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Autore: Sarck    01/10/2018    2 recensioni
Quindi sì, Bakugou è pronto. Prontissimo. Ha continuato a ripetersi in testa, per il breve tragitto, le tre regole di base:
1. Salutare appena entrato (no, non grugnire)
2. Non insultare (né lui, né i clienti, né qualsiasi altra persona lì presente)
3. Salutare prima di andarsene (sorridere, possibilmente)
Bakugou aveva aggiunto, al terzo punto, “portare via con me il commesso arrapante”, ma la frase era stata cancellata con rabbia da Uraraka, tratti di penna calcata mentre continuava a ripetergli “non buttarti con i piedi di piombo come tuo solito, spaventi le persone così!”

***
Bakugou ha perso la testa per il nuovo commesso e non sa come fare.
[KiriBaku][Writober2018]
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kaminari Denki, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Ochako Uraraka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Come chiedere al tuo crush di uscire con le buone maniere
Fandom: Boku no Hero Academia
Tipo di coppia: yaoi
Pairing: Bakugou Katsuki x Kirishima Eijirou
Rating: giallo (i dunno, Bakugou ha un linguaggio così volgare!)
Parole: 5.015
Note: Era da troppo tempo che non pubblicavo Kiribaku, quindi ecco qui una OS nuova-nuova per tutti coloro che aspettavano. Una storia sempliciotta in cui Bakugou perde la testa per il commesso figo, in sitesi.

Questa storia partecipa al #Writober2018 di Fanwriter.it, prompt del giorno 1 ottobre: OTP 

 

 

 

 

Come chiedere al tuo crush di uscire con le buone maniere

 

 

Uraraka sbatte la lattina sul tavolo, il rumore è contemporaneo all’apertura della sua mandibola, quasi provenisse da lì. Rimane così, incapace di riacquisire il controllo motorio dei suoi muscoli facciali, almeno per qualche secondo. Kaminari, affianco a lei, sta già ridendo.

“Aspetta aspetta,” il controllo motorio è stato riacquistato con successo. Si volta verso Kaminari, girando le spalle a Bakugou, il quale sbuffa, “dici davvero?”

Kaminari annuisce solenne, mentre la lattina nella mano di Bakugou produce un lamento sofferente, accartocciata da dita sudate e callose. “Non ho fottutamente balbettato” ringhia.

Ma Uraraka già non lo sta più ascoltando, sta bombardando Kaminari di domande e lui la odia quella stronza. Sta già programmando di occupare tutto lo stendino della biancheria di suoi vestiti, senza lasciargli minimamente quella metà per cui tanto insiste e che la fa innervosire come una belva quando la trova occupata dalle sue magliette. Lo farà apposta. Per settimane intere, a costo di stenderci vestiti asciutti.

Ingoia l’ultimo sorso di birra, poi accartoccia del tutto la povera lattina e sbatte un pugno contro la spalla di lei.

“Oi.”

Si girano entrambi, Kaminari ha quel sorriso tipico di quando lo sta sfottendo, Uraraka ha le guance tinte di rosso a causa della birra.

“Finitela con le stronzate.”

Ciglia che sbattono e silenzio vacuo. Bakugou inspira, le unghie conficcate nella latta e i palmi più sudati del solito.

“Voglio una mano.”

Non sa se il caldo che sente al volto sia a causa dell’orgoglio ingoiato a fatica o dalla lucentezza negli occhi di entrambi, quando iniziano a rispondere con animaleschi versi di entusiasmo. Kaminari tenta quasi di tirare fuori il telefono dalla tasca, accennando un “ripetilo che lo registro,” ma Bakugou è più veloce e gli sta già stringendo il polso, il busto proteso contro il tavolo della cucina e schiacciato contro la spalla di Uraraka.

“Non ti azzardare.”

Uraraka li separa con un “buoni buoni”, mentre picchietta sulla sua spalla e “dicci tutto Katsuki” sorride con gli occhi, fin troppo felice dell’occasione insolita.

Bakugou in risposta si alza, a piedi nudi raggiunge il cestino e vi butta la lattina. Caccia le mani nelle tasche dei pantaloni slavati e troppo – davvero troppo - larghi suoi fianchi e rimane lì, in piedi, tra la porta della cucina e il soggiorno.

“Comesifa?” farfuglia, il viso basso.

