Capitolo 1
Il
cielo era velato dall’afa, l’aria pregna di
umidità e
grossi nuvoloni coprivano l’orizzonte. L’estate non
era ancora finita, ma i
primi segni dell’imminente autunno erano visibili nelle prime
stanche foglie
che, ingiallite prematuramente, si staccavano lentamente dai rami
ancora
carichi di fronde.
Quel
giorno, i sentierini di pietra ben curati del cimitero
erano pressoché deserti. Tutto pareva immobile
nell’atmosfera assonnata di quel mattino, con le pigre volute
dell’incenso che si alzavano
dalle lapidi e si disperdevano
nel cielo.
Solo
una ragazza, incurante del caldo, era inginocchiata
davanti a una delle lapidi, le mani giunte davanti al petto e gli occhi
chiusi.
Un mazzo di fiori di sei colori, un misto di rosso, viola, giallo, blu,
bianco
e verde, era posato accanto a una foto e a dei bastoncini
d’incenso. I suoi
capelli viola, lunghi fino alle spalle e trattenuti sulla tempia
sinistra da un
fermaglio rosa, erano delicatamente mossi dalla brezza.
Dopo
lunghi istanti, la ragazza abbassò le mani sulle
ginocchia e aprì gli occhi. Il suo sguardo si diresse subito
verso la foto,
dove un ragazzo con ribelli capelli rossi e un mazzo di carte in mano
ricambiava sorridente la sua malinconia. Con la punta delle dita, Mai
sfiorò la
fotografia e si ritrovò a strizzare le palpebre per impedire
alle lacrime di
uscire. Inspirando, la ragazza si alzò e si
strofinò il dorso della mano sugli
occhi.
“Ci
sarebbe ancora tanto bisogno di te, Dan”, sussurrò
voltandosi verso il mare che si intravedeva oltre le colline e la
città. Un
soffio di vento più forte sollevò alcune foglie
che danzarono caotiche
nell’aria.
Mai
tornò a voltarsi verso la lapida e con una mano
iniziò a
giocherellare con una ciocca di capelli.
“Io,
Hideto e Kenzo stiamo facendo del nostro meglio, ma-”,
sbuffò e portò il ciuffo dietro
all’orecchia. “- passo dopo passo, ci
riusciremo. Ne sono sicura. Così
Magisa…”
La
ragazza sorrise dolcemente e scosse la testa. Con la mano
strinse il ciondolo dorata con una piccola ametista che portava al
collo.
“Tu
sei stato un eroe. Io non sarò da meno, aspetta e
vedrai. Combatterò anche per te, Dan.”
Con
quella promessa donata al vento, quasi nella speranza
che l’interessato potesse in qualche modo sentirla, Mai si
voltò e iniziò a
percorrere i vialetti a ritroso, lasciandosi cullare dalla
serenità di quel
luogo. Serenità che spesso aveva faticato ad afferrare in
quegli anni, con Gran
RoRo, con il futuro, con quello che era successo lì.
Qualche
filare più in là, un anziano signore stava
accendendo dell’incenso su una lapide. Un altro che, come
lei, aveva preferito
venire a onorare qualcuno di amato piuttosto che acciuffare gli ultimi
momenti
dell’estate. Mai si fermò e si voltò
verso la lapide di Dan ormai lontana. Un
soffio di vento tornò a scuoterle i capelli, facendo cadere
un ciuffo davanti
al suo sguardo, e lei si ritrovò a pensare a quante stagioni
sarebbero passate,
anche ora che Dan se ne era andato. Finché forse la ferita
dentro di lei si
sarebbe rimarginata, finché forse sarebbero riusciti a far
sapere la verità a
tutti.
Riprese
a camminare, decisa a non voltarsi ancora indietro e
il suo sguardo fu attratto da una terza persona che si trovava tra i
vialetti. Era
una ragazza, forse poco più grande di lei, inginocchiata
come lei pochi metri
più avanti. Aveva i capelli castani raccolti in una treccia
e l’abito giallo
brillante quasi strideva con il torpore del luogo.
