Un affettuoso saluto a
tutti voi lettori, che abbiate già in un passato recente o lontano letto mie
storie o che vi accingiate a farlo ora per la prima volta. Molte cose sono
cambiate nella mia vita da un po’ di tempo, e ormai le fanfiction, che tanto a
lungo mi hanno dato gioia, soddisfazione e possibilità di esprimermi in
libertà, non sono più, come è anche naturale sia, tra i miei pensieri e tra le
mie principali passioni. Eppure, quando ormai le ritenevo un bel ricordo del
passato, ecco che sono riuscito di nuovo a lasciarmi andare all’ispirazione, e
a generare, come un fiume in piena, la storia che avete per le mani.
Quindi è con mia grande
gioia che mi accingo ad augurare, ancora una volta, il buona lettura a tutti,
perché ora so che le passioni, la fantasia, la voglia di sognare ad occhi
aperti… non spariranno da noi davvero mai!
ATTENZIONE SPOILER!!!: la fonte di ispirazione è
il film Marvel “Avengers – Infinity War”, come ho preavvisato anche in
descrizione, uscito da breve nelle sale, in particolare il suo finale... Se non
l’avete ancora visto correte il rischio di rovinarvi qualcosina.
“CREPAAAAAA!”
Il classico grido di
battaglia di Bakugou sembrò risuonare per l’intera valle mentre il ragazzo si
scagliava a velocità inaudita contro il più crudele e temibile di tutti gli
avversari che avessero mai affrontato. Il Colosso viola si voltò verso di lui
più divertito che sorpreso, ma la sua espressione cambiò quando, con un
movimento repentino, l’altro ragazzino dagli scuri capelli ribelli si frappose sulla
sua corsa.
Capì troppo tardi:
sarebbe stato Deku a portare l’attacco finale, Bakugou era solo… il trampolino.
Ruggendo, Bakugou toccò
appena il compagno e rilasciò dai palmi una forte esplosione: avrebbe riportato
dei danni, ma grazie al Full Cowl avrebbe retto: sapeva che dei sacrifici
andavano fatti pur di sconfiggerlo, da qualche piccola ustione… a qualche osso
rotto.
Thanos strabuzzò gli
occhi vedendo il secondo ragazzino sfruttare dunque l’onda d’urto
dell’esplosione per colmare in un attimo la distanza tra di loro.
“ONE FOR ALL… CENTO PER
CENTO!”
Pur di batterlo, pur di
finirlo, si sarebbe spezzato il braccio cento, mille volte!
L’impatto scagliò per
aria lo stesso Bakugou, che si lasciò sbalzare per aria più che volentieri,
ridendo anzi divertito! Ce l’avevano fatta! L’avevano preso in pieno! Il suo
pieno potere e il pieno potere del One for All: non era possibile se la
scampasse!
Si rialzò e corse da
Izuku. Il braccio destro, violaceo, penzolava senza energie, ma si reggeva
ancora all’in piedi senza una smorfia né un lamento: ne aveva fatta di strada
da quando erano piccoli.
“Kacchan…”
“Mf!”
Appena gli fu vicino scambiò
con lui appena uno sguardo… e un colpetto di pugno: diamine, quando ci voleva
ci voleva!
“Whoa! Ho visto tutto!
Che botta!” –fece entusiasta da lontano la voce di Kirishima, che accelerò il
passo per raggiungerli.
Thanos era a terra, con
la schiena contro il masso su cui si era schiantato. Il suo petto aveva
letteralmente un cratere. Eppure era vivo.
Ansante, ma vivo, con gli occhi sbarrati sulla ferita che gli aveva provocato
il peggior dolore della sua vita.
Quei mocciosi… l’avevano
battuto davvero!
Aveva sbagliato a
sottovalutarli così tanto.
Che ridere! Era così
spassoso!
“Ehi!” –non digerì la
cosa il biondo- “Che cavolo ti prende? Contento di tirare le cuoia?”
