Capitolo 1
L’unità culti e crimini
rituali
"Questo è ciò che abbiamo" disse l’agente Darren Johnson
con una sufficienza spiazzante, subito rivolto a fare qualcosa che era,
evidentemente, molto più importante che ragguagliarlo sul caso a cui avrebbe
dovuto lavorare "Fatti un’idea e dicci che ci
vedi"
“Dicci che ci vedi” pensò Spencer, sfogliando, una dietro l’altra, le
foto del cadavere di un poveretto che certamente non era morto sognando farfalle
“Come se bastasse guardare...”
Chissà se la persona di cui aveva preso il posto lavorava
effettivamente così: se gli bastavano due foto scattate sulla scena per farsi
un’idea della persona con cui avevano a che fare.
Di
lui non sapeva molto, né poteva pretendere di sapere tanto di più: nell’ordine
funzionava così. Martin, però, gli aveva fornito qualche istruzione non compresa
nel pacchetto, ad esempio il fatto che Truman Connely fosse nell’Ordo Veritatis
da vent’anni, che fosse un criminologo specializzato in psicopatici con
desiderio di onnipotenza, e che avesse all’attivo l’eliminazione di otto
importanti cellule di esoterroristi sul territorio statunitense, nonché una
decina di casi isolati risolti, e consulenze in mezzo globo.
Ma
questo non gli importava poi troppo.
Che
la sua non fosse un’eredità facile da raccogliere, lo aveva già calcolato, e non
era il rischio peggiore. Più d’uno - Martin
compreso - gli aveva fatto presente che voler lavorare sul campo non era una
buona idea, e che, con la sua predisposizione e il suo curriculum, avrebbe reso
meglio come terapeuta nelle strutture di cure dell’ordine, ad occuparsi di chi
aveva avuto la sfortuna di guardare al di là della membrana, anziché rischiare
di trovarsi a vivere la stessa esperienza in prima persona.
Ma Spencer era veramente convinto che quella
strada fosse la migliore per lui.
Per lo meno, sperava che la tensione del
trovarsi in prima linea lo facesse ricominciare a dormire. L’idea di stendersi
con l’intento di addormentarsi, dopo aver ascoltato i deliri altrui per un
giorno intero, lo paralizzava: era decisamente meglio crollare sfiniti per aver
passato notti insonni dietro ad un caso. E poi, doveva davvero darci un taglio
con tutto: con le sue ossessioni, con la sua dipendenza da Martin, con le
terapie di Lois Darmh e anche col suo letto, che aveva finito per diventare
l‘ennesima relazione distorta della sua
vita.
Voleva solo fare qualcosa di concreto:
essere utile per l’Ordine così come l’Ordine lo era stato per lui, difendere il
confine che rendeva la realtà quella che era, fare sì che le figure che
popolavano i suoi incubi potessero restare sempre, soltanto lì: nella sua
testa.
Così, aveva richiesto di essere spostato in
una cellula operativa, senza preferenze di incarico o di sede: all’inizio
c’erano state delle perplessità, dovute al fatto che, data la sua posizione
nell’Ordo Veritatis, si trovava a conoscenza di volti e nomi di cui un’agente
sul campo avrebbe dovuto essere all’oscuro. Ma fortunatamente, le alte sfere
dovevano aver pensato che 15 anni di permanenza affidabile costituissero una
buona garanzia.
Del resto, i membri operativi avevano
aspettative di vita spesso tristemente brevi, e dovevano essere costantemente
rimpiazzati: Truman Connely era morto pochi mesi prima che lui presentasse la
sua domanda, e, con i suoi studi di analisi comportamentale svolti a Quantico e
la specializzazione in riabilitazione psicologica all’interno dell’Ordine, era
la persona più quotata per sostituirlo.
Così, quando era stato aperto il primo nuovo
caso in sospetto di esoterrorismo, era stato inserito senza troppi convenevoli
nell’Unità Culti e Crimini rituali dell’FBI di Washington D.C, orfana del suo
criminologo.
