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Autore: Mari Lace    03/06/2018    6 recensioni
«Dai, proviamo; hanno anche un nome simpatico, “Caffè Poirot”! Come il detective!»
«Siete appassionati di gialli?»
La voce dietro di loro li fece girare entrambi di scatto.
A parlare era stato un giovane biondo – probabilmente straniero – con due buste della spesa in mano. Aveva un sorriso affabile, che per qualche motivo ricordò ad Erina quello di Isshiki.
«Se è così, siete fortunati; sopra il nostro Caffè abita un detective persino più abile di Poirot» continuò lo sconosciuto.
«In realtà non ne sappiamo molto, di gialli» rispose Satoshi allegramente. «Siamo qui per mangiare».
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Erina Nakiri, Satoshi Isshiki
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Love your Taste [Erina/Isshiki]'
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Faceva caldo a Tokyo, quel giovedì; Erina aveva passato tutta la mattina a seguire quel pazzo del suo fidanzato in giro per la città, senza avere la più pallida idea di dove la stesse portando.

Vedendolo imboccare l’ennesima via secondaria, si fermò ansimando. Iniziava anche ad avere fame.

Lui se ne accorse in tempo e si voltò verso di lei, tornando indietro di qualche passo.

«Perché ti sei fermata?» chiese innocentemente.

«Perché» rispose la Nakiri irritata «mi sono stufata di seguirti a caso in giro. Non so nemmeno perché siamo venuti a Tokyo! Questo quartiere, poi, non l’avevo mai sentito prima».

Il ragazzo le sorrise. «Non puoi non conoscere Beika! Era il momento di rimediare».

L’irritazione era ora chiaramente visibile sul volto di Erina; qualsiasi altra persona sana di mente avrebbe iniziato a preoccuparsi, ma lui no. Lui rimase a fissarla tranquillo con quel suo sorriso falsamente innocente.

«Isshiki Satoshi» pronunciò minacciosa. «Non muoverò un altro passo finché non mi avrai spiegato che ci facciamo qui».

Il rumore che seguì quasi immediatamente la frase, purtroppo per lei, smontò del tutto la sua credibilità.

Sarebbe voluta svanire.

«Perdonami!» esclamò Isshiki. «Non avevo idea che fossi così affamata».

Tradita dal mio stomaco. «Non cercare di cambiare discorso…»

Ma Satoshi già non l’ascoltava più. «Siamo fortunati!» proruppe battendo le mani. Erina seguì il suo sguardo, puntato sul marciapiede opposto.

«Non vorrai…» cominciò.

«Perché no? È un bar».

«Sì, appunto. Pensi davvero che le pietanze di un comunissimo bar possano soddisfarmi?»

«Potresti rimanerne stupita» fu l’enigmatico commento del cuoco. «Comunque dovrai accontentarti; andiamo!» l’esortò prendendola per mano e di fatto trascinandola nel negozio in questione.

«Sul serio, non ho così tanta fame… Potremmo trovare un ristorante» tentò.

L’espressione di Isshiki divenne confusa. «A giudicare dal borbottio di prima, avrei detto l’opposto» disse, facendola avvampare. «Dai, proviamo; hanno anche un nome simpatico, “Caffè Poirot”! Come il detective!»

«Siete appassionati di gialli?»

La voce dietro di loro li fece girare entrambi di scatto.

A parlare era stato un giovane biondo – probabilmente straniero – con due buste della spesa in mano. Aveva un sorriso affabile, che per qualche motivo ricordò ad Erina quello di Isshiki.

«Se è così, siete fortunati; sopra il nostro Caffè abita un detective persino più abile di Poirot» continuò lo sconosciuto.

«In realtà non ne sappiamo molto, di gialli» rispose Satoshi allegramente. «Siamo qui per mangiare».

«Capisco; accomodatevi, sono subito da voi!» Il ragazzo li precedette nel negozio per poi infilarsi dietro al bancone. Lo videro scambiarsi un cenno con la cameriera.

«Hai visto il contenuto di quelle buste?» domandò Erina gelida.

«Non ho guardato. Qualcosa di interessante?»

Lei lo guardò male. «Qualcosa di scoraggiante! C’era del prosciutto di qualità infima, di quelli super scontati. Non ho intenzione di ingerire niente che sia preparato con ingredienti di questo tipo» annunciò.

