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Autore: Giandra    12/09/2018    3 recensioni
❧ SenRu
➥ post-canon; visual & implied smut (blowjobs)
Storia scritta per il "4 DAYS - t e m a: p0rn&fluff" indetto da La Torre di Carta, sul prompt "True Colors - Cyndi Lauper".
All’inizio, Sendo era stato mosso principalmente dalla curiosità, oltre che dai suoi ormoni scalpitanti; voleva sapere cosa ci fosse sotto quello strato di ghiaccio e di strafottenza, dietro quel muro che Kaede innalzava davanti a un qualsiasi contatto umano che non c’entrasse col basket. Semplicemente, l’ala del Ryonan voleva studiare il suo avversario, comprenderlo, svelare quell’enigma che lo aveva fatto scervellare fin dalla loro prima partita, l’amichevole che aveva cambiato tutto.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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But I see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that's why I love you
So don't be afraid to let them show
Your true colors
True colors are beautiful
Like a rainbow
Show me a smile then
Don't be unhappy, can't remember
When I last saw you laughing
If this world makes you crazy
And you've taken all you can bear
You call me up
Because you know I'll be there
 
But I see your true colors
 
Andava avanti da un po’, ormai. Forse tre mesi, nessuno dei due avrebbe saputo dirlo con certezza: era iniziato tutto da un paio di incontri casuali al campetto tra lo Shohoku e il Ryonan e da lì la situazione si era evoluta gradualmente.
All’inizio, Sendo era stato mosso principalmente dalla curiosità, oltre che dai suoi ormoni scalpitanti; voleva sapere cosa ci fosse sotto quello strato di ghiaccio e di strafottenza, dietro quel muro che Kaede innalzava davanti a qualsiasi contatto umano che non c’entrasse col basket. Semplicemente, l’ala del Ryonan voleva studiare il suo avversario, comprenderlo, svelare quell’enigma che lo aveva fatto scervellare fin dalla loro prima partita, l’amichevole che aveva cambiato tutto.
Aveva deciso di sfidarlo ogni giorno a un one-to-one, sicuro che avrebbe accettato perché la sua ossessione per la competizione lo contraddistingueva da qualsiasi altro cestista: Kaede era programmato per giocare a basket e Akira sentiva che sarebbe arrivato in alto, davvero in alto.
Avevano passato interi pomeriggi a destreggiarsi con scontri infiniti, alcuni dei quali erano persino stati vinti dalla supermatricola; non che Sendo avesse contemplato l’idea di uscirne sempre imbattuto — al contrario —, però lo aveva sperato, perché spaventato dall’idea che, una volta accertatosi che potesse sconfiggerlo, Rukawa non avrebbe più voluto giocare contro di lui. Invece ogni giorno aveva continuato a presentarsi lì alla stessa ora ed entrambi avevano dato il meglio di se stessi pur di risultare vincitori.
Un giorno, prima di cominciare a giocare, Akira gli aveva fatto una domanda. “Perché giochi a basket?” Non sapeva bene come mai gliel’avesse posta, ma aveva sentito che, se non avesse ottenuto una risposta, i suoi interrogativi non sarebbero mai stati soddisfatti.
Kaede lo aveva squadrato a lungo con quegli occhi indagatori, azzurri e profondi come il cielo, e gli aveva risposto: “Per diventare il numero uno.”
Sendo aveva sorriso. “Questo l’ho intuito”, aveva scherzato, “ma qual è il motivo che ti ha spinto a iniziare? Quello vero, ecco.”
Rukawa aveva inarcato un sopracciglio, confuso, come se quella frase lo avesse preso alla sprovvista. Inizialmente Akira aveva pensato che non ci fosse altro, che quello fosse stato il suo scopo fin da bambino, e che quindi la sua domanda lo avesse spiazzato perché non esisteva una risposta; dopo, però, aveva realizzato: quell’occhiata perplessa era derivata dal fatto che Kaede non si era immaginato che lui sarebbe andato oltre le sue risposte, che gli avrebbe guardato dentro così bene da capire che effettivamente ci fosse dell’altro.
“Ho sempre avuto il basket. Non saprei come farne a meno neanche volendo.” Aveva risposto e Sendo aveva compreso che quell’affermazione gli fosse costata parte della sua riservatezza, che in qualche modo si stava fidando di lui e si era sentito onorato.
“Capisco. Il basket c’è sempre stato per te, quindi vuoi ripagarlo facendo di esso la tua ragione di vita. Vuoi essere ricordato per quello. Giusto?” Aveva provato a scavare più a fondo, avvicinandosi a lui con dei passi misurati: né troppo veloci né troppo lenti.
“Qualcosa del genere.”
A quel punto Akira aveva lasciato tra i loro volti una distanza di, sì e no, dieci centimetri. Era già stato intenzionato a eliminarla, quando Rukawa aveva parlato di nuovo: “Se vuoi baciarmi, fallo e basta.”
Si era esibito in uno dei suoi sorrisi sornioni, a trentadue denti, che mescolavano divertimento e quiete in un mix difficile da interpretare. “Stavo giusto per farlo” aveva detto, prima di afferrargli il collo con la mano destra e spingerlo verso di lui. Akira aveva infilato la lingua nella sua bocca e Rukawa l’aveva accolta ben volentieri, intrecciandola alla propria; aveva spostato la mano dal collo e l'aveva fatta arrivare alle spalle in una lenta carezza, per poi scivolare sulla schiena, lungo la spina dorsale, e concludere quel viaggio sul sedere sodo di Kaede, che aveva stretto tra le dita; con l'altra mano si era intrufolato sotto la maglietta a scoprire i suoi pettorali.

