Sogno
Lucido
È
sabato, la giornata è appena iniziata e il cielo, qui a
Palermo, è azzurro come se fosse aprile nonostante la data
sul calendario segni
indubbiamente l’ultimo giorno di un freddo gennaio
duemilasedici. Oggi è
ufficialmente il mio ultimo giorno da diciassettenne e nonostante abbia
sempre
immaginato questo risveglio in modo eclatante, la vita ad attendermi ad
un
passo oltre la sveglia non è altro che quella di tutti i
giorni.
Me ne sto ancora un po’ accoccolata
tra le calde coperte con il dolce odore del caffè della
mamma già sotto il
naso, mentre ripenso a come dovrei far scorrere questa giornata. Forse
mi sarei
dovuta incontrare con i miei compagni di scuola come avevamo deciso,
però loro
li vedrò lunedì; magari mi dovrei dedicare ai
miei amici o alla mia famiglia,
eppure con i primi passerò tutta la serata e con la mia
famiglia tutto il resto
della giornata. Dopotutto, forse è meglio che questa ultima
mattina da
diciassettenne la passi con me stessa per porgere i miei saluti agli
anni che
se ne vanno.
Ricordo ancora perfettamente tutti i
miei giochi d’infanzia assieme ai miei cugini coetanei,
quando ci atteggiavamo
da grandi, fumavamo sigarette finte e sognavamo di crescere tutto
d’un tratto.
Volevo essere prima una dodicenne, poi una sedicenne ed infine sognavo
di
diventare al più presto una diciottenne solo per godere di
tutte le libertà
che, all’epoca credevo, mi sarebbero spettate di diritto
grazie al
raggiungimento della maggiore età. Eppure da poco mi sono
svegliata come una
diciassettenne ad un passo da quel sogno d’infanzia senza
nessuna delle
emozioni che pensavo avrei provato: non provo entusiasmo, non sono
felice e
nemmeno triste, mi sento esattamente come mi sentivo ieri e come
sicuramente mi
sentirò domani.
Ma non può essere così semplice.
Mi alzo di scatto senza premurarmi di
rifare il letto, mi piazzo davanti lo specchio subito dopo una doccia
veloce e
impiego il minor tempo possibile per realizzare uno dei make up
migliori di cui
mi ritengo capace. Ancora in accappatoio torno nella mia camera e
svuoto il mio
zaino colmo di libri, perdendo tutto d’un tratto la
determinazione iniziale.
Cosa indosso? Cosa metto dentro lo
zaino? Dove vado?
La giornata è così bella che
certamente fuori sarà impossibile sentire freddo, pertando
penso che i vecchi
jeans blu, le converse malconce, il berretto con la faccina stampata e
la
giacca regalatami da Alberto possano andare bene. Per quanto riguarda
lo zaino?
Non so ancora dove andare ma so di dovermi portare dietro qualcosa che
mi aiuti
a salutare per un’ultima volta questi anni. Così
come per i vestiti, anche
questa volta le mie mani sembrano quasi muoversi autonomamente mentre
riempono
lo zaino con alcuni quaderni stracolmi, un paio di libri, alcune
fotografie,
l’mp4 e poco altro.
Adesso manca da scegliere solo il
posto e per qualche strana ragione il Parco Uditore mi
sembra
la scelta migliore. Forse sarebbe stata più adatta la mia
piazza preferita, ma
lei la vedrò stasera assieme ai miei migliori amici,
perciò credo che il parco
della mia infanzia sarà perfetto.
Con le cuffie alle orecchie, intente
a riprodurre solo le canzoni della mia cantante preferita di tutta la
vita,
metto lo zaino in spalla e vado. Cammino a lungo ripercorrendo ancora
una volta
tutte quelle strade che mi ritrovo a vivere giorno per giorno
fermandomi ad
osservarle forse per la prima volta nella mia vita. Tutto sembra starsi
imprimendo nella mia mente come mai aveva fatto prima di adesso e
immediatamente ogni svincolo, ogni edificio, ogni negozio e perfino
ogni casa
sembrano assumere un significato del tutto nuovo.
