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Autore: Spoocky    20/06/2018    1 recensioni
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What if dell'episodio 6x08 "Il nido del cuculo"
Don Flack viene aggredito sulla metro e riporta delle ferite più gravi del previsto. Mac gli fa visita in ospedale e scopre il vero motivo del suo comportamento sconsiderato.
Titolo e citazioni sono presi dalla canzone "Iridescent" dei Linkin Park [ https://www.youtube.com/watch?v=0NOIQxcCzzI]
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Don Flack, Mac Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: non possiedo né i personaggi né la canzone.

Buona Lettura ^.^ 
Do you feel cold and lost in desperation?
You build up hope but failure is all you’ve known?


Mac Taylor di solito non esprimeva apertamente le proprie emozioni.
In quel momento tuttavia era talmente divorato dall’ansia da non riuscire ad evitare di passeggiare nervosamente su e giù per l’ufficio mentre fissava intensamente il telefono come se avesse il potere di farlo squillare a comando.

In realtà non si aspettava una telefonata ma, visto lo stato delle cose, non poteva esserci altra conclusione logica: Donald Flack Jr, uno dei suoi collaboratori più fidati ed il suo riferimento nella Sessione Omicidi di New York, non rispondeva al telefono dalla mattina precedente, quando non si era presentato sulla scena del crimine.
Il suo telefono era irrintracciabile, in casa sua sembrava fosse esplosa una bomba ma di lui non c’era traccia, e la sua auto era parcheggiata in un vicolo nei pressi del Distretto, dove però non era mai entrato. Tanto che Mac aveva dovuto coprire la sua assenza con il tenente.
Nessuno che corrispondesse alla sua descrizione era stato ricoverato in ospedale e grazie a Dio neppure all’obitorio.
Tutto questo mentre uno dei peggiori serial killer del decennio imperversava in città.

A dirla tutta, il detective aveva preso una brutta piega da un anno a quella parte: la morte di Jessica Angel era stato un duro colpo per tutti ma lui le era legato sentimentalmente – stavano pensando al Matrimonio – e non si era ancora ripreso dal trauma. C’era anche qualcos’altro che lo stava divorando vivo, era peggiorato dal giorno in cui aveva ucciso l’assassino di Jessica.
Da parte sua Mac sapeva di non aver fatto abbastanza per sostenerlo, lui che più di tutti sapeva cosa volesse dire perdere una persona tanto cara, in quel momento difficile ma c’erano troppe cose a cui stare dietro: Danny paraplegico, il lavoro, questo serial killer. E Don si era allontanato, rinchiuso in se stesso, cercando rifugio nel lavoro e nell’alcool.
Era sempre stato molto discreto nelle sue cose e non si resero conto che avesse iniziato a bere finché Danny non gli aveva fatto visita una mattina in cui entrambi non erano di turno e lo aveva trovato svenuto sul divano, circondato da bottiglie di superalcolici piene a diversi livelli e lattine di birra.
Ripresosi, Flack gli aveva assicurato che si era trattato di un episodio isolato e che non aveva alcuna intenzione di ripetere l’esperienza.
Messer non ne fu affatto convinto e avvisò Mac in via del tutto informale, ma nessuno dei due aveva prove per dimostrare il contrario e comunque il detective si era sempre presentato sobrio e puntuale sul posto di lavoro.  
Entrambi si erano ripromessi di fare qualcosa, di starci attenti, ma c’erano sempre troppe cose a cui prestare attenzione, e comunque stava andando tutto bene.
Fino a quella mattina.
Ormai Mac non sospettava più, sapeva che stava succedendo qualcosa e poteva solo sperare che non fosse nulla di irreparabile.
Finalmente il telefono squillò.

