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Autore: Ghostclimber    01/06/2018    2 recensioni
La morte del coach Anzai ha lasciato un vuoto incolmabile nella squadra dello Shohoku. Ma una piccola carezza di quel grosso, affettuoso uomo saprà riportare un po'di gioia nei cuori dei suoi campioni.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti.

Spero di non aver scritto una schifezza, ma avevo bisogno di esprimere quello che sento oggi.

Dedico questa fanfiction al mio prof di educazione fisica del liceo, l'uomo che mi ha insegnato che non c'è bisogno di essere alti per giocare bene a basket, il folle che una volta ha chiesto uno slam dunk a una ragazzina di un metro e mezzo, il coraggioso che mi ha insegnato che posso fare tiri da tre punti anche se ho le braccia corte, il gigante buono che mi metteva la palla in mano e mi spediva in campo quando ero preda del dolore e mi sembrava che la vita fosse uno schifo, la mia personale versione del coach Anzai, che oggi è venuto a mancare.

Arrivederci, Gildo, grazie per aver avuto fiducia in una ragazzina smarrita.

 

 

Il dolore non passa, mai.

Gli puoi solo trovare un posto.

(The Walking Dead)

 

La finzione gli medicava l'animo.

(Stephen King)

 

 

-Ragazzi, ora basta, concentratevi! Il campionato invernale è alle porte, il coach... il coach non vorrebbe vedervi così.- Akagi richiamò i compagni di squadra all'ordine, senza risultato. Doveva ammettere che lui stesso non era nelle condizioni né di dare ordini né di dare il buon esempio.

La morte del coach Anzai, come un fulmine a ciel sereno, aveva fatto calare le ombre della notte su tutta la squadra. Mitsui lasciò cadere la palla e si prese la faccia tra le mani: tra tutti, era quello che meno si vergognava di mostrare il cordoglio. Sakuragi era corrucciato e deconcentrato, Miyagi provava a giocare ma sembrava sempre a corto di fiato, Kogure si aggirava come senza meta e le matricole sembravano spaesate e incapaci di proferire parola; Rukawa non mostrava segni evidenti di dolore, ma i suoi movimenti erano meno rapidi del solito e sotto gli occhi aveva due scure mezzelune, segno che non aveva dormito. Ayako cercava di mostrare una faccia stoica, ma non poteva trattenere le lacrime.

-Venite qui. Mitsui, prendi un fazzoletto e cerca di ascoltare quello che dico.- disse di nuovo Akagi, senza la minima idea di come avrebbe fatto ad incoraggiare e consolare i compagni. Come fai a consolare qualcuno quando tu stesso ti senti come se ti avessero abbandonato nel mezzo dell'oceano, senza una bussola e con le stelle coperte dalle nuvole?

Attese che i compagni fossero tutti radunati attorno a sé e li guardò uno ad uno, boccheggiando.

Fu in quel momento di sospensione e silenzio che qualcuno bussò delicatamente alle porte della palestra. -Vado io ad aprire.- mormorò Ayako, in un fil di voce. Akagi colse l'occasione per voltarsi a vedere chi fosse e rimandare il discorso non preparato.

-Oh, signora Anzai, che sorpresa vederla! Entri, la prego!- disse la voce di Ayako.

-Ciao a tutti, ragazzi.- salutò piano la vedova del coach, camminando verso di loro. Con un sorriso stentato li guardò uno ad uno e disse: -Mio marito ha lasciato qualcosa per voi, sono venuta a portarvelo.

-Oh... grazie, signora Anzai.- rispose Akagi, inchinandosi profondamente e prendendo la grossa busta bianca che lei gli porgeva. Imbarazzato al limite del tollerabile, si chiese se dovesse dirle qualche altra cosa: ma le condoglianze le aveva già fatte al funerale, un “come sta?” sembrava troppo fuori luogo e altro non gli veniva in mente.

Rifletté che la morte di una persona cara era come un sassolino lanciato in uno stagno: dapprima solleva spruzzi, e giungono le lacrime, i pianti, le scenate, e poi cominciano le onde: un attimo prima stai abbastanza bene, sei certo di poter continuare, dopotutto non sei tu ad essere morto, e un istante dopo il ricordo ti colpisce, ti affoga, ti soffoca sotto il peso della consapevolezza che non potrai più rivedere quella persona, non potrai più sentire la sua bonaria risata o vederlo a bordo campo mentre sorseggia la sua eterna tazza di tè; i gesti di ogni giorno, che fino a poco prima erano stati scontati, quasi noiosi, ora disegnano un vuoto così grande da essere quasi palpabile, e ti ritrovi a chiederti perché non hai apprezzato le piccole gioie della quotidianità fin quando ti era concesso farlo. Poi ti passa, e stai meglio, ti tiri fuori, ma basta guardare un amico con cui dividi il cordoglio per far tornare tutto a galla, per sommergerti con un'altra onda di dolore che ti opprime il petto e ti azzera la capacità di ragionare.

