I’ll
see you soon
So you lost you trust
and you never should have,
no you never should have
but don't break your back,
if you ever see this
but don't answer that
in a bullet-proof vest,
with the windows all closed
I’ll been doing my best,
I’ll see you soon
in a telescope lens,
and when all you want’s friends,
I’ll see you soon
See you soon, Coldplay
“Mi
scusi”
È l’unica parola che ripeto
da un’ora e mezza.
E io che mi lamentavo del
caos londinese!
Sono a New York per quattro
giorni perché il mio capo ha avuto la felice idea di spedire
me qui per
presentare il nuovo progetto pubblicitario ad un importante cliente.
Il mio scopo è quello di
farglielo piacere e portare a casa un contratto.
Se solo avessi più voce in
capitolo gliela farei vedere io al mio capo!
Lui è in vacanza nella sua
villetta in Francia e io qui a sbattere contro tutta questa cavolo di
gente che
sembra impazzita.
L’unica cosa positiva è che
mi ha dato la carta di credito aziendale ed ovviamente, dopo il lungo
viaggio
aereo, il caos newyorkese ed il non avermi concesso l’ultima
volta le ferie per
il “troppo lavoro da fare” è giusto che
io la prosciughi.
Quindi tanto shopping! Anche
perché stasera devo cenare con il
“cliente” per concludere l’affare quindi
necessito di un vestito per l’occasione. Se non è
questa una spesa a carico
dell’azienda cosa potrebbe mai esserlo?
In tre giorni ho usufruito
dei benefici di quella piccola carta rettangolare affittando mezza
blockbuster
ed ordinando il servizio in camera. Potrei abituarmi.
Vago fra un negozio all’altro
fino a quando non trovo il vestito perfetto.
Attaccata alla mia teoria
“approfittane finché puoi” compro un
vestito Chanel che non mi sarei potuta
permettere nemmeno risparmiando sugli stipendi di un anno.
Carpe Diem!
E così mi ributto nel mare di
persone che affollano i marciapiedi di questa città troppo
grande per i miei
gusti.
Per evitare un ragazzo che
aveva la pretesa di andare sullo skate in mezzo a questo delirio vado a
sbattere contro qualcuno e la mia stupenda busta cade per terra.
Tragedia!
Sono troppo occupata ad
accertarmi che la busta e il vestito stiano bene per accorgermi delle
scuse che
mi porge quello che dalla voce direi sia un ragazzo.
Aspetta.
Io questa voce la conosco.
Mi alzo di scatto e infatti
la mia supposizione viene confermata
“Tom” urlo forse un po’
troppo forte per lo stupore spalancando gli occhi.
“Jenn!” urla lui altrettanto
forte.
Ecco questi sono quegli
incontri che c’è una probabilità su un
numero infinito che accadano.
Soprattutto perché abitavamo
entrambi nella stessa città o per meglio dire nella stessa
casa e rivedersi
dopo tanti anni a New York era una cosa che mai avrei creduto possibile.
“Non ci credo! Ti rendi conto
di dove ci stiamo incontrando? È assurdo!” mi dice
scuotendo il capo e
abbracciandomi.
Ah il caro vecchio Tom dire
che non mi è mancato è impossibile.
“Ci stavo giusto pensando! Mi
sei mancato sai rompi scatole che non sei altro?” dico
ricambiando l’abbraccio.
“Anche tu, tormento mio!” mi
dice ridendo.
Lui era il mio tormento ed io
il suo. Se non ci disturbavamo a vicenda ogni minuto non eravamo
contenti.
Ma soprattutto eravamo due
veri amici, pronti sempre per l’uno per l’altra.
A dire il vero eravamo tre
amici.
Tre coinquilini.
Tre persone inseparabili.
Ma per due di noi poi i
sentimenti sono cambiati.
E fra due di noi è successo
qualcosa che ha cambiato tutto.
“Ma cosa ci fai qui?” mi
chiede Tom scuotendomi dai miei pensieri matematici e riportandomi
sulla terra.
“Sono qui per lavoro” dico
con un sorriso soddisfatto.
Ai tempi che furono eravamo
tutti quanti senza lavoro fisso, ma mentre io passavo da un lavoro di
cameriera
ad uno di commessa loro si dilettavano a fare gli attori.
