Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: Chiga    03/06/2018    0 recensioni
Due restauratori, una danese e un italiano trovano dei misteriosi segni in un mosaico. Il tentativo di risolvere il mistero si intreccia alla nascita di un rapporto tra i due.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un  leggero  vento aveva spazzato via le poche nubi rimaste, regalando luce e tepore a quella mattina d’Aprile sulla costa calabra. Regine era intenta ad osservare il Tirreno, ad intravederne le acque cristalline; percepiva forte il profumo dei cedri. Sentiva il suo corpo immergersi nella natura e farsi tutt’uno col paesaggio: di fronte, il mare in cui si gettavano gli scogli intervallati da tratti di sabbia scura, alle spalle,  i monti dell’Orsomarso del Parco nazionale del Pollino. “Suggestivo!” mormorò mentre infilava gli occhiali da sole e controllava l’orologio. La posizione delle lancette sul quadrante la riportò alla realtà.
Il motivo  per cui era in quel luogo non era turismo, ma lavoro; un lavoro che lei amava e che non la stancava mai, anche quando i suoi occhi, le sue mani, la sue membra erano affaticati.
La  sua attività era una vera e propria arte, quella del restauro. La passione artistica, nata fin da ragazzina, l’aveva condotta ormai giovane donna ad abbandonare Copenhagen e a trasferirsi in Italia per avere l’opportunità di studi più specifici e di un’esperienza sul campo. La sua specialità era il restauro di mosaici.
“Buon giorno signorina Olsen, benvenuta tra noi!” disse il professor Rambaldi scendendo da una grossa jeep nel luogo convenuto per l’appuntamento. L’uomo la fece salire, dicendole che le avrebbe presentato successivamente il resto dell’equipe che era già sul posto.
Dopo un breve tragitto verso l’interno, collocata su un’altura apparve una chiesetta con il tetto malmesso ed il campanile puntellato da travi. “E’ una chiesa dell’XI secolo” disse il professore “A vederla così da fuori sembra un rudere di limitato valore artistico, ma dentro nasconde un piccolo tesoro, vedrà con i suoi stessi occhi!” proseguì lui. Nello spazio antistante la piccola chiesa, i restauratori avevano disposto gli attrezzi ed il materiale necessario dopo averli scaricati dal furgone.
Fu in quello scenario che Regine conobbe i suoi compagni di lavoro: Ambra e Donato, due giovani dai modi cordiali che, al momento delle presentazioni, dissero di provenire da Ravenna. Insieme a loro c’era anche un uomo sui 45-50 anni, carnagione olivastra, fronte bassa, capelli ricci e labbra carnose. Proprio a quest’ultimo si rivolse il professore “Salve Rocco, dov’è il dottor Chirchigò?”
Egli rispose:”Il suo assistente è già dentro, professore!”
Come evocato da quelle parole, uscì dalla porta della chiesa un giovane alto e magro che si  avviò verso di loro. Quando Regine se lo trovò di fronte vide la fronte spaziosa, il viso allungato, i grandi occhi verdi ornati da lunghe ciglia, i folti capelli biondo scuro, mossi e leggermente spettinati. “Piacere, sono Chirchigò, o meglio Severino!” disse lui “Diamoci del tu e chiamiamoci per nome, visto che dovremo lavorare insieme” aggiunse. Aveva pronunciato quell’ultima frase tutta d’un fiato come uno scolaretto che, dopo aver studiato un verso, voglia recitarlo subito per timore di dimenticarlo. Era un giovane molto riservato, lontano dall’allegra spensieratezza dei suoi coetanei. Scrupoloso ed attento nel lavoro, godeva della piena fiducia di Rambaldi che nel suo campo era un genio.
Entrarono nella piccola chiesa; questa era a navata unica e riceveva la luce da sei monofore arcate laterali, alle pareti s’intravedeva qualche traccia d’affresco molto sbiadita.
Poi scesero nella cripta e qui, dalla penombra apparve il “piccolo tesoro”: un mosaico parietale cristiano raffigurante Gesù che parla a due apostoli. L’oro dello sfondo, pur leggermente deteriorato, conservava le sue vibrazioni mentre le tessere costituenti i personaggi, danneggiate o mancanti, alteravano profondamente la superficie musiva. Il lavoro si presentava difficile, ma stimolante.