Ma eccomi arrivare a destinazione; un
imponente parco recintato di rosso si erge davanti a me più
verde che mai e
quasi rimango stupita dalla sua grandezza.
Non riesco a fare a meno di chiedermi
se sia sempre stato così maestoso o se, semplicemente, la
sua immagine nella
mia mente non sia semplicemente sbiadita con il tempo assieme ai
ricordi che ci
legano.
Eppure ricordo ancora piuttosto bene
come funziona qui: i bambini se ne stanno tutti nell’area
gioco a contendersi
le giostre, i ginnasti in quella sportiva a contendersi gli attrezzi e
tutto il
resto in giro per il parco a contendersi i posti all’ombra
sotto gli alberi.
L’ultima volta che sono venuta qui
contendevo le giostre e adesso, non essendo affatto un tipo da sport,
non posso
far altro che cercare il mio albero. Trascino una specie di panca in
legno
sotto l’albero e mi ci siedo sospirando, beandomi fin da
subito l’ombra e il
leggero venticello fresco.
Forse è proprio questo il motivo per
cui ho scelto questo posto?
Il cielo è azzurro senza alcuna
sbavatura e tutto intorno a me è così verde che
sembra luccicare; ogni cosa
sembra infondermi la calma di cui necessito per affrontare questo
momento. Sono
immersa in una tranquillità assoluta mai provata prima
mentre guardo davanti a
me l’ampio prato semi vuoto, udendo in lontananza le risate
dei bambini e il
cinguettio degli uccelli. Mi sembra di star vivendo la scena di un film
tanto
mi pare irreale la quiete che sono riuscita a trovare in un parco nel
bel mezzo
della città.
Sospiro ancora una volta e,
finalmente, giunge anche il momento di svuotare il mio zaino: il
quadernone blu
colmo dei miei pensieri e di buffe foto, il mio vecchio diario segreto,
la mia
penna preferita e anche quella porta fortuna degli esami di terza
media, il mio
fedele mp4 dal rosa impropobibile, le cuffie bianche regalatemi dalle
mie
migliori amiche, la copia di Alice nel paese delle
meraviglie che
mi ha regalato Carlo qualche anno fa e Sulla strada.
Tutto qui.
Incredibilmente i miei diciassette
anni di esistenza possono essere riassunti in questi pochi oggetti.
C’è la mia
più grande passione, c’è la musica, ci
sono tutte le persone a cui tengo, c’è
il mio primo libro e quello che mi ha cambiato la vita.
Cos’altro dovrei essere
se non la somma di tutto quello che amo?
Mi guardo attorno con soddisfazione,
felice e certa che ogni momento fino a questo istante ha reso la mia
vita
fantastica e me la persona che sono. Ma cosa succede adesso?
Scatto qualche foto ricordo tra cui
anche una a me stessa, quasi come se avessi paura che il mio aspetto
possa
mutare allo scoccare della mezzanotte.
Mi guardo ancora attorno e mi rendo
conto che nonostante tutto non c’è davvero
più nulla da fare. Quasi mi sento
stupida a pensare di aver fatto tutta questa strada per nulla nella
speranza di
rendere anche un minimo più poetico e sentimentale questo
giorno.
“Ehi, che fai?”.
Una voce? Eppure fino ad un attimo fa
non c’era nessuno vicino a me, me ne sono accertata.
Ma ecco quest’estraneo che si
avvicina sorridendo e mi parla come se nulla fosse mentre io,
incredibilmente,
non riesco ad avere pauradi lui. Io che di solito ho paura anche di un
qualsiasi passante a causa delle mille paranoie di mia madre adesso mi
trovo
completamente sola in un parco infinito assieme ad un ragazzo spuntato
all’improvviso e mi riscopro completamente a mio agio.
Forse, dopotutto, un cambiamento in
me si è già messo in moto.
“Dico addio ai miei diciassette
anni”.
