5. The Dark Brother
Aveva
deciso di non rischiare di nuovo la traversata delle montagne dopo
quanto accaduto a causa di quei nani, così si era messo in viaggio
verso est con l'intento di aggirarle e raggiungere il Passo di
Cutter. Avrebbe atteso lì l'esercito di Murmandamus.
Era
più d'una settimana che seguiva il sole senza imbattersi in alcun
parirazza. Evidentemente non erano rimasti in molti a sud dei Denti
del Mondo, ma di questo non si diede pena. Si sentiva in realtà
sollevato al pensiero di non doversi trovare in obbligo di unirsi ad
un altro clan, così da non dover rendere conto a terzi dei propri
comportamenti. In realtà anche fra i suoi compagni spesso si era
trovato costretto a conformare il proprio modo di fare ed a
sottostare a modi di pensare che gli andavano stretti ed ora che si
ritrovava a viaggiare da solo avvertiva per la prima volta una sorta
di liberazione ad alleggerirgli l'animo.
Mantenne
un'andatura rapida, senza doversi preoccupare di allestire un campo
al calar del sole o di procacciare cibo in quantità per tutto il
gruppo. Viaggiò persino di notte, perché era ansioso di superare
quel tratto di territorio ostile e potersi lasciare l'accaduto
definitivamente alle spalle.
Giunse
il tramonto dell'ottavo giorno e, all'allungarsi delle ombre sul
terreno della selva che stava attraversando, Elwar era in bilico fra
il pensiero di passare un'altra notte in cammino oppure di cercare un
riparo per riposare un poco, quando si rese conto di non essere il
solo ad aggirarsi per il bosco. Improvvisamente in allarme, fece
appena in tempo a nascondersi dietro ad un albero quando alcuni
esploratori eledhel sbucarono dal fitto, con gli archi pronti e le
espressioni tese e guardinghe.
Che
ci fanno qui degli eledhel?
Si
appiattì contro il tronco dietro il quale aveva trovato riparo e le
cui radici nodose fuoriuscivano dal terreno creando piccoli ponti
sospesi fra i cespugli ed incorniciando quell'anfratto al pari delle
pareti di una culla naturale. In quel tratto la vegetazione era
straordinariamente fitta ed offriva un discreto numero di
nascondigli, e fu grazie a questo ed ai suoi riflessi che riuscì a
sottrarsi alla perlustrazione in atto di quegli elfi.
Messosi
ormai in allerta, Elwar stava ancora cercando di pensare ad un modo
per uscire da quella situazione incresciosa quando le sue orecchie a
punta vibrarono nel captare una nuova serie di suoni anomali alla
vita del bosco. Immobile al pari di una statua smise quasi di
respirare, quindi si arrischiò a lanciare una nuova occhiata da
dietro il proprio riparo appena in tempo per distinguere uno degli
esploratori di Elvandar scambiarsi un cenno con il compagno e poi
scattare nella direzione dalla quale era venuto, sparendo senza alcun
rumore in pochi secondi.
L'altro
invece, così come il moredhel, si appostò dietro uno degli alberi
vicini e rimase in attesa mentre quei suoni si facevano via via più
distinti. Un lontano eco di voci e fruscii si accompagnò ad un più
distinto scalpiccio.
Si
stava avvicinando qualcosa.. o meglio, qualcuno.
Quando
la ragazza comparve nel suo campo visivo, giungendo correndo ed
incespicando lungo il sentiero dalla parte opposta a quella da cui
aveva visto poc'anzi provenire quegli esploratori, Elwar si ritrovò
meccanicamente a trattenere il respiro ancora una volta. Era
un'eledhel.
Che
diamine sta succedendo?! Si ritrovò a chiedersi allibito, non
riuscendo a distogliere lo sguardo dalla fuggitiva. Ne notò gli
abiti laceri e sporchi, prova di quante volte avesse avuto un
contatto indesiderato con il terreno, ma più di questo il suo volto
serbava traccia, come il suo continuo incespicare, delle sue reali
condizioni. Incorniciato da una massa scomposta di capelli castano
chiaro, aveva un viso di un pallore estremo che non era mitigato
affatto dal rossore dovuto sforzo fisico che stava sopportando.
Quell'elfa
era al limite delle sue forze.
Ma
non era l'unica sagoma in movimento al di sotto della chioma degli
alberi: dall'altro lato del sentiero rispetto a lui, la ragazza era
inseguita da due ombre, due moredhel che muovendosi rapidi fra la
vegetazione la stavano aggirando.
L'esploratore
eledhel rimasto nascosto nelle vicinanze, dopo aver assistito alla
stessa scena di Elwar, parve allora decidere di intervenire e con un
movimento fulmineo lasciò il suo riparo per scoccare in rapida
successione due frecce proprio sui due Fratelli Oscuri
all'inseguimento. La prima fendette con un sibilo sordo l'aria ed
andò a segno, ma non fu così per la seconda, la quale andò a
conficcarsi nella corteccia di uno dei tanti alberi di quel tratto di
bosco.
E fu
a quel punto che si scatenò il caos.
I
due elfi ingaggiarono una lotta corpo a corpo, intensificando i
rumori e le grida che già riempivano l'ambiente sino a poco prima
pervaso di quiete, e la fuggitiva perse del tutto l'equilibrio
cadendo nella polvere con un gemito strozzato a meno di un paio di
metri proprio dal nascondiglio scelto da Elwar.
Ed a
quest'ultimo non occorse più di un secondo per rendersi conto di
un'altra presenza in avvicinamento. Dalla stessa direzione dalla
quale era sopraggiunta quell'infima elfa, improvvisamente sbucò un
altro elfo a cavallo il cui mantello dischiuso gli lasciò
distinguere chiaramente la caratteristica foggia della casacca
sottostante. Non appena ne riconobbe il clan di appartenenza, ogni
muscolo gli si irrigidì di colpo.
Corvi.