Il professore affidò a Regine e Severino il compito più complesso, quello di ridare vita ai personaggi mentre  Ambra e Donato si sarebbero dedicati al restauro dello sfondo. Lui, in qualità di direttore dei lavori, avrebbe avuto la supervisione e la responsabilità di tutto. E Rocco? Lui non era né un restauratore né un esperto di storia dell’arte. La sua funzione era puramente logistica;  radicato nel territorio di cui conosceva bene usi e costumi, provvisto di una buona capacità organizzativa e delle conoscenze appropriate, svolgeva un lavoro non marginale. Si misero al lavoro di buona lena, cominciando col valutare gli interventi da effettuare. Dopo questa operazione preliminare, Severino cercò di ricostruire attraverso un disegno i personaggi del osaico. Regine che era accanto a lui lo osservava mentre era chino sul foglio : ne vedeva il profilo delicato, il mento ben definito, il naso sottile, la cui linea aveva una leggerissima prominenza, lo sbattere delle ciglia, il vezzo di passarsi ogni tanto una mano tra i capelli. Lo guardava  e le sembrava un giovane diverso, un giovane eccezionale; sicuramente uno che suscitava il suo interesse e il desiderio di conoscerlo meglio.
Severino, percependo lo sguardo attento di lei, alzò gli occhi dal disegno, distese le labbra in un sorriso e la osservò a sua volta: i capelli castano chiaro, raccolti in una coda di cavallo, avevano la scriminatura centrale che metteva in risalto la fronte, gli occhi azzurri, grandi ed espressivi, risaltavano in un viso delicato dall’ovale perfetto, la bocca minuta, ma carnosa, sembrava un piccolo cuore pulsante.
Il giovane pensò che sarebbe stata una buona compagna di lavoro mentre mentalmente ripeteva il suo nome e cognome che sembrava evocargli qualche lontano ricordo. Poi si concentrò di nuovo sull’attività che stava svolgendo.
Nei giorni seguenti iniziarono le operazioni di restauro che si presentarono subito complesse, costringendo Regine e Severino ad un lavoro molto impegnativo; ma i due, stando così a stretto contatto per diverse ore, ebbero modo di apprezzarsi vicendevolmente e spesso dopo il lavoro andavano vicino al mare ad osservare il tramonto. Proprio nel paese dove alloggiava l’equipe, destinato a rimanere ancora per pochi giorni regno di pescatori, finché non fosse stato preso d’assalto dal turismo balneare, Regine e Severino s’incontravano e parlavano a lungo.
Il giovane, fin dal primo giorno in cui l’aveva conosciuta, era rimasto colpito da quel nome che gli riportava alla mente un personaggio di cui aveva sentito parlare. Col passare del tempo, grazie a uno sforzo di memoria e all’aiuto di qualche libro, riuscì a ricordare. Ne aveva parlato il suo professore  al Liceo quando aveva spiegato Kierkegaard, il filosofo danese che con la sua analisi esistenziale aveva suscitato grande interesse in lui e nei suoi compagni. All’epoca aveva studiato che il giovane Kierkegaard si era fidanzato con una fanciulla, appunto Regine Olsen; un anno dopo però lui  ruppe il fidanzamento poiché si sentiva inadeguato ad una vita normale e parlava di una “spina nella carne”. Dopo la separazione tra i due, il filosofo trasfigurò il rapporto con la fanciulla amata trasferendolo su un piano “celeste” in cui tra loro c’erano solo vincoli spirituali ; la considerò come la sua  “lettrice privilegiata” e ne fece il punto di riferimento ideale di alcuni suoi scritti. Considerato che il nome di  Kierkegaard era SÖren che in italiano viene tradotto con Severino, il nostro giovane vide un segno del destino nel suo incontro con Regine che portava lo stesso cognome della fanciulla amata dal filosofo ed era anche lei di Copenhagen.
Un pomeriggio sul tardi, al termine di una giornata di lavoro impegnativa,  Severino si fece coraggio e, complice uno splendido mare in cui il sole andava calandosi pian piano, portò il discorso sulla storia di  SÖ_ ren Kierkegaard e Regine Olsen. La giovane non fu turbata, ma sicuramente meravigliata dalle sue parole.