“Mi sembra un po’ tragico” –il
ragazzo sorride e si siede al mio fianco senza aspettare di essere
invitato. I
suoi caratteri sono chiarissimi e i suoi lineamenti non sembrano
nemmeno
italiani, è decisamente l’esatto opposto di me.
Qualcosa è cambiato improvvisamente
sebbene non riesca a spiegarmelo e quasi mi sento trasportata in un
sogno ad
occhi aperti mentre vengo assorbita da quella strana situazione.
“Lo so” –sorrido- “Di solito la
gente
festeggia la maggiore età”.
Chi è questo ragazzo? Non ne ho idea
eppure mi sembra di conoscerlo perfettamente, di sapere che non
è qui per
giudicare o pensare male ma solo per ascoltare. Come se si trattasse di
una
verità assopita nel mio inconscio, so di conoscerlo meglio
di chiunque altro… quasi
quanto conosco me stessa?
“Ma tu non sei tipo da festa, eh?”
–continua a sorridere e l’intero parco sembra
svuotarsi sempre più ad ogni sua
parola.
“Direi proprio di no” –sospiro,
percependo finalmente quel filo di tristezza che mi aspettavo di
sentire- “Sono
successe così tante cose in questi ultimi mesi, sai?
Così tante cose tristi”.
Comincio a parlare di ciò a cui non
ho mai dato voce, rivolgendomi a questo ragazzo come se già
conoscesse ogni
particolare della mia vita e lui, dal canto suo, mi ascolta e sorride
esattamente come se sapesse di cosa sto parlando.
“Da quando Floriana è partita per
inseguire la sua nuova vita a Londra tutto è cambiato. Credo
che la sua
partenza sia stata solo il prologo di quello che sta per cominciare
nella mia
vita e, soprattutto, l’inizio di qualcosa di inevitabile.
Siamo nati come uno
strambo gruppo di tre amici che si sono conosciuti tra i banchi di
scuola e,
piano piano, il numero è diventato un otto… lo
stesso simbolo che capovolto
segna l’infinito, no?”.
“Ancora con questa storia
dell’infinito?” –il ragazzo sembra quasi
prevedere i miei pensieri e dare voce
a quelli più cinici e sarcastici che da sempre mi hanno
contraddistinta.
“Eh sì, ammetto che anche noi non
siamo riusciti a sfuggire al fascino dell’infinito”
–sorrido, prendendomi gioco
di me stessa- “In ogni caso abbiamo creduto che la nostra
adolescenza fuori dal
mondo fosse eterna, eppure due sono già partiti alla ricerca
di un futuro
migliore, un’altra è in procinto di farlo, le
altre due si sono allontanate a causa
del lavoro o del nuovo fidanzato e siamo tornati ad essere solo i primi
tre. Ma
prima o poi arriverà anche per noi il momento di andare via
di qui e percorrere
le nostre strade, no? Floriana è stata solo la prima ma
presto o tardi i
diciotto anni arriveranno per tutti”.
Prima di rivelare ad alta voce quei
pensieri non mi ero nemmeno resa conto di quanto triste e nostalgica mi
facessero diventare. Quando mi ero alzata dal letto appena poche ore
prima con
tutta l’intenzione di rendere magico il mio ultimo giorno da
minorenne non
avevo nemmeno immaginato che tutto mi avrebbe ricondotto ai miei
migliori amici
e al nostro futuro incerto.
“Posso assicurarti che compiere
diciotto anni non cambia un bel niente” –lui
continua a sorridere mentre io mi
perdo sempre di più in quest’improvvisa voragine
di tristezza. È come se da
quando è arrivato e si è seduto al mio fianco
abbia cominciato ad assimilare
tutti i miei modi di fare, i miei pensieri e i sentimenti che non mi
permettevano di lasciarmi andare e di sentirmi serenamente
così triste.
Cosa c’è di male a sentirsi anche un
po’ triste, oggi?
Non me lo sono mai chiesta prima di
questo incontro del tutto casuale, non è forse la cosa
più irrealistica che
potesse capitarmi?