E adesso era
lì.
Il supervisore Johnson non era tagliato per
le formalità: appena si era presentato, gli aveva sbattutto in mano le foto
della scena del crimine. Spencer aveva avvertito subito una diffidenza che si
tagliava a fette, ma non se la sentiva di biasimare; lui piombava lì dal nulla,
senza tanti preavvisi e con un fascicolo pieno di omissioni, e a Darren non era
stato concesso nemmeno il lusso di valutarlo. Qualunque capo si sarebbe sentito
scavalcato, specie quando si è perso da pochi mesi il compagno con cui si
lavorava da anni. Tuttavia, a Spencer parve di cogliere anche un tipo di
distacco diverso, una sorta di sottinteso: “non mi sembri all’altezza” che lo
infastidì.
Le foto, alla prima occhiata, gli dicevano
una sola cosa: che chi aveva ridotto così quell’uomo, aveva tempo da perdere e
tranquillità. Non c’erano simboli occulti o segni di pratiche rituali sul
cadavere, c’era solo la presenza di un evidente e prolungato sadismo: lo aveva
torturato, probabilmente con diversi strumenti, e la vittima era stata per lo
più cosciente, con nello sguardo lo stesso terrore che vi era rimasto impresso
da morto.
Quando si trovò tra le mani l’inquadratura
del volto del cadavere, con gli occhi vitrei sbarrati e le pupille dilatate,
deglutì visibilmente.
"Bella foto, eh?" fece una voce alle sue
spalle "La luce dell’alba ha fatto effetto filtro; sembra quasi ritoccata in
studio, invece è tutto naturale. E’ un peccato che faccia parte delle prove, ha
un che di...artistico!"
Spencer voltò la testa e si trovò di fronte
un uomo alto, spalle larghe il doppio delle sue, capelli biondi raccolti in una
coda e uno stile che gli fece pensare ad un avventuriero di Jules Verne, o ad un
tuttofare dal sapore stempunk. Al collo portava la macchina fotografica e il
taschino della sua camicia era pieno di oggettistica tecnologica di cui non
avrebbe saputo stabilire la funzione.
" Ti manca l’abitudine ai cadaveri? "
chiese, con un sorriso irriverente.
Spencer appoggiò la foto sul tavolo e si
alzò in piedi.
" Mi manca l’abitudine al primo piano dello
sguardo di un cadavere, per esser precisi " rispose, con
distacco " Ai cadaveri che ho visto, qualcuno aveva già pensato di chiudere gli
occhi "
" Beh, l’ultimo che abbiamo trovato noi,
invece, non li aveva proprio. Bruciati dentro ad un pentacolo insieme alle
budella. Sgradevole " gli tese la mano " agente John Doe"
Spencer alzò il
sopracciglio.
" Mi manca l’abitudine anche allo spirito
macabro, se le interessa " sentenziò con un certo fastidio nella
voce.
“John Doe. Ma per chi mi ha
preso?”
L’uomo frugò nella tasca dei
Jeans.
" Sì, sì...reagiscono tutti così " e gli
sventolò davanti il distintivo.
Agente Jhon Doe: unità Culti e Crimini
Rituali.
Spencer si sentì
arrossire.
“Cristo! Ma che cattivo
gusto!”
" Emh...Non trova di portare un nome un
po‘...malaugurante? "
L’uomo gli battè una pacca sulla
spalla.
" Non se lavori nell’Ordo Veritatis,
novellino! Quante probabilità ci sono di rintracciare un Jhon Doe? Sicuramente
meno che rintracciare uno..."
Puntò l’indice al centro del suo petto, in
un gesto eloquente.
" Spencer
Dwight"
" Ecco. Uno Spencer Dwight. Meglio avere
volti e nomi chi si dimenticano, qui, ragazzo. Bisogna imparare presto a passare
inosservati, e tu, con l’aria che hai, oggi non ci passi affatto. Non si fa
quella faccia davanti ad un morto. Non sei un agente dell‘FBI. Far trasparire le
emozioni è il modo migliore per rimanere impresso a qualcuno. Che farai quando
incontrerai il primo mostro?"