“Si fa cosa?” incalza Kaminari. Lui gli rivolge uno sguardo scocciato da sotto sopracciglia aggrottate, poi fa scivolare le iridi in quelle di Uraraka, sperando in maggior comprensione da parte sua.  Non vuole aggiungere altro, è già profondamente imbarazzato.

La sua coinquilina sembra illuminarsi, alza l’indice sottile e “Katsuski” sorride, picchiettandosi il mento con la falange, l’angolo sinistro della bocca lievemente più in altro dell’altro, “vorresti chiedergli di uscire?”

Il sangue gli ribolle nelle orecchie al pensiero.

“Amicooooo” strilla Kaminari, tirandosi in piedi così in fretta da far stridere le gambe della sedia contro il pavimento, “non pensavo fossi un tipo dall’innamoramento facile!”

Non gli ci vogliono più di tre falcate per arrivare davanti alla faccia di Kaminari. “Cosa cazzo stai farneticando?” ringhia, sputacchiando direttamente sulla faccia ridente del suo amico idiota – il quale, giusto per sottolineare, non ha mai smesso di starnazzare da quando l’argomento è stato tirato fuori. Anche Uraraka si alza, e “buoni buoni” li ammonisce, per la seconda volta nella serata, “sediamoci un attimo e ne parliamo.”

Bakugou sbuffa dalle narici, ma li precede in salotto senza aggiungere altro.

Si lascia sprofondare nel divano con un tonfo, non preoccupandosi si starne occupando almeno metà. Poggia i piedi sul tavolino davanti e guarda Uraraka, che si sta sedendo a fianco a lui, come a sfidarla a dirgli qualcosa (sa quanto gli dia fastidio). Lei si limita ad alzare gli occhi al cielo.

Kaminari si siede a gambe incrociate sul tappeto, data l’assenza di ulteriore spazio sul divano. Si è preso dal frigo una seconda birra.

“Quindi, ricapitolando” cerca di fare il punto Uraraka – Bakugou ha già il mal di testa per tutta questa situazione – “c’è questo nuovo commesso al negozio sportivo”, un grugnito d’assenso, “a cui tu ti sei rivolto chiamandolo ‘capelli di merda’” un altro grugnito, incrocia le braccia sul petto, “ma poi hai balbettato quando hai dovuto chiedergli dei tuoi soliti guanti per la palestra.”

“Non ho fottutamente balbettato!”

L’occhiata incendiaria è rivolta a Kaminari, il maldicente, il quale alza le braccia e “o sì che lo hai fatto” insiste. Bakugou fa scivolare i piedi dal tavolino, assottiglia ancora di più gli occhi. “Prossima volta che vieni in palestra ti infilo un bilanciere su per il…”

“Bakugou!”

Si gira verso Uraraka di scatto, i denti ancora scoperti, ma non termina la frase.

“Anche tu, Kaminari, smettila di provocarlo.”

“Ma è divertente!”

Bakugou torna con la schiena appoggiata contro il cuscino e inclina la testa all’indietro, inveendo contro il soffitto.

“Siamo qui per aiutarlo però, non prenderlo in giro.”

“Oi”, il collo scatta in avanti e la testa torna alla sua posizione originale, “non ho detto di aver bisogno di aiuto.”

La sente sospirare, gli rivolge solo una veloce occhiata con la coda dell’occhio e la nota pizzicarsi il ponte del naso, stressata.

“Allora” ritenta lei, la voce molto più bassa e lenta, questa volta, “cos’è che vorresti fare? Parlare a questo ragazzo?”

“Chiedergli di uscire?” suggerisce Kaminari, ma non ha un tono canzonatorio questa volta. Bakugou si rilassa un po' meglio sul suo posto, riesce addirittura rispondere senza urlare.

“Non lo conosco neanche.”

“Ma vorresti?”

“Sì, potremmo dire di sì.”

Non guarda nessuno dei due in faccia, fissa il tavolino su cui ha riposizionato i piedi scalzi. Dovrebbe tagliarsi le unghie.

“Non hai mai voluto conoscere qualcuno di tua volontà. Che dico, non hai avuto interesse nell’avvicinarti a nessuno in generale. Perché questo ragazzo lo vuoi rivedere, invece?”

È a questo punto che Bakugou decide di spostare gli occhi su di lei. Le ciglia fluttuano indecise, ma una volta stabilizzate le iridi in quelle nocciola ed enormi della sua amica – la parola assume una forma strana, anche se tenuta al sicuro all’interno della sua testa - mantiene lo sguardo. Sente l’angolo superiore del labbro tendersi e i denti scoprirsi, mentre risponde.

