NOTE DELL’AUTRICE
Ho
scelto di lasciare alcune
parole intraducibili nella lingua italiana così come vengono
pronunciate nella
versione originale del film. Spero che non siano di disturbo e se
così fosse,
non esitate a farmelo sapere.
Il
contest per cui ho scritto
questa storia prevede l’utilizzo di un profilo per descrivere
un personaggio.
Dopo averlo letto ho subito pensato ad Arthur, mi è sembrato
semplicemente perfetto
per lui. Ho lasciato trascorrere qualche giorno e quando mi sono messa
a
scrivere ho deciso di utilizzare il punto di vista di Eames per
illustrare chi
è Arthur. In fondo, chi meglio di un falsario può
fare un’analisi psicologica
di un personaggio?
Grazie
dell’attenzione, buona
lettura.
BARCELLONA
La prima volta che incontra Arthur, le
cose vanno in questa
maniera.
Dalton, l’estrattore che lo ha
contattato per il lavoro,
dice: «Eames, ti presento Arthur. È il nostro point man.»
Arthur lo osserva, stringe la sua mano ed
esclama: «Mr.
Eames, devi aver fatto qualcosa di veramente orribile alla commessa che
ti ha
venduto quella camicia!»
Sia chiaro: Eames è consapevole
che il suo gusto per la moda
viri tendenzialmente verso l’eccentrico, ma a suo modesto
parere la camicia che
indossa e che gli è costata ben mille sterline non ha niente
che non va.
Perciò, per chiarire
il suo punto di vista, decide di ribattere:
«È di Alexander McQueen!»
«Ha la stampa con le
farfalle…» commenta Arthur con
un’espressione inorridita, come se la fantasia stessa della
sua camicia possa
provocargli un glaucoma e di conseguenza la cecità.
«Beh, non è colpa mia, Arthur, se non sei capace di apprezzare un po’ di colore nell’abbigliamento altrui!»
***
La prima volta che incontra Arthur, Eames nota tre cose.
-
Non ha mai visto nessuno indossare un completo a tre pezzi con l’eleganza e la classe di Arthur.
-
Arthur non è il classico uomo che a prima vista si considera bello. Magari se portasse i capelli un po’ più lunghi e con meno gel, il suo viso sarebbe più armonico, smorzando la sua espressione seria. Eppure, c’è qualcosa nei suoi lineamenti e nel suo corpo asciutto che in qualche modo lo rende attraente.
-
Arthur è serio e silenzioso, ma quando parla le sue parole sono dirette e potenti come un lanciagranate in mano a un esperto di armi da fuoco.
***
Ha una maneggevolezza con la PASIV che
Eames ha osservato di
rado nei loro colleghi. Si chiede come sia finito Arthur –
giovane, snello e
professionale – in un ambiente di criminali,
perché il posto che Eames ritiene
perfetto per lui è un laboratorio di ingegneria della NASA.
La maggior parte
degli altri point man proviene da
un
passato criminale: malavita, furti, mercato della droga, eppure
c’è qualcosa in
Arthur che Eames non riesce a ricollegare a un quadro simile.
Arthur è sempre puntuale al mattino, lavora per ore
senza
lasciarsi distrarre dalla parlantina di Eames. La sera esce dal
magazzino in
cui lavorano con gli occhi rossi, dopo aver passato ore di fronte allo
schermo
del computer. Beve abbondanti tazze di caffè per completare
il lavoro in tempo,
anche se significa rinunciare a una pausa.
Quando Arthur presenta loro i fascicoli che ha preparato sul
bersaglio dell’estrazione, Eames si rende conto che ci sono
informazioni
estremamente dettagliate, divise in sezioni e ordinate con un preciso
criterio
logico. Questo è un tipo di lavoro che richiede non solo
intelligenza e
professionalità, ma anche un impegno non indifferente.
Ancora, il giorno prima
dell’estrazione, Dalton chiede:
«Arthur, che si fa dopo aver completato il lavoro? Qual
è il piano?»
Lui alza gli occhi dal suo computer e
risponde: «Ho
preparato delle coperture per ciascuno di noi. Ho usato i vostri alias
che si
addicono di più per la situazione.»
«Io non ti ho mai dato i miei
alias…» si intromette Eames, un
po’ scettico.
Arthur fa spallucce e prima di rimettersi
a lavoro, dice:
«Non ne avevo davvero bisogno, Eames.»
Non è sorprendente? Nessuno
è mai riuscito prima a conoscere
tutte le identità segrete della sua vita criminale,
perché Eames falsifica personalmente
i propri documenti, proprio per non lasciare tracce che possono essere
usate
per rintracciarlo.