Il
disprezzo che gli nacque in petto fu tanto repentino e intenso da
spingerlo ad agire e, mosso dall'istinto si sfilò l'arco da sopra la
testa, incoccò una delle poche frecce che era riuscito a procurarsi
con esso, e dopo aver preso un ultimo respiro si sporse da dietro il
tronco e scoccò.
Il
dardo perforò l'aria con un sibilo appena distinguibile in mezzo a
tutto quel caos e l'istante seguente il moredhel, membro di uno dei
clan più avversi ai Lupi Grigi, scivolò di sella, riversandosi al
suolo privo di vita. L'animale scartò di lato appena in tempo per
evitare di travolgere la ragazza-elfa, la quale nel mentre stava
tentando invano di rimettersi in piedi. Elwar la vide premersi una
mano sul fianco sporco di sangue ed inarcò un sopracciglio
all'espressione sofferente che le vide deturparle i lineamenti, ma
colse anche qualcos'altro su quel volto, qualcosa che
sorprendentemente riconobbe: una profonda determinazione a non
arrendersi.
In
un lampo si rivide nel fronteggiare quell'imboscata che era valsa la
vita di tutti i suoi compagni, con la stessa cieca determinazione di
lei a non mollare, a non darsi per vinto, e quell'inattesa empatia
nei confronti di colei che invece avrebbe solo dovuto disprezzare lo
sconvolse e lo confuse.
Troppo
allibito dalle emozioni che gli erano in un istante affiorate in
petto, del tutto estranee alla sua natura di Fratello Oscuro, si
riebbe soltanto quando si rese conto che quella stessa eledhel era
riuscita a strisciare sino al limitare opposto del sentiero e
sembrava del tutto intenzionata a cercare rifugio proprio ove in
realtà, oltre il suo campo visivo, stava avvenendo lo scontro.
Lasciando
cadere l'arco, Elwar con un'imprecazione sommessa uscì dal suo
riparo ed afferrò l'elfa per la vita, trascinandola con sé
nell'unico posto sicuro che era divenuto quel suo riparo. Una volta
di nuovo al coperto se la strinse addosso, premendosi nuovamente
contro la dura corteccia, tenendole saldamente una mano sulla bocca
per impedirle di emettere il minimo suono.
Non
poteva in alcun modo farsi scoprire, da nessuna delle due fazioni.
La
sentì tentare d'opporre resistenza ma era fin troppo debole e gli
bastò rinsaldare la presa perché quella smettesse di dibattersi e
s'abbandonasse infine stremata contro il suo petto. Quel contatto
pregno di arrendevolezza gli trasmise un tepore che lo indusse ad
abbassare lo sguardo in un moto di sorpresa, distraendolo
dall'analisi che stava tentando di fare sugli accadimenti del
sottobosco per mezzo del solo udito. Lo scalpitare degli zoccoli di
alcuni cavalli faceva vibrare il terreno sotto di loro, grida ed
esclamazioni cariche d'astio riempivano l'aria ed il rintocco
metallico dell'incrociarsi delle spade spezzava il tutto, segno che
la battaglia era ormai entrata nel vivo.
Eppure
ogni cosa scomparve nel momento in cui si fece distrarre da lei.
Incrociandone lo sguardo sbarrato, Elwar si ritrovò a fissare due
pozze velate di lacrime tanto spesse da riflettere come gemme
preziose i fiochi raggi del tramonto.
Per
la prima volta nella storia, l'argento più vivo incontrò l'oro.
Il
moredhel si sentì improvvisamente estraniare da tutto ciò che li
circondava, come risucchiato in una dimensione parallela il cui
centro erano quegli occhi tanto unici nel colore quanto
nell'espressività. Per una prima, fugace frazione di secondo, una
scarica elettrica gli attraversò tutto il corpo, risalendogli lungo
la spina dorsale e spazzando via ogni sentimento negativo che aveva
potuto serbare sino a quel momento nei confronti della proprietaria
di quello sguardo.
In
quell'unico singolo momento, ogni differenza fra loro scomparve,
dissolta nel nulla.
Poi
il momento passò e quelle emozioni terminarono tanto bruscamente
quanto erano sbocciate e lo scontro ancora in corso tornò prepotente
a richiamare l'attenzione del moredhel con i suoi rumori, facendolo
sussultare nel ritornare con la coscienza al presente.
Dovevano
andarsene da lì.
Prendendo
un bel respiro si preparò allo scatto e cambiò presa sul corpo
della ragazza. Le fece passare un braccio sotto le ginocchia mentre
con l'altro le cingeva la schiena, di modo da reggerla fra le
braccia. Un ultimo istante in cui gonfiò nuovamente i polmoni e,
senza più guardare la ragazza, scattò nuovamente in piedi,
spiccando la corsa nella direzione diametralmente opposta a quella in
cui stava avvenendo quel confronto tutt'altro che pacifico.
Non
aveva percorso più di pochi metri che una freccia gli sibilò
accanto, mancandolo per un soffio, ma Elwar continuò a correre,
consapevole che era l'unico modo per salvarsi la pelle. Superò un
tronco caduto con un balzo e deviò alla propria sinistra, prendendo
a procedere a zig-zag per un breve tratto fra gli alberi, finché i
rumori alle sue spalle non si attenuarono abbastanza da essere
sovrastati da quelli prodotti da lui stesso in quella folle corsa.
Soltanto
quando ogni altro suono che non fosse il suo stesso respiro scomparve
alle sue orecchie finalmente decise di rallentare, guardandosi
meccanicamente intorno alla ricerca di un altro riparo di fortuna
dietro il quale prendersi una pausa per riprendere fiato e schiarirsi
le idee.
Scelse
un masso ricoperto di muschio ed una volta appoggiata la schiena alla
pietra fresca non mancò, col respiro corto, di ringraziare
mentalmente gli Dei per essere ancora vivo e, soprattutto, per
l'assoluto silenzio in cui era sprofondata l'elfa che teneva fra le
braccia. Un silenzio insolito accompagnato da un'immobilità
pressoché totale.
Inarcando
un sopracciglio a quella considerazione, Elwar abbassò finalmente
ancora una volta lo sguardo sul volto della ragazza e soltanto a quel
punto si rese effettivamente conto della verità: aveva perso
conoscenza.
