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Autore: queenjane    13/07/2018    2 recensioni
In memory and honour of Aleksey Romanov. From the text " Quando seppi quello che era successo a casa Ipatiev.. Una cantina, una brutale esecuzione, spari, sangue e pallottole. Pregai solo che non avesse sofferto troppo, non capisse, avesse pensato a un incubo e che il cavaliere del sogno fosse venuto a prenderlo, portandolo verso la luce, che avesse pensato di addormentarsi e basta.
Era la notte tra il 16 ed il 17 luglio 1918. Avrebbe compiuto 14 anni il mese successivo.
Ti ho amato per come ho potuto, fino all’ultima goccia, eri assenzio e cenere, eri Aleksej, il cavaliere del sogno, il mio principe.
The little prince. "
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Nel 1904, la notizia dell’attacco giapponese giunse per telegramma, senza dichiarazioni di guerra o altro.
Pleve, ministro degli esteri, ne fu appagato, riteneva che una piccola guerra vittoriosa fosse l’ideale per distogliere l’attenzione dai problemi interni, stimolando i patrioti e stroncando gli oppositori.
Santa Madre Russia aveva interesse a espandersi in Asia e il barbaro, pagano Giappone sarebbe stato stritolato dal gigantesco impero russo..
Mio zio Sasha Rostov-Raulov, era perplesso. Cresciuto insieme allo zar Nicola II e a mio padre Petr, era parte dell’esercito ed era molto attivo, conosceva segreti rapporti che parlavano di deficienze e falle,avendoli stilati lui stesso, in ricognizione, oltre che persone di sua fiducia.
Era cosciente che Port Arthur, avamposto russo nelle terre d’Asia, aveva una scarna guarnigione, con poche scorte ed era mal collegato.
Con lo zar erano amici fin dall’infanzia e io avevo perpetuato la tradizione, nata nel gennaio 1895, mi dividevano dieci scarsi mesi da Olga Nicolaevna, primogenita della coppia imperiale, eravamo cresciute insieme, amiche e sorelle, come Nicola II e Sasha, che rimanevano sempre legatissimi, pure se ben di rado uno seguiva i consigli dell’altro, come per me e Olga.
Aspettate, Maestà, non siamo pronti, e fu inutile..



Fu guerra, comunque, devastante, sanguinaria e rovinosa, un conflitto che acuì i problemi interni, portando scioperi e rivolte e sedizione, i giapponesi sconfiggevano i russi senza rimedio.


Era il 12 agosto 1904, la zarina sedeva sul suo divano, ingrossata e oppressa da emicrania e cattivi presagi, pochi giorni avanti si era rotto uno specchio in mille frammenti senza che nessuno lo avesse sfiorato, si era staccato mentre lei vi passava davanti, toccandosi protettiva il ventre ormai enorme, era la sua ennesima gravidanza, aveva avuto solo femmine, per la legge paolina, varata dallo zar Paolo I nel XIX secolo, solo un maschio poteva ereditare il trono, le femmine erano inutili per la dinastia, se lo zar fosse morto, avrebbero ereditato il fratello dello zar, in caso di morte, i suoi zii ed i loro discendenti.. Doveva essere un maschio, pensava Alix.


Cose che capitano, peccato che i russi fossero molto superstiziosi, era certo un cattivo segno, per il bimbo. Era mal fissato, osservai io, figurati se deve succedere qualcosa.