Deku avvertì un brivido
lungo la schiena. Intimorito, fece un passo verso quel mostro all’apparenza
battuto. E proprio il quell’istante, sollevò verso i due eroi uno sguardo colmo
di derisione.
“Avreste dovuto mirare alla testa.”
Sollevò la mano destra
dal guanto gemmato…
“Che…”
Avvicinò il pollice e il
medio.
“NO!” –gemette forte
Deku dal profondo dell’anima.
Schioccò le dita.
Fu davvero difficile da
descrivere.
Nulla era accaduto
all’infuori di un lampo bianco. Ma la sensazione che Deku e Bakugou provarono
era qualcosa di diverso da tutti gli altri brutti presentimenti avessero mai
avuto prima, più viscerale, più profonda. Qualcosa non andava. Qualcosa non andava
nel mondo intero, e oltre. L’intero universo aveva tremato. L’intero universo
stava gemendo.
Il vento, gli uccelli,
il creato intero era divenuto silente, mentre il cielo si rabbuiava di nuvole.
A brillare c’era solo il
beffardo ghigno del folle titano.
“Che hai fatto?” –fece Bakugou tremando come una foglia.
Non ricevendo risposta
gli saltò addosso e lo agguantò per il collo.
“TI HO CHIESTO CHE
DIAVOLO HAI FATTO? COSA HAI APPENA FATTO?”
L’istante dopo si
ritrovò a stringere il nulla.
“Brutto vigliacco!” –si sfogò colpendo il macigno.
“Che è successo?”
–chiese confuso Kirishima, sopraggiungendo col fiatone- “L’avete fatto fuori?”
“No, si è solo teletrasportato in chissà che buco dello spazio.” –spiegò
nervosamente il biondo.
I tre rimasero assorti,
incuranti del rumore dei passi degli altri loro amici che iniziavano a
raggiungerli dopo aver sconfitto gli altri servi di Thanos.
Cosa aveva fatto?
La mente di Deku era
raccolta su quella domanda di cui non voleva conoscere veramente la risposta.
L’aveva detto. L’avevano
sentito dalla sua bocca, il suo macabro sogno. Rimuginava, rimuginava, in
quegli attimi, ma non c’era alcuna risposta che potesse ottenere, da qualcosa
di così orrendo e meschino che andava oltre la comprensione sua e di ogni
essere umano.
“Izuku..” –sentitosi chiamare, si voltò.
“Iida… ?!”
Accanto a lui c’era
Tsuyu. I due avevano le bocche aperte, come sul punto di chiedere cosa fosse
accaduto, se stessero bene, se ce l’avessero fatta. Ma ogni domanda si congelò
nelle loro gole quando iniziò.
Quando iniziò a
succedere.
Il braccio di Iida prese
a sfaldarsi. Accompagnato da un rumore come di foglie secche smosse dal vento,
come del sussurro delle polvere che vola via, il braccio del suo amico stava
sparendo, pezzo a pezzo. Il braccio, poi la spalla, poi la gamba. E la stessa
cosa stava accadendo a Tsuyu: i suoi capelli neri, i suoi arti agili e forti,
il suo visetto da rana, si disfacevano piano, e volavano via.
I suoi amici si
guardarono in quello stato, e poi lo guardarono.
Non aveva risposte per
loro. E nemmeno scuse. Non c’erano scusanti per un fallimento di tale portata.
Non poté nemmeno
salutarli. Sparirono così, da uno sguardo all’altro.
Deku boccheggiò. Pensò
che il dolore di un infarto dovesse essere qualcosa di molto simile a ciò che
avvertiva dentro.
“Che… Che diavolo…”
–scosse il capo l’altro che con lui aveva sprecato la loro ultima occasione.
“Metà… Metà…
nell’universo…”
Bakugou imprecò: “NO!
FANCULO, NO! Non permetterò una simile porcata! Ehi! Bastardo viola! Vieni qui!
Vieni qui o ti spacco quel mento a costolette che ti ritrovi! Mi hai sentito?”