“Detective Taylor? Sono Terence, l’informatore di Flack.”
“Sì, mi ricordo di te. Ti serve aiuto?”
“Grazie, detective, ma io sto bene: è Don ad essere nei guai.”
Proprio come aveva immaginato, le sue peggiori paure si stavano avverando e la voce gli tremò nel chiedere: “Cos’è successo?”
Dall’altra parte provenne un sospiro rassegnato, poteva quasi vedere Terence strofinarsi gli occhi per il nervoso: “Adesso sono nel parcheggio del Trinity Hospital, lo hanno appena portato dentro. Praticamente... stavo sulla metro e ad un certo punto ho visto due tizi grandi e grossi prendersela con un uomo a terra... calci e pugni come ad un incontro di MMA... normalmente mi sarei fatto gli affari miei ma quando uno ha tirato fuori il coltello non ce l’ho fatta a trattenermi. Li ho mandati via e ho soccorso il poveretto... solo allora mi sono accorto che si trattava di Flack...”
“Come sta?”Mac lo interruppe, l’ansia di sapere era troppo forte.
“Non bene. Non credo che siano riusciti a ferirlo con il coltello ma comunque lo hanno conciato proprio male: lo stavo portando a casa mia, per farlo riprendere... perché non era esattamente sobrio, capisce? Insomma, eravamo appena usciti dalla fermata della metro quando ha cominciato a vomitare e sputare sangue, poi è svenuto. Non è stato un bello spettacolo. Ho chiamato subito l’ambulanza e hanno parlato di ‘emorragia interna’, ‘trauma cranico’ e ‘shock ipovolemico’, lei ne capirà sicuramente meglio di me. Mi hanno chiesto di contattare un suo famigliare ma io ho visto il suo numero nelle chiamate perse di Flack e non sapevo chi altro chiamare...”
“Va bene, Terence. Hai fatto bene. Arrivo subito. Grazie.”
“Si figuri, detective! Flack mi ha parato il culo tante di quelle volte!  Non potevo certo lasciarlo lì. Solo, si sbrighi ad arrivare: non voglio pensino che faccio la corte ad uno sbirro.” E riattaccò.
Mac ordinò a Stella di sostituirlo nell’indagine sul Killer della Bussola e si precipitò immediatamente al Trinity Hospital.
 

Non fu sorpreso di non trovare Terence al suo arrivo, ma il personale medico lo aspettava e un’infermiera lo accompagnò fino al box dov’era ricoverato Flack.
L’informatore aveva ragione: non era un bello spettacolo.

Avvolto da teli sterili, su un lettino leggermente reclinato, il detective era pallidissimo e smagrito, sul viso aveva la ricrescita di un paio di giorni e respirava a fatica nonostante la cannula per l’ossigeno, un lato del volto era incrostato di sangue rappreso colato da un taglio in fronte che, stando ai medici, gli aveva causato una lieve commozione celebrale.
Il monitor accanto al cuscino segnava un battito rapido ed irregolare mentre una sacca di sangue zero negativo colava pigramente nel suo braccio insieme ad una bottiglia di fisiologica.
Le palpebre chiuse erano cerchiate di scuro ed il torace era un patchwork di lividi scuri, ad indicare un’emorragia ancora in corso. Nonostante avesse già perso molto sangue ancora non potevano operarlo: dovevano aspettare che smaltisse tutto l’alcool che aveva in circolo prima di procedere con l’anestesia.

La ragazza che lo aveva intercettato all’ingresso e che lo aveva identificato come il contatto per le emergenze del detective, gli aveva spiegato come un colpo violento al fianco sinistro avesse causato la rottura della milza, dando origine ad una grave emorragia interna: stavano aspettando il suo consenso per la splenectomia perché l’infortunato non era sufficientemente lucido da fornirlo, tra il post sbornia e il trauma cranico non poteva essere considerato in grado di intendere e volere.
Aveva firmato i documenti senza battere ciglio e mentre aspettava che accompagnassero Don in sala operatoria non volle perderlo di vista per un solo istante.
Grazie a Dio esisteva il segreto professionale e il personale ospedaliero non era tenuto a comunicare ad altri i risultati del test tossicologico, altrimenti Flack avrebbe perso molto più che la milza ed essere congedato dalla polizia sarebbe stato un colpo impossibile da reggere.