Non avrebbe mai immaginato che un italiano conoscesse così bene  fatti accaduti in Danimarca tanti anni prima. Dopo il primo momento di stupore, cominciò a raccontare quello che sapeva, anche se quegli eventi non avevano mai avuto un significato per lei, anzi percepiva questa omonimia con leggero fastidio. Regine disse di discendere dalla famiglia cui  era appartenuta la fanciulla amata dal filosofo, ma anche di non conoscere molti particolari. Sapeva quello che era di pubblico dominio, cioè che qualche anno dopo la rottura del fidanzamento Regine aveva sposato un altro da cui ebbe dei figli e che Kierkegaard quando stava per morire le lasciò le  sue carte.
“Ma sono fatti di un secolo e mezzo fa !” disse la giovane “Perché t’interessa tanto questa storia?”
Allora Severino, cercando di dominare l’ansia che lo stava prendendo, decise di mettere al corrente Regine di quello che gli frullava in testa da un po’ di giorni.
“Non ridere di me” esordì “Ma credo proprio che il Destino abbia voluto farci incontrare per riscrivere la storia di Regine e  SÖren !”.
“Che c’entra?” rispose lei “E’ vero sono parente ed omonima di quella fanciulla, ma tu con Kierkegaard non hai alcun legame!”
“Legami di parentela sicuramente no !” replicò lui “Ma il mio nome , Severino, è la  traduzione italiana di  SÖren  ed il mio cognome, Chirchigò, ha una certa assonanza con quel famoso cognome; tra l’altro,  essendo io siciliano, ho antiche origini normanne. Non ti sembra strano tutto ciò?”.
Regine ci pensò su un po’,  poi mostrando un forte senso della realtà disse: “Forse le tue sensazioni sono giuste, ma per ora pensiamo a vivere questa nostra amicizia, a costruire un rapporto basato sull’affetto, gli interessi comuni, il lavoro. Non lasciamoci condizionare da persone che non abbiamo mai conosciuto e il cui ricordo potrebbe alterare quello che di bello c’è tra noi. Non facciamo scelte di cui potremmo pentirci !”.
Severino annuì e nei giorni successivi non ritornò più sull’argomento.
Intanto il lavoro di restauro procedeva con molta lentezza, sia per i problemi che c’erano stati con i colori delle tessere sia perché si poteva procedere solo a piccolissime zone per effettuare una ricostruzione delle figure il più  fedele possibile. Severino e Regine lavoravano gomito a gomito in perfetta sintonia; talvolta erano talmente presi da dimenticare il resto dell’equipe. Bastava però l’intervento di Donato che, con il suo sguardo ammiccante e i suoi baffoni, pronunciasse una battuta per strappare loro una risata. Quel giovane era sempre allegro e anche quando si presentava qualche intoppo, sapeva sempre prenderla nel modo giusto. Ambra invece, col passare dei giorni, iniziò a manifestare una certa rivalità nei confronti di Regine, man mano che si rendeva conto delle competenze della giovane danese e della conseguente stima che il professor Rambaldi nutriva verso di lei. Il rapporto tra donne è spesso conflittuale, ma l’ambiente di lavoro perde serenità e proprio questo accadde durante quel restauro. Ambra scuoteva i suoi riccioli fulvi, serrava le labbra ed arricciava il naso di fronte a qualsiasi cosa Regine dicesse o facesse. Questo suo insensato atteggiamento la portò a condizionare anche Donato che spesso intervenne, suo malgrado, a sostegno della sua amica e concittadina. Lei  cercava di emarginare Regine screditandola ed era sempre intenta a  confabulare con Rocco che cominciò a guardare in cagnesco  “la danese”. In questa situazione poco piacevole, Regine risultava tuttavia vincente, perché le uniche persone che per lei contavano veramente, Rambaldi e Severino erano dalla sua parte.
Un’afosa mattina d’estate mentre il professore e il suo assistente stavano  parlando all’ombra di un albero, videro Regine uscire dalla chiesa e correre verso di loro.
“Vieni a vedere!” disse prendendo per un braccio Severino. Il giovane si scusò con il professore e la seguì nella cripta. “Osserva bene questi segni; si trovano nel secondo strato, ma non sono schizzi dei contorni esterni, specie di prove che usavano fare nel medioevo, sono segni incomprensibili !”.
Regine aveva ragione,  sul lato destro del mosaico si vedevano degli strani segni.
“Brava!” disse lui “Lasciami osservare meglio”. Avvicinò una delle lampade che illuminavano la cripta, aggiunse anche una grossa torcia, prese una lente d’ingrandimento e iniziò la sua indagine scrupolosa.