“R-ragazzi…”
Fu come se la sua proverbiale rabbia gli fosse stata soffiata via di dosso.
E anche Bakugou iniziò a
rendersi conto. E anche Bakugou iniziò a spezzarsi dentro.
Le mani. Le mani di
Kirishima non c’erano più. I moncherini si accorciavano sempre di più, man mano
che altri frammenti si distaccavano per poi disperdersi nell’aria. L’eroe dai
capelli rossi fissò quel vuoto che lentamente lo inghiottiva, poi i suoi amici,
e comprese. Sospirò, ma non disse nulla, era certo che avessero dato tutto, e
oltre, plus ultra, anche stavolta.
Ma la vita è dura, e
anche il tuo plus ultra, certe volte, non basta. Non gliene avrebbe fatto una
colpa.
Sorrise, vedendo sul
viso di Bakugou un espressione che non gli aveva mai visto fare prima, lui,
sempre così spaccone e sicuro di sé.
Allungò un braccio verso
di lui: “Ehi… Kirishi…”
Un attimo dopo la sua
mano si protendeva sul vuoto lasciato dal loro compagno.
Quel bastardo. Quel
grandissimo bastardo! Bell’amico a non lasciargli nemmeno finire il nome… Davvero
un grande amico. E si era appena polverizzato davanti i suoi occhi. Gli girò la
testa: c’era un limite anche per lui dunque.
Di scatto guardò Deku,
che si toccava qui e là, nervosamente, temendo di fare da un momento all’altro
la stessa fine. Gli corse incontro e gli poggiò una mano sulla spalla, lui
d’istinto gli toccò il petto. C’erano ancora. Ma quanti, quanti altri?
“Deku… Bakugou…”
Qualcun altro avanzava
barcollando verso di loro…
“No…”
“Oh, no! No!”
“Ojiro…” –il corpo invisibile
di Hagakure stava cedendo. Ojiro, anche non vedendolo, sapeva esattamente dove
si trovasse e, pur sentendosi mancare le forze a sua volta, riuscì a prenderla
al volo e a stendersi per terra insieme a lei.
L’abbracciò con la sua
coda, trasmettendole il suo calore.
“Tranquilla… Tranquilla…”
–le ripetè.
Purtroppo era finita
male. Almeno avrebbero finito insieme.
“Tranquilla…” –sussurrò,
mentre venivano portati via insieme dal vento…
Jirou rabbrividì dalla
punta dei capelli a quella dei suoi earphone jack: “Che diavolo succede?!
Sero!”
“Oh, no…” –furono le
ultime terrorizzate parole del ragazzo prima di disgregarsi del tutto.
“Perché… PERCHÉ?!” –non
riusciva a capacitarsi, come nessuno di loro.
Todoroki, più bravo a
mantenere il sangue freddo, almeno in apparenza, la raggiunse insieme a Momo e
Kaminari.
La prese per le spalle mentre si tormentava la testa tra le mani: “Calmati,
Jirou!”
Momo voleva dire lo
stesso all’amica, ma non riusciva ad emettere fiato: il lampo, quella strana
sensazione che pareva aver percorso l’universo l’intero da un capo all’altro, e
poi le urla in lontananza, le persone che scomparivano… Si guardava intorno,
come facevano anche i suoi compagni, come se ci fosse ancora un avversario da
fronteggiare, un volto nemico da incolpare, un qualunque cosa di razionale a
cui poggiarsi, un'altra illusoria spiegazione a quel fenomeno. Invece era come
galleggiare nel vuoto, senza alcun appiglio, nulla che ti salvi dall’annegare.
Provò a stringerle un braccio, ma lei si divincolò e sbraitò.
“Come faccio a
calmarmi?! Sero… è… è…”
Todoroki scosse il capo
e mormorò a fior di labbra: “Non ci sono riusciti…”
“Ehi, non perdere la
testa!” –la spronò Kaminari- “Andrà tutto… bene?”