Mai
si fermò, decidendo di aspettare e lasciarle un
po’ di
privacy. Osservandola, si chiese chi potesse essere venuta a onorare.
Sussultò
quando l’altra si rialzò bruscamente e la sorpresa
di Mai aumentò quando la
vide allontanarsi frettolosamente, guardandosi più volte
attorno con
circospezione. Mai finse di concentrarsi sulla lapide più
vicina.
Quando
la ragazza si fu allontanata di qualche decina di
metri, non riuscì a reprimere la curiosità e si
avvicinò. Vicino alla lapide,
controllò un’ultima volta che l’altra
ragazza non si fosse accorta di lei.
Abbassò
lo sguardo e la prima cosa che notò fu un mazzo di
rose. Rose bianche avvolte in delicata carta verde. Una stretta
d’ansia
inaspettata le strinse lo stomaco. Si voltò verso la foto e
strinse il manico
della borsa: era il volto di una ragazzina, la carnagione pallida,
lunghi
capelli verde chiaro e un sorriso enigmatico. Mai si sentì
improvvisamente la
gola secca.
“Momose
Kajitsu.”
Si
mise a correre prima di rendersi conto di cosa stesse
facendo. Il busto della ragazza era ancora visibile, ma non poteva
lasciarsela
sfuggire: se quella ragazza aveva conosciuto i fratelli Momose, doveva
saperlo.
Dimezzata la distanza, Mai si accorse che anche l’altra aveva
accelerato il
passo. Sentì il cuore pulsare nelle tempie, il sudore che
scendeva lungo il
collo, ma sveltì la propria corsa: riuscì ad
afferrarle il braccio prima che la
sconosciuta iniziasse a correre.
“Aspetta!”
La
ragazza si voltò subito, la treccia che sbatté
sulla sua
schiena, e cercò di divincolarsi. “Lasciami
andare!”
Mai
inspirò ed espirò per riprendersi dallo scatto,
ma non
lasciò la presa anche quando l’altra
cercò di liberarsi usando anche l’altra
mano. La stava spaventando, ma non aveva ancora il fiato di parlare.
“Lasciami,
o chiamo qualcuno!”
“Per
favore”, chiese infine Mai abbozzando un sorriso.
“Voglio solo farti una domanda.”
La
sconosciuta interruppe i tentativi di liberarsi da lei e
i suoi occhi la scrutarono diffidenti, anche se ogni muscolo del suo
corpo
restava ancora pronto alla prima possibilità di fuga.
“Conoscevi
Momose Kajitsu? E suo fratello Yuuki? Li
conoscevi?”
Mai
vide la ragazza sgranare gli occhi. Stava per rassicurarla
ancora, quando liberò di scatto il braccio dalla sua presa,
ruotò e iniziò a
correre verso l’uscita. Alla Guerriera Viola ci volle qualche
istante per
riprendersi dalla sorpresa e correrle dietro, ripetendosi quanto fosse
stata stupida.
La sconosciuta stava decisamente nascondendo qualcosa: era evidente che
temeva
di venire collegata ai due fratelli Momose. Non che fosse difficile da
capire,
con tutto quello che era successo.
L’uscita
si stagliò non molto oltre a loro. Se uscivano da
lì, l’avrebbe persa.
“Ti
prego! Ero una loro amica. Voglio solo sapere!”
La
sconosciuta si fermò e si voltò con
un’espressione
sorpresa verso Mai, che rallentò fino a camminare.
“Conoscevi
i fratelli Momose?”
C’era
una vaga incertezza nelle parole della ragazza, quasi
avesse paura di tradirsi. Ma c’era anche una punta di
speranza. Mai si fermò a
pochi passi da lei e annuì lentamente, iniziando a
giocherellare con una ciocca
di capelli. La ragazza si avvicinò di un passo, scrutandone
il volto. Dopo
qualche istante, sussultò e sgranò gli occhi.
“Tu
sei Viole Mai? Parole
Violette?”