Ne
notò solo a quel punto come il respiro che le sgorgava dalle labbra
leggermente dischiuse fosse pesante e sofferto e quanto il rossore
superficiale che le aveva scorto inizialmente in volto aveva lasciato
il posto ad un pallore diffuso e lucido di sudore. Tutti quei segnali
ebbero il potere di fargli nascere in petto una nuova inquietudine
che lo spinse, contro ogni pronostico, ad accostare una guancia alla
sua fronte, sussultando non appena entrò in contatto con la pelle
d'ella: era bollente.
Un
nuovo grido in lontananza, a diverse centinaia di metri da loro, lo
riportò alla realtà rammentandogli che non era ancora fuori
pericolo e senza attendere oltre riprese a muoversi, seppur più
lentamente. Superò senza troppe difficoltà l'ennesimo cespuglio
comparso sul suo cammino con un agile balzo, ma si rese ben presto
conto di star sprecando più energie di quanto intimamente sperato:
portare di peso l'elfa abbassava drasticamente la sua abituale
resistenza ed era perfettamente consapevole che, anche a causa della
nuova pendenza in salita assunta dal terreno sotto di loro, si
sarebbe ritrovato a corto di energie molto prima di potersi
considerare al sicuro.
Dannazione!
Se solo ci fosse un cavallo a portata di mano! Imprecò fra sé e
sé, scoccando infine uno sguardo alle proprie spalle. Non vedendo
alcun segno di eventuali inseguitori si arrischiò quindi a
rallentare ulteriormente l'andatura.
Percorse
un altro centinaio di metri prima di sopraggiungere in una piccola
radura. Incassata in una discreta formazione rocciosa sovrastata di
vegetazione e riparata su tre lati, era il luogo ideale per una
sosta. Vi si inoltrò senza indugi e, una volta distesa la
ragazza-elfa sull'erba fresca, si permise di tirare un discreto
sospiro di sollievo nell'appoggiarsi con la schiena ad uno dei massi
chiazzati di licheni presenti.
–
Per lo meno non ci stanno più seguendo – mormorò fra sé e sé,
abbassando ancora una volta lo sguardo sul volto dell'eledhel che
inaspettatamente s'era portato appresso.
Stava
male, anche un bambino lo avrebbe capito, tanto era evidente il
tremore che a tratti le scuoteva le membra. Non si fece domande, si
limitò ad avvolgerla nel proprio mantello prima di iniziare a
predisporre il necessario per il fuoco. Era già a metà dell'opera
quando si rese effettivamente conto di ciò che stava facendo,
fermandosi di botto e voltandosi ancora una volta a fissare incredulo
quella ragazza-elfa.
Che
diamine stava facendo?
La
risposta tardò tanto a lungo ad arrivare che egli si ritrovò a
serrare meccanicamente la mascella per la frustrazione e la
confusione che gli si agitavano in petto.
Era
sbagliato.
Ciò
che stava facendo era totalmente sbagliato.
Non
c'era alcuna logica nell'aiutarla. Andava contro a tutto ciò che
sapeva ed in cui credeva, a tutto ciò che era stata la sua esistenza
sino a quel momento.
Andava
contro la sua stessa natura di moredhel.
Eppure,
quanto più a lungo rimase ad osservarla avvolta nella grigia stoffa
del suo mantello, tanto meno forte era la presa di quelli che fino a
quel momento aveva considerato i suoi naturali istinti. Alla fine,
scuotendo il capo con fare rassegnato, riprese ciò che stava facendo
ed una volta approntato il focolare tornò accanto all'eledhel,
accostando una mano alla sua fronte.
La febbre doveva essersi aggravata.
La
sollevò a sedere, circondandole le spalle con un braccio e facendola
poggiare al proprio petto di modo che non si accasciasse su sé
stessa, quindi recuperò con la mani libera la propria borraccia
accostandogliela alle labbra. Come il liquido fresco le si riversò
in bocca, quella iniziò presto a deglutire e ne vide l'espressione
del viso mutare, distendendosi appena seppur senza apparire meno
sofferente. Quando infine, alcuni sorsi dopo, scostò il proprio
recipiente per lasciarla respirare, quella schiuse di pochi
millimetri le palpebre, cercandolo.
In
quella frazione di secondo egli credette che fosse sul punto di dire
qualcosa, ma l'istante seguente ella tornò ad abbandonarsi contro il
suo petto, spossata e febbricitante. Allora lui la stese nuovamente
sul proprio mantello e dopo essersi assicurato che fosse ben coperta
si rimise a trafficare intorno alla legna del fuoco, adoperandosi ad
accenderlo.
Quando
finalmente le fiamme scoppiettarono allegre, rischiarando con la loro
tenue luce rossastra l'oscurità ormai calata sul mondo, egli sollevò
lo sguardo oltre il limitare della piccola radura montana, tendendo
al contempo le orecchie. Rimase in ascolto, cogliendo lo stormire del
vento fra i rami e qualunque altro suono proveniente dal sottobosco
circostante, in una veglia che lo avrebbe accompagnato per il resto
della notte.
***
Correre.
Non faceva altro che correre.
Correva
da ore, pervasa da un perenne stato di panico. Ma nonostante cercasse
di correre più veloce di quanto non avesse mia fatto in vita sua, la
consapevolezza di non poter sfuggire a ciò che la minacciava le
attanagliava il petto in una morsa sempre più stretta. Gli alberi
sfrecciavano indistinti intorno a lei, altrettanto oscuri e
minacciosi della cosa che la braccava tanto insistentemente.
Le
gambe iniziarono a farsi pesanti, come se fossero state trattenute da
delle catene fissate al suolo e ben presto la ragazza-elfa iniziò a
sentirsi sempre più stremata. Quando il fianco a cui era ferita
riprese improvvisamente a dolerle, perdendo fiotti di sangue,
incespicò e cadde al centro di una piccola radura. Tentò di
rialzarsi, ma le gambe non le rispondevano più e lei, presa dal
panico, abbassando lo sguardo ne comprese finalmente il motivo: dal
polpaccio sinistro spiccava l'asta di una freccia e quella visione la
raggelò. Era spacciata.