Provava sentimenti contrastanti: compassione per il suo dolore, rabbia per come si era ridotto, disappunto e senso di colpa per avergli permesso di farlo, preoccupazione per il suo stato, sollievo perché era ancora vivo e paura che andasse a finire così, gettando via vita e carriera.
Si lasciò scivolare sulla sedia di plastica accanto al letto, stringendo gli occhi contro il flashback di quattro anni prima che lo assalì immediatamente: ore ed ore in Terapia Intensiva, a tenere la mano immobile di un Flack in stato comatoso dopo avergli medicato uno squarcio sul ventre con mezzi di fortuna, le notti insonni a pregare perché si salvasse, perché continuasse a respirare almeno un’altra ora.
Adesso non riusciva a toccarlo, perché il minimo contatto avrebbe reso tutto reale, anche la possibilità di perderlo.

I rantoli si fecero più frequenti e il ferito aprì gli occhi.
Sbatté le palpebre diverse volte ma alla fine riuscì a mettere a fuoco il detective Taylor ed il battito accelerò: “M’c?” aveva la voce rauca e sottile, era evidente che stesse soffrendo molto.
La rabbia non scomparve ma si ritirò in un angolo molto remoto quando il detective si chinò sul ferito, appoggiandogli una mano sulla spalla livida: “Sono qui, Don.”
Flack rabbrividì da capo a piedi ed iniziò a piangere silenziosamente: “Io... mi dispiace... mi dispiace tantissimo... è stata tutta colpa mia... non è abbastanza ma... mi dispiace... mi dispiace... mi dispiace...”
Stava andando in iperventilazione e i valori sul monitor iniziarono a precipitare impossibile sapere se fosse causato dall’agitazione emotiva o dalle ferite, ma Taylor sapeva di non avere molto tempo.
Strinse forte la mano sinistra di Flack nella sua e con la mano libera iniziò ad accarezzargli la testa: “Shh, shh.” Anche lui aveva la voce rotta e sembrava sull’orlo del pianto “Ascoltami bene, Donald Flack: andrà tutto bene, capito? Qualunque cosa stia succedendo ne verremo a capo insieme. D’accordo?”
Non seppe mai se Don avesse capito o meno le sue parole perché subito dopo uscì un flebile: “Mi dispiace.” Poi gli occhi gli rotearono nella testa e perse i sensi, mentre i monitor impazzivano.
Subito un nugolo di infermieri e medici sciamò intorno al suo letto: “Inizio somministrazione manuale dell’ossigeno!”
“Pressione in calo! Aritmia ventricolare!”
“Lo stiamo perdendo. Subito in sala operatoria”

Più rapidamente di quanto Taylor potesse calcolare, staccarono monitor e attrezzatura e si misero a correre, trasportando il lettino verso l’ascensore mentre un’infermiera pompava ossigeno nei polmoni di Flack con un palloncino collegato ad una mascherina.
Non erano ancora alla fine del corridoio che un’altra, la stessa che Mac aveva incontrato all’ingresso, iniziò a praticare le compressioni toraciche.
Quando sparirono dietro le porte la rabbia del detective si era completamente dissipata per lasciare il posto ad un’ansia senza precedenti.

Mandò un messaggio a Stella: Hanno portato Flack in sala operatoria. E’ grave. Resto qui. Non dire niente alla squadra finché non ho notizie certe. Buona Fortuna!
Non attese la risposta: sapeva di potersi fidare ciecamente di lei.
E nemmeno chiese informazioni sulla sala d’attesa del Blocco Operatorio: sapeva già dove fosse. 

Note:

Il motivo principale per cui ho scritto questa storia è che mi sembrava avessero risolto il problema troppo rapidamente, voi cosa dite?

Warning: nel prossimo capitolo si parlerà di PTSD e pensieri suicidi, state attenti se queste cose vi disturbano.
  
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