“Perché mi arrappa fottutamente”.

La mandibola di Uraraka cade di nuovo.

 

 

Bakugou è psicologicamente e fisicamente pronto. Forse fin troppo sudato, perché per qualche assurdo motivo i cinque minuti che separano casa sua dal negozio, attaccato alla palestra, sono stati abbastanza per farlo sudare così tanto. Non c’entra nulla il fatto che sta per rivedere quel commesso, comunque. Assolutamente nulla.

Suda perché fa caldo. Anche se è in canotta. Anche se Kaminari, invece, è in felpa e fuori sembra star per piovere.

Si chiede che diamine ci faccia Kaminari con lui, per la seconda volta. È quasi del tutto certo che la chat aperta sul suo telefono sia quella con Uraraka, per tenerla aggiornata su come procede il tutto.

Gli hanno riempito la testa di frasi fatte, nelle ultime sere. Uraraka le ha scritte su un quadernino, intitolato “come chiedere al tuo crush di uscire con le buone maniere” e ha addirittura disegnato un piccolo Bakugou stilizzato con un ragazzo con un grosso punto di domanda davanti al viso e capelli a punta a rossi (unica caratteristica che è uscita fuori nella descrizione).

Quindi sì, Bakugou è pronto. Prontissimo. Ha continuato a ripetersi in testa, per il breve tragitto, le tre regole di base:

  1. Salutare appena entrato (no, non grugnire)
  2. Non insultare (né lui, né i clienti, né qualsiasi altra persona lì presente)
  3. Salutare prima di andarsene (sorridere, possibilmente)

Bakugou aveva aggiunto, al terzo punto, “portare via con me il commesso arrapante”, ma la frase era stata cancellata con rabbia da Uraraka, tratti di penna calcata mentre continuava a ripetergli “non buttarti con i piedi di piombo come tuo solito, spaventi le persone così!”

 

“Amico più aspetti qua fuori più continuerai a sudare. Continuerai a sudare e puzzerai. Puzzerai e nessuno più ti vorrà. Cioè - già non è che la gente ora ti voglia così tanto, ma nessuno vuole essere abbordato da un essere grondante e puzzolente, anche se magari quel ragazzo potrebbe, effettivamente sembra uno con i gusti abbastanza strani… comunque, hai la maglietta tutta incollata alla schiena.”

Bakugou, con la mano a mezz’aria, verso la porta, si gira per incenerirlo con lo sguardo e ringhiare, scandendo con lentezza le parole “non iniziare a scassare i coglioni, facciadimerda.”

La porta si apre proprio sul “faccia di merda”. Varca la soglia una signora, che spinge un ragazzino dalle spalle, per intimarlo ad aumentare il passo, mentre guarda Bakugou con occhi assottigliati e le labbra storte in una smorfia.

Bakugou sbuffa e in un passo è dentro al negozio. Istantaneamente tutte le teste che erano girate verso di lui, verso l’entrata, tornano ad occuparsi di quello che stavano facendo. Dietro di lui sente Kaminari fermare la porta con un piccolo tonfo e farfugliare un “la stavo per prendere in faccia, amico, potevi tenerla.”

Ci prova davvero, Bakugou, a formare un saluto all’interno della gola. Ma è sicuro di aver già annunciato la sua presenza e non nei migliori dei modi. Ci rinuncia dunque, il primo punto delle tre basi già andato in fumo. Bene.

Poi lo nota, giusto sopra il ronzio di una nuova lamentela di Kaminari. Lo riconosce subito, con quei capelli ridicoli e impossibili da non notare. Trattiene il respiro nell’accorgersi che lo sta guardando. Gli sorride, come se si ricordasse di lui, e si abbassa per tirare fuori delle magliette da uno scatolone e posarle ordinate nel giusto ripiano.

Bakugou non schioda neanche per un secondo gli occhi dal fondoschiena del commesso, quando si inclina in avanti. Ignora la finta tosse di Kaminari, incapace di muovere gli occhi, né le gambe, dalla sua posizione di trance. Oh, se gli piace ciò che vede.

Fortunatamente è il commesso dai capellidimerdamasudiluinonpoicosìdimerda ad avvicinarsi, il sorriso che non ha mai abbandonato il suo volto. “Ehi,” li saluta “ciao, ci siamo già visti qui in negozio, giusto?”