Si chiese lui,
osservando frammenti di sé svolazzargli davanti gli occhi.
Momo si portò le mani alla bocca, e anche Todoroki non riuscì più a mantenere
un espressione calma.
“Accidenti…” –esclamò
rassegnato.
“No… No! NO! NO! NO NO!”
Come isterica, Jirou gli
afferrò la giacca e prese a strapazzarlo: “Non provarci chiaro?! Non provarci!”
“Mi dispiace, Jirou… Mi dispiace tanto…”
“Ti ho detto di no! Non sparire!”
Quelle grida, così
disperate, avevano una tale forza che sembrava avessero potuto davvero fermare
l’inevitabile. Jirou singhiozzava: Kaminari si faceva più leggero da spostare
ogni secondo che passava.
Le strinse i polsi con
gentilezza e la costrinse a guardarlo negli occhi: “È stato uno spasso… Con te,
con tutti gli altri…”
Le sorrise, vincendo la
paura della morte con la gratitudine per la vita, desiderando apparire figo ai
suoi occhi per un’ultima volta, sperando l’aiutasse almeno un pochino a farla
soffrire di meno.
A Jirou le gambe
divennero molli, e crollò sulle ginocchia. Anche Kaminari era sparito. Momo
piangeva senza trattenersi, Todoroki la stringeva a sé, per consolarla, e
perché bisognoso di un sostegno per non cedere alla follia.
Jirou urlò di nuovo,
pianto tra i pianti.
Prima confusi, attoniti,
poi rassegnati. Ma mai spaventati. Così furono gli sguardi di Koda e di Sato
mentre gli erano scomparsi davanti. Come eroi degni di questo nome avevano
accettato il loro fato, mentre i loro corpi si dissolvevano nel niente.
Ma lui, il piccolo,
deboluccio, pervertito, piagnone Mineta, non poteva accettare una cosa del
genere senza passare per la più cupa sofferenza.
Boccheggiava, affamato
di aria, voltò le spalle, scappando, fino a nascondersi dietro una roccia, come
un topolino inseguito da un gatto invisibile. Il respiro non accennava a
rallentare, la testa gli girava e aveva un forte mal di stomaco: era troppo
pieno d’aria o stava diventando vuoto dentro? Stava per scomparire? Stava per
morire?
Lasciò uscire senza vergogna ogni lacrima che aveva in corpo. Non voleva
morire! Non era la migliore delle persone, avrebbe meritato di sparire ben più
di Sato e Koda, lo ammetteva, ma amava la vita. La vita è tanto bella, ci sono
gli amici, la scuola, le ragazze, il cibo, e ancora le ragazze… Non voleva
lasciarla! In quel modo così orrendo poi, senza quasi rendersene conto, senza
possibilità di appello, morire così, e basta. Sarebbe stato il prossimo?
Toccava anche a lui? Niente più UA, niente più allenamenti per diventare eroe,
niente più ragazze da spiare, niente più giochi, scherzi, vacanze… Niente?
Urlò! Una mano sulla
spalla. Era il gatto? Era il suo momento? Sarebbe sparito per sempre?
Vide l’enorme mole di
Shoji, anche lui pallido e ansimante, stagliarsi sopra di lui e fissarlo. Nei
suoi occhi lesse il sollievo di saperlo ancora vivo, di non essere solo
nell’ora più buia dell’universo.
Mineta si rese allora conto
che non sarebbe scomparso, e si rilassò completamente, riuscendo a rallentare
il respiro, ringraziando nella sua mente Shoji, il cielo, tutto ciò che aveva
amato e avrebbe amato nella vita che almeno per lui sarebbe proseguita. Shoji
si sedette al suo fianco, guardò il cielo cupo e infinitamente triste, e
sospirò.
“Deku… Bakugou…”
“URARAKA!” –gridarono i due, in risposta alla sua voce fattasi piccola e
tremolante.