-Mio marito voleva molto bene a tutti voi.- dichiarò la signora Anzai, -Fate in modo di onorare la sua memoria dando il meglio di voi nel torneo invernale. Mi raccomando, vi verrò a vedere per essere sicura che lo facciate.- i ragazzi mormorarono qualche parola di circostanza, troppo piccoli nei loro enormi corpi che ora parevano così goffi per poter rendere a parole il vuoto che la morte del coach Anzai aveva lasciato in ognuno di loro. Si sentivano come dei Golem a cui fosse stato sottratto ogni potere: grossi, inutili blocchi di fango abbandonati al bordo di una strada, pronti a sciogliersi piano piano alla prima pioggia.

La vedova del coach era uscita con passo lieve dalla palestra e Ayako aveva richiuso la porta dietro di lei. Akagi, sicuro di non essere pronto per qualunque cosa sarebbe uscito dalla busta ma incapace di trovare una scusa per rimandarne l'apertura, staccò con riverenza la linguetta che la chiudeva. Conteneva nove altre buste, e Akagi le estrasse tutte insieme. La dicitura della prima era “A tutta la mia amata squadra”, e Akagi la mise in fondo per aprirla assieme agli altri. Subito dopo veniva un “Alle matricole che con così tanto amore ravvivano la nostra panchina”, e fu presa in consegna da Yasuda. Le altre erano tutte indirizzate a singoli giocatori: -Mitsui Hisashi.- chiamò Akagi, e l'interessato si fece avanti per prendere la lettera. Il capitano mise in fondo anche la lettera indirizzata a sé, poi proseguì con l'elenco: -Miyagi Ryota... Kogure Kiminobu... Rukawa Kaede... Sakuragi Hanamichi... e l'ultima è per te, Ayako.

-Capitano, apri la lettera per la squadra e leggila ad alta voce.- bisbigliò lei, prendendo la propria lettera con mani tremanti. Akagi aveva paura di sentire la propria voce spezzarsi, ma aprì la busta e lesse:

 

“Miei cari ragazzi,

vi scrivo queste lettere su consiglio della mia cara moglie, Minami. Dopo l'ultimo malore, il medico è stato chiaro con me: il prossimo sarà quasi certamente fatale.

Non sono sicuro di fare in tempo a parlare con ciascuno di voi, per cui ho deciso di lasciarvi qualcosa di scritto.

Siate uniti, ragazzi miei, non piangete troppo per la mia scomparsa. Pensate a vincere e avrete onorato la mia memoria.

Siete forti, ricordatelo sempre.

Con tutto il mio affetto e la mia stima,

Anzai Mitsuyoshi”

 

La voce di Akagi resse fino all'ultima sillaba, poi tremò. Senza aggiungere altro, posò con gesto riverente la lettera sulla panchina, dove tutti avrebbero potuto leggerla per conto proprio, se l'avessero voluto. Determinato a non mostrare ulteriori segni di debolezza, andò a sedersi contro il muro e aprì la lettera che gli aveva scritto l'amato coach; con la coda degli occhi, vide gli altri fare lo stesso, uno dopo l'altro.

 

“Takenori,

è complicato scrivere lettere che arriveranno dall'aldilà. Non so cosa stai provando ora, ma sono certo che stai cercando di tenere unita la squadra e che la prossima sfida si stende di fronte a voi.

Non hai bisogno di me per guidare la squadra, affidati ad Ayako e al caro Kogure; avete tutta la mia fiducia, e sono certo che ve la caverete benissimo anche senza di me.

Ricordati di non essere troppo severo con i tuoi compagni di squadra: accompagnali e lascia che crescano nel modo che più si addice loro.

Sono certo che saprai fare come ti chiedo, e che affronterai ogni sfida a testa alta.

Tienimi nel cuore, e quando avrai bisogno di una guida cercami dentro di te: sta' certo che il mio ricordo ti indicherà la via.”

 

Quando Akagi si sentì abbastanza sicuro di poter alzare gli occhi senza piangere, si guardò attorno. Tutti i suoi compagni di squadra lo guardavano di sottecchi, le proprie lettere in mano, in attesa. Akagi si sentì piccolo, per la prima volta da tanti, tanti anni. La manina calda di Ayako, che sorrideva con gli occhi pieni di lacrime, gli si posò sulla spalla e gli diede conforto, ma non abbastanza da farlo parlare.