Spencer si sentiva innervosito. Darren lo
aveva accolto con una gelida sufficienza, e adesso questo tizio dallo spirito
fuori luogo lo trattava come uno scolaretto e gli diceva apertamente quel che
l’altro aveva solo lasciato intuire: che era nel posto sbagliato al momento
sbagliato.
" I mostri, li incontro tutte le notti nei
miei sogni" sentenziò "e li conosco
bene quanto lei. Con la differenza che io so anche dirle in che modo sono stati
evocati, quanto è alta la predisposizione di un individuo a cimentarsi con un
tipo o un altro di creatura, e so risalire da un rituale ad un potenziale
profilo e viceversa. Vuole che le dica per che genere di culti è predisposto
lei, signor Doe? "
"Noi non siamo predisposti per nessun culto"
La voce decisa di Darren interruppe quella
conversazione
"Noi siamo predisposti per la realtà. Punto
e basta" fissò Spencer con lo sguardo di chi non ammetteva repliche "Allora"
prese di nuovo in mano le foto e le sventolò sotto il suo naso "Che idea ti sei
fatto, Dwight?"
Il ragazzo fece un profondo respiro, e
ringraziò di essere stato dotato di un buon autocontrollo. L’atteggiamento di
quei due gli ricordava certi professori ai tempi dell’università che non
aspettavano altro che lo studente sbagliasse per dimostrare che l’umanità è
fatta di una massa di ignoranti.
"Se mi si richiede un parere di analista
comportamentale, l’impressione che ho avuto è che l’assassino sia un sadico,
forse a sfondo sessuale, che si eccita nell’atto della tortura. Non
è la morte della vittima che gli interessa,
quanto il tempo della sofferenza. A dargli piacere probabilmente è la reazione
della vittima: la paura, forse, più che il dolore...Credo che desiderasse essere
guardato " mostrò loro di nuovo il primo piano del volto "L’autopsia forse ci
darà dati più precisi, ma vedete questi segni?" indicò delle piccole lesioni
sulla fronte e le tempie "mi fanno pensare che l’assassino gli abbia
immobilizzato la testa, per costringerlo a guardarlo mentre lo
uccideva..."
Ripose la foto nel mazzo, e le fece scorrere
di nuovo tra le dita una dietro l’altra.
"Ma se quello che volete sentire è un parere
da studioso di occulto, beh, non ci vedo niente. Nulla che possa far pensare a
un rituale esoterrorista: nemmeno ad un gesto isolato di un fanatico. Sempre che
non ci sia qualcosa che non mi avete
mostrato"
Darren sorrise con un solo lato della
bocca.
"Infatti c‘è qualcosa" disse, e gli mostrò
un sacchetto trasparente sigillato e repertato "Infila un paio di guanti e dagli
un’occhiata"
Prontamente John tirò fuori un kit della
scientifica, e porse a Spencer guanti e lenti di vario tipo. Lui estrasse con
cautela l’oggetto dalla busta e se lo rigirò tra le
dita.
" Il materiale sembra rame..." commentò a
voce alta " Lo si usa come catalizzatore energetico in diverse pratiche...dalla
medicina olistica all‘esoterrorismo. Forse è mescolato con qualcos’altro. Due
spirali intrecciate..." avvicinò la lente alla superficie " ...e inciso nel
mezzo un simbolo...Non so...mi sembra un vevè, uno dei simboli voodo per evocare
i Loa. A occhio direi che è un amuleto rituale che serve a catturare energia.
"
Darren
annuì.
"E’ la stessa idea che mi sono fatto io"
disse "Lo abbiamo trovato nel corpo della vittima, infilato sotto la carne, in
una ferita all’altezza del cuore. Appena l’ho visto, ho subito pensato a
questo..."