Immediatamente
un terrore sordo ancor più intenso di quello provato in precedenza
l'avvolse e la soffocò, accompagnato da un'ondata di lacrime che
silenziose e gelide le rigarono il viso.
Due
mani artigliate l'afferrarono improvvisamente per le spalle e la
costrinsero a guardare verso l'alto e le pupille le si dilatarono
tanto da minacciare di far scomparire per sempre l'iridi grigie.
Il
moredhel l'aveva ripresa ed ella, ancor prima di vederne il ghigno
sfrontato, già sapeva di chi si trattava. I suoi occhi incontrarono
quelli scuri di Amras... e gridò.
Gridò
con tutto il fiato che aveva, squarciando la quiete del mattino e
provocando il sollevarsi in volo di uno stormo di uccellini fino a un
momento prima appollaiati fra le fronde degli alberi vicini.
Due
mani la afferrarono saldamente per le spalle, riportandola
completamente alla realtà ed Aredhel quasi si strozzò nel
sussultare violentemente a quel contatto, cosicché mentre la voce
tornava a morirle in gola s'alzò di scatto a sedere con gli occhi
spalancati dal terrore. A quel movimento brusco la fitta al fianco
ferito le smorzò il respiro ed ella gemette per il dolore,
ripiegandosi subitaneamente su sé stessa e pesando maggiormente su
quelle braccia che, a dispetto di tutto, la sostennero senza
incertezze impedendole di ricadere fra le stoffe del suo giaciglio
improvvisato.
Col
capo ancora chino e gli occhi chiusi tentò di riprendere fiato, ma
come la consapevolezza della propria condizione tornò, così fecero
i ricordi degli ultimi giorni, che si mescolarono all'incubo appena
avuto. Per questo, quando l'attimo seguente riaprì le palpebre,
sollevando di scatto il capo, nel posar gli occhi chiari sul volto di
colui che ancora la sorreggeva, ogni traccia di calore la abbandonò.
Un
elfo dai lunghi capelli neri.
Al
suo volto si sovrappose nella mente di lei l'immagine di quello di
Amras ed un nuovo terrore si impossessò dell'eledhel, che cedendo al
panico distolse lo sguardo e riprese a dibattersi per cercare di
liberarsi.
–
No!! Lasciami stare! Non toccarmi! – esclamò con voce rotta, ma la
ferita al fianco si fece sentire immediatamente e già questa sarebbe
bastata a porre fine ai suoi tentativi di ribellione. Senza fiato,
senza speranze, avvertì le lacrime salirle prepotentemente agli
occhi e un groppo in gola le smorzò del tutto il respiro, facendola
boccheggiare.
–
Calmati! – la voce dello sconosciuto che ancora la reggeva per le
spalle le giunse all'improvviso, d'un timbro profondo e vagamente
roco a causa del tono brusco da lui utilizzato – Calmati,
dannazione!
Come
quelle parole infransero il momento, quel groppo alla gola che stava
minacciando di soffocarla scomparve e lei fu libera di respirare di
nuovo. Le ci vollero un altro paio di secondi per tornare padrona di
sé e lucida abbastanza da rendersi conto con sconcerto di essersi
aggrappata con forza alla casacca di quell'elfo, la cui presa sulle
sue braccia si fece più morbida.
Completamente
scioccata, solo a quel punto Aredhel tornò a sollevar lo sguardo sul
volto altrui, sbarrando nuovamente gli occhi argentei nel ritrovarsi
ad affondare in due pozze del colore dell'oro più splendente.
Completamente spiazzata, annichilita da quello sguardo caldo e freddo
insieme, smise del tutto di respirare e una sensazione nuova le
nacque in petto, sfiorandole l'animo al pari di una tiepida carezza
gentile.
Per
un unico primo istante le parve quasi di aver già visto quegli
occhi...
Deglutendo,
preda di un nuovo impulso deviò lo sguardo da quell'iridi per
abbassarlo sui lineamenti di quell'elfo, trovandoli solcati
d'apprensione ed una nota contrariata che ne rendeva lo sguardo ancor
più penetrante. La carnagione olivastra le rammentò in un angolo
della mente, lontano dalla sua consapevolezza, lo stesso colorito di
Lorren ed i capelli corvini che gli ricadevano ai lati del volto
tradivano una certa insubordinazione nei confronti del suo tentativo
di tenerli legati in una coda di cavallo.
Un..
un moredhel?
Si
riprese da quella sorta di trance contemplativa soltanto quando venne
riportata volutamente alla realtà dallo schiarirsi della voce
dell'altro, grazie al quale si rese finalmente conto dell'espressione
incredibilmente seccata che questi aveva assunto.
–
Bene – esordì quello che doveva essere effettivamente un moredhel,
ora che aveva la sua attenzione – Grazie a te fra poco avremo
almeno una pattuglia di guerrieri nemici alle calcagna – le
annunciò, mentre le sue mani non parevano voler ancora scostarsi da
lei, concludendo in tono sprezzante – Spero ne sarai orgogliosa.
–
Ma... io... – Aredhel non trovava le parole per esprimersi, ancora
sconvolta per l'incubo causato dalla febbre e confusa dall'evidente
difficoltà che aveva avvertito nel tentare di determinare la natura
dell'elfo che aveva di fronte. La gola le faceva male da quanto era
riarsa dalla sete ed il fianco le bruciava in un modo insopportabile,
tanto che finì per serrare la mascella in una smorfia di tensione.
Il
moredhel non aggiunse altro ma lasciò finalmente la presa e la
ragazza, priva di un appiglio, si ridistese cercando di regolare il
respiro e riordinare le idee all'interno della sua mente in
subbuglio.
Cosa
stava succedendo? Era stata ricatturata?
–
Hai la febbre – le disse colui che in teoria avrebbe dovuto non
interessarsi per nulla alla sua condizione, traendola dalla sua
confusione interiore solo per porgerle una borraccia colma d'acqua –
Bevi.