Avevano talento e sapevo che
era questione di tempo prima che avrebbero lasciato la cara vecchia
Inghilterra
per trovare fortuna negli States.
“E il tuo lavoro
consisterebbe in questo?” mi dice strappandomi di mano la
busta di Chanel e
sventolandomela sotto gli occhi.
“Ha, ha, ha! No sono qui
perché devo ultimare un contratto pubblicitario con un
cliente importante” dico
guardandomi le unghie con tono altezzoso.
“Noo! Non ci credo hai
finalmente messo la testa a posto e stai facendo un lavoro
serio” dice facendo
il finto sconvolto.
“Cretino! Guarda che non ero
io l’irresponsabile ma Ro..” comincio a dire
però mi blocco.
Cavolo quanto mi costava dire
quel nome.
Tanto quanto vedere ovunque
giornali, programmi e qualunque cosa avesse la sua faccia sopra.
Ormai nemmeno al cinema
riuscivo ad andare o sennò dovevo arrivare dopo i coming
soon per evitare di
vedere qualche film di prossima uscita di cui era protagonista.
Robert.
No non mi era affatto
passata.
Per quanto ormai erano anni
che non ci rivolgevamo la parola il mio cuore non era mai riuscito ad
abituarsi
al fatto che lui se ne fosse andato.
Per anni siamo stati amici.
Ma non era un’amicizia come quella con Tom.
Lui era la mia anima gemella.
Ma quando si è troppo piccoli
si rovina tutto facilmente.
Ed anche se sapevo che era
quella l’unica persona che avrei potuto amare in un modo
così irrazionale e
folle l’ho persa.
Pochi giorni dopo la nostra ultima
lite per qualcosa di cui non ricordo nemmeno il motivo lui
partì per Los
Angeles e da quel giorno non ho più avuto sue notizie se non
grazie a qualche
canale che non ho fatto in tempo a cambiare o conversazioni fra le
sorelle di
Robert che per sbaglio avevo ascoltato.
“Andiamo a prenderci un caffè
dai!” mi dice Tom trascinandomi per un braccio.
“Ok, ma fra un’ora devo
andare!” dico io.
Ci infiliamo nel primo bar
che troviamo ed ordiniamo.
“Sempre caffeinomane eh!” mi
dice scuotendo la testa.
“Sempre” dico fiera.
“Allora quando sei arrivata?
E quanto resti qui?”
“Sono arrivata tre giorni fa e
dovrei ripartire domani se fila tutto liscio con il cliente”
rispondo prendendo
la tazza di caffè e bevendone un sorso.
“Così poco!? Ma dai rimani un
altro po’! Ti faccio visitare questa stupenda
città!” mi dice indicando le vie
della Grande Mela che si riflettevano dalla vetrata.
“Non so cosa ci trovi di così
stupendo! E in effetti non ho mai capito perché ti sei
trasferito qui! È così
caotica”
“Piano, piano ti ci abitui
inglesina” dice facendomi una linguaccia.
“Insomma qualche news dalla
mia capitale?” mi chiede poi sorseggiando la sua Coca Cola.
“Na, niente di che..”
rispondo giocando con un tovagliolo.
“Quanto ancora vuoi aspettare
prima di chiedermi sue
notizie?” mi
dice fermando la mia mano.
“Non avevo intenzione di
farlo” rispondo continuando a fissare il tovagliolo.
“Si, ok, certo! Jenn ti
conosco troppo bene! Forza chiedimelo” dice prendendomi la
testa fra le mani costringendomi
a guardarlo.
“Tom non mi importa davvero”
dico cercando di essere convincente.
Non è vero, non è vero! Voglio sapere tutto di
lui! Come ha passato ogni singolo istante della sua vita
da quattro anni fa ad oggi.
Ma sono troppo orgogliosa per
chiederlo, come lo sono stata con tutte le persone che lo conoscono da
quando è
partito. E con lui in primis.
“L’orgoglio non porta da nessuna
parte Jenn” mi dice serio Tom lasciandomi la testa
“comunque anche se non ti
interessa lui è qui a New York”
Alzo di scatto la testa.
Cosa, cosa, cosa, cosa,
cosaaaaaa?
“Non lo stai mica aspettando
Tom perché nel caso io è meglio..”
“No, non lo sto aspettando.