Tremava, ondeggiava
verso di loro, pallidissima come sul punto di confondersi con lo sfondo del cielo
plumbeo.
“Io… non mi sento bene…
Come se… Come se potessi… Io…”
Corsero svelti, ma
Bakugou di più: la colse prima che cadesse a terra e la tenne tra le braccia.
Deku le afferrò una mano, gelida.
“Ho visto… le persone…
sparire…”
“OI!” –strillò Bakugou-
“Piantala con la lagna! Hai solo preso un bello spavento, come tutti qui! Non
stai affatto scomparendo, intesi?”
“Uraraka, calmati, forse
Bakugou ha ragione! Forse… forse è… solo…”
Il suo piede…
Fissarono il suo viso,
dolce, incorniciato dai capelli castani, tendersi tutto nell’attimo fatale della
compressione, e i suoi occhi farsi lucidi.
“Sto… sparendo…”
Strinse forte la mano a
Deku, che pronto la chiuse tra le sue. Il respiro della ragazza era rapido e
spezzato, i suoi occhi sbarrati dall’angoscia.
“Non voglio… I miei
genitori… Non voglio…”
Deku si morse la lingua, impedendosi di pronunciare un patetico “perdonaci”.
Quel prezzo era davvero troppo alto: Perché persone così splendide dovevano
sparire per il capriccio di un nichilista? La serietà e l’affidabilità di Iida,
la schiettezza e il coraggio di Tsuyu, la gentilezza e la gioia di vivere di
Uraraka… valevano un semplice schiocco di dita? No, era davvero troppo. Non
avrebbe mai potuto perdonare. Non avrebbe mai potuto perdonarsi.
Bakugou, fedele a sé
stesso, cercava ancora di scuoterla: “Oi, stupida faccia-tonda, resisti! Tu sei
più forte di così, chiaro? Tu sei forte! Figurati se un bastardo
distruggi-universo può stenderti!”
Non credeva in fondo a
quelle parole, ma non si era mai sentito così vicino al ciglio del baratro.
Forse era solo un grosso egoista, forse era solo un finto duro e lo stava
facendo più per non impazzire del tutto che per consolarla negli ultimi attimi…
“Non crepare, hai
capito? Non crepare!”
Però era vero, a quello
ci credeva sul serio: era forte. L’aveva ammirata tanto dal loro scontro, una
ragazza così dolce e insieme con un fegato tale, non meritava di morire così…
Non così.
“Oi, se crepi… ti
ammazzo!” –arrossì un attimo dopo.”
Il sorrisetto che spuntò
sul volto stanco di Uraraka lo riportò indietro, al sicuro, alla vita.
“Sei sempre il solito…”
“Uraraka…”
Si girò verso la voce
rotta di Deku che la chiamava: “Avete fatto tutto il possibile, vero?”
Deku annuì.
Bakugou nascose la
vergogna girandosi.
“Voi non state sparendo…
Meno male! C’è ancora speranza!”
Per i due ragazzi fu
come venisse spazzato via il velo nero che li ricopriva.
Cosa centrava lì
speranza? Come poteva esistere ancora?
Nel frattempo il mondo
era scosso dai sospiri di chi spariva e le urla confuse di chi restava. Alcuni
imploravano aiuto, mentre la Grande Sparizione non risparmiava né umani né
animali, né eroi né villain. Alcuni finivano soli, altri più fortunati,
potevano lasciare l’esistenza sereni al fianco di qualcuno.
Inko e Toshinori erano a casa di lei quando successe, e capirono.
Si sedettero sul divano,
abbracciandosi forte.
“Non avrei mai
immaginato una cosa del genere… Mi dispiace Inko, avrei voluto portarti fuori
almeno una volta.” –disse il tipo magrissimo ed emaciato, ex-Simbolo della Pace
ora in pensione, mentre si dissolveva.
“Non ti preoccupare…”
–sussurrò lei, rassettando la sua morbida guancia sulla sua spalla- “Ci saranno
altre occasioni.”