Ubbidì
meccanicamente a quel tono di comando e prese in consegna ciò che le
veniva offerto, traendo alcuni sorsi d'acqua mentre il moredhel si
mise a controllarle il fianco ferito. Quando le bende sporche di
sangue esposero all'aria fresca dell'alba la lacerazione, sul suo
volto abbronzato si delineò una nuova smorfia contrariata.
–
..e questa si è riaperta – annunciò senza alcun entusiasmo.
Aredhel
tentò di tirarsi su ma stavolta non vi riuscì e gemette alla fitta
di dolore che le attraversò in una scarica elettrica il cervello. Fu
quell'elfo ad aiutarla, ancora una volta, invitandola silenziosamente
a bere un altro sorso quando fu di nuovo seduta.
Si
lasciò accudire docilmente, ancora troppo confusa per fare
altrimenti, rimanendo in silenzio per tutto il tempo mentre il
moredhel le sistemava nuovamente il bendaggio di fortuna. Eppure,
prima che questi potesse aver finito, la miriade di interrogativi che
uno dopo l'altro le si erano formati nella mente iniziò ad assumere
un ordine che ben presto prese il sopravvento sul timore del momento,
inducendola a schiudere nuovamente le labbra.
–
Chi sei tu?
–
Io? – l'altro parve sinceramente sorpreso della domanda postagli,
ma le rispose senza nemmeno guardarla il viso – Mi chiamo Elwar.
Elwar Garaniel – quindi si fermò, sollevando finalmente lo sguardo
per fissarla dritto in volto, come in attesa di qualcosa.
–
Aredhel... – fece allora lei, sentendosi improvvisamente un po' a
disagio sotto quello sguardo penetrante – Aredhel Duhlyn.
–
Bene, Aredhel... – esordì Elwar – come ho detto poco fa, qui fra
poco sarà pieno di moredhel e per allora sarà meglio per noi aver
già levato le tende. Quindi, – affermò senza mezzi termini,
mortalmente serio – o sarai in grado di camminare da sola, o ti
lascerò indietro.
Quel cambiamento di toni fu tanto repentino ed in contrasto con le
attenzioni dimostratele un attimo prima da lasciarla nuovamente
spiazzata. Quando si riebbe abbastanza, il suo primo pensiero fu un
commento che tenne saggiamente per sé seppur ebbe il potere di
delinearle le labbra in una smorfia più che eloquente.
Spiccio
a parole, il moredhel!
Optò
per annuire comunque, riconoscendo seppur soltanto fra sé e sé che
quello strano moredhel non aveva tutti i torti sulla necessità di
muoversi. Eppure vi erano troppi interrogativi che ancora
necessitavano di un chiarimento per lasciar sfumare il momento.
–
Ma – tentò – perché mi stai aiutando? Non sei uno di loro.. sei
da solo? Dove sono i tuoi compagni?
Quello
che seguì fu un teso momento di silenzio, prima che Elwar si
decidesse a risponderle.
–
Non credo possano essere affari tuoi.
L'improvvisa
freddezza di quelle parole e del tono da lui usato le penetrò sino
al centro del petto, dandole per un attimo l'impressione di non
essere affatto riuscita a sfuggire alla situazione in cui si era
ritrovata sino a poche ore prima.
No,
c'era dell'altro. Alzandosi in piedi, non senza un aiuto, comprese
che il gelo che l'aveva pervasa a causa del comportamento di quel
nuovo moredhel era di una natura differente a quello sperimentato
presso i Corvi. Ciò che sottile le serpeggiava nella parte più
profonda dell'animo non era paura di lui.
Ferma
al centro della piccola radura stava ancora cercando di definire
quella sensazione quando nel suo campo visivo comparve il braccio di
Elwar, il quale gli stava porgendo un ampio indumento grigio scuro.
–
Tieni – le si rivolse senza alcuna traccia di emozione nella voce
come nello sguardo – Questo almeno ti aiuterà a mimetizzarti nei
tratti scoperti.
Aredhel
prese il mantello e se lo drappeggiò sulle spalle, scoccando
un'altra occhiata di sottecchi al moredhel che nel mentre si era
voltato a spegnere le ultime braci del fuoco. Quando tornò da lei il
suo tono autoritario la raggiunse senza difficoltà, altrettanto
impersonale di quello usato poco prima.
–
Per prima cosa dobbiamo trovare un corso d'acqua – le annunciò
indicandola con un vago cenno della mano – E dovremo cambiarti quel
bendaggio da macellai, altrimenti non farai molta strada.
Aredhel
si dette un'occhiata al fianco e alle bende sporche di sangue
rappreso. La blusa non era ridotta molto meglio e lo squarcio si era
slargato, arrivando a coprire mezza circonferenza. Le labbra della
ragazza si piegarono in una smorfia.
–
Quanti erano? – il tono di voce distaccato del moredhel la fece
distogliere dalle sue riflessioni ed ella lo osservò un attimo in
silenzio, prima di capire a cosa si riferisse.
–
Tre... – rispose senza troppo entusiasmo, mentre una nuova amarezza
le trapelava dalla voce al solo pensiero. L'aveva fatto per
permettere a Lorren di tornare ad Elvandar, solo per questo li aveva
affrontati.
In
quel momento, in un flash, le tornarono alla mente una serie di
immagini sconnesse del suo tentativo di fuga del giorno prima, di
com'era caduta miseramente, ormai priva di forze; del volo fatto
quando il suo cavallo era stato abbattuto; delle voci e dei rumori
dei moredhel al suo inseguimento mentre correva per il sottobosco;
del suo tentativo di strisciare al riparo in un ultimo atto
disperato. Ognuno di quei ricordi era intriso di disperazione e d'un
terrore talmente grande da smorzarle il respiro al solo pensiero,
tutti tranne uno. Quello di un paio d'occhi del colore dell'oro.
Gli
occhi di Elwar.