È Kaminari che risponde, portando il commesso a volgere l’attenzione verso di lui, perché Bakugou è troppo occupato ad osservare i denti fottutamente appuntiti del ragazzo che ha davanti. Non li aveva notati la volta scorsa. Sono davvero, davvero appuntiti.

È una gomitata di Kaminari a riportare la sua attenzione sul discorso. “Ah?” è tutto ciò che gli esce, mentre solleva lo sguardo dalla bocca di Kirishima - così recita il cartellino appeso alla maglietta - e lo vede leggermente arrossire. Forse stava guardando con troppa insistenza.

“Lui è Bakugou” lo sta presentando Kaminari “frequentiamo la palestra qui affianco”.

Gli occhi di Kirishima vacillano via dai suoi, per tornare a prestare attenzione a Kaminari.

Bakugou sa di non aver aperto ancora bocca, ma proprio non ci riesce. Grugnisce solo, in assenso, mentre lascia spiegare al suo amico di cosa hanno bisogno. Sì, guanti da palestra.

Kirishima li precede verso lo scaffale dove sono esposti. Bakugou non sa davvero dove guardare, perché le spalle di quel ragazzo sembrano ancora più larghe, viste da così vicino, ma anche il suo fondoschiena è particolarmente invitante, piccolo e tonico, tende meravigliosamente i pantaloni della tuta.

Si chiede che allenamento faccia. Si chiede quanto sarebbe difficile prevaricare su uno come lui, tenergli ferme le braccia dietro alla schiena mentre lo piega in avanti e…

Una gomitata di Kaminari, più forte del dovuto, giusto prima che Kirishima si giri. Forse sta davvero esagerando con il fissare.

“Vi serve già un nuovo paio?” sta chiedendo, per poi aggiungere “M dovrebbe andare bene.”

“Li ho già consumati” dice Bakugou, mentre afferra la confezione dalla sua mano, con eccessiva forza, senza schiodare le iridi dalle sue. Si accorge che è la prima volta che parla perché il ragazzo davanti a lui sembra spalancare leggermente gli occhi, per poi sorridere.

“Cavoli amico, che allenamento fai?”

Lo sguardo cade un attimo sulla sua bocca in movimento, quando ritorna sugli occhi nota che Kirishima è ancora leggermente arrossito. Forse sta davvero fissando troppo, magari lo sta mettendo in imbarazzo. Non che gliene freghi troppo. Quel colorito sulle guance gli dona.

“Faccio parkour, i guanti si consumano subito.”

A quel punto, gli occhi di Kirishima sono totalmente spalancati. Bakugou sente le labbra tendersi in un ghigno.

“Comunque, dammi una fottuta L dentidasqualo, non ho le mani di un ragazzino.”

Kirishima deglutisce – Bakugou segue con gli occhi il movimento del pomo d’Adamo – “ah, certo amico.”

Kaminari scuote la testa e mugugna solo “punto due”, sconsolato.

Pagano entrambi, Kaminari compra anche dei pantaloncini nuovi e delle ginocchiere (il deficiente ogni tanto cade ancora sulle ginocchia, nei salti troppo lunghi).

Quando escono, ovviamente, Bakugou si dimentica di salutare.

 

 

La settimana dopo Bakugou si presenta da solo. Perché, per qualche assurda ragione, mentre tutti i suoi compagni hanno bisogno di cambiare i guanti giusto una volta al mese, lui necessita di un paio nuovo almeno ogni settimana. Kaminari e Sero lo prendono in giro dicendo che è perché i suoi palmi sudano troppo e così rovinano il tessuto. Lui risponde che è solo perché si allena almeno il triplo di loro durante la settimana, in palestra, prima delle prove in città durante il weekend.

Bakugou, comunque, è abituato a frequentare il negozio di articoli sportivi. L’unica cosa a cui non è abituato è quel dannato commesso di nome Kirishima. Lui, con i suoi occhi enormi, il sorriso larghissimo, i denti appuntiti e le spalle esageratamente ampie.

C’è stata un’altra serata di “soccorso in amore”, come le chiama Uraraka – cosa che personalmente gli provoca un pesante urto di vomito. Ora sul quaderno “come chiedere al tuo crush di uscire con le buone maniere” vi è una nuova pagina piena zeppa di metodi per iniziare una conversazione e una terza strabordante di complimenti e gentili frasi fatte (inutili, dopotutto Bakugou vorrebbe solo piegarlo contro gli scaffali e strusciargli la sua erezione tra le natiche).