Quel
nome, quel blog tirarono una corda nel cuore di Mai
facendo riaffiorare ricordi. Deglutì e chiuse gli occhi: era
ovvio che le
persone la riconoscessero ancora per il suo alter ego del blog, la
ragazzina
impertinente che voleva diventare una star del web.
“Sì,
sono io. Anche se ora sono soltanto Shinomiya Mai.”
Un
enorme sorriso piegò le labbra della ragazza, dissipando
dal suo volto tutti i timori che erano stati lì palesi fino
a quell’istante. Afferrò
una mano di Mai, cogliendola di sorpresa.
“Sei
una Maestra della Luce! Oh, non sai quanto sia felice
di averti incontrato!”
Mai
sbatté le palpebre, insicura di come reagire al
repentino cambio d’umore e atteggiamento dell’ora
esuberante ragazza, la prima
da diverso tempo ormai che fosse così euforica di incontrare
uno di loro.
“Volevo
tanto venirvi a cercare. Ma avevo paura fosse troppo
pericoloso! Con tutti gli attacchi mediatici che avete
subito”, scosse la testa
ridacchiando. “Scusa, non volevo sembrare indelicata. Non
è carino che te lo
faccia ricordare. Ma sono davvero davvero felice di incontrare uno di
voi!”
“Davvero
volevi incontrarci?”, chiese Mai interrompendo il
fiume di parole dell’altra. “Chi sei?”
La
sconosciuta sussultò e rise, colpendosi delicatamente la
testa con il pugno.
“Che
scortese! Scusami, a volte mi lascio un po’ andare. Mi
chiamo Elizabeth.”
“Piacere
di conoscerti, Elizabeth.”
La
ragazza sorrise, quasi saltellava sulle punte dei piedi
dall’eccitazione. “Il piacere è tutto
mio!”
Riafferrò
di nuovo la mano di Mai e le schizzò l’occhio.
“Vieni con me. A casa risponderò a tutte le tue
domande!”
Iniziò
a camminare e tirarsi dietro Mai senza neppure darle
il tempo di rispondere qualcosa. La Guerriera Viola, pur spiazzata da
quei
comportamenti, era estremamente incuriosita della piega che
quell’inaspettato
incontro aveva preso. Elizabeth continuava a guardarsi attorno, la
treccia che
ondeggiava ogni volta che muoveva la testa. Che cosa c’era di
tanto segreto da
non poter parlare in un luogo deserto come quello?
“Riguarda
i Momose, vero?”
Elizabeth
le lanciò uno sguardo di scuse oltre la spalla.
“Davvero, Mai. È meglio che parliamo
altrove.”
Mai
infine annuì e decise di stare al suo gioco, almeno per
il momento. Arrivate al cancello, si voltò
un’ultima volta indietro, anche se
si era ripromessa di non farlo, e cercò con la mente
più che con gli occhi il
memoriale di Dan. Strinse il ciondolo al collo e inghiottì
il groppo che le si
era formato improvvisamente in gola.
“A
presto Dan”, sussurrò appena.
Le
due si fermarono poco oltre al cancello, immobili sul
ciglio della strada. Quando Mai si sporse per chiedere spiegazioni a
Elizabeth,
quest’ultima si illuminò in volto e
agitò il braccio in segno di saluto. Un’elegante
automobile grigio metallizzato si accostò al marciapiede e
si fermò davanti a loro.
Dal posto di guida scese quasi subito un uomo almeno sulla trentina che
fece un
veloce cenno verso le due ragazze.
“Scusa
il ritardo Elizabeth, la lista della signora Yoshida
non finiva più. La signorina viene con noi?”
“È
un’amica!”, replicò di slancio prendendo
Mai a braccetto.
“Una dei Maestri della Luce. Viole Mai!”
La
Guerriera Viola abbozzò un sorriso e salutò con
una mano.
L’uomo si limitò a lanciarle uno sguardo sorpreso
per poi risalire in macchina,
scuotendo leggermente la testa. Elizabeth, invece, non attese altro e
si
protese per spalancare la portiera, trascinandosi in tutto
ciò una sempre più
confusa Mai.
“Saliamo!