Per
riflesso si ritrovò a cercare di incrociarli un'altra volta, senza
successo. Il moredhel in questione era intento ad esaminare la
boscaglia ed i suoni che da essa provenivano presso uno dei grossi
blocchi di roccia che delimitavano la piccola radura nella quale
dovevano aver trascorso la notte. Osservandone la figura volta di
schiena, sempre lo stesso interrogativo tornò prepotentemente a
riaffiorare.
Chi
è? Qual'è il suo scopo?
Quello che i Corvi avevano avuto intenzione di farne di lei l'aveva
infine compreso, perché non ci voleva molto a tirar le somme di una
simile indole tanto meschina e maligna quale era quella di quei
Fratelli Oscuri, ma non era così per quello con cui si trovava ora.
Lui l'aveva aiutata e la stava aiutando persino in quel momento. O
almeno così sembrava.
Perché era così, no?
L'improvviso dubbio le fece tornare alla mente un altro ricordo del
dì precedente, seppur esso si racchiudesse tutto in una sola
emozione: la certezza di aver raggiunto Lorren. Quella consapevolezza
ebbe su di lei lo stesso effetto che le avrebbe fatto sentir franare
il terreno sotto i piedi e per poco non barcollò, sconcertata e
improvvisamente boccheggiante.
Era
vero, se l'era totalmente dimenticato. Negli ultimi momenti di fuga
aveva avuto la certezza che gli eledhel inviati a cercarla fossero
stati vicini, che avrebbero potuto salvarla. Perché Elwar l'aveva
portata via? Perché non aveva permesso loro di trovarla?
Perché
l'ha fatto? Si domandò sconcertata. Erano lì per me, perché
non ha lasciato che mi trovassero? Perché ha impedito a Lorren di
salvarmi?!
Un
groppo in gola tornò a spezzarle il respiro, sconcertata da
quell'improvvisa consapevolezza, ed una sensazione di delusione mista
ad indignazione la travolse, facendole serrar i pugni lungo i
fianchi. Puntò le iridi sull'elfo che intanto stava scendendo dal
suo avamposto di guardia e fu con lo stesso effetto che avrebbe avuto
uno schiaffo in pieno volto che si rese finalmente conto della realtà
dei fatti.
Ma
certo.. è naturale! È pur sempre un moredhel! Pensò
amaramente.
Elwar
in quel momento tornò a cercarla con lo sguardo ed i loro occhi si
incrociarono per l'ennesima volta, cosicché ella poté distintamente
vederne l'espressione cambiare. Lo sguardo ambrato di lui cambiò,
facendosi guardingo e scostante in reazione a ciò che doveva aver
letto sul viso di lei. Invece di fermarsi di fronte a lei, come se
nemmeno esistesse le passò accanto, superandola senza batter ciglio
e la ragazza non riuscì ad impedire al proprio petto di contrarsi.
Voltandosi,
lo osservò allontanarsi a quel modo ed un'improvvisa vergogna
l'assalì.
Certo,
era un moredhel, ma l'aveva tratta in salvo e le aveva persino dato
il suo mantello. Fino a poche settimane prima non avrebbe condannato
tanto facilmente le intenzioni di un Fratello Oscuro solo per essere
tale, nonostante le credenze del suo popolo. Poi scosse il capo, come
a voler estirpare quei dubbi. In fondo, fino a poche settimane prima
era ancora una ragazzina intenta a cercare di rendere reali i propri
sogni, molto più inesperta del mondo che la circondava. Da allora le
cose erano cambiate e lo stavano facendo ancora adesso,
tanto da renderle incomprensibile il modo in cui si sentiva in quel
momento nei confronti di tutta quella vicenda.
–
Muoviti!
Elwar
la fece tornare in sé e il suo tono duro rinsaldò in ella il
proposito di restare in guardia, ma fece ugualmente come le era stato
detto. Si incamminò e già al primo passo un ginocchio minacciò di
cederle, ma stringendo i denti tese ogni muscolo e lo raggiunse, solo
per fermandoglisi accanto, in attesa di spiegazioni sul da farsi.
–
Bene – fece questi, dopo aver sparso le ceneri del focolare per
tentare di cancellarne la traccia, voltandosi verso di lei – Dammi
le mani.
–
Cosa? – domandò spiazzata, senza muovere un muscolo.
–
Le mani – ripeté impassibile lui, porgendole la sua per farle
cenno di sbrigarsi.
Sebbene
lievemente imbarazzata, assalita da quell'emozione di disagio che le
fece nuovamente dimenticare la natura di chi aveva davanti, fece come
le era stato detto e sollevò ambo le palme in un impacciato
tentativo di posarle sulla sua. Il moredhel senza indugio le afferrò
e, tenendole unite, le legò velocemente i polsi con una corda.
–
Ma cosa...? – Aredhel era spiazzata dalla repentinità e dal
risultato di quel gesto e si ritrovò a boccheggiare come un pesce,
altalenando lo sguardo dal suo volto ai propri polsi.
L'aveva
legata!
In
tutta risposta Elwar le rivolse un sorrisetto ironico.
–
Sei mia prigioniera e come tale verrai trattata – le annunciò
senza troppi preamboli – In questo modo non ti verranno strane idee
in testa.
Totalmente
spiazzata le ci vollero un paio di secondi in più per elaborare il
significato di quelle parole e, quando ci riuscì, la rabbia le montò
in petto, mista ad un'irritazione di tutto rispetto per l'inganno. Si
era illusa e nient'altro, ecco cos'era accaduto sino a quel momento.
Quel moredhel, con quei suoi occhi ingannatori, l'aveva indotta a
credere di poter riporre in lui la sua fiducia, quando invece avrebbe
dovuto guardarsene tanto se non di più dei Fratelli Oscuri dai quali
era fuggita.
La
striscia di stoffa usata per legarla andò a sfregare negli stessi
punti in cui la pelle era già arrossata dalle corte corde usate in
precedenza dai Corvi, cosa che la indusse a tentare di allentarne la
morsa.
–
Sono troppo debole per tentare di sfuggirti – cercò di protestare,
al limite della sopportazione.
