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Autore: MomoiDancho    02/08/2018    2 recensioni
Sfogliavo le pagine, e avevo trovato nella prima una scrittura svolazzante che recitava
“Angela Vianello, 1801. San Servolo. “
“Un diario di una detenuta di un manicomio?” mi chiesi, mentre sfogliavo le pagine bianche
«Chiara! Chiara ci sei?» la mia migliore amica mi aveva posato una mano sulla spalla, guardandomi con aria interrogativa «Guarda che stiamo per andarcene, ci stanno cercando tutti per poter ripartire sul bus!»
«Sì, volevo comprare questo, ma… non trovo nessuno a cui pagarlo…»
Gaia aveva alzato gli occhi al cielo «Per l’amor di Dio, Chiara, mettitelo nello zaino e basta, siamo di fretta! Dai, ti copro io» mi aveva detto, parandosi davanti a me.
Sapevo che stavo facendo una cosa sbagliata e qualcosa mi diceva di non farlo assolutamente.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Stavo camminando lungo le strade di Venezia, con Gaia, la mia migliore amica nonché compagna di classe: finalmente era arrivato il giorno della gita in cui potevamo farci i fatti nostri, girando per le viuzze e i vicoli di questa meravigliosa città. Lei insisteva per visitare il mercato del rio delle Convertite, davanti al carcere femminile della Giudecca e io, che non so mai dire di no, l’avevo accontentata.
Secondo me era un’inutile perdita di tempo «Cosa vuoi che ci sia di interessante in un mercato che vende prodotti dal carcere?» le avevo chiesto sbuffando e in tutta risposta, con un sorriso smagliante, lei mi aveva detto «Ma sì, vedrai che troverai qualcosa anche tu, topo da biblioteca che non sei altro!» «Un topo da biblioteca è una persona che frequenta assiduamente le biblioteche o che legge e studia molto, non un’appassionata di cancelleria, Gaia» «Sì, stessa roba» mi aveva detto dandomi una pacca sulla spalla.
Eravamo finalmente arrivate e, con mia sorpresa, la mia migliore amica ci aveva preso. Beh, quasi, nel senso che c’era solo una bancarella che vendeva cianfrusaglie di cancelleria: mi ero  allontanata dalla mia amica, incuriosita; un quaderno nero, rilegato in quello che sembrava pelle, aveva attirato la mia attenzione.
Sfogliavo le pagine, e avevo trovato nella prima una scrittura svolazzante che recitava
“Angela Vianello, 1801. San Servolo. “
“Un diario di una detenuta di un manicomio?” mi chiesi, mentre sfogliavo le pagine bianche «Chiara! Chiara ci sei?» la mia migliore amica mi aveva posato una mano sulla spalla, guardandomi con aria interrogativa «Guarda che stiamo per andarcene, ci stanno cercando tutti per poter ripartire sul bus!» «Sì, volevo comprare questo, ma… non trovo nessuno a cui pagarlo…» Gaia aveva alzato gli occhi al cielo «Per l’amor di Dio, Chiara, mettitelo nello zaino e basta, siamo di fretta! Dai, ti copro io» mi aveva detto, parandosi davanti a me.
Sapevo che stavo facendo una cosa sbagliata e qualcosa mi diceva di non farlo assolutamente.
In maniera impacciata avevo infilato il diario nello zaino e, giuro, mi sembrava di averlo sentito pulsare, come un cuore. Rimasi tutto il viaggio in silenzio, con le cuffiette, cercando di ignorare la brutta sensazione che mi stava accompagnando da quando avevo preso quel diario.
La sera, a casa, finalmente avevo trovato il coraggio di tirare fuori quell’oggetto: ne avevo accarezzata la copertina e una avevo sentito una voce, di una ragazza, che mi diceva «Salve, mi chiamo Angela. Tu chi sei?».  Pensavo di aver avuto un’allucinazione, quando la domanda era stata ripetuta una seconda volta, con la voce leggermente più impaziente.  «Chi…Chiara.» avevo risposto con voce tremante.»