Per quanto Severino si sforzasse non riusciva a venire a capo di nulla; comunque, visto che il responsabile dei lavori era il professore, lo avvertì immediatamente. Rambaldi arrivò poco dopo scortato da Rocco che dette  la sua  completa disponibilità a fornire supporto. Il professore disse che gli avrebbe fatto sapere, ma per il momento voleva comprendere la vera natura di quei segni. L’uomo se ne andò contrariato, borbottando qualcosa.
Ora Rambaldi era lì che osservava, il tronco massiccio piegato in avanti, i capelli un po’ lunghi sulla nuca, la barba brizzolata. La luce della lampada si rifletteva sui suoi occhiali e rimandava l’immagine di segni geometrici e numerici incisi sulla parete. Dopo aver osservato attentamente, si rivolse a Regine e Severino che erano lì in religioso silenzio : “Queste zone della Calabria hanno visto la dominazione di vari popoli : bizantini, longobardi e poi di nuovo bizantini, normanni, svevi, angioini, aragonesi. La costruzione di questa chiesa dovrebbe essere avvenuta tra la fine del dominio bizantino e l’inizio di quello normanno come testimonia il mosaico, ma queste figure, elementi geometrici e numeri incisi in maniera così imprecisa e grossolana, mi fanno pensare ad una base che non era più “fresca”, quindi potrebbero essere di moltissimi anni posteriori alla costruzione. Se poi aggiungiamo che la chiesetta  è rimasta abbandonata per un lungo periodo, la questione non può che intricarsi sempre più”.
“Come dobbiamo comportarci, professore?” chiesero all’unisono i due giovani. Rambaldi riteneva che la soluzione migliore fosse quella di fermare i lavori per qualche giorno ed intanto avvertire la Soprintendenza  per le Belle Arti. Comunicò ai due la sua intenzione ed indisse una riunione con l’equipe al completo per metterla al corrente dei fatti. Ambra e Donato, appena appresero la notizia della misteriosa scoperta, dettero sfogo alla loro immaginazione; cominciò lei in particolare a fantasticare di pittoreschi viandanti che nei secoli scorsi sarebbero passati per quella chiesa e , alla vista del mosaico, avrebbero voluto lasciare un proprio segno d’apprezzamento.
Il forzato riposo di qualche giorno venne accolto in generale positivamente poiché visto come un’insperata opportunità di godersi il mare e il sole senza limite alcuno. Solo Rocco mostrò il suo disappunto, protestando vivamente contro le decisioni di Rambaldi che, dall’alto della sua posizione non ebbe però difficoltà a farlo rientrare nei ranghi.
Trascorsero così alcuni giorni in cui i giovani restauratori si calarono nelle vesti di vacanzieri, crogiolandosi al sole e facendo lunghe nuotate. Il professore era però in continua tensione; vedeva il suo lavoro bloccato e i contatti con la Soprintendenza rallentati dalla burocrazia e dalle ferie estive. All’inizio di Settembre la situazione si sbloccò : riuscì a parlare telefonicamente con il Soprintendente in persona, appena rientrato e molto interessato alla questione; così ottenne un appuntamento con un funzionario che avrebbe esaminato i misteriosi segni.
Il giorno convenuto, i quattro giovani restauratori si recarono alla chiesetta dove Rambaldi doveva incontrare l’inviato della Soprintendenza; erano tutti ansiosi di conoscerne il verdetto. Arrivati nello spiazzo antistante non videro il professore ad aspettarli, si guardarono intorno: non c’era nessun’altra auto, solo la jeep che conoscevano bene. Dopo qualche esitazione, decisero di entrare.
Severino che guidava il piccolo gruppo, quasi in una sorta di presagio chiamò: “Professore, professore è qui?”. Nessuna risposta.
Procedette verso le scalette che conducevano alla cripta, facendo segno agli altri di seguirlo. Mentre si avvicinava i suoi piedi trovarono un ostacolo, quasi inciampò nel corpo che era disteso, riverso sul pavimento in una pozza di sangue. Severino, incapace di muoversi, lanciò un urlo che rimbombò nella piccola chiesa. Donato si chinò e disse : “E’ ancora caldo, deve essere morto da poco!”.
Regine e Ambra  si abbracciarono forte, come per farsi coraggio. La tragicità dell’evento era superiore a qualsiasi rivalità. Fu Donato a telefonare ai carabinieri che  in breve furono sul posto.