–
Oh, questo lo so benissimo anche io – le rispose lui mentre quel
sorrisetto gli si accentuava sul volto – ma non vorrei che ti
saltasse in mente di tentare qualche trucchetto con me.
Trucchetto?!
–
Tsk – fece soltanto lei in risposta, sempre più amareggiata.
Da
una prigionia all'altra.
Come
aveva fatto a credere di essere salva?
Si
allontanarono, inoltrandosi nel sottobosco, dirigendosi verso est
alla ricerca di un corso d'acqua, camminando per quasi un'ora prima
di trovare ciò che cercavano. Una volta ripulita la ferita e rimessa
la fasciatura, anch'essa accuratamente lavata nelle acque del
torrente, svoltarono poi verso nord, percorrendo diverse leghe senza
mai rivolgersi la parola se non per lo stretto indispensabile,
cosicché durante tutto il tragitto Aredhel ebbe la possibilità di
restar sola coi suoi pensieri.
Pensieri
amari, che non fecero altro che peggiorare il di lei stato d'animo.
Oh,
Lorren...
***
–
Lorren!
Varsel
lo raggiunse di corsa, afferrandolo per una spalla e costringendolo a
voltarsi ad affrontarlo.
–
Lorren, che vuoi fare?!
–
Era riuscita a fuggire! – esclamò lui in tutta risposta,
liberandosi della presa del suo capitano e riprendendo il suo
incedere fra il fitto del sottobosco. L'ansia che fin'ora lo aveva
tormentato aveva ormai superato il limite e l'eledhel non riusciva
più a dominare il nervosismo, soprattutto alla luce di quella nuova
scoperta.
Il
fratello maggiore della sua amica gli afferrò nuovamente il braccio,
facendolo fermare ancora una volta e dandogli una scrollata come a
volerlo far rinsavire. Intercettandone di nuovo lo sguardo, Lorren
vide nello sguardo altrui i suoi stessi sentimenti malcelati ed una
determinazione tanto ferrea da lasciarlo in preda alla confusione.
–
È inutile, lo vuoi capire? Ora come ora non le sei di nessun aiuto
se insisti a fare di testa tua! Anche io sono preoccupato, cosa
credi? Ma questo non è il nostro territorio – gli disse con
fermezza, in tono duro – Se ci dividessimo correremmo tutti un
rischio troppo grande!
L'eledhel
impiegò qualche istante prima di annuire, un poco spaesato per
l'irruenza di quelle parole ma, grazie ad essa, nuovamente padrone
delle proprie emozioni. Comprendeva le ragioni dell'elfo e si rendeva
perfettamente conto che era in pena quanto lui per la sorte di
Aredhel, ma le speranze stavano continuando ad assottigliarsi ogni
secondo trascorso in quella ricerca e ben presto sarebbe giunto il
momento in cui Varsel si sarebbe trovato in bilico fra il continuare
o il tornare ad Elvandar. E l'eventualità di abbandonare la
ragazza-elfa Lorren non riusciva a immaginarla.
La
frustrazione che aveva provato nel venire a conoscenza della reale
vicinanza a cui si erano inconsapevolmente trovati da lei aveva
rischiato seriamente di farlo precipitare di nuovo in quella marea di
emozioni riconducibili a quel periodo della sua vita trascorso come
Fratello Oscuro.
Tornando
sui suoi passi, studiò ancora una volta le tracce sul terreno in
silenzio, seguendo la scia e le orme lasciate da quella che ormai
aveva la certezza fosse la sua compagna di ronde. Un sentimento di
affetto e gratitudine gli sfiorò il petto al pensiero del tempo che
lei gli aveva dedicato, a differenza di molti altri elfi di Elvandar,
e cercando di dominare il battito del cuore si concentrò su quanto
stava facendo. Fu allora che si rese conto della presenza di altre
orme vicino al punto in cui ella doveva essere caduta, orme che si
riconducevano al tronco semi-cavo di un grosso albero: un
nascondiglio perfetto e ben riparato per quei momenti di totale
confusione.
Ed
allora strabuzzò gli occhi scuri.
Qualcosa
di inaspettato era accaduto. Qualcuno l'aveva afferrata e trascinata
con sé in quel punto riparato, allontanandola dal pericolo
incombente. Corrucciandosi in volto, cercando di far quadrare le
tracce che aveva sott'occhio con una serie consecutiva di eventi, non
gli fu difficile individuare poi la direzione nella quale quel nuovo
personaggio si era allontanato; una direzione diametralmente opposta
alla loro, segno che poteva voler dire soltanto una cosa: non poteva
essere né un eledhel, né un moredhel del clan dei Corvi.
Poi
con la coda dell'occhio scorse qualcosa fra radici ed arbusti e,
scostando una delle fronde del cespuglio più grosso, si ritrovò a
districare dalla vegetazione quello che era un arco di foggia Hadati.
Alternando allora lo sguardo dall'arma appena rinvenuta e le tracce a
terra, inarcò un sopracciglio.
Era
ancora intento a cercar di districare quell'enigma nella propria
mente, accovacciato sul terreno accanto a quelle orme leggermente più
nette delle altre, quando la voce di uno degli esploratori gli fece
sollevar di scatto il capo.
–
Alcuni Fratelli Oscuri si sono allontanati nel bosco – annunciò
questi rivolto al loro capitano, indicando proprio nella direzione in
cui le tracce che stava esaminando Lorren scomparivano.
L'eledhel
si sentì gelare il sangue nelle vene.
Chiunque
fosse il soccorritore di Aredhel, era seguito. Serrò i pugni lungo i
fianchi.
Se
soltanto avesse avuto la certezza che la sua amica stava bene...
***
Elwar
continuava a tormentarsi sin da quel mattino.
Non
riusciva a prendere una decisione sul da farsi.
Per
tutto il giorno non avevano fatto altro che camminare, nel tentativo
di allontanarsi il più possibile dal punto in cui v'era stato lo
scontro che aveva vista coinvolta l'elfa che portava con sé, ed al
sopraggiungere della sera erano riusciti a percorrere un notevole
tratto limitando al minimo le tracce dietro di loro. Il terreno umido
non facilitava le cose, ma lui era abituato ad aggirarsi su terreni
montani molto simili a quello, peccato non fosse altrettanto per la
ragazza al suo seguito. Ogni ora trascorsa ella aveva accusato sempre
più la stanchezza, tanto che alla tramonto Elwar si era visto
costretto a decidere di fermarsi per la notte.