Si sperava in un maschio, dopo Olga erano giunte Tatiana, Marie e Anastasia, le mie sorelline putative, peccato che fossero dinasticamente inutili, come osservava la loro nonna paterna, che, per la legge salica, solo un maschio poteva ereditare il trono. Come se una donna non potesse regnare, la mia replica, io che mi chiamavo Catherine, come la grande Caterina II, cioè il mio nome era Ekaterina Petrovna Raulov, principessa, tranne che io e Olga adoravamo il francese, come la zarina di cui sopra, così che lei (Olga) mi appellava sempre Catherine.
O Cat, quando imparava a parlare, per economia, che nome e patronimico erano troppo lunghi per quella solenne e paffuta bambina, che adorava i gatti e alle volte mi diceva addirittura Kitty Kat, gattina, e guai a me se non facevo le fusa.
Comunque, fusa o meno, verso le 12 mattutine la zarina percepì i noti dolori del parto, il quinto, dopo una oretta giunse il tanto atteso bambino, un maschio, desiderato e cercato.
Alle una lo Zar si inchinò dinanzi a lei, che ancora non sapeva l’esito, appariva così debilitata che nessuno aveva osato darle la bella notizia e la lesse sul viso del marito.
“Non può essere, è davvero un maschio?”
“Sì..” Parole frantumate “ Sarà Aleksej..” come il padre di Pietro il Grande, il sovrano preferito dello Zar, fin qui nulla di male, tranne che era stato il nome del figlio di Pietro il grande, che aveva complottato contro suo padre, morendo poi per suo ordine.


Aleksej Nicolaevic Romanov, lo Zarevic, atamano di tutti i cosacchi e.. una infinita lista di appellativi, considerai vedendolo nella grande culla dorata, pareva troppo piccolo per quelle responsabilità, ed era splendido, pesava cinque chili e aveva un buffo nasino e le sopracciglia chiare, la bocca pareva un bocciolo di rosa, mentre orecchie erano buffe e tenere, come una conchiglia. Cacciò uno sbadiglio e mosse le mani
“ Lo puoi toccare, Cat, se vuoi, non si rompe” mi disse Olga, esperta, io ero figlia unica e di bimbi piccoli ne sapevo il giusto.
“Non me la sento”
“E dai..Non ti morde o manco si rompe..hai paura, allora”
“NO”
“E allora toccalo”mi sfidò, inchiodandomi.
Sporsi una mano vicina alle sue, osservando incantata le minuscole dita, fornite addirittura di unghiette, sfiorai un pugnetto con il pollice e mi ritrassi subito dopo.

Telegrammi di congratulazioni piovevano a ritmo serrato, padrino onorario era ogni soldato e ufficiale dell’esercito, oltre all’imperatore tedesco e al principe di Galles, lo zarevic ebbe il titolo onorario di colonnello di molti reggimenti, e nastri e decorazioni. E i doni e i regali .. Addirittura un elefante.
Il battesimo venne celebrato il 3 settembre, un piovoso martedì a Peter Hof, io fremevo di eccitazione, che, come le granduchesse indossavo una versione in piccolo formato del gran vestito di corte, con annessa tiara di brillanti, e facevamo un figurone, i ragazzi una uniforme militare in miniatura, Eravamo adulti, solenni, buffissimi. Ci sentivamo investiti da una grande responsabilità, pomposi come pochi. Allora, per la snellezza e la statura superiore alla media, parevo un giovane salice, regale quando volevo al pari di un giovane sultano, pomposa e ossequiosa e solenne. E aspettavamo come tutti la carrozza dorata che, scortata da un drappello di soldati di cavalleria lo avrebbe condotto al fonte battesimale.
Lo portava tra le braccia la principessa G., guardarobiera imperiale, su un cuscino d’oro, assicurato alle spalle della madrina da una fascia dorata, e per precauzione aveva delle suole antiscivolo. Era avvolto in un mantello d’oro, ricamato di ermellino, come era uso, per l’erede al trono.. Che pianse forte, come un bambino comune, quando venne immerso nell’acqua battesimale.
Lo mangiammo con gli occhi, dopo esserci coperte la bocca, con una mano, per discrezione, onde evitare che le nostre risate, mentre Alessio scalciava sul cuscino con vigore,si sentissero fino in fondo alla navata..