Ma non finisce qui, nel momento in cui si
immergono nel
sogno per completare l’estrazione, Eames trascorre minuti
interi ad ammirare la
fluidità con cui Arthur gestisce le proiezioni ostili: il
modo in cui muove il
suo corpo, la facilità con cui usa diversi tipi di armi, la
rapidità con cui
ottiene una copertura… sono tutti elementi che mostrano un
probabile
addestramento militare.
Forse tutto si riduce a un singolo fatto:
Arthur è un enigma
e a Eames è sempre piaciuto risolvere un rompicapo.
NEW YORK
La seconda volta che incontra Arthur,
Eames viene contattato
dai Cobb. Ha già lavorato con loro in passato: una piccola
estrazione per la
quale avevano bisogno di un falsario; un lavoro legale, senza
necessità di un point man.
In questa occasione, Mal lo saluta con un
nuovo taglio di
capelli, che la rende ancora più affascinante di quanto
già sia, mentre Dom
discute con Arthur sulla necessità di contattare un chimico.
Nonostante abbia lavorato con Dominic Cobb
una sola volta,
Eames ha notato subito che tipo di uomo è: testardo,
lunatico e nervoso. Manipola
le persone, finché cedono alle sue richieste e le usa per i
suoi scopi senza
curarsi dei danni che possa provocare.
Di fronte alla loro discussione accesa,
Eames nota con un
sorriso divertito e compiaciuto che Arthur non è disposto ad
abboccare alle
parole di Dom, come un pesce senza spina dorsale, perché
Arthur può essere
molte cose – rigido, burbero, diretto – ma non si
dica mai che non sia integro
fino al midollo.
***
La seconda volta che incontra Arthur, Eames scopre altri
fatti su di lui, che non aveva potuto notare prima.
Arthur parla francese: lo fa in maniera
fluida, condividendo
un linguaggio segreto e complice con Mal.
«Parli altre lingue?»
gli chiede un giorno Eames.
«Sì, tedesco e spagnolo. Le ho apprese
durante
l’addestramento militare.» Poi aggiunge, con la
fronte corrugata: «Ma faccio
abbastanza pena nelle lingue orientali. Avevo provato a studiare un
po’ di
giapponese, ma è come se il mio cervello si rifiuti di
andare in quella
direzione.»
Quando sorride in maniera spontanea,
Arthur ha delle
adorabili fossette sulle guance, che alleggeriscono la sua espressione
seria. È
un bel sorriso, morbido e luminoso, dona ai suoi occhi
un’aria giovanile ed è
quasi sempre diretto a Mal.
C’è un rapporto confidenziale tra di
loro, come se si
conoscessero da anni: lei gli sorride, interrompe il suo lavoro senza
che
Arthur la redarguisca a riguardo. Sognano insieme e non appena si
svegliano,
Arthur si affretta a toglierle l’ago dal polso, con una
delicatezza che non gli
ha mai visto usare su nessun altro.
Ci ha messo un po’ a capirlo, perché la
sua affabilità è ben
nascosta sotto uno strato di apparente freddezza e
scontrosità. Eames pensa che
questo atteggiamento un po’ burbero sia del tutto inconscio,
probabilmente un
retaggio della persona pragmatica che Arthur deve essere stato
nell’esercito.
Si accorge per la prima volta della sua essenza gentile, quando
Mal si siede accanto a lui, dicendo: «Puoi aiutarmi? Non
posso chiederlo a Dom,
sta sognando ora.»
Arthur abbandona la sua
attività di ricerca, per darle la
sua completa attenzione.
«Dimmi» la incita, sorridendo.
«Secondo te, funzionerebbe se mettessi una scala di
Penrose,
qui?» gli chiede lei, mostrandogli un blocco da disegno.
Lui osserva lo schizzo sulla carta per
alcuni secondi, poi
con la fronte corrugata, dice: «Aspetta, fammi vedere il
modello…»
Così Arthur trascorre
più di un’ora valutando insieme a Mal i
vantaggi che offrirebbe una scala di Penrose nell’edificio
che lei sta
progettando per il sogno.
Alcuni giorni più tardi, dopo aver trascorso una lunga
mattinata osservando l’uomo che dovrà forgiare,
Eames entra nel magazzino e
trova sulla sua scrivania una tazza di Earl Grey fumante.
