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Autore: titania76    21/05/2018    1 recensioni
Questa flashfiction partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart
La giovane Marika viaggia da sola alla ricerca di se stessa, in un percorso che la porterà nel luogo dove finalmente potrà trovare una casa e nel quale costruirsi una vita.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#26promptschallenge
3/26 VAGABONDAGGIO

sostantivo maschile
1) Il frequente spostarsi da un luogo a un altro senza itinerari o programmi prestabiliti: nei suoi v. all'estero ha incontrato una infinità di persone; fig., irrequietezza intellettuale o evasione fantastica.
2) Essere umano o altra forma di vita senza fissa dimora

Titolo opera: Una tappa ancora
Fandom:
originale
Ship:
nessuna
Parole:
937
Tags:
#vagabondaggio #vita #viaggio #treno #avventura
Warning:
nessuno

*****


Glielo avevano consigliato nell'ultimo rifugio dov'era stata, perché quel breve tratto era il più sicuro. Ne avevano parlato come un grande segreto; non si aspettava invece che sarebbe stato tanto frequentato. Certo, non che le dispiacesse un po' di compagnia in quelle lunghe ore di viaggio che l'aspettavano; c'erano state volte in cui era persino riuscita a fare amicizia con quelli più anziani, perché in loro aveva trovato delle figure che più si avvicinavano a quei nonni che non aveva fatto in tempo a conoscere e ad apprezzare, ma le facce che vedeva attorno a sé non le ispiravano fiducia. Eppure, avrebbe dovuto essere abituata alla disperazione e alla rassegnazione incisa su quelle facce sporche.
Lei però era diversa.
Forse poteva sembrare come loro, confondersi fra loro, con i suoi vestiti sgualciti e l'odore forte di chi non si lava da diversi giorni, ma i suoi occhi e il suo respiro erano quelli di chi stava vivendo solo un periodo di transizione e si preparava a prendere tutto ciò che la vita le poteva offrire.
Il sole era quasi al tramonto e presto sarebbe passato il treno. In lontananza già si sentiva il suo fischio stanco. Stanco come i viaggiatori che di lì a poco avrebbero approfittato del passaggio. Sperava che questa volta fosse quella giusta. Le avevano detto che di lì ne transitavano solo cinque ogni tre giorni e quello che si stava avvicinando era già il quarto. Se lo avesse mancato, avrebbe dovuto aspettare fino a mezzanotte. Si strinse nelle spalle: non aveva alcuna intenzione di passare la notte in mezzo alle sterpaglie a farsi mangiare viva dalle zanzare, né ripercorrere a piedi – con le suole delle scarpe consumate – i cinque chilometri di strada che c'erano per tornare in paese.
Là non c'era nulla che faceva per lei. Nei due giorni che vi si era fermata non aveva trovato lo straccio di un lavetto per pagarsi un panino caldo. A mala pena aveva potuto prendere una gassosa in bottiglietta da una macchinetta automatica e, una volta gustata, l'aveva riempita con l'acqua della fontanella del parco comunale. Quella almeno era gratuita e sempre fresca.
E poi, c'era da sperare che fosse uno di quei vecchi treni con i vagoni che si aprivano sul fianco, come si vedevano nei film; ma diventavano sempre più una rarità perché quasi tutti ormai erano composti solo da container sigillati e cisterne per il gas.
Viaggiare a sbafo non era per nulla facile come si poteva credere, né romantico. Troppo spesso si vedeva sfrecciare davanti il treno senza neanche potersi avvicinare. A volte invece, riusciva a salire su un carro bisarca e a introfularsi in qualche auto; se poi era fortunata, poteva star comoda sul sedile dietro di un furgoncino. Certo, non c'era il riscaldamento, ma poteva farsi una bella dormita, coccolata dal dondolino del treno. E quando era sveglia, poteva godere di una vista spettacolare.
Un fischio acuto e prolungato la riportò alla realtà e all'incombente passaggio di quel serpente di metallo multicolore.
Il momento stava arrivando e il suo cuore iniziò a battere più veloce.
Con la coda dell'occhio notò uno strano movimento attorno a sé. Si girò a guardare a destra e a sinistra: quei poveri disgraziati in attesa come lei si stavano avviando lungo i binari in una strana processione. E il treno sembrava quasi rallentare ancora di più, affiancandoli fin quando avessero raggiunto il punto dove era più facile saltare su.
Marika continuò a fissarli. Ogni tanto qualcuno vi spariva dentro. Lei era rimasta indietro, forse era l'ultima. Nelle orecchie aveva il frastuono del treno che iniziava ad accelerare. Se non si fosse decisa al più presto avrebbe perso la sua occasione. Strinse la mano sulla tracolla di nylon del vecchio borsone che conteneva quello che rimaneva della sua vecchia vita e se lo fece scivolare un poco oltre il fianco. Poi, si riempì per bene i polmoni di quell'aria dal puzzo di carburante, per prendere il coraggio necessario. Un improvviso refolo di vento freddo le provocò un brivido e la frenò all'istante, come ad avvertirla che quel viaggio non era per lei.
Non era la prima volta che provava una sensazione strana al momento del salto, sarebbe stata una sciocca a non provare timore nel mettere in gioco la sua vita in quel modo tanto pericoloso, ma l'adrenalina dell'avventura le aveva sempre messo le ali ai piedi. Questa volta però era differente, questa volta la paura era una zavorra che le appesantiva i piedi.
Vide il treno allontanarsi nella penombra della sera incipiente senza poter fare nulla; sbuffò, perché oltre lei non c'era più nessuno. Si sentiva abbandonata. Forse aveva lasciato che la sua mente la trascinasse in un labirinto di sogni e ricordi, fino a farle perdere quell'appuntamento.
Allora, si avviò con lentezza lungo i binari tornati deserti, scalciando di tanto in tanto un sassolino o schiaffeggiando con la mano una spiga di gramigna.
Non sapeva cosa fare. Tornare indietro o proseguire, magari fino a incrociare la strada principale? Del resto, anche l'autostop non era poi così male, sebbene non sapeva chi avrebbe potuto incontrare. Però, una cosa la sapeva con assoluta certezza. Quella non era la sua ultima fermata.
Quando era piccola, suo padre le raccontava – come una favola della buona notte – che prima di trovare quel luogo che poi aveva potuto chiamare casa, aveva percorso mezzo Stato a piedi, o con mezzi di fortuna.
Lei stava facendo lo stesso, perché quel cuore vagabondo che aveva ereditato pretendeva di essere soddisfatto e solo allora anche lei avrebbe potuto trovare quell'unico posto che avrebbe sentito come la sua vera casa.



   
 
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