Per la sorpresa di tutti, a spezzare il silenzio fu Rukawa: -È... è vero?

-Che cosa, caro?- chiese dolcemente Ayako. Rukawa tremava, il suo autocontrollo per una volta sul punto di cedere. Con voce dolce e sottile, lesse la lettera che il coach gli aveva scritto: -Dice:

“Kaede,

so che non vorrai sentirmi dire questo, ma non andare in America.

Non sei pronto, devi ancora imparare che da solo puoi arrivare solo fino ad un certo punto, mentre se ti fidi dei tuoi compagni di squadra e ti affidi a loro potrai fare grandissime cose.

Quando avrai imparato che non sei solo in campo, che non sei solo nella vita, potrai rivalutare l'opzione di andare negli Stati Uniti... se ancora vorrai.

Fidati dei tuoi compagni di squadra, loro ti vogliono bene.

Non sei solo, piccolo campione.”- la voce di Rukawa si fece stridula sull'ultima frase. Deglutì a vuoto più volte, poi chiese di nuovo: -È vero? Che mi volete bene, è vero?- li guardò uno ad uno, terrorizzato all'idea di sentire una risposta negativa. La lettera del coach Anzai aveva appena mandato in pezzi i pilastri su cui aveva costruito tutto il proprio essere, e temeva di non poter sopportare di doverli ricostruire da capo. -Ma certo che ti vogliamo bene!- disse Ayako.

-Sì, anche se sei così scemo da non averlo capito!- aggiunse Miyagi. Rukawa guardò gli altri, uno ad uno, e ricevette cenni di assenso da tutti, tranne che da Sakuragi, che guardava il pavimento e non si muoveva da un po'.

Con gesto stizzoso, Rukawa si passò una mano sugli occhi, asciugando lacrime che forse c'erano e forse no, e affermò: -Voglio giocare a basket con voi.- Mitsui gli cinse le spalle con un braccio.

-A me ha scritto che l'anno prossimo sarò il capitano della squadra.- mormorò Miyagi, -Dice che ho la stoffa per portare la squadra a vincere il campionato. Avrò bisogno dell'aiuto di tutti voi per non deluderlo.

-Conta su di me, Ryota.- affermò Ayako, poi timidamente gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia: -A me ha detto di smettere di mentire a me stessa. “Starai molto meglio se lasci uscire tutto l'amore che hai nel cuore. Sarai una grande manager per lo Shohoku, una donna magnifica e una moglie affettuosa”- citò.

-A me...- cominciò Mitsui, poi si fermò per deglutire un paio di volte e ricacciare indietro le lacrime: -A me ha ricordato che con la forza di volontà posso fare tutto ciò che voglio. Mi ha raccomandato di usare la mia forza per il giusto scopo, e ha detto... ha detto che è onorato di sapere che ha contribuito così tanto per farmi diventare l'uomo che sono. Dice proprio così, uomo.- le lacrime cominciarono nuovamente a rigargli le guance. Kogure gli porse un pacchetto di fazzoletti, poi guardò i suoi amici uno ad uno. Con uno sguardo di sfida alzò la propria lettera e recitò:

-“Kiminobu,

sicuramente sei in palestra mentre leggi le mie parole.

Guardati intorno: questi sono i tuoi amici. Ti vogliono bene anche se sei quattrocchi e secchione, anzi: ti vogliono bene proprio perché sei quattrocchi e secchione. Non pensare a te come all'ultima ruota del carro, sei importante e speciale proprio perché sei come sei e non potresti essere altrimenti. Non avere paura di portare il tuo cuore appuntato sul bavero. Fallo sempre, con orgoglio e con convinzione.”- Kogure si portò una mano alla bocca e cominciò a singhiozzare senza ritegno. Akagi si alzò in piedi e lo strinse tra le braccia. Lo stesso fece Mitsui, e dopo pochi istanti si unirono anche Miyagi e Ayako.

-A noi ha scritto di non pensare mai di non essere importanti, anche se siamo riserve. Dice che l'anno prossimo giocheremo, e dobbiamo dare il massimo per onorare la sua memoria. E lo faremo, capitano, lo faremo sicuramente.- affermò Yasuda, gli occhi colmi di lacrime ma un sorriso deciso sulle labbra. Lui e le altre riserve si unirono all'abbraccio collettivo intorno a Kogure, e dopo un attimo di indecisione si unì anche Rukawa.

-Ma dov'è finito Sakuragi?- chiese Akagi, sciogliendo l'abbraccio, -Sono proprio curioso di sapere che cos'ha detto il coach Anzai alla nostra arma segreta!