Alza lo sguardo e Arthur dice solo: «Sono andato sul
classico, sperando che l’Earl Grey piaccia a tutti gli
Inglesi…»
Eames sorride: Arthur deve aver notato che lui non beve
quasi mai caffè, perché il sapore amaro non gli
è mai piaciuto granché.
«Grazie. È il mio preferito.»
Si domanda quale sia il suo orientamento
sessuale. Non che
sia un dettaglio strettamente necessario per sapere se una persona
potrebbe mai
innamorarsi di un uomo o di una donna. Eames ha frequentato abbastanza
gente da
sapere che è veramente difficile etichettare in maniera
definita l’amore.
Eppure, non può fare a meno di
fantasticare su Arthur. È
curioso di sapere come sia nella vita privata, al di fuori dal lavoro.
È
rilassato? È pigro? Ha hobby? Ha degli amici, una famiglia?
Che cosa gli piace
a letto? E ancora: ha delle allergie? Dove vive?
Eames può sentire come questo
strano antagonismo che è nato
dalla prima volta che si sono incontrati si stia trasformando in
qualcosa di
diverso: un’attrazione, una sfida a scoprire un uomo che
è così riservato da sembrare
irraggiungibile. Lo fa sentire come se si stesse tuffando da una
scogliera per
gettarsi nell’acqua fresca e ignota.
GLASGOW,
POI EDIMBURGO
La terza volta che incontra Arthur, Eames
è in una brutta
situazione.
Doveva essere un lavoro semplice, invece
si è rivelata
un’estrazione in cui il point man
era
d’accordo con il bersaglio. Eames non ha idea di cosa sia
successo
all’estrattrice e all’architetto, ma lui ha subito
un’imboscata e ora attende
la sua sorte, legato sul pavimento di un magazzino abbandonato.
«Dannazione!» impreca
sotto voce.
Eames non si fiderà mai
più di una persona di cui non ha mai
sentito prima il nome! Avrebbe dovuto capirlo: un point
man che si presenta come Smith… che razza di nome
è? Sembra
quello dell’agente cattivo di Matrix!
C’è una storiella che
ha letto da bambino, si chiama: Come gabbare
un gabelliere. È un
racconto ambientato presumibilmente nel Settecento, in cui un uomo e
una donna
riescono a beffare un gabelliere nascondendo parte degli acquisti sotto
l’ampio
vestito di lei, evitando così di pagare il dazio dovuto. Da
bambino, si era
divertito a leggere questa storia, immedesimandosi nei panni dei due
truffatori. Di sicuro non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in
quelli del
gabelliere!
È lui stesso un ladro: come
diavolo ha fatto a non
accorgersi di essere stato raggirato abbastanza in tempo da poter
scappare?
“È inutile piangere
sul latte versato!” pensa con astio,
riflettendo sulle possibili vie di fuga da questo posto.
Smith gli ha assestato un paio di colpi
ben piazzati: Eames
fa fatica a respirare, ma le sue coste dovrebbero essere ancora
integre,
altrimenti sa per esperienza che il dolore sarebbe maggiore. Ha un
sopracciglio
spaccato e la guancia escoriata. La sua testa pulsa in maniera
martellante ed
Eames fa fatica a concentrarsi.
Prova comunque a cercare di forzare le
corde con cui sono
legati i suoi polsi. È un’attività
lenta e faticosa, ma se ha abbastanza tempo,
può almeno allentare le funi e cercare di liberarsi, facendo
meno rumore
possibile.
A un certo punto sente delle voci
provenire dall’esterno dell’edificio.
Poi il silenzio.
Subito dopo dei passi.
La porta si apre e la voce brusca di
Arthur esclama: «Eames,
avanti, non abbiamo tutta la notte!»
Grugnisce, mentre Arthur si abbassa
accanto a lui e taglia
velocemente la corda con cui è legato. Lo aiuta a sollevarsi
mentre Eames
impreca, perché gli fa male ovunque e
l’immobilità lo ha reso rigido.
«Arthur?» gli chiede,
un po’ incredulo e confuso.
«Sì, sono io. Dai,
usciamo da questa fogna!»
Eames lo segue, camminando piano. Fuori
dall’edificio, c’è
una berlina nera. Arthur lo fa sedere nel sedile del passeggero, poi si
posiziona rapidamente alla guida e accende il motore, per immettersi in
strada.
Eames recupera il suo totem dalla tasca:
la fiche non si duplica tra le sue
dita,
come fa sempre nel sogno, convincendolo che questa è
decisamente la realtà. Respira
piano, cercando di calmarsi, mentre si concentra su ciò che
lo circonda.