Rukawa non era riuscito a connettere bene tutto ciò che stava accadendo. Sapeva di essere gay da molto prima di incontrare Akira, ma non aveva mai incontrato qualcuno per il quale valesse la pena provare emozioni forti come quelle che stava sperimentando in quel momento. Aveva desiderato allo stesso modo dell’altro quel bacio mozzafiato, tutte le volte in cui in quei giorni si erano marcati stretti, pelle contro pelle, e aveva sentito il cuore di Sendo battere forte quanto il suo. Anche quelle attenzioni fisiche non gli stavano dando per niente fastidio — anzi —, ma aveva deciso comunque di usare quell’ultimo neurone funzionante per fermarlo e per ricordargli che si trovavano in un luogo pubblico.
“Andiamo a casa mia.” Aveva proposto Akira; e lui aveva accettato.
Da quel momento la sua vita era cambiata: Kaede aveva scoperto cosa significasse passare giornate tutte diverse, vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Akira lo aveva portato nei luoghi della sua infanzia, lo aveva fatto stendere su un prato totalmente a caso per osservare la volta celeste ricoperta di stelle, aveva fatto l’amore con lui nei posti più impensabili.
Quel giorno, invece, stavano progettando una gita.
La scuola era finita, era estate, e non avevano mai smesso un solo giorno di vedersi e di allenarsi: quella era l’unica parte della sua vita che non avrebbe mai modificato ed era stato felice che Akira lo avesse capito da solo, senza che avesse dovuto spiegarglielo.
Stavano sdraiati nel letto di casa Sendo, nudi, con le gambe intrecciate, a litigare bonariamente su dove avrebbero trascorso il weekend.
“Ti assicuro che è un posto stupendo.”
“Ho già detto di no.”
“Ma c’è un campetto proprio vicino a un lago meraviglioso, che di notte diventa di colori strani... è uno spettacolo che vorrei farti vedere.”
Ecco, quando diceva quelle cose Kaede non sapeva cosa rispondere. È uno spettacolo che vorrei farti vedere. Da quasi tre mesi a quella parte, Akira aveva condiviso ogni cosa con lui che, al contrario, non gli aveva raccontato molto su se stesso; eppure, in qualche modo l’altro sembrava capirlo comunque: passando tanto tempo con lui, Akira aveva finito per imparare di più sul suo carattere, sui suoi modi di fare e di pensare. Non gli era mai successo prima di trovare una persona che riuscisse realmente a vederlo, nel profondo, che non si fermasse all’esteriorità ma che andasse oltre, a scoprire il suo cuore impolverato e a dare colore alla sua anima ingrigita.
“Va bene. Ma, se mi trovo di nuovo i vestiti mangiati da animali selvatici, giuro che ti ammazzo.”
Sendo rise, poi con uno scatto lo sormontò, mettendo in bella vista il suo sorriso ironico. Anche Kaede, dal canto suo, aveva imparato a capire quando usasse un sorriso e quando un altro; era stato quasi costretto, visto che quello sembrava vivere con le labbra incurvate.
“Se mi ammazzi, poi, chi ti farà impazzire a letto?”
Se non fosse stato abituato all’autocontrollo e al non lasciarsi mai andare, anche lui avrebbe riso. “Troverò qualcun altro.” ribatté prendendolo in giro, increspando leggermente le labbra all'insù.
Ma davvero?” Akira si calò sul suo collo a baciarlo e a morderlo e a leccarlo, lasciandogli un bel succhiotto rosso che non sarebbe passato inosservato; scese sul suo petto e gli succhiò un capezzolo, trattenendo un risolino di vittoria quando lo sentì gemere sommessamente; proseguì il viaggio di esplorazione del suo corpo e si fermò all’altezza del pube: prima lo guardò con un’espressione che trasudava malizia da tutti i pori, dopodiché si accinse a fargli un pompino.
Kaede incamerò quanta più aria possibile, sapendo che nel giro di qualche secondo ne sarebbe stato a corto. Sendo prese a succhiare forte, intensamente, partendo dalla punta, poi a intervalli irregolari leccò tutta la lunghezza in quel modo che sapeva lo facesse impazzire; continuò così per un paio di minuti, poi si dedicò alla punta e la lambì con la lingua, intrappolandola, e quello per Rukawa fu troppo: venne senza sapersi trattenere oltre.
Aveva il fiatone, il battito accelerato e la fronte sudata. Si portò una mano tra i capelli corvini e sospirò.
Akira lo affiancò, sorreggendosi la testa con il palmo della mano, e lo squadrò glorioso, come se stesse aspettando una ricompensa in denaro.
Kaede si arrese. “E va bene. Le tue prestazioni sessuali potrebbero mancarmi, giusto un po’. Ma ne varrebbe la pena: almeno mi libererei di una tale spina nel fianco.”
Per tutta risposta il ragazzo gli diede un pizzicotto sul bacino, poi lo baciò, dolcemente, sulla bocca, sulla guancia e infine sul naso. Lo guardò con l’aria di chi ha appena vinto una partita a poker e gli disse: “Vedremo se dopo quello che sto per farti ancora parlerai di uccidermi.”
E alla fine, Kaede dovette proprio ricredersi: non avrebbe saputo fare a meno del suo porcospino personale.





 
   
 
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