La squadra si voltò a guardare Sakuragi, che aveva ancora lo sguardo fisso al parquet: la lettera ancora in mano, sembrava incapace di muoversi, parlare o fare qualsiasi altra cosa. Akagi rimase bloccato di riflesso: sembrava una furia braccata, pronta a scappare o attaccare chiunque gli si avvicinasse.

Fu Rukawa ad osare, spinto dalle parole del coach Anzai. Si fece avanti e mise una mano sulla lettera di Sakuragi. -Posso?- chiese, con voce incerta. Era chiaro che non era a suo agio a chiedere permesso, e nemmeno a rivolgere la parola a Sakuragi senza insultarlo, ma l'aveva fatto ugualmente. Sakuragi non rispose, ma la sua stretta sul foglio si affievolì. Rukawa lesse la lettera in silenzio, poi la ripiegò con reverenza e la tese di nuovo a Sakuragi: -Ha ragione, e lo sai.- disse solo.

Finalmente, Sakuragi reagì: alzò il capo, incredulo, e guardò prima Rukawa, poi tutti i compagni di squadra che lo circondavano, preoccupati. Prese la lettera dalle mani di Rukawa e la consegnò ad Akagi, sempre in silenzio, ma con le lacrime che ora scorrevano copiose sulle sue guance.

-“Hanamichi... la mia arma segreta.

Ti ho chiamato spesso così, per incoraggiarti, per farti capire che non sempre bisogna buttarsi subito nella mischia, e che entrare quando la partita è già iniziata non è un disonore.

Ma non ti ho mai detto perché sei la mia arma segreta.

Non si tratta delle tue schiacciate, né della tua abilità in campo, come rimbalzista e ora anche come tiratore, nonostante tu dimostri di avere un grande talento.

Sei la mia arma segreta perché solo tu sai trascinare davvero la squadra, con la tua allegria e la tua forza d'animo. So che nel tuo cuore cova il rimorso e la paura di non essere abbastanza ma, fidati, lo sei. Sei più che abbastanza, sei fondamentale.

Per questo ti chiedo un favore, e so che sarai in grado di affrontare anche questa nuova sfida che ti propongo: sorridi.

Sorridi sempre, anche se hai il cuore spezzato, anche quando hai voglia di urlare e piangere e correre via. Sorridi per i tuoi amici, per i tuoi compagni di squadra, per tutti coloro che ti amano e che vivono del tuo sorriso.

Sorridi e vai a testa alta verso la vittoria. Solo tu puoi infondere ai tuoi compagni di squadra il coraggio e la forza per fare fronte comune e sbaragliare ogni avversario, aggirare ogni ostacolo.

So che ora è difficile, ma provaci, per l'affetto che provi per il tuo vecchio ciccione: presto scoprirai che la vita è degna di essere vissuta, nonostante il dolore, nonostante le sconfitte.

Cerca di non perdere mai la tua anima innocente, buona e generosa, perché è la perla più grande che una persona possa sperare di trovare, in se stesso o nel prossimo.

La mia arma segreta è la tua immensa forza.

Sorridi, Hanamichi.”

-È bellissimo.- disse Ayako. Sakuragi continuava a restare in silenzio, ma i suoi pugni si erano stretti in due morse e il suo corpo era percorso da un tremito mentre le lacrime continuavano a sgorgare, inondandogli il viso, bagnandogli il petto.

-Kami.- bisbigliò Rukawa, -Guarda un po' tu cosa mi tocca fare per Anzai.- con movimenti goffi e impacciati strinse Sakuragi in una via di mezzo tra un abbraccio e una presa di wrestling, cingendo le braccia intorno al suo corpo e immobilizzandolo.

Uno ad uno, anche gli altri compagni di squadra si unirono all'abbraccio. Le lettere lasciate da Anzai avevano scavato a fondo nel loro dolore, come si scava in una ferita per estrarre elementi estranei, dando loro un'opportunità di avere un ultimo incontro con l'amato coach, sollevandoli dal lago di cordoglio in cui erano intrappolati. La strada per trovare il giusto posto al dolore era ancora lunga, tutti ne erano consapevoli, ma ora sapevano anche di non essere soli, di avere l'appoggio dei propri amici, e per qualche breve attimo, qualche magnifico, luminoso attimo, la vita ricominciò a scorrere. Sarebbe arrivata un'altra onda, ma c'era tempo: tempo per prendersi per mano, tempo per fare screen out tutti assieme contro l'urto, tempo per imparare a sostenersi a vicenda, fin quando finalmente avrebbero potuto ricordare il coach Anzai con un sorriso.

 

 

   
 
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