Prese un libro dalla sua scrivania e glielo
porse: Spencer si sorprese. Era un testo che veniva usato per gli studi occulti
dell’Ordo Veritatis, ma era una pubblicazione rara, non alla portata di tutti.
Martin aveva fatto qualche ricerca e gli aveva rivelato che, per quanto fosse un
agente dell‘FBI da molto tempo, e con un turbolento passato di uomo
d’azione, Johnson era anche uno
studioso di un buon livello, con svariate pubblicazioni all’attivo, ed era un
esperto dei culti e delle credenze più disparate che l’umanità avesse
abbracciato nel corso della storia.
" Si chiama Talisha, o Taliska..." gli
mostrò la foto di un’incisione su pietra che riproduceva un’immagine piuttosto
simile " Veniva usato presso alcune tribù precolombiane misconosciute per
incanalare l’energia vitale della vittima durante un sacrificio, umano o
animale, agli dei. Pare che lo si incidesse sul corpo del sacrificato, e sul
luogo o sulla pelle dell’individuo che, attraverso il sacrificio, si intendeva
rafforzare, o proteggere. La doppia spirale costituirebbe un legame tra chi
perde e chi riceve. Ma eccoci al particolare che ci interessa: la massima
funzionalità del rito si ottiene quando vittima e beneficiario sono
consenzienti...e non credo siamo nel nostro
caso..."
" Già. Non con uno sguardo simile..."
rifletté Spencer, gettando un ennesima occhiata alla foto del
morto.
"Dunque..." fece Jhon "Tu pensi che chi ha
compiuto il rituale sia andato incontro ad un
fallimento?"
"Almeno ad un fallimento parziale" confermò
il capo "il che equivale a dire che per il momento non dovrebbe esserci una
creatura soprannaturale pronta ad essere sguinzagliata per la città. Questo ci
garantisce un certo vantaggio"
Riprese il suo libro e lo ripose
accuratamente in un cassetto dal doppio
fondo.
"Vado in sala autopsie. Spero che Jeanine
sia riuscita a trovare qualcosa che ci faccia risalire all’identità del nostro
cadavere... " e sparì a passo veloce dietro la
porta.
Jhon andò a sedersi alla sua scrivania, ed
accese il computer.
"Bene bene, novellino... " disse "ora ti
faccio vedere come, in quattro e quattr’otto, ti trovo dove potrebbe essere
stato fabbricato un oggetto del genere!"
Inforcò gli occhiali e si perse
completamente nella schermata.
Spencer lo osservò per qualche attimo,
incuriosito: lui doveva essere l’hacker della squadra...ce ne era sempre uno.
Ormai non si poteva sperare di venire a capo di un’indagine senza sapersi
muovere bene nel mondo parallelo della rete.
"Passato lo shock da occhi-di-morto?" lo
prese in giro, riemergendo un attimo dalla trance in cui sembrava essere
sprofondato, e agitando con la mano un pacchetto di sigarette in segno di
offerta.
"Sì" fece Spencer "e, a proposito...quello
era un PreMorte..."
"Cosa...?" girò appena la testa
Jhon
"La creatura evocata con occhi e viscere
bruciati in un pentacolo. Lo chiamano PreMorte, ovvero la “materializzazione” di
ciò che l’occhio vede prima di morire. Beh, così credono loro. Ma voi non lo avete mai incontrato, perché questo rituale ha una
probabilità talmente alta di fallimento, che, a quel che ne so, non ne è mai
stato evocato uno completo "
Jhon sbattè le ciglia, in un attimo di
esitazione: poi, d’un tratto, diede in una fragorosa
risata.
"Ok, Dottore, ok! Sai il
fatto tuo. Va bene? Ora però, fine della
dimostrazione"
A giudicare dalla prossemica, la dottoressa
Sigrist aveva un temperamento meno prevenuto dei due colleghi. Il suo modo di
tenere le distanze era professionale ma non diffidente: a un primo tentativo di
profiling, l’avrebbe detta una persona bendisposta verso la diversità, ma solo
più tardi avrebbe saputo che, con i suoi studi di antropologia, aveva girato
praticamente il mondo intero, dagli igloo eschimesi alle tribù della foresta
equatoriale.
