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Autore: Ghostclimber    04/06/2018    2 recensioni
Hanamichi è stato lasciato da Kaede, senza una spiegazione.
Seduto su una panchina del parco, si tortura con una canzone d'amore, ma l'intervento di una persona cara gli donerà una nuova speranza.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ayako, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Un po' mi manca l'aria che tirava,

o semplicemente la tua bianca schiena...”

 

Hanamichi Sakuragi era giù, molto giù.

Molto solo.

Quella canzone proprio non l'aiutava, ma lui l'ascoltava lo stesso.

Perché era vero, gli mancava la bianca schiena di Kaede, vederla contorcersi, tendersi, inarcarsi sotto di sé, muoversi come a voler approfondire un contatto che più profondo di così non poteva diventare.

Aveva pensato che sarebbe stato per sempre.

Evidentemente, si era sbagliato, come al solito.

 

“Io non piango mai per te,

non farò niente di simile...”

 

Bugia.

Questa era una bugia.

E Hanamichi, imperterrito, l'aveva ripetuta a tutti i suoi amici, compromettendo anche il legame onesto e sincero che aveva sempre avuto con loro.

Ma non poteva, non poteva ammettere questa sconfitta.

Poteva lasciare a Kaede la gloria sul campo, l'amore ignorante delle fan, tutto; ma non avrebbe mai ammesso che lui si era preso anche il suo cuore.

 

“Sì, lo ammetto, un po' ti penso,

ma mi scanso, non mi tocchi più...”

 

Dopo quell'ultima, rovinosa volta, non si erano più toccati volontariamente.

Una volta sola, durante una partita, Kaede aveva sfiorato Hanamichi, mentre passava correndo, e lui aveva dovuto subire l'umiliazione di farsi sostituire.

Il casuale tocco del dorso della sua mano sul braccio l'aveva sbilanciato, gli aveva fatto venire delle fitte atroci al petto e aveva passato il resto della partita in spogliatoio a piangere, sordo ai richiami degli amici.

 

“Solo che pensavo quanto è inutile farneticare,

credere di stare bene quando è inverno e te

togli le tue mani calde,

non mi abbracci e mi ripeti che son grande...”

 

-È finita. Esci da casa mia.- con queste poche, lapidarie parole, Kaede l'aveva lasciato.

Hanamichi aveva pensato di non aver capito, era tutto il contrario delle parole dolci che lui gli aveva sussurrato durante il loro amplesso: “Mi completi, Hana, mi sento così intero quando sei dentro di me”.

 

“Che anche se non valgo niente perlomeno a te

ti permetto di sognare...”

 

Quante volte Hana l'aveva fatto sorridere con i propri megalomani progetti per il futuro?

Un giorno sarebbero andati a giocare negli Stati Uniti insieme.

Il giorno dopo sarebbero stati i più grandi campioni del Giappone.

Il giorno dopo ancora immaginava la loro futura carriera di allenatori.

Nei giorni più stancanti, si sarebbero laureati e avrebbero solo vissuto insieme, si sarebbero trovati la sera sul divano di casa loro a raccontarsi la giornata, Kaede veterinario con i suoi pazienti pelosi e Hanamichi fisioterapista con i suoi pazienti incriccati.

 

“E se hai voglia di lasciarti camminare,

scusa sai non ti vorrei mai disturbare,

ma vuoi dirmi come questo può finire?

Non me lo so spiegare...”

 

Forse erano stati tutti quei progetti a lungo termine.

Si erano messi insieme da solo due mesi e già Hanamichi parlava di invecchiare fianco a fianco.

 

“Ma l'amavo e l'amo ancora...”

 

Quelle parole mai dette erano sempre rimaste sospese tra loro.

Tante volte Hanamichi aveva dovuto fermarle mentre già stavano per scivolargli dalla punta della lingua, quella lingua con cui tantissime volte aveva duellato con la bocca e il corpo di Kaede.

Non voleva dargli anche quella soddisfazione: Kaede era entrato come un temporale estivo nella sua vita, travolgendolo e sorprendendolo come un bagnante ancora in costume da bagno che ha sottovalutato la potenza delle nubi.

Si era preso il suo primo bacio e la sua prima volta, non voleva fargli capire che si era preso anche il suo primo, vero amore.

Hanamichi sospirò.

Non viveva senza Kaede.

 

-Hanamichi.- la voce dolce e apprensiva di Ayako riuscì a penetrare oltre la musica che usciva dagli auricolari dell'I-Pod di Hanamichi, che si sfilò una cuffietta.

-Tu stai male.- disse ancora Ayako.

Gli alberi di ciliegio dietro di lei fremettero e piansero un fiume di petali rosa, come a sottolineare la sua affermazione.

 

“E se sto così sarà la primavera...

ma non regge più la scusa...”

 

-Sto bene, è solo... la primavera, sai. Allergia.

-Non raccontarmi cazzate!- lo aggredì Ayako, -Tu stai male, lui sta male, sai cosa? Siete due imbecilli fatti e finiti!- Hanamichi si alzò in piedi e la prese per le braccia. Incurante dello sguardo intimorito di lei, strinse le mani e urlò: -Come, lui sta male? Che cos'ha? E come fai tu a sapere di lui? Come fai a sapere che sta male?