Avevano
scelto una zona particolarmente fitta di vegetazione e s'erano
accampati senza alcun fuoco, per evitare di essere individuati.
Posando
il proprio sguardo ambrato sulla sua prigioniera ne distinse
chiaramente, nell'oscurità rischiarata dalla luna calante, i
lineamenti segnati dalla stanchezza del viaggio e ne notò il modo convulso in cui se ne stava rannicchiata ai piedi di un albero,
avvolta nel mantello che lui stesso le aveva dato. Tremava.
Elwar
avvertì in fondo all'animo una sensazione sgradevole, simile ad una
puntura fastidiosa e persistente che si affievolì solo quando si
impose di scacciare via qualunque pensiero la riguardasse dalla
propria mente. Non poteva rischiare di segnalare la loro posizione ai
loro inseguitori. Perché sì, erano seguiti. Era dal primo
pomeriggio che se n'era accorto grazie alla morfologia così varia
del territorio che stavano attraversando, cosa che lo aveva indotto a
cercare di eluderli come meglio potevano, senza successo. Aredhel,
con quella febbriciattola costante, non era stata assolutamente in
grado di mantenere l'andatura da lui richiesta, rallentandoli
inevitabilmente entrambi.
Ed
in tutto ciò, la cosa più importante era che non era riuscito a
capire, in quel fugace scorger di sagome in lontananza, se si
trattasse di eledhel o moredhel. Non che vi sarebbe stata differenza
in un caso o nell'altro. Poteva tentare di fare solo una cosa:
spingersi oltre la loro portata.
Non
aveva fatto un gran mistero della propria inquietudine con la sua
prigioniera, ma non gli era importato granché, finché ovviamente
non si erano fermati. Soltanto da quel momento aveva celato
accuratamente le proprie emozioni negative dietro una facciata di
pacata indifferenza, perché non voleva in alcun modo turbarla tanto
da indurla a non riposare adeguatamente: avevano entrambi bisogno che
recuperasse il maggior numero di energie possibili per l'indomani
mattina, quando si fossero rimessi in viaggio.
Così
ora se ne stavano in assoluto silenzio, lui con le orecchie tese a
sondare i rumori dell'ambiente circostante e la mente che continuava
a soffermarsi su un unico pensiero. Evidentemente quell'elfa era più
importante di quanto l'apparenza suggerisse. O questo, o
semplicemente era benvoluta fra i suoi compagni, per avere un'intera
squadra di eledhel sulle sue tracce. In quanto ai moredhel, non era
un mistero che i Corvi non prendessero bene uno smacco come la fuga
di una prigioniera, quindi non avrebbe considerato strano il loro
accanirsi nel riprendersela.
Era
stata molto fortunata a sfuggire loro, in effetti.
Se
non ci fosse stato lui non ce l'avrebbe mai fatta da sola. Non
conciata a quel modo.
Continuò
a scrutarla nell'oscurità della notte, senza reale interesse eppure
non per questo riuscì ad impedirselo, notando come apparisse scossa
in quella sua posizione raggomitolata su sé stessa. Si teneva le
ginocchia strette al petto e teneva gli occhi chiusi, ma la tensione
tradita dal modo in cui si abbracciava le gambe rendeva evidente il
fatto che non stesse dormendo.
Inaspettatamente,
dopo una manciata di secondi di muta osservazione qualcosa iniziò a
muoversi all'interno del petto del moredhel, una sensazione
differente da qualunque altra avesse mai provato e della quale non
riuscì ad identificarne la natura; qualcosa che lo lasciò turbato e
disorientato.
Con
energia scosse il capo, come a voler scacciare quella sensazione che
gli provocava solo disagio e, quando rialzò lo sguardo, notò che la
ragazza-elfa lo stava osservando con quei suoi occhi luminosi colmi
d'una domanda inespressa. La di lei perplessità acuì le emozioni
che gli erano nate in quel momento nell'animo e percepì per la prima
volta da quando aveva memoria il sangue salirgli bollente al volto.
Seccato, la ignorò come meglio poté e distolse lo sguardo per
dirigerlo verso le tenebre del sottobosco alla propria sinistra.
Le
notti stavano facendosi via via più fredde con il procedere della
brutta stagione, rifletté, e specialmente a ridosso di quelle
montagne, sotto le fronde degli alberi, stava sollevandosi un vento
freddo proveniente da nord; una brezza che sembrava possedere lo
stesso tocco della morte e che gli diede l'irrazionale impressione di
portarla con sé verso Regno degli uomini.
Inconsciamente
anche Elwar si ritrovò a rabbrividire, fatto che non fece altro che
aumentare il suo malumore.
Tsk, dannata stagione.
Tsk, dannata stagione.
continua...
Sono sempre più emozionata ad ogni capitolo che pubblico... o forse lascio passare talmente tanto di quel tempo che faccio in tempo a dimenticarmi l'emozione che sperimento prima... ç.ç scusateeee non vorrei nemmeno io procedere così tanto a rilento, potrei camparvi mille scuse e il resto, ma la verità è che va a rilento anche la stesura dei capitoli!
Ma eccolo qua! Il capitolo dell'incontro! Sì, come preannunciato le cose si fanno interessanti finalmente (almeno spero..)!
Inoltre, non contenta dell'impostazione delle pagine, ho aggiunto un bannerino ad inizio di ogni capitolo a ricordare a tutti di cosa si sta parlando... vi piace?? Ho faticato un po' a crearlo ma sono abbastanza soddisfatta del risultato.
Beh, che dire, spero che qualcuno di voi intrepidi alla fine decida di dirmi cosa ne pensa di questo mio parto secolare (^^°) nel frattempo vi auguro buona estate!
Alla prossima, gente!!
Kaiy-chan