Auguri Clò! <3
Le porte della locanda cedono
facilmente sotto al tuo peso.
“Will!” chiami, la voce rauca. Vacilli, ma riesci a
tenerti in piedi. “Will!”
ripeti. Tremi mentre sali le scale di corsa, affannato. Invochi ancora
quel
nome bussando ad una porta, poi ad un’altra, cercando quella
che ti condurrà da
lui. “William Shakespeare. Will!”
La trovi, non sai davvero come, ed
entri. Entri nella sua
stanza con l’incedere di un re che può
permettersi di disturbare i propri vassalli, ma la tua mente
è confusa ed i
tuoi abiti sono laceri, il volto pesto ed il naso forse rotto a causa
della
rissa in cui ti sei lanciato soltanto per ferire Thomas. Thomas
Walsingham che
ti vuole bene, povero Ganimede traviato dalla tua perversione.
William Shakespeare ti osserva
irrompere a bocca aperta,
troppo attonito per cacciarti via. Ti ascolta delirare. Ti si avvicina
lasciandoti esprimere il rammarico che provi per aver perso Thomas e
farfugliare parole da ubriaco, tu che però ebbro non sei.
“Di cosa stai
parlando?” domanda. Forse prova pena per il
grande Christopher Marlowe ridotto così, ad un folle
spaventato la cui voce
trema di rabbia e frustrazione. Sei un dio decaduto di fronte a quei
suoi occhi
blu che riflettono l’abisso dei mari. Ti compatisce. Ma
è gentile con te, che considera il suo
maestro.
“Sono
all’inferno!” gli urli in faccia. “Il
vuoto in me non
ha fondo, è nero ed eterno”. Provi a spiegargli
quale emozione alberghi nel tuo
animo oscuro. “Devo credere che ci sia altro in questa vita.
Più di questo tavolo,
più di questa sedia” dici rovesciando entrambi.
“Più del vanesio, crudele,
bugiardo, imbroglione Christopher Succhiacazzi Marlowe!”
concludi, esasperato
da te stesso. Potresti piangere, se solo non volessi dare quella
soddisfazione
a Shakespeare. Il sangue rappreso sotto il naso e sulla bocca trasforma
il tuo
viso in una maschera grottesca.
William ti cinge le spalle. Non lo fa
con disgusto né con
stizza, sebbene tu sia pronto a ricevere l’uno o
l’altra da parte sua; lo
meriteresti. Ti tocca con rispetto. Ha la calma di un uomo che,
benché tuo
coetaneo, è già padre di tre figli e ha una
moglie a carico che ha delle
aspettative nei suoi confronti. Vi guardate. Lui cauto, tu amaro.
“Come fai a
credere?”
I suoi occhi vagano smarriti, la
bocca si apre senza
emettere suono. Rilascia lentamente la presa sulle tue braccia. Non sa
cosa
risponderti. Come potrebbe? Non ti capisce. Non ne è in
grado. Nemmeno tu sai
che nome dare al male che ti consuma e ti impedisce di trovare pace.
“Non posso
farne a meno” riesce infine a dire. “È una
malattia”.
“Infettami,
allora” lo supplichi. Speri che il significato
ambiguo della frase passi in secondo piano. Solo stavolta. Normalmente,
in un
altro contesto, non perderesti un’occasione così
succulenta per stuzzicare la
pudicizia di un cattolico che rispecchia fin troppo il tuo ideale
estetico
perché tu lo ammetta serenamente.
“Non vuoi prenderla,
fidati” si allontana. Sempre gentile,
paterno. La condiscendenza nel suo tono ti infastidisce persino
più della
leggerezza con cui liquida il tuo appello.
“Stronzo
arrogante” lo accusi. “Vai avanti nella tua vita
supportato dal tuo prezioso segreto… la tua fede. Credi di
essere tanto
speciale” ti sporgi verso di lui.
Scuote la testa. “Non
è vero”.
Non gli consenti di difendersi.
“Dai retta a qualcuno che
contempla il terrore del nulla totale, ogni esecrabile momento della
sua misera
vita. Tu sei speciale. Per questo
ti
ho salvato”. Dentro di te ridi, pieno di scherno per te
stesso, perché stai
rivolgendo ad un rivale le parole più sincere che tu abbia
mai rivolto ad
un’altra persona. Nessuno dei tuoi amanti ha goduto di un
simile privilegio,
nemmeno Thomas. Dai la colpa alle sue iridi blu e limpide, alla
criniera
castana, alla carnagione pallida da campagnolo che diventa rubizza se
irritata
dai raggi del sole. “Il tuo lavoro era grezzo, ma emanava
fede”.