"La vittima si chiamava Osvald Samerson.
Sono riuscita a identificarlo grazie ad una protesi dentaria installata l’anno
scorso. Aveva 54 anni, scapolo, impiegato in un ufficio vendite di una ditta di
pneumatici. Ho già chiamato chi di dovere: mancava dal lavoro da 5 giorni, ma
nessuno si era domandato niente, perché aveva chiesto una settimana di ferie"
Jeanine si spinse su gli occhiali, dando
un’occhiata in tralice a Spencer, che Darren non aveva ancora avuto il buon
gusto di presentare.
"La morte risale a ieri pomeriggio, tra le
quattro e le sei. E’ stato lungamente torturato, per un arco di tempo che può
variare dalle 24 alle 36 ore. Sono stati utilizzati diversi strumenti per
infliggere le torture: armi da taglio e oggetti contundenti di diverse
dimensioni. Con più calma saprò effettuare dei riscontri e elencarvi una lista
di oggetti compatibili. Sono presenti segni di bruciature e di scosse
elettriche. Le unghie sono state asportate, e le dita delle mani sono
fratturate. Tuttavia, non sono state le ferite la causa del decesso...
"
Porse a Darren i risultati
dell’autopsia.
" ...bensì un attacco cardiaco
"
"E’ morto di infarto?" Jhon si grattò la
testa "questo non fa molto esoterrorista!"
"Detto così, no. Ma una serie di fattori,
come il ph del sangue, la forte presenza di adrenalina, la disidratazione, mi
fanno pensare che la vittima sia
stata colpita un attacco di panico. O più di uno. Il cuore potrebbe non aver
retto... "
"Morto di paura... " mormorò Spencer,
ripensando agli occhi del poveretto "la peggior morte che ci si possa augurare.
Ma la domanda a questo punto è: volevano
ucciderlo?"
Darren lo guardò di
sbieco.
"Se un esoterrorista ti tortura, stai certo
che non andrai in giro a raccontarlo"
"Non intendevo questo. Mi chiedevo...se ad
essere funzionale al rituale fosse la morte o la tortura...
"
"...o entrambe!" intervenne
Jhon.
"Per il momento, non abbiamo nemmeno la
certezza che si tratti di un rituale, e che l’eventuale rituale ci riguardi.
Innanzi tutto, è necessario accertarsi della presenza di un’attività
esoterrorista. Jeanine, che ci dici del
“ritrovamento”?"
La donna fece scorrere rapidamente le dita
fra le sue carte, ed estrasse una fotografia che mostrava l’oggetto di rame
ancora all’interno della carne.
" Si tratta di una delle ferite più antiche:
è stato impiantato nel corpo della vittima prima dell’inizio delle torture...o
comunque, è stata la prima forma di tortura che gli hanno inflitto. L’incisione
non è profonda, ed è fatta da mani inesperte. Tuttavia, deve essere stato usato
un bisturi, o comunque un coltello molto piccolo e
tagliente"
Lo sguardo di Darren passò rapidamente da
lei e Jhon
"E la tua
ricerca?"
"Allora" Jhon voltò verso di loro la
schermata del suo portatile "Quello che vi posso dire è che non è stato
fabbricato negli stati uniti. Esistono due luoghi in Messico che hanno prodotto
qualcosa di simile: uno è un negozio gestito da nativi che ha un giro solo tra
appassionati di antiche tradizioni, l’altro è addirittura un artigiano che non
vende al pubblico, ma crea monili per privati a cifre astronomiche: è una specie
di santone, di guaritore...insomma, un tizio così...! Niente, però, che richiami
palesemente il nostro amuleto: solo scelta degli stessi materiali e una certa
somiglianza nella lavorazione, non sufficiente a dire che si tratti della
medesima mano"
Spencer sollevò entrambe le
sopracciglia.