L’orologio sul cruscotto segna
le 02.38 e la debole luce che
riflette illumina le nocche escoriate di Arthur, strette sul volante
dell’automobile.
«Come sapevi che ero
lì?»
«Ho un lavoro a Edimburgo. Non
si tratta di dreamsharing.
È un favore che devo a una
persona. Dopo averti fottuto, Smith
ha messo un annuncio in rete, per chi in passato avesse avuto qualche
problema
con te e volesse trovarti… in modo da fartela
pagare.»
“Tipico di un uomo senza
scrupoli che vuole fare carriera:
consegnare un nemico ad altri criminali è un ottimo modo per
salire di rango”
riflette lui in silenzio.
«Non immaginava che qualcun
altro potesse avere intenzione di
trovarti e non per farti il
culo.»
«Non ti dirò
“Arthur non dovevi.” Non sono un idiota. Ti
devo un favore» replica lui, perché Eames
è un professionista e sa riconoscere
quando qualcuno gli ha appena salvato la pelle.
Arthur fa spallucce, mentre dice a bassa
voce: «Non mi è mai
piaciuto Smith. È entrato nel dreamsharing
solo perché ha già invaso tutti gli altri
ambienti della criminalità europea. Avrebbe
dovuto sapere che chi gioca con il fuoco prima o poi finisce per
scottarsi.»
«Che cosa gli hai
fatto?»
Arthur resta in silenzio per diversi
minuti. Ha la mandibola
serrata e gli occhi fissi sulla strada.
«Diciamo solo che è
fuori dal giro» replica con una voce
glaciale.
Alla periferia di Glasgow, si fermano in
un parcheggio di
una zona residenziale.
«Dobbiamo cambiare macchina. Ci penso io,
okay?» dice
Arthur, prima di scendere dall’auto.
In meno di tre minuti, sono su una Opel Astra grigia. Arthur
aggiusta lo specchietto, poi riprende la guida, come se niente fosse.
«Questa è decisamente una dote che non mi
aspettavo avessi»
ammette Eames con un sorriso divertito. Chiunque penserebbe che un
ladro come
Eames sappia rubare un’automobile – un trucco che
ha imparato quando aveva
dodici anni – ma nessuno si aspetterebbe lo stesso da Arthur.
Lui fa un lieve cenno con la testa, come se stesse
considerando le sue parole, poi dice: «Ci sono tante cose che
mi hanno
addestrato a fare di cui nessuno mi darebbe credito.»
È la prima volta che lo sente
parlare del suo passato spontaneamente,
non in risposta a una sua domanda. Vorrebbe chiedergli di
più, eppure l’idea di
forzarlo non gli piace. Perciò, decide di cambiare discorso,
domandando: «Dove
stiamo andando?»
«Edimburgo. Ho una casa sicura
lì. Nessuno ti cercherà.»
Eames annuisce, può fidarsi di
Arthur. C’è questo lato della
sua persona – leale e professionale – a cui non
può fare a meno di affidarsi.
“Se c’è un
problema, Arthur può occuparsene” pensa, mentre
si rilassa a contatto con il sedile dell’automobile.
Si addormenta senza neanche accorgersene.
***
Estrae due bicchieri, una bottiglia di
whiskey e ne versa un
po’ per ciascuno. Poi prende un pacchetto di Marlboro dal
tavolinetto del
soggiorno e gli offre una sigaretta.
Eames la accetta in silenzio, mentre
Arthur estrae uno Zippo
dalla tasca dei pantaloni e si avvicina per permettergli di accendere.
È un
gesto così naturale eppure così sensuale che
Eames non può fare a meno di sentire
tirare il cavallo dei pantaloni.
Dopo il primo tiro, Arthur dice:
«Quando ero nell’esercito
ne consumavo pacchetti interi. Ora non fumo più, ma ogni
tanto ancora mi va.»
Eames annuisce, poi mormora:
«Non riesco neppure a pensare
di smettere. Non ho idea di come
tu ci sia riuscito.»
Dopo un paio di tiri, Arthur spegne la
sigaretta nel
posacenere.
«Per me in realtà
è più il gesto che l’effetto della
nicotina. Adesso non riesco neanche a finirne una… mi
disgusta dopo un po’. Non
so dirti né come né perché.»
***
Scopre innumerevoli aspetti sulla sua
persona, che cataloga
nella mente come i pezzi di un puzzle. Desidera venire a capo di questo
enigma
che è Arthur: imperfetto nella sua ricerca della perfezione,
schietto e leale come
poche altre persone al mondo, premuroso nel profondo del suo animo.