Sta girando un film qui ed ora dovrebbe essere sul set a Central
Park”
“Ah ok” dico guardando fuori la vetrata.
Anche solo l’idea di
incontrare per mezzo secondo il suo sguardo fa troppo male.
“Sono sicura che gli manchi
da impazzire Jenn” mi dice dolcemente Tom.
“Per favore cambiamo
argomento”
“Come vuoi”
E così senza più nominare
Robert mi racconta cosa sta facendo, dei film che deve girare e di come
gli
manchino i suoi amici.
“Tom ora devo proprio andare,”
“Di già?! Passa stasera a
casa mia, dai! Ci vediamo un film come ai vecchi tempi!” mi
dice contento.
E chi se le scorda le nostre
serate cinema.
“Stasera devo cenare con il
cliente non credo farò in tempo” dico tristemente.
“Tieni questo è il mio
indirizzo, magari ce la fai” mi dice porgendomi un pezzo di
carta dove
prontamente ha scritto il suo indirizzo.
“Non credo Tom”
“Anche a me Tom davvero
e…posso chiederti un favore?” chiedo staccandomi
un po’ da lui.
“Non dirlo a Robert” risponde
imitando malamente la mia voce.
“Bravissimo!” rispondo
abbracciandolo e pizzicandogli la schiena.
“Ahia scema! Comunque
tranquilla!”
“Ci sentiamo presto Tom!”
dico salutandolo con la mano mentre fermo un taxi alzando un braccio.
“A presto!”
Ok, quando torno a Londra
devo ricordarmi di mandare a quel paese il mio capo.
Una delle cene più noiose
della mia vita.
Fortunatamente l’affare era
stato chiuso!
Almeno potrò tornarmene a
casa mia!
Però mi dispiace non aver
passato ancora del tempo con Tom.
Quasi, quasi gli faccio una
sorpresina e lo vado a trovare ora.
Tanto figurarsi se all’una di
notte un nottambulo come lui sta dormendo: al massimo non lo trovo a
casa.
Passo prima ad un piccolo
supermercato a prendere una cassa di birre e poi mi faccio portare da
un taxi
all’indirizzo che mi ha scritto la mattina. Solo qui i
supermercati sono aperti
anche a quest’ora.
Certo preferirei prima
andarmi a togliere il mio vestito nuovo ed i tacchi dolorosi che porto
ai piedi
ma so che poi sarei capace di arrivare alle tre a casa sua.
Pagata la corsa e scesa dal
taxi mi trovo di fronte ad un palazzo non troppo alto per gli standard
newyorkesi e con uno scatto raggiungo il portone dato che un tizio sta
entrando.
Perfetto nemmeno devo
suonare: più sorpresa di così.
Dopo aver fatto tre piani a
piedi trovo il suo nome sul campanello e suono.
Dopo pochi secondi si apre la
porta ma mentre urlo “Sorpresa” agitando come una
scema le birre realizzo chi
ho davanti.
Si ferma e mi fissa senza
muoversi, parlare o almeno accennare un segno di vita.
Ed io non sono da meno.
Lo sento balbettare il mio
nome ma il suono non arriva ben chiaro alle mie orecchie.
Più volte avevo immaginato le
nostre reazioni quando ci saremmo di nuovo trovati l’uno di
fronte all’altro ma
non immaginavo sarebbe stato così difficile fare o dire
qualsiasi cosa.
E non immaginavo quanto in
fretta la consapevolezza dei miei sentimenti sarebbe tornata a galla.
Lo amavo, come sempre o forse
di più.
Ogni parte di me lo sentiva,
tutte le emozioni che avevo represso in quegli anni stavano
distruggendo le
barriere erette per proteggermi e urlavano quel sentimento.
Amore.
“Jenn…ma cosa…” mi dice
guardandomi confuso.
E la mia reazione arriva.
Lo stringo fra le mie
braccia.
Via l’orgoglio, la paura, la
sofferenza, ciò che è successo in passato, via tutto!
Aspettavo questo abbraccio da
quattro anni!
Anche lui mi stringe fra le
sue braccia forte fino a quasi togliermi il respiro.
“Non hai idea di quanto mi
sei mancata” mi dice ancora tenendomi stretta al suo petto.