-Mollami, Hanamichi, mi fai male!

-Rispondimi!

-Kae... ahia... Kaede è mio amico, e sta male a causa tua!

-IO non ho fatto niente a lui, è lui che mi ha mollato, senza una parola, senza una spiegazione!- Hanamichi finalmente mollò la presa sulle braccia di Ayako, che se le massaggiò con mani tremanti. Lui si lasciò cadere sulla panchina mezza rotta del parco, del tutto svuotato. Con le mani sulla faccia a coprire le lacrime, confessò: -Io sono solo il coglione che lo ama ancora nonostante tutto.

-E allora, vai e diglielo, imbecille!

-Ayako, ma ci senti? Mi. Ha. Mollato!

-Certo che ti ha mollato, perché ha paura!- Hanamichi la fissò negli occhi.

-Ha paura di cosa? Gli ho... gli ho fatto male?

-No, idiota, ha paura che tu non lo ami!- Hanamichi rimase interdetto per trenta secondi buoni, poi capì: il suo errore non era stato fare tutti quei piani per il futuro, ma non lasciar scivolare quelle parole che aveva sempre immaginato di dirgli, di sentirgli dire.

Mai avrebbe pensato che Kaede Rukawa, la matricola dell'anno, la promessa dello Shohoku, potesse essere insicuro.

Si alzò dalla panchina e cominciò a correre verso casa di Kaede.

 

Dopo aver suonato il campanello era rimasto lì, in piedi, sentendo le vertigini arrivare in ondate così potenti che temeva di essere sul punto di svenire.

Cominciò a grattarsi il braccio sinistro, una vecchia abitudine nervosa della quale non era mai riuscito a liberarsi: spesso si grattava così forte da farsi sanguinare, senza peraltro migliorare la situazione dei propri nervi. Kaede l'aveva anche rimproverato, una volta che erano fuori a bere una cioccolata calda insieme; Hanamichi era nervoso perché si era appena accorto di non avere soldi e non sapeva come scusarsi. “Non farai altro che peggiorare la situazione”, gli aveva detto, appoggiando la mano calda sulla sua, “e smettila di preoccuparti, offro io. Mi ripagherai in baci.”

Kaede aprì la porta e Hanamichi vide i suoi occhi sgranarsi e il suo petto fermarsi a metà di un respiro.

-Cosa ci fai qui?- chiese Kaede gelido, recuperando quasi subito la compostezza. Ma il suo iniziale momento di smarrimento era bastato ad Hanamichi per fargli capire che Ayako aveva ragione.

-Ti amo. Sta' zitto e non interrompermi, dannato volpino. Ti amo e ti amerò sempre, ogni giorno della mia vita. Non m'importa se tu non mi ami, se un giorno o l'altro te ne vorrai andare senza di me, io ho bisogno che tu lo sappia: ti amo.- Kaede rimase in silenzio, gli occhi sgranati, incapace di pronunciare una sola parola.

Hanamichi bevve la sua immagine, dai jeans chiari che gli fasciavano le gambe muscolose all'I-Pod che gli ornava un passante, le cuffiette ripiegate in un taschino della felpa viola che portava slacciata sopra ad una t-shirt bianca.

Una voce da dentro la casa li riscosse entrambi: -Kaede, chi è?- un uomo alto e molto bello, con gli occhi della stessa forma di quelli di Kaede, li raggiunse sull'uscio. Kaede guardò lui, poi Hanamichi, poi arrossì. Hanamichi pensò che se non avesse detto qualcosa lui sarebbe morto sull'uscio di quella casa enorme.

-Hanamichi, ti presento mio padre. Papà, lui è Hanamichi, un mio compagno di squadra... e il mio fidanzato.- il cuore di Hanamichi gli saltò nel petto, mentre stringeva la mano tremante che lo sconvolto signor Rukawa gli tendeva.

-Vieni, amore mio.- disse la soave voce di Kaede. La sua mano calda, che non sarebbe più stata solo un ricordo, si posò sul suo polso, e insieme si andarono a sedere sul dondolo che c'era sotto il portico. Kaede smanettò un po' con l'I-Pod, poi si mise un auricolare e infilò l'altro nell'orecchio di Hanamichi.

Una voce maschile molto dolce cominciò a cantare in inglese:

 

“Non grattarti il braccio, peggiorerà solo le cose.

E non ci pensare nemmeno, non aprire il portafoglio,

posso pagare per te, è il minimo che possa fare.

Puoi ripagarmi in baci alla fine del mese.

Non mi appoggerò a te...

Non c'è fine per un amore come il nostro...

Non c'è fine per un amore come il nostro...

Non c'è fine per un amore come il nostro...

Hai qualcosa di brutto alle spalle,

gli occhi arrossati, non sono sorpreso.

Dai, raccontami ancora come sarà il futuro:

saremo io e te, una panchina e un portico,

vediamo un po' se lo stato sovvenziona due sciocchi che invecchiano...

Dovrei appoggiarmi a te?

Non c'è fine per un amore come il nostro...

Non c'è fine per un amore come il nostro...

Non c'è fine per un amore come il nostro...”



CREDITS:
"Non Me Lo So Spiegare", Tiziano Ferro
"No End", The Ark

 
   
 
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