Lo osserva muoversi con confidenza dentro
il suo
appartamento, cercare una ricetta sul tablet prima di improvvisare una
cena,
uscire di casa ogni mattina alle 08.30, per poi rientrare alle 12.30 e
lavorare
in silenzio al computer.
Arthur deve aver notato i suoi occhi
attenti che lo scrutano
da giorni, perché a un certo punto dice: «Se ci
sono cose che vuoi chiedermi,
Eames, sentiti libero di farlo. Non sei mai stato un tipo
reticente.»
Avverte una leggera trepidazione: ha
appena ottenuto il
permesso da Arthur di sondare la sua vita.
«Quanti anni hai?» gli
chiede con un’espressione curiosa,
sollevando gli occhi dal libro che sta leggendo.
«Ventisette.»
«Che cosa facevi
nell’esercito?»
Arthur osserva il cielo plumbeo fuori
dalla finestra, prima
di rispondere: «Forze Speciali. Facevo diversi tipi di
operazioni, cose che
spesso gli altri non riuscivano a fare. Sono stato uno dei pochi che
è stato
addestrato con la PASIV e ne è uscito sano di
mente.»
Eames si prende un momento per riflettere
sulle sue parole.
A giudicare dalla sua espressione, le esperienze che ha vissuto
nell’esercito non
devono essere state piacevoli. Eames non ha idea di cosa significhi
voler
servire il proprio Paese. L’autorità non
è mai stata il suo forte: ha rubato
per la prima volta all’età di sei anni,
perché sua madre aveva speso tutti i
loro soldi per una dose e non avevano più cibo in casa.
«Perché ti sei
arruolato?»
«Era quello che ci si aspettava
da me. Mio nonno aveva
combattuto la Seconda Guerra Mondiale, mio padre era stato in Vietnam.
Ero
stato ammesso in tutte le università in cui avevo fatto
domanda, ma alla fine
mi hanno fatto pressione per entrare a West Point e io, da bravo figlio
ubbidiente, ho accettato» dice Arthur con un sorriso amaro.
«Vedi ancora la tua
famiglia?»
Lui beve un sorso di caffè, poi
scuote la testa.
«Pensano che io sia morto. Prima
di essere congedato, ho
fatto un’operazione. Sono stato scoperto,
l’esercito ha dovuto insabbiare tutto
e fingere la mia morte, perché era troppo pericoloso tenere
in vita la mia
persona sia per me che per i miei familiari. Mi hanno dato una nuova
identità e
un congedo permanente.»
Prima che Eames possa continuare la sua
indagine, Arthur gli
chiede, senza guardarlo negli occhi: «Tu? Vedi ancora tua
madre?»
In quell’esatto momento ha la
conferma che Arthur è a
conoscenza di ogni dettaglio del suo passato.
Se si trattasse di chiunque altro, Eames
si sentirebbe
infastidito da questa invadenza. Eppure, gli piace questo suo lato,
diretto e
sincero: Arthur non gli mente, non finge di non sapere niente di lui. E
in un
certo senso è rassicurante sapere di poter parlare con
qualcuno senza indossare
una maschera, senza essere costretto a rinunciare alla sua
identità, a quello
che lo rende interamente Eames.
Perciò sospira e per la prima
volta in assoluto, parla a un’altra
persona del suo passato senza mentire: «Sì. Non
spesso, ma qualche volta vado a
trovarla nella clinica in cui vive.»
Arthur annuisce, perso tra i propri
pensieri. È probabile
che si stia chiedendo perché Eames veda ancora la donna che
gli ha devastato
l’infanzia, incapace di dargli un minimo di
stabilità, persa tra la
prostituzione e la tossicodipendenza. Arthur deve essere a conoscenza
del fatto
che è Eames colui che paga la retta di sua madre in una
delle migliori cliniche
private per ex-tossicodipendenti.
«Sono l’unica persona
che ha» rivela facendo spallucce,
prima di tornare a leggere il suo libro.
Vanno avanti così, con questa
condivisione di spazi e di
parole, finché un giorno Arthur entra in cucina, mentre
Eames si prepara una
tazza di tè. Si avvicina in silenzio fino a invadere il suo
spazio, lo guarda
negli occhi e poi lo bacia.
È un bacio tenero, Arthur esplora le sue labbra
carnose con premura,
poi, man mano che la foga li avvolge, il bacio diventa più
carnale, i loro
respiri si rincorrono e i loro sapori si mischiano.