Arriveremo in pochi minuti a casa mia.”
L’interpellata
annuì meccanicamente, ben conscia di non aver
apparentemente alcuna voce in capitolo. Elizabeth salì
dietro di lei e chiuse
velocemente la porta, facendo subito cenno di partire
all’uomo.
Pochi
minuti dopo, il cimitero rimasto alle loro spalle, Elizabeth
iniziò a picchettare con un dito sul bordo del finestrino.
Mai, intuendo che i
discorsi sarebbero stati scarsi, si voltò verso il paesaggio
che sfilava a
lato, muri, piccole vie e giardini. Con un’unica domanda che
continuava a
riempire i suoi pensieri: chi era quella ragazza e cosa
c’entrava con i Momose?
“Mi
spiace per la reazione di prima. Penserai che sia un po’
lunatica!”
Mai
sussultò e tornò a voltarsi verso
l’interno, incontrando
l’enorme sorriso di Elizabeth.
“Ma
è tutta una precauzione, sai. Non si sa mai chi potrebbe
stare ad ascoltare. Kosuke continua a ripetermi che anche le piante
sentono
tutto!”, concluse ridendo e lanciando un’occhiata
divertita verso il guidatore
che alzò gli occhi al cielo.
“Comincio
a credere che, il tuo interesse per le aiuole,
fosse solo motivato dall’avere un’arma per poi
deridermi.”
“Lo
sai che ti vogliamo tutti bene!”, replicò
schizzando
l’occhio verso Mai, “senza di te sarebbe una terra
desolata!”
L’uomo
non replicò ed Elizabeth tornò a guardare la
Guerriera
Viola, allungando una mano e posandogliela sul braccio.
“Ci
sono ancora così tante persone a cui date fastidio, voi
Maestri della Luce. Meglio tenerle alla larga, no?”
Mai
si morse un labbro e annuì, la sola menzione di tutto
quello che aveva passato sufficiente a far riaffiorare i peggiori
ricordi, a
risentire sulla pelle gli sguardi di disprezzo e derisione, a farle
riprovare
quel desiderio recondito di scappare. Chiuse gli occhi per scacciare
quei
pensieri, per concentrarsi sul desiderio di tornare a combattere.
“E
adesso ti ho depressa, non me ne va bene una”, proruppe
Elizabeth
posandosi allo schienale e riuscendo a tutti gli effetti a distrarre
Mai che
sorrise.
“Non
ti preoccupare. Non è colpa tua.”
Elizabeth
le lanciò un’occhiata poco convinta, ma la sua
attenzione fu ben presto monopolizzata dal cancello che stavano
oltrepassando e
dal giardino che si stendeva oltre. In fondo alla breve stradina di
ghiaia, si
trovava una villa bianco-gialla.
“Siamo
arrivati!”
Mai
fissò le aiuole ordinate e ricche di fiori e i due piani
della casa, incerta su che cosa si fosse aspettata di trovare. Non
appena
l’automobile si fermò, Elizabeth quasi si
lanciò fuori, la treccia che
sbatacchiò contro il tettuccio. Mai la vide raggiungere un
uomo anziano,
appoggiato a un bastone.
“Qualche
novità?”
Mai
scese nel momento in cui l’anziano rispose alzando gli
occhi al cielo. “No, Reiko. Come ogni volta.”
Le
spalle della ragazza si abbassarono, rendendo evidente
che avesse sperato tutt’altra risposta. La Guerriera Viola,
che si stava
guardando attorno, corrugò la fronte a sentire un nome
diverso da quello con
cui si era presentata.
“Nonno,
lo sai che non voglio che mi chiami con quel nome.
Sei sicuro che sia tutto uguale?”
“Se
mi reputi così incapace, aspetta l’arrivo
dell’infermeria che farà i soliti
controlli”, borbottò bruscamente
l’anziano
per poi voltarsi nella direzione di Mai. “Hai intenzione di
stare lì impalato a
lungo?”
La
Guerriera Viola sussultò, per poi rendersi conto che
l’uomo stava guardando alle sue spalle. Dietro di lei, Kosuke
si era riempito le
braccia di sporte cariche di spesa.
