Hammer
Lullaby
L'alba
a Winterfell arrivò a cavallo dei venti dell'inverno, gelidi
cavalieri con vessilli di nuvole, accarezzando la terra innevata con
raggi biancastri, freddi. Un tripudio di bianco, perfetto sudario di
neve, insozzato dal primo fumo della fucina del castello, nero come i
capelli del fabbro.
Da
oriente si avvicinavano le prime luci del mattino, colorando gli
antichi muri di pietra grigia con le tinte rosa e arancio di un sole
troppo timido per osare affacciarsi all'umile porta di quella bottega,
svelando al freddo e a occhi indiscreti il fruscio di pelli e coperte e
il respiro lieve e regolare dell'assassina rannicchiata lì
in mezzo, fra il letto e un altro corpo più grande del suo.
Si
alzò il fabbro e con lui il canto del ferro. Gendry lavorava
con addosso solo i calzoni, a petto scoperto, come aveva sempre fatto
anche al sud, abituato a venti più caldi, all'aria immobile
e torrida che riempiva la fucina fino a trasformarla nei sette Inferi.
Ma Gendry non credeva negli dèi, e non era il fuoco nella
fornace a far scorrere stille di sudore sulla sua pelle - non ancora -,
ma il ricordo ancora vivido dell'amplesso, e il calore del letto e
delle morbide, lattee cosce della lupa.
Fra
dove lavorava e il piccolo cantuccio dove dormiva c'era poco a
dividerli, e di tanto in tanto cadeva nella sua distrazione preferita,
girandosi a osservarla, un mucchietto di coperte immobile da cui
s'intravedeva un ciuffo di capelli castani, le cicatrici sul viso e
quelle sulle braccia, l'espressione accigliata.
Gli
aveva raccontato, Arya, che da bambina, nelle notti più
fredde, dormiva facendo spuntare solo il naso da sotto le coperte, e
Gendry prima di alzarsi non aveva potuto fare a meno di avvolgerla di
nuovo a quella maniera, chiedendosi quando fosse stata l'ultima volta
che qualcuno lo avesse fatto per lei, a casa sua.
Ancor
prima di cominciare il lavoro aveva già perso il conto di
tutte le volte che aveva posato le sue iridi azzurre su di lei,
seguendo i suoi movimenti pigri ogni qual volta che si rivoltava nel
letto. A ogni sguardo sembrava diventare più bella, e Gendry
non si preoccupò di trattenere il moto d'orgoglio e il
sorriso che ne seguì nel sapere quanta forza si nascondesse
in quella ragazza così esile, quanto potesse essere testarda
e fiera e coraggiosa fino alla sconsideratezza. Un sorriso triste, nel
sapere quanto dolore, quanta nostalgia e, inaspettato, amore
nascondesse dove nessuno poteva vederlo.
Quando
finalmente afferrò il martello e fece per voltarsi ancora,
la trovò stesa su un fianco, la mano sotto il capo e lo
sguardo fisso su di lui. Non si sorprese, sapendo di non poter sfuggire
alle sue orecchie, che probabilmente era sveglia dal primo istante in
cui aveva cominciato a muoversi accanto a lei. Gli occhi di Arya erano
grandi, colorati come nubi in tempesta. Occhi da bambina, da lupo, da
soldato, che lo guardavano con quella che sembrava una nota di
dolcezza. Erano lucidi, e lungo la schiena di Gendry si fece strada un
brivido. Avrebbe
potuto abituarsi al freddo del Nord, se avesse significato esser
riscaldato dal ghiaccio grigio dei suoi occhi.
Si
mise infine a battere il metallo, e per chissà quanto tempo
continuarono quel gioco quasi infantile. Il viso di Arya
rimase all'apparenza impassibile, il corpo immobile e solo le pupille
che si muovevano con lui, osservando scrupolosamente Gendry e la sua
arte, il metallo arroventato brillare di rosso nel mezzo della
stanza.
Quel
giorno il mondo sembrava essersi ridestato senza alcuna fretta, con
loro due gli unici svegli in tutta Westeros, ma nulla che esistesse
oltre la porta della fucina. Non era da lei restare a letto
quando lui era già in piedi, ma
più la spada prendeva forma, più Arya
sbatteva le palpebre, nonostante cercasse in tutti modi di
nasconderlo, di restare sveglia.
Fu
solo alla fine di quella che era diventata quasi una battaglia che
Gendry la vide chiudere gli occhi, cullata dall'insolita nenia dei
colpi del suo martello. Nel girarsi verso di lui s'era scoperta
abbastanza da mostrare il petto minuto che lento si sollevava e
abbassava e il primo anello che le aveva regalato, troppo grande per
lei, insinuarsi dolcemente sulla curva dei seni, appena accennata dal
laccetto di cuoio a cui l'aveva legato pur di indossarlo a tutti i
costi, rifiutando ogni suo tentativo di chiamarlo errore, troppo
ostinata per ammettere il perché.
Il
viso di Arya non perse la sua espressione guardinga, ma le sopracciglia
si rilassarono, e gli angoli della sua bocca, ancora rossa e gonfia dai
baci della notte passata, sembrarono quasi sollevarsi. Si
addormentò di nuovo, sapendo di poterselo permettere,
sapendo di non dover più versare altro sangue per avere
tutto questo.
Note dell'autrice
Ho scritto questa piccola cosina un mese fa e, dopo aver letto i prompt della week su tumblr ho notato che, convenientemente, avrei potuto postarla per il DayOne! ^^ Non sono sicura dei risultati - ho una paura matta di essere andata OOC!-, e sarei felice di sentire qualche opinione - anche se, ovviamente, i miei ringraziamenti vanno già a chi ha anche solo letto <3
Stay alive, kiddos.
Nana
Ho scritto questa piccola cosina un mese fa e, dopo aver letto i prompt della week su tumblr ho notato che, convenientemente, avrei potuto postarla per il DayOne! ^^ Non sono sicura dei risultati - ho una paura matta di essere andata OOC!-, e sarei felice di sentire qualche opinione - anche se, ovviamente, i miei ringraziamenti vanno già a chi ha anche solo letto <3
Stay alive, kiddos.
Nana