Quando si separano, Arthur dice con la sua voce profonda:
«Se
lo facciamo… Se iniziamo questa cosa, voglio fare sul serio.
Perciò se non sei
sicuro, preferisco che tu me lo dica subito.»
Arthur: diretto e pragmatico anche quando
deve affrontare i
propri sentimenti.
Eames annuisce, inumidendosi le labbra con
la lingua.
«Sono sicuro.»
Perché Eames lo ha capito da
giorni: si sta innamorando di
Arthur e non ha nessuna intenzione di fermarsi, ora che hanno fatto
questo
primo passo.
«Ce lo teniamo per noi, okay?
Con il lavoro che facciamo…
non è sicuro.»
Annuisce di nuovo, prima di circondare il
suo viso con le
mani e riappropriarsi delle sue labbra.
Quando Arthur lo fa stendere sul suo ampio
letto, Eames si
lascia spogliare e accarezzare dalle sue mani.
C’è una sorta di
devozione negli occhi di Arthur e nella sua
voce, quando dice: «Dio, Eames. Non hai idea di quanto tu sia
bello.»
«Anche tu lo sei»
replica lui, mentre gli accarezza le
braccia e bacia la sua clavicola.
«Non come te, ma va bene
così. Non mi offendo» dice
sorridendo, come se gli stesse confidando un segreto che conosce solo
lui.
«Che cosa ti piace?»
sussurra Arthur tra i baci.
La domanda lo sorprende più del
dovuto, perché la verità è
questa: Eames ha avuto numerosi partner, ma sia gli uomini sia le donne
con cui
è stato si sono sempre limitati a osservare la sua
fisicità e a ragionare per
stereotipi di genere, senza mai chiedergli se ci fossero delle
preferenze da
parte sua.
Ma non Arthur. No, Arthur si rivela
interamente per quello
che è: premuroso e attento anche nella camera da letto.
Eames sposta la mano destra dalla spalla
di Arthur. Scende
in basso, accarezzandogli il petto, fino ad arrivare ai suoi addominali
definiti e poi ancora più giù raggiungendo il suo
inguine. Attraverso il cotone
degli slip, può sentire l’erezione di Arthur. La
palpa, esercitando una lieve
pressione, mentre lo guarda negli occhi, suscitando un lieve sospiro da
parte
sua.
«Sì?» gli
chiede.
Arthur sorride e mormora:
«Sì» prima di baciarlo di nuovo.
Eames si lascia aprire e quando si sente
pronto si lascia
amare da Arthur, che gli regala così tante sensazioni di
piacere da lasciargli
pensare che stia entrando in ogni parte del suo essere per non uscire
mai più.
Sudano e si baciano e tremano e ansimano e
si abbracciano in
questa unione carnale e perfetta, finché l’orgasmo
li fa abbandonare l’uno
contro l’altro.
Eames si addormenta con la testa di Arthur
accolta
nell’incavo del suo collo.
TORINO
La quarta volta che incontra Arthur per un lavoro è
costretto a fingere di essere un semplice collega e niente di
più.
Stanno insieme da poco più di
un anno ed è la prima volta in
vita sua in cui Eames è così felice da voler
sorridere ogni minuto delle
ventiquattro ore che compongono una giornata.
Non vivono sempre insieme,
perché il lavoro che fanno li
costringe a separarsi anche per lunghe settimane, ma si vedono
abbastanza
spesso, nei periodi di riposo, nelle loro case sparse per il mondo.
Ci sono momenti difficili, quando non
è sicuro stare insieme,
perché c’è una taglia sulla testa di
Eames, o un problema che Arthur deve
risolvere. È in queste situazioni in cui Arthur dice a
malincuore: «Eames,
dobbiamo separarci.»
E anche se Eames odia dover trascorrere
qualche mese lontano
da lui, acconsente, perché la loro sicurezza viene sempre al
primo posto e se
Arthur pensa che sia necessario allontanarsi, lui non mette in dubbio
la sua
parola.
***
«Pensavo avessi un impegno a
Berlino!» esclama Arthur con
un’espressione seria e leggermente irritata, mentre Eames
sistema i suoi
vestiti nell’armadio.
«Darling,
quando
fai così, mi fai pensare che la mia presenza non sia
gradita!» ribatte lui con
del sarcasmo.
«Cristo, Eames, non potevi
avvisarmi? Serve a questo il
telefono!»