“Porto
subito tutto dentro, anche i dolci con cui adora
accompagnare il suo tè.”
L’anziano
alzò il bastone puntandolo verso di lui. “Esigo
rispetto, giovanotto.”
Kosuke
annuì superando le due ragazze, fermandosi appena per
ricordare a Elizabeth che i fiori erano al solito posto.
Mai
approfittò di quell’occasione per inchinarsi in
segno di
saluto.
“Buongiorno,
sono Shinomiya Mai. Mi scuso di essere arrivata
così di sorpresa.”
L’anziano
la guardò un istante, per poi sbuffare e iniziare
a rientrare. “Come se non sapessi che la colpa è
di mia nipote. Vi farò
lasciare del tè.”
Con
quell’ultima affermazione, l’uomo scomparve a sua
volta
dentro la casa lasciando sole le due ragazze. Elizabeth fu la prima a
salire i
gradini, facendole cenno con una mano di seguirla.
“Non
restarle lì, che altrimenti sembro scortese a lasciarti
qua fuori.”
Mai
non se lo fece ripetere e, un istante dopo, fu avvolta
dalla fresca penombra dell’atrio. Sulle pareti erano appesi
alcuni pannelli di
carta che raffiguravano paesaggi delicatamente dipinti e diverse foto,
raffiguranti
la famiglia di Elizabeth. Una scalinata portava al piano superiore e
diverse
porte di aprivano ai lati. In fondo, contro il muro, c’era un
divanetto con
sopra posato un mazzo di rose bianche. Elizabeth porse un paio di
sandali a
Mai, andando poi a prendere il mazzo di fiori mentre lei si cambiava.
“Prima
di ogni domanda, devo mostrarti una cosa. Preparati
perché potrebbe essere alquanto scioccante per te.”
Mai
non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni: Elizabeth
stava già salendo al piano superiore e a lei non
restò che seguirla. Arrivate
nel corridoio, le due proseguirono sulla sinistra fino a una porta,
davanti
alla quale Elizabeth si fermò, la mano stretta attorno alla
maniglia.
“Cerca
di non gridare, ok? È una cosa bella, te lo
prometto.”
La
Guerriera Viola non seppe cosa rispondere, perplessa
davanti a tanta preparazione per qualcosa che non poteva essere certo
così strabiliante.
Se avesse trovato i muri della stanza piene di foto dei Maestri della
Luce,
però, avrebbe effettivamente potuto essere alquanto
imbarazzante e piuttosto
inquietante. Mancava loro la fan psicopatica…
Elizabeth
spinse la maniglia e spalancò la porta,
spostandosi subito di lato e nascondendo il volto dietro al mazzo di
rose,
ripetendo sottovoce e velocemente una sequela di scusa.
Mai
avanzò perplessa, continuando a fissare la ragazza che
si stava comportando in modo sempre più strano. Quando si
voltò verso la
stanza, però, gelò e le si mozzò il
respiro in gola. Portò le mani alla bocca,
da cui neppure volendo sarebbe riuscita a far uscire un suono. Non
riusciva a
credere a ciò che aveva davanti e si posò al
muro, quasi a cercare sostegno o
forse a rendersi conto, grazie alla superficie fresca, che fosse tutto
vero.
“Yuuki…
non è possibile.”
Yuuki
Momose, come un fantasma di un passato che sembrava
ben più lontano di pochi mesi, era disteso sul letto, alcuni
cuscini che lo
sorreggevano e un respiratore attaccato al viso. Un costante e timido
bip riempiva
la stanza. C’erano
anche delle flebo
attaccate al suo braccio.
Yuuki
Momose era lì. Yuuki era vivo. Ma non poteva essere
possibile, Dan era stato lì quel giorno in cui lo avevano
ucciso.
Elizabeth
entrò lentamente, continuando a lanciarle veloci
occhiate, anche mentre cambiava le rose nel vaso accanto al letto. Poi
prese
quelle appassite e le posò su una sedia, voltandosi verso di
lei e iniziando a
dondolarsi sui piedi.