Per tradizione russa, i genitori erano assenti al battesimo, tuttavia, finita la cerimonia, l’imperatore giunse in chiesa. Sia lui che l’imperatrice erano nervosi, che temevano che la principessa G. potesse far cadere l’infante o che l’anziano sacerdote affogasse il bimbo nel fonte battesimale.

“Pare una bambola” annotai dopo, mentre Olga lo cullava, era una delle madrine, come la sottoscritta, compito che la riempiva di gioia e orgoglio.
“Siediti, ora lo prendi in braccio..Muori dalla voglia Catherine, ci scommetto, e fidati, se la guardarobiera non l’ha buttato per terra, tu non potrai fare peggio”
“Sempre gentile, eh”
Me lo passò, delicata, spiegando che era bene che gli tenessi la testolina con il gomito, poi eccolo tra le mie braccia, un gesto che avrei ripetuto in un numero infinito di volte, sempre con amore.
“Ciao Aleksej”confrontandolo con le bambole meccaniche con cui giocavamo, lui non aveva bulloni, solo era tenero e magico, e odorava di pipì e borotalco, latte e acqua di rose, avvolto nelle fasce e nei pannolini.

Mi rispose con uno sbadiglio, io con un bacio. “Ciao tesoro.. Piacere mio” In inglese, francese e russo, affettuosa e poliglotta, sempre. Il giovane sultano si sciolse, adorante, con una manina sfiorò una ciocca dei miei capelli castani, nel sole erano lucidi come rame. Ero sempre a svolazzare nella nursery, un farfalla impazzita verso una lanterna. Il mio Aleksey. Il mio piccolo principe. Ricordo che in principio gli zar, orgogliosi, non trascuravano occasione per mostrarlo. Quando Nicola incontrò Aleksander Mosolov, capo della cancelleria di corte, gli disse “Non credo che abbiate visto ancora il mio caro piccolo zarevic, ora ve lo mostro” Entrarono, raccontò poi Mosolov, stavano facendo il solito bagno quotidiano al bimbo, che tirava calci nell’acqua. Lo zar prese il piccolino dall’accappatoio, i suoi piedini nel cavo di una mano, reggendolo con l’altro braccio. Era nudo, colorito, paffutello, uno splendore, una bellezza, dopo lo zar informò sua moglie che aveva fatto sfilare lo zarevic.
“Principessa Raulov” “Sì Maestà” “Qualcuno vuole stare con te” Mi ero tesa, prendendolo. “Sei bellissimo, sai” Un piccolo sussurro. “Aleksej..sei bellissimo” lui gorgogliò, beato, un piccolo rigurgito di saliva fiorì sulla spalla dove lo tenevo raccolto, ora lo prendevo spesso in braccio, meravigliandomi di come fosse leggero, lo adoravo, ero rapita e estasiata dai suoi movimenti delle mani, i mormorii, non vedevo l’ora che cominciasse a sorridere. Tutto il pacchetto, insomma. Piccoli miracoli, così scontati da non parere possibili e tanto era. Aleksey.
Amore. 
 