Lei prende appunti, guardandomi dietro agli occhiali «Vai avanti, Chiara»
«Io… da lì è iniziato l’incubo. La ragazza voleva essere mia amica, all’inizio. Parlavamo e lei pian piano diventava sempre più vera. Portavo il diario sempre con me, e lei assisteva con me alle lezioni, mi vedeva parlare con i miei amici, soprattutto con… con Gaia» dico con un singhiozzo trattenuto.
«Io mi sentivo sempre più stanca, sempre più… più strana. Sognavo pagine vuote, ingiallite dal tempo e Angela, che mi guardava dall’alto. Il primo giorno che l’avevo vista dal vivo, mi ero spaventata molto. Indossava un lungo camice bianco logoro, aveva i capelli lunghi e neri, due penetranti occhi verde chiaro, ma era ancora semi trasparente. Mi sorrideva e mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Non capivo, all’epoca. Non potevo parlarne con nessuno, perché sapevo che mi avrebbero presa per pazza. Nessuno riusciva a vederla, ma lei… lei era sempre con me» dico tremando un poco.
«Un giorno, avevo deciso di ignorarla. Il 14 Marzo era il compleanno di Gaia e io avevo deciso che avrei dedicato a lei tutta la mia attenzione: compiva 18 anni e saremmo dovute rimanere a casa a fare un pigiama party, solo io e lei, come durante i bei vecchi tempi. Quella notte, avevo fatto un sogno terribile, Gaia mi chiedeva aiuto mentre lottava con Angela, ma non capivo… non riuscivo a muovermi. E quando mi ero svegliata all’improvviso, tutta sudata, Gaia non c’era più, al suo posto c’era Angela, in un angolo, con un ghigno terribile sul viso e con voce ridotta a un sussurro diceva “ce l’ho fatta… ce l’ho fatta. Sono fuori… libera!”»
«E dimmi Chiara, dov’è adesso Gaia?» chiede la dottoressa.
«Nel diario! Lei è stata rapita da Angela, l’ha trascinata al suo posto!»
«Capisco… e quindi questa “Angela”, dove sarebbe, adesso? » «Io.. non lo so. Dopo che è tornata viva, ha cercato di uccidermi «Sei l’unica testimone, non posso permetterti di vivere e di raccontare questa storia». Ho urlato e sono arrivati i genitori di Gaia, in quel momento lei è scomparsa».
Scoppio a piangere, mentre la dottoressa impassibile continua a prendere appunti sul suo blocco.
«Hai qui il diario?» mi chiede con aria gentile: esito un attimo e poi annuisco.
Lo tiro fuori e, con orrore, noto che c’è scritto “Gaia Pellegrini, 1970, Milano”.
Inizio ad urlare «Lo vede? Lo vede?!? E’ qui, è qui dentro, lei deve aiutarmi a liberarla! La prego!».
La dottoressa  prende il diario, lo osserva e successivamente fa un cenno a dei poliziotti lì vicino.
«Credo che la signorina Lissoni debba essere traferita in una struttura più adatta a lei. Il manicomio di Mombello credo sia la struttura più vicino e più indicata per curare la sua psicosi.».
Entrano degli infermieri nella stanza, che si avvicinano minacciosi: la dottoressa mi stringe la mano e, in quel momento, la vedo; gli occhi le diventano verdi chiarissimi per una frazione di secondo, il sorriso si trasforma un ghigno e allora urlo «E’ lei! E’ lei! Arrestatela, è colpa sua! E’ lei Angela!»
Il poliziotto scuote la testa, ormai abituato a vedere scene del genere e con un cenno, indica agli infermieri la porta. Mentre vado via, la vedo strappare il fragile dorso del diario, mentre con la mano mi fa un cenno di saluto.
Non la rivedrò mai più, fino alla fine della mia vita.


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Buonasera! Questa cupa atmosfera pre-acquazzone mi sembrava l'ideale per scrivere un fanfiction horror, quindi, eccomi qui. 
Se vi è piaciuta, fatemi sapere nelle recensioni!
MomoiDancho
   
 
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