“Avrei dovuto dirtelo. Lo sapevo. Ma non
mi avresti
creduto.”
Mai abbassò le mani, senza riuscire a
distogliere lo
sguardo dal ragazzo disteso. Si avvicinò lentamente
fermandosi ai piedi del
letto. Incrociò lo sguardo di Elizabeth che annuì
incoraggiante. Così, la
Guerriera Viola proseguì fino a trovarsi a lato, dalla parte
opposta. Lì si
fermò ancora.
“Buongiorno, Yuuki”,
esordì Elizabeth con un sussurro,
appianando con una mano le pieghe sul lenzuolo.
“Hai visto chi ti è venuto a trovare?
Ti avevo promesso che prima o poi
li avrei trovati. Anche se per essere sincera, sono stati loro a
trovarmi.
Com’è piccolo il mondo, vero?”
Poi, alzò lo sguardo verso Mai.
“Prova a parlargli. Secondo il medico gli
fa bene
sentir parlare. Sono certa che ascoltare una voce conosciuta gli
sarà ben più
utile di sentire la mia. Si sarà chiesto chi cavolo
sono.”
Sorrise e indicò Yuuki con il capo.
“Forza!”
Mai alzò la mano e si ritrovò
a esitare a un soffio dalle
dita del ragazzo. Sentì gli occhi farsi improvvisamente
umidi, per la sorpresa
di ritrovarlo vivo, per l’ingiustizia che lui fosse in quello
stato a causa di
gente senza scrupoli, per l’impossibilità che
riaprisse gli occhi.
Alla fine, la ragazza strizzò gli occhi
e gli strinse
la mano. “Ciao, Yuuki.”
Qualcuno bussò alla porta e Mai
riaprì gli occhi di
scatto. Sull’uscio della porta c’era una giovane
donna, un sorriso mortificato
in volto.
“Mi spiace disturbare, ero venuta a fare
i controlli.
Ma posso aspettare qualche minuto se vuoi, Liz.”
Elizabeth scosse la testa e afferrò il
mazzo di fiori dalla
sedia, riempiendo di petali secchi il pavimento ai suoi piedi.
“No, fai pure. Prendere una boccata
d’aria ci farà
bene.”
Mai non si oppose, lasciandosi guidare fuori dalla
stanza dalla ragazza. Uscite in corridoio, lanciò
un’ultima occhiata verso
l’amico che tutti loro avevano creduto perso per sempre.
SPAZIO
AUTRICE:
Salve
a tutti. Per questa volta e per un po’ di settimane da qui in
poi
non ci saranno davvero molte novità. Mi auguro comunque che
vorrete
ripercorrere come me questo episodio, magari andando a scovare i
piccoli
dettagli che sono cambiati.
La
prima versione di questo episodio, che rimarrà comunque
online, occuperà
sempre un posto nel mio cuore, come tutte le fantastiche recensioni che
voi
lettori mi avevate lasciato nel lontano 2013… mamma mia, mi
sembra ancora
assurdo che siano passati cinque anni! Un po’ un
anniversario, dato che proprio
il 1° ottobre del 2013 questo episodio ha visto la luce.
Il
motivo di questa mia “revisione” è
dovuto al fatto che il nuovo stile introdotto
dall’episodio 1 in poi (riscritto, se ricordate) mal si
combinava con quello in
cui era scritto questo episodio, per altro importante ai fini della
trama
(ancora più dei prequel). In più, penso di essere
riuscita a rendere meglio alcune
scene, alcuni personaggi, alcune emozioni.
Vi
voglio rassicurare, non diventerà un’abitudine.
Non mi metterò a
scrivere un paio di episodi per poi andare a riscrivere i
più vecchi. Anche se
i Prequel verranno prima o poi svecchiati anche loro, gli altri episodi
e storie
annesse (Moments, ecc.) rimarranno come sono.
Se
vi va, fatemi sapere cosa ve ne pare di questa versione che, spero,
leggerete almeno con piacere.
A
presto, HikariMoon