«Pensavo avessi smesso di giudicare un piatto prima di assaggiarlo» commentò Isshiki senza battere ciglio. «O in questo caso, prima ancora di vederlo».

Quell’affermazione la punse nel vivo.

«Perché sei così fissato con questo bar?»

Sul volto del ragazzo apparve per l’ennesima volta il suo – dannatamente bello – sorriso enigmatico. «Non lo so di preciso, ma il cameriere di prima mi incuriosisce».

Erina lo studiò. Sembrava serio.

Satoshi si piegò leggermente sulle gambe per trovarsi alla sua stessa altezza e guardarla negli occhi. «Se qualsiasi cosa sceglieremo di prendere non sarà di tuo gusto mi farò perdonare» le promise.

Non aveva fatto niente di eccezionale, eppure Erina sentì il cuore batterle a mille.

Non era ancora abituata ad averlo così vicino. Si frequentavano da relativamente poco – Isshiki l’aveva corteggiata tramite invenzioni culinarie che sfidavano il concetto stesso di bontà per mesi, prima che lei – su spinta di Hisako – accettasse un appuntamento.

Quando le aveva chiesto ufficialmente di essere la sua ragazza, la detentrice del palato divino per poco non era svenuta. Aveva visto ragazzi così audaci solo negli shojo che le aveva suggerito Alice, ma non aveva pensato neanche per un secondo che cose del genere potessero avvenire nella vita reale, soprattutto non a lei.

Aveva però accettato, un po’ per curiosità e un po’ – soprattutto – perché affascinata dai modi del ragazzo, di cui, nonostante a volte le facesse perdere le staffe, apprezzava molto la compagnia – e la cucina.

La cucina di Isshiki era unica, e rispecchiava il suo carattere: tradizionale in apparenza, esplosiva all’interno. Erina ne era diventata praticamente dipendente.

Annuì imbarazzata, senza rendersene nemmeno bene conto, ed entrò nel locale.

L’interno era uguale a quello di tanti altri bar: un bancone con panini e dolci esposti, dei tavoli e relative sedie.

L’attenzione di Erina fu attirata da dei bambini che, seduti al bancone, stavano rumorosamente mangiando una torta. «Buonissima! Sei fantastico, Amuro-no-niichan!»

Fu presto raggiunta da Isshiki, che le indicò un tavolo. «Va bene se scelgo io?» chiese.

Annuì. «È indifferente, continuo a dubitare che abbiano qualcosa di decente».

«Che scortese!» urlò una dei bambini. «I piatti del Poirot sono tutti buonissimi!»

Non pensava di farsi sentire, comunque quell’uscita non imbarazzò più di tanto la Nakiri.

«Scusatela, la mia amica è abituata a pietanze un po’ diverse» disse Satoshi ai bambini, che avevano cominciato a guardarla male. «È qui proprio per assaggiare qualcosa di nuovo».

I piccoli sbuffarono e tornarono ai loro piatti. «Antipatica» li sentì mormorare Erina.

Guardò scocciata il menù sul tavolo. Non sono qui per assaggiare, sono qui per stare dietro a te.

«Oneesan, sei per caso Nakiri Erina-san?»

Stupita e quasi spaventata da quella domanda inaspettata, Erina si guardò intorno per cercare chi avesse parlato. Lo trovò solo abbassando lo sguardo: era stato uno dei bambini, l’unico con gli occhiali, che staccatosi dagli altri l’aveva raggiunta.

«Mi conosci?» mormorò stupita.

Per tutta risposta il ragazzino sorrise soddisfatto. «Indossi un’uniforme della Tootsuki» spiegò. «Inoltre hai tratti simili a quelli del Preside Senzaemon, sono bravo con le fisionomie; il tuo atteggiamento sprezzante verso i cibi “comuni” dice che sei abituata a ben altro, e dubito che un normale studente della Tootsuki, per quanto proveniente da una famiglia prestigiosa, si faccia tutti questi problemi per mangiare in un bar. Ho però sentito parlare del Palato Divino, così ho pensato che potessi essere tu».

Erina rimase a fissarlo ad occhi sbarrati. Non pensava di essere così famosa anche tra i bambini.

Il suono di un applauso la riscosse. Isshiki era tornato al tavolo e ci aveva posato un piatto, per poi complimentarsi con il piccolo detective. Lo vide piegarsi all’altezza del bambino. «Una deduzione niente male» gli disse. «Come ti chiami, piccolo?»

Il bambino esitò un solo secondo. «Conan Edogawa».