Mastro Shakespeare sembra scosso da
quella rivelazione. “È per questo che mi hai salvato? Pensavo volessi
Southwell”.
“Lo voglio”
ammetti, stanco. “Ma non nel modo in cui
immagini”. Temendo di leggere solo scetticismo e rifiuto nel
suo sguardo, lo
incalzi. “Io ti ho salvato. Ora tu devi salvare
me”.
Non come vorresti davvero, però. Non credi in nulla se non
nella solidità di un
corpo che ti scalda il letto, in un paio di labbra attorno
all’uccello, in una
lingua che te lo succhia, nelle mani che possono graffiarti e mappare i
tuoi
muscoli. Hai sempre creduto nel potere della carne. E da William
Shakespeare ti
faresti salvare, alla tua maniera, se soltanto lo volesse. Fingi di non
saperlo,
ma ti porti dentro questa consapevolezza dal vostro primo incontro al
Globe,
quando ti eri recato presso il teatro di Burbage per scoprire chi si
celasse
dietro al tuo nome; chi avesse osato scrivere quel dramma, l’Edoardo III, spacciandolo per
l’ultima
opera di Kit Marlowe. Non lo hai salvato soltanto per la sua fede o il
suo
talento acerbo.
Lo convinci a condurti da Robert
Southwell, sacerdote
cattolico sobillatore di folle che Sua Maestà ha tutto
l’interesse a sopprimere.
“Ti prego, Will” insisti, meravigliandoti di quanto
bene suoni il suo nome
nella tua bocca, quasi fosse un candito prelibato. Lui si alza, ti
guarda in
faccia ad una distanza tanto ridicola che la potresti annullare
allungandoti
verso di lui. Con voce bassa, affinché nessun orecchio
indiscreto senta, ti
rivela come contattare Southwell. Decide di fidarsi: gli hai salvato la
vita,
facendo imprigionare Baxter invece di lui, e difficilmente se lo
scorderà.
Riesci ad addolcire la smorfia
ammaccata delle tue labbra in
un sorriso appena accennato. “Grazie, Will”. Gli
sfiori il braccio, come se
foste amici. “Il tuo debito è saldato”.
Te ne vai senza voltarti indietro. Vi
saranno di certo altre
occasioni per incontrarvi e, magari, dilettarvi in schermaglie verbali
che
nascondono reciproca stima. In cuor tuo ti riprometti che mai, mai
più mostrerai
la tua miseria ad un altro uomo. Non a quell’uomo,
soprattutto.
William Shakespeare, giunto a Londra
alcuni mesi or sono,
nutriva il desiderio genuino di conoscere Christopher Marlowe. La sua
ambizione
non lo rendeva tanto stolto da sperare di potergli sottoporre alcuni
dei suoi
lavori; ciò nonostante, avrebbe sacrificato diverse cose pur
di stringere la
mano al grande drammaturgo ed elemosinare una parola gentile, un
augurio di
prosperità da parte sua.
Quel desiderio si era avverato il giorno dopo il suo arrivo in
città. Kit
Marlowe era venuto al Globe apposta per incontrarlo, a quanto pareva. E
dallo
sguardo che gli aveva lanciato, era sembrato soddisfatto del viaggio
intrapreso.
Non era la prima volta che William si
vedeva rivolgere un
apprezzamento simile da un esponente del sesso maschile. In
gioventù, prima di
sposare Anne; e il buon Richard, attore e figlio maggiore dei Burbage,
talvolta
si dimostrava eccessivamente affettuoso con lui. Nessuno
però lo aveva fissato
con lo stesso abbagliato stupore di Marlowe. Nessuno, nemmeno sua
moglie o
Alice, aveva faticato tanto a distogliere lo sguardo e a recuperare la
favella.
Marlowe era una spia per conto dei
protestanti, di un uomo
sordido e perverso come lo era Topcliffe. Era un sodomita, tutta Londra
ne
mormorava. Aveva interessi pericolosi, che sconfinavano
nell’occulto e in riti
pagani che non pochi avrebbero bollato come satanici. Era un uomo senza
Dio; si
diceva avesse venduto l’anima al Diavolo in cambio di un
talento smisurato, ma
tormentoso. Eppure non si poteva negare che fosse bello, persino Will
non aveva
problemi ad ammetterlo. Il biondo dei suoi capelli gli ricordava quelli
di
Alice, e anche gli occhi erano dello stesso azzurro cupo. Le
somiglianze
finivano lì: dove la ragazza aveva curve e pelle morbida,
Kit esibiva
l’indubbia mascolinità di un corpo spigoloso,
forte.