«Non capisco dove sia il
problema. Falco mi ha contattato
solo poche ore fa. Ha detto che gli serviva un falsario e che eravate
in una
estrazione delicata, perciò scusa se mi sono affrettato a
prendere il primo
aereo perché l’idea che il mio compagno sia in un
lavoro pericoloso non mi va
granché a genio!»
Subito dopo Eames aggiunge: «Se
vuoi che me ne vada, devi
solo dirlo!»
Lui si siede sul letto e sospira,
chiudendo gli occhi. Ha
delle leggere occhiaie – segno che non sta dormendo
granché – e le sue spalle
dritte sono rivolte in basso, come se fosse stanco di portare un peso
invisibile sulla schiena.
«Non fare così. Lo
sai che ti amo e sono contento che tu sia
qui.»
«Allora qual è il
problema?»
Arthur prende la sua mano, lo fa stendere
sul letto, fino a
sdraiarsi accanto a lui.
«Quando siamo lontani, per me
è una tortura, ma lo è ancora
di più quando siamo vicini e sono costantemente memore di
non poterti toccare,
di non poterti sorridere, di non poterti parlare come sto facendo ora.
Non sono
te, Eames… non sono bravo a indossare una
maschera.»
«Darling,
non ne
avevo idea…»
Ci riflette per un po’, prima di
proporgli: «Posso dire a
Falco di farmi sostituire da Duram.»
«No. Duram non è alla tua altezza e non
c’è nessun altro di
cui mi fidi di più. Va bene così, posso farcela
per un paio di giorni.»
Eames accarezza i suoi capelli morbidi,
prima di stringerlo
tra le braccia.
***
Eames risponde alle sue affermazioni con
commenti
sarcastici, gli fa dei piccoli dispetti e passa la metà del
tempo a flirtare
con le loro colleghe, così da irritare Arthur il
più possibile e allontanare
dalla sua mente il desiderio di sfiorarlo o di sorridergli.
È un espediente bizzarro, ma
funziona e questo è
l’importante.
Quando si ritrovano in tarda serata nel
piccolo appartamento
che Arthur ha preso in affitto, Eames gli chiede, ridendo:
«Allora, ti va
ancora di baciarmi?»
«Ma levati!» esclama
lui, dandogli un leggero pugno sulla
spalla.
Eames è sicuro che sta per
rifilargli una delle sue repliche
asciutte come la sabbia del deserto, quando il suo telefono squilla e
Arthur si
distrae per rispondere.
«Pronto?»
«Zio Arthur!»
La voce di una bambina si diffonde
dall’altoparlante. Arthur
sorride, mette il vivavoce e appoggia il telefono sul tavolo. Poi dice:
«Ciao
pulce! Buon compleanno!»
Philippa ride, come fa ogni volta in cui
Arthur la chiama
“pulce”.
«Grazie, zio! Oggi il signore
che porta i pacchi mi ha
portato il tuo regalo! Te lo sei ricordato!»
«Te l’avevo promesso,
no? Anche se quest’anno non potevo
venire alla tua festa ti avevo detto che mi sarei fatto
perdonare.»
«Sì. Tu mantieni
sempre le promesse» dice lei con una voce
seria.
«Allora, raccontami un
po’ della tua festa. Ti sei
divertita?»
Philippa parla sovraeccitata per una
decina di minuti,
finché sua madre la istruisce di salutare lo “zio
Arthur” e di andare a
infilare il pigiama.
Dopo averle augurato la buonanotte, Arthur
resta alcuni minuti
al telefono con Mal. Parlano di lavoro, di James che ha iniziato a
camminare da
qualche settimana, della suocera di Mal, che è una donna
conservatrice e
davvero insopportabile.
Dopo aver chiuso la chiamata, Arthur resta
in silenzio per
un po’, mentre Eames finisce di bere il suo tè.
«Ti ho mai detto che Philippa ha
il mio vero nome?»
Eames lo osserva sorpreso, mentre scuote
la testa.
Arthur ha uno sguardo malinconico e un
sorriso mesto, mentre
dice: «Philip.»
«È nata un paio di
settimane prima del termine stabilito per
la gravidanza e Mal si è ritrovata da sola in casa con le
acque rotte, senza
Dom, che era in viaggio per un’estrazione. Sapeva che ero in
città, perché
stavo facendo un lavoro sotto copertura per l’esercito,
così mi ha chiamato in
preda al panico. Il soldato che è in me mi implorava di non
assentarmi, ma non
avrei mai potuto lasciarla sola nel momento più importante
della sua vita.»
«Sei andato da lei?»
Arthur annuisce, perso tra i suoi ricordi.