“E’ morto sparato!” fece il maresciallo “Qualcuno deve averlo colpito alle spalle con una pistola. Guardiamo bene e con un po’ di fortuna troveremo anche la pallottola o il bossolo!”disse ai due appuntati che erano con lui.  Mentre i carabinieri davano il via alle indagini, giunse una macchina. Era il funzionario della Soprintendenza che, di fronte a tutto quel trambusto, rimase sbigottito. Cercò Rambaldi, ma ormai era troppo tardi , allora si rivolse a Severino : “Mi  scuso per essere arrivato in ritardo all’appuntamento, ma stamattina c’era  molto traffico ed ho incontrato anche un incidente sulla strada. Adesso però credo che la mia presenza sia superflua; esprimo comunque profondo cordoglio anche a nome del Soprintendente !”.
L’uomo dopo aver parlato con i carabinieri, risalì in auto e se ne andò. Proprio in quel momento sopraggiunse Rocco che, con il viso contratto e la voce malferma, s’informò dell’accaduto.
“Possibile che non posso lasciarvi soli?” disse rivolto ai quattro giovani “Vi rendete conto che è successo un fatto gravissimo? Se ci fossi stato io,  il professore sarebbe ancora vivo!” continuò con voce roca.
I due appuntati lo fissarono, poi spostarono lo sguardo sui restauratori attoniti ed infine si scambiarono un’occhiata d’intesa. “Noi continuiamo le ricerche” dissero.
L’arrivo di Rocco aveva rotto quel legame solidale che la tragedia aveva prodotto. Così ognuno rimase solo con sé stesso a rimuginare sull’accaduto, ma nessuno avrebbe mai abbandonato la scena del delitto.
Ad un tratto uno degli appuntati gridò : “Maresciallo, ecco la pallottola! Si era conficcata nel muro dopo aver trapassato quel poveretto”. Regine che era ansiosa di scoprire la verità e aveva uno spiccato spirito d’osservazione aveva seguito passo, passo le operazioni dei carabinieri e, proprio mentre loro estraevano la pallottola dal muro, non le sfuggì la conversazione tra il maresciallo e i suoi sottoposti : “Vi ricordate che  in queste zone diversi anni fa ci fu un sequestro che durò alcuni mesi ? Fu pagato il riscatto, ma della vittima non si seppe mai niente”.
“Certo che mi ricordo, cambiavano spesso nascondiglio e una volta siamo arrivati vicino a questa chiesetta abbandonata, ma inutilmente!” disse il più anziano degli appuntati. “Vuoi vedere che sotto, sotto c’è qualche mistero?” commentò quello più giovane.
All’ascolto di queste parole, la mente di Regine cominciò a lavorare; le ipotesi si accavallavano le une sulle altre in maniera un po’ confusa, ma un’idea era ben chiara : doveva esserci un legame tra il sequestro, i segni sul muro e l’uccisione del professore.
La morte di Rambaldi avrebbe posto fine almeno temporaneamente alle operazioni di restauro, ma lei, prima di lasciare quei luoghi e tornarsene al suo monolocale di Milano, era decisa a risolvere il caso. Così la sera insieme a Severino prese a riesaminare, alla luce di queste nuove informazioni, i segni misteriosi che avevano riportato su un cartoncino. Regine li studiò a lungo e cercò d’immedesimarsi in una persona che fosse stata sottoposta  a sequestro. “Io avrei cercato di lasciare una traccia, un segnale del mio passaggio in quel  luogo” disse lei mentre Severino dovette convenire che la cripta potesse essere stata davvero un buon nascondiglio. I segni che sembravano numeri potevano indicare il mese e l’anno del sequestro; il segno pittografico formato da un cerchio poggiato sopra  un triangolo da cui uscivano due piccole linee poteva riprodurre una figura umana. Infine, la sequenza di punti e linee su cui tanto si erano interrogati probabilmente non era altro  che un maldestro tentativo di servirsi dell’alfabeto Morse.
In questo momento tutto appariva chiaro, quei segni misteriosi adesso non lo erano più. Erano solo un disperato tentativo di richiesta d’aiuto. Ma perché l’omicidio di Rambaldi?
Per uccidere una persona come lui, l’assassino doveva avere un motivo gravissimo ; su questo non c’erano dubbi!
Il mattino seguente Regine e Severino si recarono alla stazione dei carabinieri per mostrare il cartoncino con i segni e trovare una conferma alle loro ipotesi. Il maresciallo si mostrò molto interessato e fece menzione di un sequestro avvenuto anni prima, la cui indagine era stata ormai chiusa da tempo.