Non saluta quando entra – tanto ha ormai fallito i tre punti principali la scorsa volta; è una persona coerente, lui.

Kirishima invece sventola una mano appena lo nota entrare, gli chiede di Kaminari e gli porge dei nuovi guanti taglia L, anche se non ce n’è bisogno perché Bakugou sa esattamente dove si trovino.

Non ha neanche bisogno di pensare a metodi per iniziare una conversazione, dato quanto sembra facile per Kirishima trovare argomenti di cui parlare. Lui grugnisce per dare il suo assenso, o blatera “sì” e “no” come risposta alle sue domande (“amico sembra uno sport così figo il parkour, così da vero uomo! Ma non fa paura?” “Ti sei mai rotto qualcosa?” “E se si cade?”).

Quando arriva alla cassa si rende conti di aver giusto sbiascicato qualche parola in croce. Decide così di ripassare mentalmente la pagina tre del suo quaderno. Quella dei complimenti. Sì, poco da lui, ma si sta sinceramente impegnando nella cosa, se li è imparati a memoria in un giorno solo.

Se li ripassa nella testa mentre paga con la carta, le mani gli sudano perché sa che non ha più tanto tempo, che tra poco non avrà più scuse per rimanere ancora lì  e sa di non aver davvero detto qualcosa, di non averlo minimamente impressionato. Uraraka gli ha detto che la cosa più importante è essere sinceri e pertinenti, per non far sembrare il complimento troppo fuori luogo e dunque imbarazzante.

Bakugou afferra i guanti e lo scontrino, si perde un attimo nel sorriso eccessivamente brillante del commesso e all’improvviso è la sua bocca a parlare, prima che il pensiero arrivi ad elaborazione.

“I tuoi denti sono fottutamente appuntiti.”

Kirishima smette di parlare all’istante, la bocca semiaperta. Si lecca le labbra, la richiude e guarda altrove.

La pertinenza almeno è rispettata. Si può considerare un complimento?

Il sorriso del ragazzo davanti a lui vacilla un poco mentre parla e la cosa porta Bakugou a ergersi più dritto nella sua postura, una sensazione di fastidio incastrata da qualche parte nello stomaco.

“Lo so amico, abbastanza strano vero? Metto un po’ di soggezione a volte, a causa di questi.”

“Sempre più stupido, capellialpostodelcervello

Kirishima alza le ciglia, lo fissa con iridi rosse tremule e insicure e quella cosa nello stomaco di Bakugou si fa persistente. Si sta mordicchiando il labbro inferiore e – cazzoooo – Bakugou non ce la può fare.

“Non mettono soggezione” pronuncia lento. Non riesce a staccare gli occhi dai denti appuntiti che affondano nella carne rossa. Deglutisce.

Pertinenza e… cos’era l’altra cosa importante? Giusto; verità.

“Mi chiedevo solo come facessi con i pompini.”

 

Uraraka, quella sera, lo picchia con un mestolo ripetutamente. Kaminari lo racconta a Sero, durante gli allenamenti e Bakugou è così frustrato e arrabbiato da tutta la situazione che minaccia di dare fuoco al quaderno “come chiedere al tuo crush di uscire con le buone maniere”, perché tanto sa di non riuscire a fare altro che di testa propria.

 

 

“Comunque non ci sono problemi”, gli dice Kirishima, qualche giorno dopo, sempre in negozio. Indossa una felpa, il cappuccio cade morbido sulle sue spalle. Si tira su le maniche fino ai gomiti, mentre Bakugou “cosa?” chiede, non sicuro di cosa stiano parlando. Non stava blaterando cose sul corso di Taekwondo che tiene ai bambini? Di quel bambino che si era messo a piangere nel mezzo dell’allenamento…

“Quello che mi hai chiesto l’altra volta”, picchietta con il polpastrello su un canino appuntito e oh, questo sì che cattura la sua attenzione. “Fidati che non è un problema, basta solo prestare un po’ di attenzione,” conclude.

A Bakugou gira la testa per un attimo. Sente la gola secca, mentre stringe fortissimo i guanti tra le mani sudate. Perché glielo sta dicendo?

Kirishima sorride, un sorriso diverso dal solito, fatto di labbra umide perché la lingua è appena corsa a bagnarle, velocemente.

Bakugou deve trattenersi con tutto il suo autocontrollo per non spingerlo contro lo scaffale e cacciargli la lingua in bocca, per testare quando davvero siano appuntiti quei denti, per fargli capire quanto non gli dispiacerebbero affatto, comunque, se se li trovasse sul suo cazzo.