“Jenn?! Ma avevi detto che
non saresti passata!” sento Tom dire affiancandosi pallido a
me e Rob.
“Io, si volevo farti una
sorpresa..penso” dico non sapendo più nemmeno come
mi chiamo staccandomi da
Robert.
“Sapevi che era qui?” chiede
Rob a Tom confuso.
“Si ehm…l’ho incontrata oggi
per caso e…” comincia Tom ma lo interrompo.
“Gli ho chiesto io di non
dirti niente” dico guardando per terra
“Io…è meglio che vado. Ci
vediamo presto ragazzi” continuo poi non dandoli tempo di
rispondermi correndo
via da quel palazzo e via da Robert.
Dopo aver vagato per un’ora
in strade sconosciuto decido di tornare in hotel.
Non riesco a produrre un
pensiero coerente.
È tornato di nuovo a
sconvolgere la mia vita. L’incontro anche se solo di cinque
minuti con lui e quell’abbraccio
non riuscirò a dimenticarli.
Ora che il mio cuore mi sta
implorando di ascoltarlo, ora che tutto è così
maledettamente chiaro sarà
difficile tornare a far finta di non pensare a Robert.
Mi rannicchio sul sedile del
taxi e continuo a piangere sperando di non essere interrotta.
Fa troppo male, è tutto così dannatamente
doloroso!
Arrivata davanti all’hotel
quasi corro fino alla porta della mia stanza.
E lì lo vedo, di nuovo.
Robert seduto davanti la mia
stanza che prontamente gira lo sguardo verso di me.
“Ehi” mi dice alzandosi e
venendomi incontro.
“Come…come hai fatto a sapere
qual è la mia camera?” mi esce questa stupida
domanda.
“Uno dei vantaggi del mio
lavoro. Riesci ad ottenere più facilmente le
informazioni” mi dice con un mezzo
sorriso che però non contagia i suoi occhi tristi.
Lo supero e apro la porta
della stanza, con l’intenzione di lasciarlo lì
fuori.
Non voglio continuare a farmi
del male.
Mentre cerco di chiudere la
porta però si infila e la riapre completamente.
“Non mi fai entrare?” mi
chiede fra il deluso e l’arrabbiato.
“Cosa vuoi Robert?” chiedo
chiudendo gli occhi e massaggiandomi le tempie cercando di non
scoppiare a
piangere.
“Salutarti, parlare, capire
perché sei scappata in quel modo” mi dice
prendendo le mie mani nelle sue.
No, no! Nessun contatto.
Sciolgo velocemente l’unione
delle nostre mani ed entro nella stanza aspettando che mi segua.
Purtroppo quando si mette in
testa una cosa è inutile tentare di fermarlo.
“Seriamente, cosa vuoi da me?”
chiedo scandendo ogni parola con
una lentezza esagerata sedendomi sul letto.
“Lo senti anche tu non è
vero?” mi chiede inginocchiandosi davanti a me guardandomi
negli occhi.
“Cosa?” chiedo spostando lo
sguardo su qualsiasi cosa non siano i suoi occhi.
“Guardami e rispondimi” mi
dice girandomi la testa.
“Cosa?” ripeto io piano.
“Dimmi che lo senti anche tu
prima che impazzisca Jenn” mi dice con una serietà
mai vista prima in lui.
“E una volta che l’ho detto?
Robert, non ha senso che io continui a farmi del male”
rispondo mentre sento
una lacrima bagnare la mia guancia.
“Non ha senso che tu continui
ad ignorare i tuoi sentimenti” mi dice asciugando le mie
lacrime.
“E cosa ha senso?”
“Questo” mi dice avvolgendo con entrambe le mani il mio viso mentre delicatamente poggia
le sue
labbra sulle mie.
Non avrei mai creduto di
avere la possibilità di riprovare quelle sensazioni.
Ma ha ragione Robert:
questa è l’unica cosa che abbia senso.
Ed
ora voi vi chiederete…
Ma sei normale che alle 3e30
scrivi ‘ste cose?
No certo!
Ma che non sono normale si
sapeva già!
E fa troppo caldo per dormire
Quiiindi non so cosa è uscito
e non mi va di rileggerlo xD
Spero sia accettabile
comunque!
Bien bon nuit a tout le
monde!
Un bacioooo :*****
Lyla_