 
A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
La malattia gliela aveva passata Alix, sua madre, discendente della regina Vittoria di Inghilterra, bastava un urto, un movimento azzardato e poteva morire.
Aleksey. Il combattente.
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Cara Catherine, ti scrivo da Tolbosk, è il 15 gennaio 1918, fa tanto freddo e mi manchi, ci manchi. Come stai? Come state?Mi ha fatto tanto piacere ricevere i biglietti di Natale, sei stata carina a mandare una giacca imbottita a testa, sciarpe e guanti e berretti e calze, che la nostra roba si era rovinata ed era piena di buchi, nonostante i rattoppi e i rammendi..Abbiamo costruito una montagnola di neve nel recinto quadrato, dove lanciarci con le slitte, tranne che le guardie l’hanno spianata e ne abbiamo costruita un’altra e tanto.. Seguo le lezioni, la sera organizziamo rappresentazioni teatrali con M. Gilliard come suggeritore e Anastasia, Marie e me come attori.. Olga legge tanto come Tatiana, con Papà seghiamo tanta legna .. Riprendo ora, che abbiamo mangiato storione e bliny con i soldi che avete inviato abbiamo potuto acquistare queste squisitezze, che sennò non era possibile, il governo provvisorio ci ha dato un budget di 600 rubli a testa, 4.200 in tutto, che siamo in sette (visto, aritmetica applicata..) e non basta per tutto..Mi manchi, era bello quando mi raccontavi le storie, Achille e l’Eneide e compagnia, mi prendevi tra le braccia e facevamo volare gli aquiloni.. Spero che ci mandino presto in Inghilterra, così ci rivedremo.. Da marzo ad agosto, a Carskoe Selo è stato bello, da una parte, che eravamo tutti insieme, poi è tornato Andres, avuto il vostro bambino.. Felipe.. E so che sareste venuti anche voi, tranne che Felipe aveva solo due mesi. A proposito, che fa? Ora vado a mangiare dei pancake, se pensi che non avevo mai appetito e mi brontolavi sempre, ne rideresti..Ciao, Cat, alla prossima, un bacio ..
                                                                                                       Yours Alexei” 
 
 
 
“Caro Alexei,
ti scrivo la solita lettera settimanale, come alle ragazze, se la corrispondenza arriva in ritardo o a rate..  io vi penso e vi scrivo sempre. E mi manchi, mi mancate, ci mancate. Venendo alla tua lettera del 15 gennaio, ricordati questi doni sono fatti con il cuore, stai sicuro, e ho cercato di essere pratica, che di sicuro con il freddo siberiano guanti e berretti non bastano mai.. La fantasia, la memoria, sono doti che ho avuto fin da bambina, con le tue sorelle ci divertivamo a raccontarcele, solo che come Olga è portata per il pianoforte e Tata per la danza, io avevo questo dono, che mi è valso l’appellativo di principessa Sherazade, principessa cantastorie. E per  i cavalli, come amazzone me la sono sempre cavata, esageravi tu a dire che cavalcavo il vento e che era uno spettacolo solo starmi a vedere.. Ne prendo atto, come della circostanza che come sei riuscito a esasperarmi, farmi ridere o consolare delle mie tristezze è riuscito a ben pochi. Quando eri piccolo, ti bastava un’occhiata per decifrare se avevo qualcosa, nonostante le mie allegrie apparenti.. già, gli aquiloni. Mi riviene in mente una volta in Crimea, eri sulle spalle di Nagorny, il marinaio, tenevi in mano il filo e lo facevi innalzare, abilissimo. “Vola, vola ..”dovevi compiere sette anni,  esile e abbronzato, con i pantaloni corti e una camicia da marinaio, il profumo delle rose e del mare stordiva, poi me lo aveva passato, il filo, e lo avevo fatto schizzare ancora più in alto, una rapida torsione del polso “Brava .. Catherine! Lascialo, libero, via!!”  “Facciamolo insieme.. me lo potete passare, signor Nagorny?” ero sempre gentile, con loro, chiamandogli signore Derevenko o Nagorny, usando per favore e simili. E mi eri salito tra le braccia, ridendo, che andava sulle nuvole, magari fino in America e facendo ciao con la manina. 
“Vola, aquilone, vola per me..!!”nell’aprile 1916, tra un periplo e l’altro ero passata a trovarti, al Palazzo di Alessandro, mi ero fermata una settimana. E  correvi, estasiato, facendo una gara con quell’uccello di carta, di leggero cartone blu e azzurro, con la coda dorata, il mantello da cadetto e gli stivali da soldato, mi avevi mollato il berretto per non perderlo, due ombre, la tua per terra, l’altra che si innalzava nel vento, che ogni tanto si univano e mischiavano “Bravissimo, Zarevic.. “ “Vieni, prendimi..” E ti ripresi, dopo un poco, sollevando le gonne, ero agile, leggera. E i tuoi  occhi azzurri vibravano di gioia, avevi appena un poco di fiatone, ti buttasti tra le mie braccia, ti rimisi il cappello “Mandalo un poco tu..” “Dammi” “Uffa.. lo fai volare più alto..” “Sono più alta.. liberiamo..??” mi accoccolai sui talloni, per evitare troppa disparità tra le stature, contammo e via.. “Secondo te dove arriva?” “In Spagna..”per prendermi in giro, a bella posta, che mio marito è nato in quelle terre.. 
Il mio fighter prince, un principe combattente, che non molla mai, come Achille. Te lo detto a Carskoe Selo, te lo ripeto ora, tu sei un lottatore, non molli mai, qualunque cosa accada, come un vero principe, a prescindere da titoli o rango.. Ti voglio tanto bene, Alexei.. (..)Venendo a Felipe, ormai ha sette mesi abbondanti e gattona, gli occhi sono sempre color ardesia, come quando era appena nato e .. farfuglia qualche sillaba, il tipico bambino direbbe “ma-ma”, mamma, invece lui “Tata”, ovvero Tatiana, ho continuato a parlargli di voi, e che tua sorella era quella con cui stava più volentieri.. Tata invece che mamma, per mia soddisfazione, e tanto è, va bene uguale..Mando una foto di noi tre.. Speriamo che, giunta la primavera e con il ghiaccio sciolto, vi rechiate in Inghilterra..
Ciao Alexei, un bacio,
                                          yours Catherine che ti vuole tanto bene” 
 