Quando esce dal negozio, con già il borsone da palestra in spalla, ha un accenno di erezione. Ringrazia i suoi pantaloni della tutta sempre troppo larghi.

In palestra si allena finché non è senza fiato e i muscoli tremano per l’eccessivo sforzo.

 

 

L’aria fredda si insinua sotto al colletto della felpa e muove i capelli davanti a viso. Bakugou finisce lo stretching delle braccia e poi tira su la zip. La città è in silenzio ad orario di cena, i timpani vibrano solo per la risata bassa di Kaminari, il rumore delle suole delle scarpe di Sero che toccano ripetutamente l’asfalto e la canzone canticchiata a labbra chiuse da Jirou.

Bakugou inspira mentre piega il ginocchio e porta il piede ad altezza della natica. Rimane in equilibrio su una gamba sola, non oscilla sotto la lieve brezza – non lo fa mai – e tiene d’occhio la sfumatura che sta prendendo il cielo. Il sole rosso ed enorme è ormai basso oltre l’orizzonte di palazzi.

Si volta verso gli altri tre, loro ricambiano il suo sguardo e Bakugou sa che sono pronti.

“Vediamo se riuscite a starmi dietro questa volta.”

Un ghigno sadico, l’adrenalina che gli tende il corpo mentre indica con la testa la solita rampa che scalano per arrivare al tetto della fabbrica.

Rispondono tutti e tre – ognuno con un insulto diverso – ma voci cariche di adrenalina come la sua, di sete di altezza e orizzonti. L’attimo dopo sono già dietro di lui e i suoi palmi - coperti da guanti venduti da un cassiere fin troppo solare - sono già arpionati al primo blocco di cemento. Si issa su. Poi ci sono salti, corsa leggera, capriole e atterraggi su piedi e mani. È ovviamente davanti a tutti, ma non accelera mai, non si dimentica mai di guardarsi le spalle e assicurarsi che anche gli altri riescano a compiere quel salto un po’ troppo lungo. Tende una mano a Kaminari quando la distanza tra un tetto e l’altro è troppa, urla insulti a Sero quando lui ne approfitta per superarlo e mettersi in testa, scatta di lato e afferra un gomito di Jirou quando la vede barcollare un attimo dopo un atterraggio. Nel mentre il fiato aumenta, il sudore è freddo su collo e schiena, i guanti sfregano contro superfici ruvide, la pelle brucia per lo sfregamento e i palmi si arrossano mentre anche il cielo cambia le sue tinte. Tutto intorno è costellato di tetti. Le strade sono lontane, a metri dai loro piedi e quando Bakugou si lascia scivolare su un tetto particolarmente ripido, atterra su un balcone e poi si cala giù, in strada, con un ultimo balzo finale (e ovviamente è primo, come sempre), per un attimo si chiede se Kirishima farebbe uno di quei suoi sorrisi enormi, se fosse lì con lui, capelli rossi ad ondeggiare al vento e perdersi nella stessa tinta del cielo, il battito cardiaco accelerato almeno quanto il suo.

Il sole è calato.

Bakugou si chiede se Kirishima sorrida sempre in quel modo, anche quando non c’è nessuno a guardarlo.

 

 

“Studi?” gli chiede Kirishima, mentre appoggia a terra due scatoloni. Inarca la schiena, produce un secco suono di ossa seguito da un lamento soddisfatto.

“Più o meno.”

Kirishima strappa con le mani lo scotch e apre lo scatolone, dalla sua posizione accovacciata a terra alza lo sguardo per fissarlo. “Più o meno?”

“Mi sono già laureato. Sono un ricercatore, sto lavorando ad un progetto con un mio professore.”

“Lo sapevo che eri uno intelligente!”

Bakugou spera di non arrossire mentre commenta con un borbottio basso; “cazzo se lo sono, avevi dubbi capellidimerda?”

Kirishima scuote la testa e inizia a posizionare, in ordine di taglie, i costumi da piscina.

“Ho finito l’università con un anno di anticipo” aggiunge Bakugou, mentre caccia le mani nelle tasche dei pantaloni e guarda altrove. Perché oggi è così deserto il negozio?

“Cooooosa?”

“Nulla di speciale, certi corsi erano una stronzata.”

“Non credo fossero una stronzata per tutti. Prendi me, sono negato con lo studio, non avrei mai finito un’università.”