"Wow... " commentò,
ammirato.
"Non hai visto niente, ragazzo" si vantò lui
"Entro un’oretta ti servo vita morte e miracoli di Osvald Samerson, così puoi
fargli un bel profilo psicologico,
contento?"
Spencer abbozzò un
sorriso.
"Penso che per un profilo mi sarebbe molto
più utile vedere la sua casa e il suo
ufficio"
Darren colse quella frase al
volo.
"Ottimo. Scegli da quale vuoi cominciare"
disse.
"Ufficio" rispose prontamente Spencer
"Voglio parlare con i colleghi. Gli attacchi di panico non nascono da niente,
nemmeno se sei sotto tortura. E il fatto che nessuno sapesse dov’era andato in
ferie mi incuriosisce. Agente Doe, se lei potesse farmi sapere da quanto
lavorava lì, il suo titolo di studio e se ha svolto altri lavori prima, questo
potrebbe essermi utile"
"Chiedi e ti sarà dato,
“dottore“!"
"Allora" riprese Darren "Domattina, Dwhigt
ed io alla “Mundial Preumatici“. Doe e Sigrist all‘appartamento. Per stasera,
Jhon lavora sulla vita della vittima, io e la dottoressa facciamo un sopralluogo
nella zona circostante la scena del crimine: sotto le scarpe di Samerson è stato
trovato della ghiaia che non corrisponde al tipo di terreno del luogo del
ritrovamento. Probabilmente il posto in cui è stato torturato e ucciso non è
negli immediati dintorni, dobbiamo farci
un’idea..."
Spencer non capiva se il capo si fosse
dimenticato di lui o non lo avesse nominato
volutamente.
"Ed io...?"
azzardò.
"Tu sei libero" fece Darren "Sei stanco e
disorientato, e domani mi servi lucido"
"Io...emh...cosa...?"
Ci era rimasto male: non pensava che fosse
così facile leggergli in viso condizioni fisiche e
mentali.
"Non ci hanno avvistato fino all’alba
dell’inserimento di un nuovo agente, quindi deduco che la anche tua convocazione
sia stata improvvisa. Suppongo dopo l’assegnazione del caso alla mia unità: tra
le 23 e le 24. Viaggio in notturna, volo di linea. Non hai la faccia di chi
dorme in aereo. Anzi, hai la faccia di chi dorme poco e non ama perdere lucidità
quando si trova in un ambiente che non tiene sotto controllo..." per la prima
volta fece un mezzo sorriso "li faccio anche io i profili, Dwight. Domani alle
otto. Cerca di avere una faccia che non attiri
l‘attenzione"
A quella frase, Jhon diede in una risatina
sardonica.
Spencer non osò
replicare.
Quando il telefono squillò, era perso in uno
zapping insensato tra i canali, giusto per il gusto di perdere tempo e ritardare
l’ora di addormentarsi.
"Spencer, ti ho cercato molte
volte..."
La voce di Lois era la cosa che amava di più
in lei: a volte aveva fatto sedute intere tenendo gli occhi chiusi, concentrato
su quella voce che lo rasserenava, che gli sgombrava la mente. E tante volte si
era chiesto se non avesse finito per andare a letto con la sua
voce.
“Spencer, ti ho cercato molte volte”: nella
sua voce non c‘era una richiesta, una nota di biasimo, un sottinteso. Lei sapeva
dire le cose senza inviare nessun messaggio secondario.
Lei, semplicemente, affermava.
"Sono a Washingotn. Sono partito stanotte.
Lavoro a un caso nell’unità Culti e Crimini Rituali
dell’FBI."
Dall’altro lato della cornetta ci fu un
momento di silenzio.