“27 gennaio 1918, Auguri al volo Catherine, come sei diventata grande, hai ben 23 anni, come ne farà  Olga a novembre..Baci, Alexei alias monello PS Felipe somiglia davvero tanto a tuo marito, Tata si è messa a ridere della prima parola del bambino, annotando che per te non deve essere stata una grande soddisfazione”


 
“.. Già, monello.. per dire..” riflettei, mi aveva inviato una foto, era cresciuto davvero tanto, non era più l’infante che si attaccava alla mia schiena imparando a camminare, un mancato Peter Pan che a tre anni voleva lanciarsi da un cassettone, ripreso al volo, e convinto a non buttarsi, che non avevamo la polverina magica, che era meglio far volare gli aquiloni..  il fanciullo stretto contro il mio grembo tra una crisi di emofilia e l’altra, il principe combattente della Stavka, che non mancava di prendermi in giro. E che in una sera di giugno 1916 mi aveva chiesto un sogno per cacciare l’incubo.
Lo stavo mettendo a letto, quella sera  quando se ne uscì con quella richiesta inopinata. Già troppe visite alle truppe e agli ospedali pieni di feriti e moribondi lo avevano innervosito, senza rimedio, in aggiunta vi ero io.
“Quale? Te lo ricordi o sai che è un incubo..” rettificai “ So che ne fai tanti, questo è specifico o no?” 
“ Non so dove sono, però è buio, sento le pallottole che esplodono e non mi posso muovere, c’è odore di sangue e .. “ mi misi di fianco, piccoli mormorii affettuosi, cingendolo mentre gli toccavo i capelli, la fronte, se ne parlava, poteva liberarsene, e non era solo. 
“Chiudi gli occhi, c’è una valle piena di fiori, siamo tra le montagne e le punte acute sono piene di neve (sst.. rilassati, accostati al mio petto, tranquillo, nessuno ti imbroglia, senti le mie mani, sono qui) .. Un bosco a sinistra, verde, un basso rimbombo di zoccoli .. Luce, foglie, profumo d’erba. Ed ora il cavaliere, su un baio altissimo, procede senza timore, ogni tanto si diverte con qualche numero, non ha nessuna fretta, quindi il cavallo rampa sulle zampe posteriori, saluta il cielo e l’estate,  corre nel vento che porta il rombo del mare. Al suo passaggio la gente lo acclama, lo applaude e il baio cammina su un tappeto di fiori, lo amano, che è forte e coraggioso ..I suoi capelli scintillano, mogano e rame sotto il sole, ha gli occhi azzurri e grandi mani (gli sfiorai i capelli, si era rilassato, un mezzo sorriso sulle labbra) Via, verso l’orizzonte, dopo essersi fermato a bere un bicchiere di vino con i suoi amici e avere scambiato dei baci con qualche  bella ragazza  (Sorrise apertamente, finalmente rilassato, cacciando le mani sotto le mie ascelle, i piedi tra i miei polpacci) Nessun timore o paura, la semplice gioia di essere vivo, le strade del mondo il suo regno, solo limite l’immaginazione” Attesi a proseguire, che si fosse addormentato “Il suo nome Alessio Nicolaevic Romanov, zarevic, atamano di tutti i cosacchi, re del tempo del sogno ..” 