Bakugou si ricorda perfettamente dei due lavori di Kirishima. Quando gli ha detto di tenere un corso di taekwondo per i bambini Bakugou ha passato tutta la settimana successiva ad immaginarlo in dobok; stretto sulle spalle ampie, i pettorali che si intravedono dallo scollo a “v”, la cintura sui fianchi…

“Ricercatore? Per quale progetto?”

Bakugou sta davvero perdendo la testa per questo ragazzo. Che cosa potrebbe fare? Orami sono quasi due mesi che varca la porta di quel fottuto negozio con i palmi sudati e un mezzo durello già nei pantaloni, carico di aspettative.

“Chimica, stiamo lavorando sulla formula di un nuovo combustibile.”

Kirishima ha finito di sistemare il reparto e Bakugou non sa davvero cosa ci faccia ancora lì, con che scusa si stia trattenendo così tanto.

“Fighissimo! Non capisco nulla di quelle cose, ma sei assolutamente un tipo da esplosioni.”

Bakugou inarca un sopracciglio, toglie le mani dalle tasche e stringe i pugni senza pensarci “’minchia vorrebbe dire?”.

Kirshima ride. Ride, lo stronzo.

Bakugou sbatte le palpebre e rilassa un poco le mani. Proprio non lo capisce quel ragazzo. Lo osserva però, aspetta che termini la sua risata e per qualche strana ragione non si sente innervosito, non ha quella sensazione di essere preso in giro e che l’altro stia ridendo di lui.

Poi è particolarmente bello quando gli mostra quei denti da squalo.

Senza accorgersene gli ha afferrato l’avambraccio, quello che tiene sollevato lo scatolone vuoto. Il tempo di percepire la pelle calda sotto la pressione del suo palmo e la risata di Kirishima si è già dispersa nell’aria.

Bakugou non sa cosa sta facendo. Si è avvicinato di un passo e continua a fissare le sue iridi dilatate, immobile. È sicuro di riuscire a sentire la vena dell’avambraccio pulsare contro suoi i polpastrelli.

“B-Bakugou?”

Ah. La voce è tremula e Bakugou risucchia aria in un’ispirazione troppo lunga nel sentire il suo nome pronunciato in quel modo, da corde vocali rotte e pupille enormi, che non lasciano quasi più spazio ad iridi.

Apre la bocca, cerca qualcosa da dire, ma non gli viene in mente nessun suggerimento tra le centinaia di quelli che gli ha scritto Uraraka su quello stupido quaderno. Gli occhi di Kirishima saettano per un attimo alle sue labbra, poi ritornano su, vacui e  - nononono - Bakugou non ce la fa.

Si allontana di scatto, lascia la presa sull’avambraccio e si dirige verso l’uscita.

Ovviamente, non saluta.

 

 

Quando quattro giorni dopo torna in negozio Kirishima non ha i capelli tirati su con il gel, ma sono raccolti in una piccola cosa bassa. Bakugou quasi si soffoca con la sua stessa saliva, nel salutarlo.

Uraraka è costretta a sorbirsi le fantasie più spinte di Bakugou su come vorrebbe stringere quelle ciocche di capelli in una ferrea presa e fare cose. Bakugou la becca parlare al telefono con Kaminari, mezz’ora dopo, sulla sua presunta fissazione con il sesso orale - a detta dei due una problematica quasi patologica. Gli strappa il telefono di mano e urla a Kaminari “la vostra misera vita è patologica!” prima di chiudere la telefonata.

 

 

Non può continuare così. Se ne rende conto all’incirca verso l’una di notte, tra fogli pieni di formule e libri di chimica aperti sulla scrivania, ma la testa piena di immagini di sorrisi affilati, risate scomposte e una parlantina eccessiva. Non può permettersi di sconcentrarsi così, non può permettersi di recarsi in laboratorio sempre con le occhiaie perché ha passato la notte a memorizzare per la tredicesima volta tutte le cagate scritte sul quel quaderno di merda su come conquistare un crush che ormai non è neanche più un crush e immaginare ogni tetto su cui vorrebbe salire con lui.

Bakugou deve assolutamente fare qualcosa, lo sa.

 

 

È ormai inverno quando Bakugou varca la porta del negozio con un intento diverso dall’acquisto di nuovi guanti neri, dita scoperte, taglia L.