“Lo so, lo so” –lo riprendo-
“Mi
sveglierò domani mattina e tutte le
responsabilità della mia vita non cadranno
sulle mie spalle come per magia. Sarà solo un altro giorno a
casa con i miei
genitori passato chino sulla scrivania della mia cameretta a studiare
per
l’interrogazione di francese di lunedì prossimo,
eppure non posso fare a meno
di rendermi conto proprio oggi di quante cose siano cambiate fino a
questo
momento”.
“Questo ti rende triste?” –il ragazzo
ha smesso di colpo di sorridere e ha cominciato a fissarmi
negli occhi,
quasi come se anche il suo momento stia per giungere al termine.
Il tempo è agli sgoccioli, mi ripeto
prima di rispondere.
“Ti direi di si ma non sarebbe del
tutto vero” –nemmeno io distolgo lo sguardo e per
la prima volta nella mia vita
sento di non aver paura di dare voce a tutto quello che invade la mia
mente
giorno per giorno- “Sono triste perché non riesco
a fare a meno di sentirmi
così legata ai miei amici, alla mia famiglia, ai miei
compagni di scuola e alla
mia Palermo… ma allo stesso tempo mi sento così
entusiasta all’idea che tra un
anno o forse due la mia vita intera potrebbe essere completamente
diversa.
Forse ho perso troppo tempo a chiedermi in segreto come sarebbe stato
giusto
sentirmi in questo giorno, sai? Ma dopotutto che importa se sono felice
oppure
triste? Se penso a chi se ne è andato piuttosto che a chi
è rimasto? Se penso
ai miei giorni a Palermo oppure a quelli che potrei passare in giro per
il
mondo?”.
Faccio un respiro profondo, certa che
tra poco mi toccherà svegliarmi, rimettere tutto dentro lo
zaino e ripercorrere
le stesse strade di sempre fino a casa per cominciare a condividire
questi
nuovi anni con le persone della mia vita.
“Credo che tutto questo fino a ieri o
forse fino a stamattina fosse triste, ma adesso no. Credo, in
realtà, di non
essermi mai sentita tanto libera come in questo istante. Libera
perché le cose
stanno cambiando naturalmente e non c’è
assolutamente nulla che io possa fare
per impedirlo, perciò mano sul petto e cuore in pace. Questo
pensiero mi ha
impaurita per così tanto tempo che mi sono sentita legata
con forza a
quest’esistenza e trascinata continuamente dal tempo ad una
velocità
insostenibile… ma adesso credo di averlo finamente capito.
Ciao Emanuela, il
tempo scorre, le cose cambiano e tu non hai voce in capitolo se non
quella che
ti permette di rendere tutto più piacevole. Questa
è la vita, benvenuta al
mondo! Sta semplicemente iniziando la seconda parte della mia vita ed
inevitabilmente, come è successo ai miei amici, ci sono
tante cose del passato
che adesso non fanno più parte di me, sostituite da
interessi, relazioni, sogni
e ambizioni del tutto nuovi. Sto crescendo e finalmente riesco ad
accettare che
anche ciò che ho di più importante un giorno
potrebbe andare via… nessuno ci
sarà per sempre, probabilmente nemmeno noi fantastici tre.
Non posso negare che
questo sia triste ma io sto bene perché, alla fine dei
conti, sono io stessa
quella che rimarrà fino alla fine. Oggi è il mio
giorno, mi sento libera e sto
bene”.
Il ragazzo ha continuato a sorridere
per tutta la durata del mio monologo osservando e spulciando tutta la
roba che
mi sono portata dietro, sorridendo davanti una vecchia foto o
chissà qualche
assurda storia scritta a casaccio come se lui stesso riuscisse a ricordarne
ogni particolare.
“Non trovi sia curioso che io sia
venuto fuori proprio in un momento così
importante?” –finalmente il ragazzo è
tornato a guardarmi negli occhi sorridente come quando era arrivato-
“Emanuela,
sai qual è il mio nome?”.
Sorrido – “Sei solo il nuovo inizio”.