii un rumore. Sirene. Polizia, luci, troppe! Girai dalla parte opposta, tra recinzione e palazzo c’era troppo poco spazio per essere seguiti facilmente dalla polizia. Un uomo: quel Jim stava correndo verso Lene, che era uscita zoppicando dal campetto. Kuraji era ancora dentro. Aveva preso la pistola. Sparò alla cieca oltre le sbarre della recinzione.

Un colpo, due, tre, quattro.

“JIM!” un urlo, aprii gli occhi e mentre correvo vidi Lene sorreggere il corpo dell’uomo.

“JIM! NO!”

Le luci nei palazzi si accendevano, un cane abbaiava sporgendo il muso dal cancello, io pensavo solo a correre. Sayu dietro di me.

I poliziotti gridavano contro Kuraji, altri spari, ma lui era riuscito a infilarsi nella strada stretta.

Alle mie spalle c’erano mia sorella, ancora dietro Kuraji e prima di lui tre poliziotti che lo inseguivano, lui provò a sparare, ma i proiettili erano finiti, si fermò, prese la penna dalla tasca e un foglio intero piegato in due.

Io mi fermai.

NO! Aveva con se se una pagina del quaderno! L’avrebbe uccisa e io…

Però se avessi scritto il nome di Kuraji salvando Sayu… sarebbe stata comunque la fine.

Mia sorella era ancora distante da me e correva come una disperata nella mia direzione. I poliziotti erano caduti a terra morti. Kuraji aveva la penna in mano.

Alzai gli occhi.

Il sole stava sorgendo.

Ryuk in volo e distante mi osservava.

Sarei morto comunque, era finita. Era valsa la pena vivere per una speranza inutile?

Scrissi il nome di Kuraji Maro sul quaderno. Il sole ora mi bruciava gli occhi, fino a passare dal rosso al bianco, fino a sovrastarmi e a costringermi a piegare la testa. A gemere quasi. Potevo vedere i pensieri di Kuraji mentre moriva. Capelli biondi. Odore di fumo. “È una lezione da imparare”

Nei miei occhi: solo la luce.

 

***

***

***

Erano passati tre anni.

Lene aveva venduto la casa in Giappone ed era andata a vivere in America. Voleva vederla da anni, dopotutto. Aveva divorziato da suo marito Adam River due anni prima, ricordava ancora la sua ultima telefonata.

“Porti solo disgrazie”

“Vaffanculo”

“Fai morire la gente”

“Sto aspettando il tuo turno”

“Lo amavi, vero puttana che lo amavi?”

A Lene venne da ridere per il tono di Adam.

“Già” disse divertita.

“Vedrai come ti rovino” e aveva riattaccato.

Adam non aveva rovinato nessuno, alla fine, se non se stesso. Di lui non aveva saputo più niente da quando gli avevano fatto causa per qualcosa. Chissà. Non ricordava.

Aveva una casa in campagna Lene, con i fiori sul balcone. Non era da lei. Le piaceva.

In fondo le cose che odiava erano quelle a cui si affezionava di più.

Già.

 

***

 

Le tazze da tè sono ancora sul tavolino, con i cucchiaini e lo zucchero appiccicato sul tavolo insieme a qualche goccia.

Dovrei ripulire. Secondo Tota sono una ragazza disordinata, me lo dice ridendo. È molto buono con me. Lo sarò anche io con lui.

Ho cominciato a fumare un anno fa. Fuori al balcone, per non disturbare il caro Matsuda.

Come ora.

L’aria è ferrosa, il cielo è polvere bagnata.

Light non credo che tu volessi davvero sacrificare la tua vita per salvare la mia. Credo che desiderassi davvero tornare a vivere.

In questo momento sono soltanto svuotata. Senza scopo, né voglia di uno scopo. La vita di noi uomini non è avventurosa, vero Light?

Una settimana dopo tutto quello che è accaduto ho ascoltato la radio. C’era una ragazza che ha parlato della morte di un suo amico. Molto poco professionale a dire il vero. C’era una canzone come sottofondo, una canzone tratta da un telefilm. Quella mi è piaciuta.

L’ho cercata su internet scrivendo il testo e ho trovato il titolo: Gaeta’s lament

Ecco che piove. Non ti piaceva la pioggia in vita, vero, Light?

 

Alone she sleeps in the shirt of man
With my three wishes clutched in her hand

 

Fumo di sigaretta e pioggia. Dovrei ripulire quelle tazze.

The first that she be spared the pain
That comes from a dark and laughing rain

 

Ora è tardi. Non posso fantasticare, vedi, alla fine sono solo un’umana.

When she finds love may it always true
This I beg for the second wish I made too
But wish no more

 

E non ho desideri. Solo bisogni.

My life you can take
To have her please just one day wake

 

Solo il mio egoismo, perché in fondo mi sono sentita sollevata per essere sopravvissuta al tuo posto.

To have her please
To have her please just one day awake
To have her please just one day

 

“Non si può interrompere il sesso prima dell’orgasmo” aveva pianto la voce alla radio.

“È una lezione da imparare”

 

awake

 

 

 

 

Voi uomini che vivete nella perenne incertezza, nel perenne bisogno non sarete mai simili a noi neanche se acquistaste i nostri poteri. Neanche se riusciste a ucciderci.                         

 

Tu non eri un Dio. Eri solo un uomo sconclusionato e in sospeso, che per la seconda volta ha visto la sua fine, che si è fermato un attimo prima di arrivare al culmine.

 Gli umani che hai lasciato andranno avanti nella loro miseria.

 

Né tu potrai mai più toccare il loro mondo. Il loro è il mondo dell’egoismo, della fame della propria carne. Tu stesso hai desiderato la tua e di questo ti sei consumato. Ma questa è davvero la fine perché…

 

 

  
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