Bakugou entra, lascia che la porta sbatta dietro alle sue spalle e che la pioggia goccioli oltre l’orlo del suo cappotto. È uscito senza ombrello, ma non importa. Sente tutti gli occhi su di lui, ma non importa. Degno di attenzione è solo il modo in cui Kirishima lo guarda, come chiede scusa ad una cliente e si avvicina a lui, per chiedergli “tutto a posto? Sei fradicio!”

Bakugou non ha mai perso in vita sua.

Prende fiato, apre bocca e “oggi in laboratorio ho fatto esplodere quella merda di quaderno ‘come chiedere al tuo crush di uscire con le buone maniere’”. Il ragazzo davanti a lui batte le palpebre sugli occhi enormi.

“Volutamente” aggiunge Bakugou. Si guarda intorno, le poche persone presenti nel negozio non gli stanno più prestando attenzione o almeno fingono di non farlo. Al bancone c’è una ragazza dai capelli rosa voluminosi, Bakugou ha la leggera sensazione di averla già vista in negozio, altri giorni, ma aggrotta comunque le sopracciglia quando vede che lei sorride nella sua direzione e gli alza i pollici. Che?

Torna con lo sguardo verso Kirishima, il quale ha l’aria sempre più confusa. È la stessa sensazione di quando è in cima ad un tetto e sta per saltare, davanti a lui ha il sole che tramonta, rossissimo.

“Mi piacciono i tuoi denti appuntiti” inizia. Deve slacciarsi la giacca perché inizia ad avere davvero caldo. “Non mettono soggezione, ogni volta che ti guardo mi viene solo voglia di metterti in ginocchio e cacciartelo in bocca.”

A questo Kirishima sussulta e un rossore si diffonde veloce per tutto il viso.

“A-aspetta” ha il fiato un po’ corto, “non credo sia il caso di parlare qui di queste cose, se continuassimo dopo quando stacco?”

“No!” Gli tremano le mani, spinge con rabbia la cerniera fino in fondo e finalmente apre il giubbotto. “Te ne parlo ora e basta. Perché sono mesi che devo sorbirmi i discorsi di quella stronza sulla mia fissazione per il sesso orale. Non è solo quello, ho avuto voglia di sbatterti dal primo giorno che ti hanno assunto qui e non sai quante cazzo di volte mi sono dovuto trattenere dallo schiacciarti contro uno scaffale e farti perdere il lavoro.”

L’ultimo cliente nel negozio, un ragazzo alto con gli occhiali li supera con un colpo di tosse ed esce dalla porta il più velocemente possibile. Bakugou neanche lo degna di uno sguardo.

“Mi piacciono i tuoi capelli, non è vero che sono capelli di merda”, continua, “e la tua esuberanza del cazzo, il tuo essere così socievole che mi fa venire voglia di appendere al muro qualsiasi cliente a cui ti rivolgi, perché poi finiscono come me, a farsi seghe in bagno pensando al commesso arrapante.”

Bakugou non ha davvero più fiato. Sente caldo ovunque e ed è sicuro di stare alzando troppo la voce, a questo punto.

“Voglio anche vederti in quel cacchio di dobok mentre fai il culo ai bambini indisciplinati”

“io non faccio il cul….”

“Fammi finire! Ti sto cercando di dire che è da mesi che vorrei farti capire che mi arrapi, che mi piaci e vorrei scoparti anche qui in questo momento, ma anche che ultimamente non riesco a non salire su un tetto e pensare che vorrei portartici, perché tanto so che hai probabilmente anche più muscoli di quel che immagino e saresti assolutamente capace di fare parkour. Quindi,” un respiro, il più ampio che Bakugou abbia preso, come quelli necessari prima di un grande salto, “sta sera vieni con me, scopiamo e poi ti porto su un tetto da cui si vede tutta la città.”

A Bakugou non piacciono le convenzioni sociali. Non si è mai innamorato e non ha idea di cosa bisogni fare per farsi piacere da un’altra persona. Evidentemente neanche a quel ragazzo dal sorriso impossibile piacciono. Perché non gli urla addosso, non gli dà del pazzo, né del manico sessuale. Gli sorride, invece, con le guance ancora rossissime e gli occhi un po’ lucidi.

“E’ un programma perfetto” risponde, senza fiato.

E sì, Bakugou su quel tetto ci salta con tutto sé stesso, con i piedi di piombo – come direbbe Uraraka -, perché ha la sensazione che non si romperà facilmente, che sia una di quelle costruzioni indistruttibili.

  
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