"Non pensavo che avresti deciso così in
fretta"
"Nemmeno io. Ma va bene così. Ho bisogno di
questo"
"Non hai bisogno di questo. Hai bisogno di
convincerti che è così. Non è dando la caccia a creature
soprannaturali che farai tabula rasa di qualcosa che la tua mente ha rimosso. Né
lo farai riemergere. Il percorso che dovresti...
"
"Non c’è un percorso, Lois" la interruppe
"sai come la penso. Il lavoro fatto con te mi ha aiutato...tu mi hai aiutato: ma
non è facendo psicoterapia per una vita che arriverò da qualche parte: anche io
curo la gente...ho visto come funziona. Quando incontri certe cose, non puoi
pensare di farne “tabula rasa“. Non me lo sogno nemmeno, e
non sono qui per questo. Voglio soltanto...impedire che ad altre persone capiti
la stessa cosa. Non voglio essere più lì per mettere toppe, per cercare di
salvare il salvabile. Voglio esserci
prima..."
"Sei consapevole di non essere
psicologicamente pronto per questo"
Ecco, “affermava” di nuovo, senza aspettarsi
una risposta, senza rimproverargli nulla. Gli sarebbe mancata quella limpida
capacità di dare alle parole una loro saldezza, una loro lucida essenza.
"Ti mancherò?"
chiese
"Certo. E ho paura per te. Ho paura che tu
abbia bisogno del mio aiuto, e che io non possa essere lì...
"
"Però non mi
ami..."
Lasciò cadere quella frase fatta così, e poi
la immaginò sorridere e scuotere lentamente la
testa.
"Nemmeno tu mi ami, Spencer. Tu ami il fatto
che so tutto di te, e che con me non devi svelare o nascondere niente, non devi
metterti in gioco..."
"Non ti illudi di conoscermi troppo
bene?"
"Andiamo, piccolo. Sono la tua terapeuta da
quasi dieci anni"
Spencer affondò la testa sul cuscino, e
pensò che dopo quella frase gli sarebbe piaciuto essere
accarezzato.
"Ho paura di dormire, stanotte..." disse,
con un candore disarmante.
"Ti ho insegnato tante strategie...è il
momento di metterle in pratica: non puoi sbadigliare mentre lavori sul campo. E
per cominciare, smetti di fare zapping
compulsivo..."
Il ragazzo sbattè le ciglia, rigirandosi il
telecomando tra le mani
"Non
stavo..."
Menzogna
inutile.
"Buonanotte,
Spencer..."
Buonanotte. Una parola che si diceva con
tanta naturalezza, una di quelle parole che si sprecano senza conoscerne il
significato.
Spencer Dwight dall’età di 15 anni avrebbe
pagato per trascorrere, per una volta almeno, una vera “buona notte”. I suoi
sonni erano solo un’interruzione della fatica fisica, ma se voleva spegnere
qualche volta la mente e permetterle di avere pace, lo doveva fare da sveglio,
guidato da un terapista dei disturbi del sonno, sottoponendosi a sedute di
ipnosi o con sessioni di meditazione e training autogeno. Nessuna di esse
funziona a lungo, ma almeno permettevano al suo mondo interiore di prendere
respiro.
La notte, invece, era un momento di lotta e
di sforzo: a meno di non piombare sfinito o ubriaco in un sonno buio, di quelli
da cui ci si sveglia storditi, con la testa pesante, tutti i suoi riposi erano
accompagnati dai “mostri”. Mostri che conosceva, o che non aveva mai visto, e
voci, e suoni, e simboli...insomma, immagini...flashes distorti e confusi di un
mondo che per l’Ordo Veritatis aveva una definizione e un nome: realtà
soggettiva.
Gli esoterroristi si adoperavano per
spezzare quella membrana che separava tale realtà da quella quotidiana,
palpabile, visibile ogni giorno, e miravano all’irrompere dei fantasmi
dell’inconscio sul mondo reale.
Loro erano lì per impedirlo.
Ma quanto e come - prima di essere salvato e
“adottato” dall’Ordine - Spencer avesse visto di quella realtà soprannaturale,
lui stesso non lo ricordava...
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