Quello stesso corpo che, poco tempo
dopo, William aveva
sbattuto contro un tavolo ingombro di pergamene pulite, teschi e
suppellettili
d’argento, proprio in casa di Marlowe, dove il poeta lo aveva
invitato. Aveva
agito d’impulso, irritato dalle domande petulanti che
l’uomo gli poneva senza
sosta. Cosa desiderava essere, Will? Affermato, ricco, amato? William
le aveva percepite
come accuse. Non gli bastava dunque la sua famiglia, essere un buon
cristiano?
Non bastava la sua fede? Il suo cuore poteva essere accecato dalla
cupidigia,
dalla brama di successo? Era vero quanto gli rimproverava Anne, ovvero
che
fosse scappato a Londra mosso dal suo egoismo e non dalla
volontà di assicurare
un futuro migliore a lei e ai loro figli?
Seguendo un impulso cieco, quasi
omicida, era esploso. Sì,
voleva il denaro, la grandezza, la fama; ma sopra a ogni altra cosa,
desiderava
la libertà. Si era buttato su Marlowe mentre lo proclamava a
gran voce,
rabbioso, afferrando il colletto della sua camicia. Marlowe sembrava
divertito
da quello scoppio d’ira e non aveva resistito
all’assalto. Beffardo, gli aveva
accostato una mano al volto, accarezzandolo. Will ne aveva seguito i
movimenti
interdetto, spaesato, ma senza respingere quel contatto. E quando
Marlowe lo
aveva baciato, lui non era stato abbastanza rapido da evitarlo. Aveva
sentito
una bocca premere contro la sua, una lingua tentare di farsi strada tra
le
labbra, braccia che provavano a trattenerlo.
Prima di gettarsi all’indietro, atterrando sul pavimento tale
era stata la
fretta di liberarsi dalla malia di Marlowe, aveva pensato che nessuno
lo
avrebbe più baciato con tanta urgenza.
Vederselo piombare senza preavviso e
senza motivo nella
propria misera stanzetta resa appena più accogliente grazie
agli sforzi di
Anne, quindi, è abbastanza surreale per Will. Non
può evitare di chiedersi cosa
gli sia successo, sporco ed imbrattato di sangue
com’è. Che fine ha fatto il
Kit che ha imparato a conoscere, dagli abiti sfarzosi e sicuro di
sé? Perché
gli ricorda una belva ferita e selvatica, diffidente? Perché
porgli domande
sulla sua fede? Marlowe, ancora una volta, riesce a metterlo in
difficoltà con
le sue richieste. Tuttavia è la tristezza segreta che scorge in
quegli occhi pesti e
scuri come il carbone a turbarlo. Marlowe non lo ha mai guardato
così, prima
d’ora: senza lussuria né arroganza, ma con
rimpianto. (Davvero lo considera
speciale, o si sta prendendo gioco di lui?)
Gli piace illudersi di stare
ripagando il proprio debito
mentre decide di mettere la vita di Richard Southwell -suo amato
cugino- nelle
mani di Kit, consapevole del rischio analogo che il collega (amico
mancato?
Qualcosa di più?) sembra voler correre. Prova a metterlo in
guardia, poiché gli
uomini del cugino potrebbero assassinarlo come spia, ma
l’altro lo congeda con
un sorriso mansueto, un tocco leggero, e in un soffio è
già uscito dalla
stanza.
Improvvisamente, oppresso da
un’angoscia senza nome, si rende
conto che potrebbe non rivederlo più. E si ritrova di nuovo
a pensare che mai
nessuno lo bacerà come ha fatto Christopher Marlowe.
Anche io vorrei luce
ed amore,
ma se arriva deve essere sempre così crudele e accecante?
(F. De
André)
La mia pagina autore: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/.
Ficcy smaccatamente ispirata agli
avvenimenti dell’ottavo
episodio. Hanno contribuito due bellissimi video fanmade che vi linko
qui: https://www.youtube.com/watch?v=5BHzat4A_5U&list=WL&index=22&t=0s
e https://www.youtube.com/watch?v=sch6GTVEq34&list=WL&index=23.