«Bene, Conan» affermò Isshiki alzandosi «vuoi unirti a noi?»

Erina lo guardò scioccata. Quanto aveva intenzione di fermarsi in quel posto?

«Grazie» rispose Conan, «ma i miei amici mi stanno chiamando». In effetti tre degli altri quattro bambini gli stavano facendo dei cenni piuttosto espliciti.

«Sarà per un’altra volta allora» concluse Satoshi, studiando il bambino con curiosità.

«Certo. Buon appetito, Nakiri-san!» augurò il detective prima di riunirsi al suo gruppo.

«Che bambino curioso» commentò Isshiki. Erina si strinse nelle spalle.

«Strano, semmai». Portò l’attenzione sul piatto al centro della tavola.

«Dei tramezzini?»

«Non essere così stupita; non puoi pretendere che abbiano del pollo in crosta».

La ragazza alzò gli occhi esasperata. «Dovrai impegnarti, per farti perdonare» sentenziò prendendone, sia pur esitante, uno.

Isshiki prese l’altro e le sorrise. «Oh, non preoccuparti. Assaggiamo?»

Lo sguardo di Erina smise di essere apatico non appena ebbe il tramezzino in mano.

«È caldo» constatò.

«Quando il tramezzino è freddo, si avverte più la freschezza che non il sapore» intervenne il cameriere biondo. Quando si era avvicinato al tavolo? Erina non ci aveva fatto caso.

«È un onore averla qui, Nakiri-san».

Erina avrebbe voluto chiedergli come faceva a conoscerla, ma decise di lasciar perdere.

«Per questo hai scaldato il pane nella pentola a vapore, così che assorbisse l’umidità! Interessante» commentò Isshiki. «In questo modo, diviene anche più soffice».

Il cameriere sorrise. «Sì, esatto. Per questo tipo di preparazione è preferibile un pane un po’ più duro, quindi va bene anche quello economico. In questo modo riesco a tenere basso il prezzo».

La Nakiri ascoltò quello scambio con stupore. Non pensava che dietro ai tramezzini – o qualsiasi altra pietanza, se per questo – di un bar si nascondesse tanta riflessione.

A dirla tutta, era convinta che si limitassero a prendere due pezzi di pane e farcirli con il primo ingrediente che avessero a disposizione.

Vide Satoshi dare il primo morso e lo imitò.

Non si aspettava un sapore così… deciso, ma le fu subito chiaro il perché.

«Capisco» l’anticipò il ragazzo. «Ti sei servito dell’olio d’oliva per rinforzare il gusto del prosciutto».

«In questo modo hai rimediato alla sua bassa qualità…» mormorò Erina, quasi indispettita dall’inaspettata abilità culinaria del biondo. «Ma c’è di più».

«Ti riferisci alla croccantezza dell’insalata?» domandò Satoshi, per contraddirsi da solo subito dopo. «No, è qualcos’altro…»

«Ho aggiunto» iniziò il cameriere, ma Erina non lo lasciò finire.

«Miso» disse. «Hai sfruttato la combinazione di olio d’oliva e miso aggiungendo un pizzico di quest’ultimo alla maionese».

Il biondo applaudì ammirato. «Sei la prima a capirlo» rivelò. «Non che mi aspettassi di meno, dal Palato Divino».

Erina lo guardò negli occhi. «Chi sei?»

«Tooru Amuro-kun, al tuo servizio» si presentò lui.

«No, intendevo» continuò lei «chi sei? In questo tramezzino c’è troppa cura per una semplice pietanza da bar. Hai frequentato una scuola di cucina?» Non riusciva a capire.

Amuro scosse la testa. «Sei gentile, ma non è niente del genere. Semplicemente tengo a ciò che faccio».

Lei non parve convinta. Notò che Satoshi la stava fissando – chissà da quanto.

Si alzò. «Un lavoro decente» mormorò dirigendosi all’uscita.

«Davvero» aggiunse il suo accompagnatore. «Grazie per il pasto».

Usciti dal locale, rimasero in silenzio per un po’, camminando verso la stazione.

«Perché mi hai portata lì?» si decise finalmente a chiedere la ragazza.

«Volevo mostrartelo» rispose lui. «Non importa a che livello, c’è sempre gente che mette passione in ciò che fa. Ho trovato spesso spunti interessanti in locali “popolari”. Non per nulla Saiba-san lavora in una tavola calda. L’hai dimenticato?»