“Ci saranno?”
“Anche se sono stati sconfitti i ragazzi non si arrenderanno, continueranno a
combattere, e rimetteranno a posto ogni cosa.”
Il grandioso quanto
impotente AllMight abbassò lo sguardo: per quanto ne sapevano anche suo figlio,
il suo erede, poteva essersi dissolto in quel momento, ma non l’avrebbe
rabbuiata negli istanti finali con quel pensiero. Le passò una mano tra i
capelli.
“Ne sono sicura…” –la
sua voce era debole, ma il suo spirito più saldo che mai- “Izuku non si fermerà
qui, si rialzerà e insieme agli altri salverà tutti. È questo che fanno gli
eroi, no? E tu gli hai insegnato bene…”
Non riuscì a non
arrossire e ridacchiare davanti quel complimento. Giusto. Più che giusto. Forse
non era il miglior professore del mondo, ma aveva visto le nuove generazioni,
il loro ardore, i loro ideali. Erano come lui: veri eroi. Non sarebbe stata la
fine.
“Allora iniziamo a
pensare a dove cenare fuori!”
Inko rise: “Va bene!”
L’attimo seguente non
vide più nessuno seduto su quel divano. Ma la casa non era ancora vuota. La
fede e la speranza rimbombavano ancora tra le sue mura, assordando l’intero
mondo rattristato.
“Forza ragazzi!
Mettetecela tutta e dategliele di santa ragione a quel babbeo viola!”
Fu come tutto fosse
tornato normale, anzi, come se nulla fosse mai andato storto. Uraraka era
ancora lì, a prendere in giro il genocida universale, a dargli del babbeo
ridendo della sua contagiosa risata, col solito entusiasmo che in classe
conquistava sempre tutti.
Si, ne era certa. Non
poteva essere la fine finché restava qualcuno, e se erano Deku e Bakugou a
rimanere, Thanos aveva le ore contate.
“Oi… Faccia-tonda, non
fare come se stessi per tirare le cuoia…” –balbettò il biondo, come ancora non
volesse rendersene conto.
“In bocca al lupo!”
Deku si passò svelta una
mano sugli occhi: “Lascia fare a noi, Ura…”
Ora capì come si era
sentito Kacchan poco prima con Kirishima…
Lo vide rialzarsi e,
rapidissimo, dargli le spalle e fare qualche passo.
I pugni di Deku erano
stretti, il dolore del braccio spezzato del precedente attacco era diventato
nulla: stava a loro. Non era la fine.
Bakugou gridò verso il
cielo, fino all’ultimo scampolo di fiato rimastogli in corpo.
Deku si unì, fino a
squarciarsi le corde vocali, sentendosi, come lui, subito meglio. Un ultimo
sfogo prima di ripartire.
Quel finale era odioso.
Quindi non era la fine.
Si squadrarono,
scambiandosi ciascuno la rabbia e la determinazione dell’altro.
Stava a loro decidere.
E loro decidevano che la
partita non era finita.
Anche loro erano
quell’universo.
E l’universo aveva
ancora qualcosa da dire.
Ed eccoci qua (o metà di
voi sono spariti? XD). È stato divertente tornare a scrivere, e questa storia
in particolare mi ha emozionato e anche soddisfatto, sia per come è venuta, sia
perché non avevo mai “ucciso” così tanti personaggi in poche righe prima… Forse
un po’ arrivo a comprendere certi autori che si divertono a fare secchi i
personaggi delle loro creazioni… Ma solo un po’, eh! Che altro dire poi, come
avrete notato di certo non ho resistito alla tentazione di accennare un po’
alle mie coppie preferite di questo manga lungo la storia XD
Trattandosi di
supereroi, l’accostamento e il crossover con la Marvel vengono facili per My
Hero Academia, e in effetti sarei curioso di vederli alle prese con Thanos (che
è un altro personaggio che adoro alla follia).
Or dunque, cari lettori,
un gran saluto e arrivederci ai commenti!