“Sapete di qualcuno che ce l’avesse con la vittima? Siete a conoscenza di un’offesa, di un litigio in cui il professore sia stato coinvolto durante il restauro?” chiese l’uomo.
Severino ci pensò un po’, ma al momento non gli venne in mente nulla.
Regine invece, che oltre all’intuito aveva anche un’ottima memoria, disse : “In realtà un litigio c’è stato, eccome! Quando Rambaldi ha sospeso i lavori per gli strani segni trovati e ha avvertito la Soprintendenza, Rocco è andato su tutte le furie. Voleva assolutamente che il restauro proseguisse senza avvertire nessuno. Disse che quei segni non avevano alcun significato e sicuramente erano solo l’oltraggio di qualche vagabondo miscredente; per lui non si doveva fermare nulla, ma al contrario sbrigarsi a ricostruire il mosaico”.
“Potrebbe essere una buona pista!” replicò soddisfatto il maresciallo “Ne terremo conto nelle indagini, ma ora devo congedarvi. Rimanete comunque a disposizione come tutti gli altri” concluse.
Non restava altro che aspettare. Regine e Severino godettero ancora l’incanto del mare, di quei tramonti che di giorno in giorno anticipavano un po’. S’immersero di nuovo in quella natura che aveva costituito la scena della loro amicizia e poi del loro amore. La rappresentazione era ancora in  atto e loro facevano progetti per il futuro mentre passeggiavano tenendosi per mano.
Anche Ambra e Donato, loro malgrado, erano dovuti rimanere in paese durante lo svolgimento delle indagini ; l’unico che sembrava essersi volatilizzato era Rocco.
Proprio l’atteggiamento non collaborativo dell’uomo e il suo essersi allontanato senza avvertire allarmarono ulteriormente i carabinieri che, dopo il racconto di Regine, avevano già indirizzato su di lui i loro sospetti. L’arma del delitto era una Beretta calibro 7 e 65, ma ovviamente non era stata trovata.
Dopo pochi giorni però, incrociando i dati relativi al sequestro, i segni misteriosi sul muro, il passato di Rocco e il suo porto d’armi, questi venne arrestato e costretto a confessare.
L’uomo non aveva partecipato al sequestro, ma quando i colpevoli, rimasti impuniti, erano venuti a conoscenza dell’imminente restauro, lo avevano incaricato di farsi assumere dal professor Rambaldi per controllare che durante i lavori non venisse a galla nulla di “spiacevole”.  La cripta infatti era stata non solo l’ultimo luogo di prigionia del sequestrato, ma anche la sua tomba. Proprio il giorno in cui doveva essere liberato in seguito al pagamento del riscatto, il malcapitato vide in faccia i suoi “carcerieri” e questi l’uccisero. Le sue spoglie erano state deposte in quello che i malviventi considerarono il luogo più sicuro : un sepolcro della cripta. Un posto che all’epoca dei fatti sembrava abbandonato da tutti.
Rocco si era visto costretto ad uccidere il professore quando aveva avuto conferma dell’arrivo del funzionario della Soprintendenza; non poteva permettere che prendessero il via ricerche di alcun tipo.
Il caso era stato risolto,  il colpevole dell’omicidio era stato  assicurato alla giustizia, la morte del professore era stata vendicata.
Fu riaperta anche l’indagine relativa al sequestro e con tempi un po’ più lunghi, la giustizia avrebbe trionfato anche in quel caso.
Visto che alla piccola chiesa erano stati posti i sigilli, il restauro  venne rinviato a data da destinarsi.
I quattro giovani erano ora  liberi di tornare alle loro vite, anche se dopo quell’esperienza nulla sarebbe stato più come prima. Lo sconvolgimento maggiore riguardò soprattutto l’esistenza di  Regine che durante quei mesi aveva visto crescere a dismisura il suo amore per Severino, tanto da farle scegliere di abbandonare Milano per seguirlo a Roma dove lavorava all’Accademia di Belle Arti.
Forse aveva ragione lui, il destino aveva voluto offrire una nuova occasione a due giovani  che nel nome ricordavano una coppia d’innamorati che un secolo e mezzo prima era stata divisa da una diversa “chiamata”.
Severino era pronto ad essere un uomo innamorato e un futuro marito.
Tra le molteplici possibilità delle loro esistenze, avevano scelto di scegliersi a vicenda come compagni di vita.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Chiga