 
In quella notte del luglio 1918, mentre il buio lo sommergeva, Alessio si trovò d’un tratto sopra un baio, a cavalcare il vento, come un antico guerriero, in una valle piena di luci e suoni e profumi, la brezza portava il rombo delle onde, diede di sprone e il suo ultimo sospiro fu lieve come il mare quando muore a riva.


 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”..ti ho già scritto che i miei genitori e Marie ci hanno preceduto a Ekaterinemburg, mentre noi siamo rimasti, che Alessio ha avuto un attacco gravissimo di emofilia, forse il peggiore dopo Spala, qui metto quello che ho omesso, non per caricarti di un peso, ma renderti partecipe. Sembrava tentare il fato di proposito,  usava scivolare per le scale di casa su una tavola di legno, come una slitta e rimase ferito, una volata, all’inguine. Sapeva che poteva morire, e non ne aveva timore, la sua paura riguardava quello che potevano fargli e farci in prigionia. . Ha avuto la febbre altissima, dolori lancinanti, delirava e  parlava di essere stato a galoppo a cavallo, di avere sparato e che non era successo nulla, di un bosco, una valle incantata piena di luce e fiori, di un cavaliere che andava incontro all’orizzonte, suo unico limite il mondo e non altro. Ha invocato per ore il tuo nome, Catherine, Cat, fino allo spasimo, ti voleva, diceva che lo avevi sempre tenuto al sicuro, che eri come la fortezza di Ahumada, che proteggeva tutto e tutti. La mamma ha pianto per tutto il tempo,  in quei momenti, a prescindere da tutto, ti avrebbe rivoluta. E così io, sapendo che non c’eri non per un capriccio, una bizza, ma perché non avevo voluto, non avevamo voluto che ci seguiste in esilio dal Palazzo di Alessandro, non eri sola, non più, e ti ho spezzato il cuore, anche se non volevo, anche Aleksej ti avrebbe voluto in Siberia, salvo comportarsi da grande, che vi era chi aveva più bisogno di te e non voleva essere egoista, avevi già fatto così tanto.. lo disse lui, e aveva ragione. E   mi sei mancata, ci sei mancata, ogni singolo giorno

 
Quando seppi quello che era successo a casa Ipatiev.. Una cantina, una brutale esecuzione, spari, sangue e pallottole. Pregai solo che non avesse sofferto troppo, non capisse, avesse pensato a un incubo e che il cavaliere del sogno fosse venuto a prenderlo, portandolo verso la luce, che avesse pensato di addormentarsi e basta.
Era la notte tra il 16 ed il 17 luglio 1918.  Avrebbe compiuto 14 anni il mese successivo.
Ti ho amato per come ho potuto, fino all’ultima goccia, eri assenzio e cenere, eri Aleksej, il cavaliere del sogno, il mio principe.

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