«Non l’ho dimenticato, ma…» esitò. «Pensavo si stesse limitando. Che lì fosse sprecato».

Satoshi le sorrise. « è nato Yukihira. È cresciuto piuttosto bene, no?»

Il solo pensiero del ghigno irritante del compagno di classe l’innervosì. «Si può decisamente lavorare sull’atteggiamento» replicò, ma capì cosa intendesse dire.

Pur crescendo in una tavola calda, o forse proprio per questo, Yukihira era arrivato alla Tootsuki con abilità già migliori rispetto alla media.

«Volevi dirmi che i miei pregiudizi sono sbagliati, insomma» concluse atona.

Era difficile dimenticare le idee che le avevano inculcato fin dall’infanzia.

«Che non esiste un piatto indegno d’essere assaggiato».

«Più o meno» confermò Isshiki. «Ma non volevo solo dirtelo. Volevo che lo vedessi con i tuoi occhi, o meglio: lo sentissi con il tuo palato».

Aspettò un po’ prima di rispondere. Le seccava, ma… aveva avuto ragione lui, quella volta.

«Ci sei riuscito» ammise senza guardarlo. «Come mai hai scelto proprio quel bar? C’eri già stato?»

Lui scosse la testa. «Mai. Aspettavo di vedere quello giusto; poi aveva un bel nome».

Non sapeva se credergli o meno, ma decise di lasciargli il beneficio del dubbio.

«Comunque» riprese superandolo – erano arrivati in stazione –, «quel posto era davvero strano. Il cameriere aveva un’aria misteriosa, e quel bambino… era inquietante».

«Il bambino? Sei troppo severa» rise Satoshi.

«Mi ha dato i brividi» insisté Erina piccata, ripensando al tono lucidamente deduttivo di quel “Conan”. Stonava decisamente con la sua immagine di un alunno delle elementari.

«Io ero piuttosto sveglia, alla sua età, ma lui esagera».

Lui rise ancora, stavolta senza ribattere. Le aprì la porta dello scompartimento con un inchino teatrale. «Erina-sama» disse invitandola ad accomodarsi.

La sua faccia divenne color peperone. Satoshi raramente la chiamava per nome, ma ad imbarazzarla fu sentirgli dire “sama”. In bocca a lui stonava, per qualche motivo.

«Non chiamarmi così» riuscì a bisbigliare entrando.

«Ai tuoi ordini» acconsentì lui seguendola.

Evitando il suo sguardo, Erina guardò fuori dal finestrino. «Anche se il cibo non era così male, mi aspetto che tu ti faccia perdonare» dichiarò cercando di suonare decisa.

«Ma certo. Ho già qualche idea» rispose lui tranquillo.

«E la prossima volta devi dirmi dove andiamo».

«Questo non posso prometterlo».

Erina sospirò. D’altra parte il mistero era parte del fascino del ragazzo.

«A volte è difficile capirti» sussurrò mentre il treno partiva.

Ebbe la curiosa sensazione di scorgere sulla banchina un familiare bambino con gli occhiali.

Avvertì un brivido. Non poteva essere lui… oppure sì?








NdA

Salute a voi, o coraggiosi!
Penso ad un cross-over tra questi due anime, o perlomeno ad Amuro nel mondo di SnS, da quando ho visto l'episodio 813, ovvero: il Filler più bello che sia mai esistito.
Un vero capolavoro.
Vi spoilero la trama: un tipo sospetto si aggira intorno ad Amuro, seguendolo anche al supermercato - cosa vorrà mai?
Nient'altro se non scoprire il segreto dei suoi buonissimi tramezzini, perché l'uomo sospetto è in realtà un panettiere che li ha amati ma, con sua somma tristezza, non riesce a ricrearli.
E niente, fa già ridere così, se poi sapete chi è Amuro vederlo spiegare serissimo tutti i trucchi della sua cucina può essere un'esperienza esilarante.
Bene, l'ultimo capitolo di SnS [che non ho considerato per stendere questa OS, anzi, ho deliberatamente ignorato tutte le conseguenze della saga di Azami] è stato commentato "Shokugeki No Conan", ricordandomi che dovevo scrivere questa storia.
Ed eccola.
I libri mi reclamano -hounesamedomanisigh-, perciò chiudo qui.
Grazie mille per aver letto, spero di avervi strappato una risata o due ^_^
Alla prossima!

Mari
  
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