«L’ho portata in
ospedale e sono stato con lei per tutto il
tempo del travaglio. Quando l’hanno portata in sala parto,
Dom era ancora
bloccato dall’altra parte del Paese, perciò hanno
fatto entrare me.»
Ride prima di proseguire:
«L’ho sentita urlare, imprecare in
francese e stringere la mia mano così forte da farmi pensare
che mi stesse
frantumando le ossa. Poi la bambina è nata ed era
bruttissima: tutta sporca,
urlante e bagnata di lacrime.»
Eames ride: sono proprio così i
bambini appena nati.
«Più tardi,
l’infermiera ha portato la bambina in stanza. Le
ha chiesto se avesse già pensato a un nome e lei ha
semplicemente risposto,
guardandomi negli occhi: “Philippa.”»
È solo allora che Eames si
rende conto di non avergli mai
chiesto come conosca Mal.
«Da quanto la conosci?»
«Da quando avevo undici anni. Si
era trasferita negli Stati
Uniti a causa del lavoro di suo padre. Parlava inglese in maniera
fluente, ma
era timida e chiusa in sé stessa, allora. Penso che avesse a
che fare con
l’imminente divorzio dei suoi genitori. Era in terza media e
io in prima. Un
giorno l’ho trovata chiusa nel bagno dei maschi, mentre
piangeva di fronte allo
specchio.»
«Come mai nel bagno dei
maschi?»
«Non andava mai nessuno
lì, mentre il bagno delle femmine
era sempre pieno di ragazze che si truccavano. Le chiesi se avesse
voluto
pranzare con me e lei accettò.»
Gli resta difficile correlare la bambina timida e insicura con la donna affascinante e spavalda che è ora. Ma Eames sa che le persone sono capaci di cambiare negli anni, perciò è felice se adesso Mal è una persona più serena.
LOS
ANGELES
La quinta volta che incontra Arthur in un luogo pubblico, in
cui deve fingere di essere un semplice conoscente, è il
funerale di Mal.
Arthur lo ha chiamato mentre Eames era in
Canada per
un’estrazione ed è riuscito a tirarsene fuori
abbastanza in fretta per poter
essere qui.
È un tipo di morte che nessuno
riesce veramente a spiegare e
già circolano delle terribili voci sulla presunta
colpevolezza di Dom. Non
importa granché, ora: l’unica realtà
che Eames vede è una famiglia spezzata e
due bambini che non rivedranno mai più la loro madre.
Philippa si nasconde costantemente dietro
le gambe di suo
zio, finché Arthur è costretto a tenerla in
braccio per calmarla per tutto il
corso della giornata.
***
Tutti pensano che essere una persona forte
significhi
affrontare i problemi di petto, senza chiedere mai aiuto. Non
è così: si è più
forti se ci si affida a qualcuno mentre il mondo ci sta crollando
addosso.
Arthur sta male, cerca di tenere la sua
sofferenza a bada, ma
non è facile. Eames è grato che trovi il modo di
sfogarsi con lui: sarebbe
molto peggio se Arthur si rinchiudesse in sé stesso
sprofondando nella
disperazione, senza permettergli di avvicinarsi.
Dopo il funerale, Arthur bussa alla porta
della camera
dell’hotel dove Eames alloggia, entra, richiude la porta e
sprofonda tra le sue
braccia, mentre lui mormora: «Mi dispiace tanto, darling.»
È la frase più
stupida e scontata che possa dire, ma la
verità è che non ci sono parole che possono
offrire un vero conforto di fronte
alla morte.
Arthur si lascia stringere da lui, si
lascia amare finché
non ha più le lacrime per piangere e ha il volto trasformato
dal piacere. Dorme
tra le sue braccia per qualche ora, poi si sveglia di soprassalto,
mentre Eames
lo tranquillizza accarezzandogli i capelli.
***
La quinta volta che incontra Arthur, lui
sussurra contro la
sua pelle nuda: «Ho fatto testamento qualche settimana fa.
Volevo dirtelo di
persona, perciò ho aspettato di vederti prima di
parlartene.»
Eames sente il proprio cuore in preda al
panico battere
all’impazzata, mentre chiede, con una voce strana e
vulnerabile: «Che stai dicendo?»
Arthur lascia tanti piccoli baci sulla sua
spalla, prima di
rassicurarlo: «È solo una precauzione, Eames. Non
ho intenzione di morire, se è
questo che ti preoccupa.»
«Allora perché
l’hai fatto?»
«Se mi succedesse
qualcosa… Non sopporto l’idea che tu non
abbia niente di mio o che non possa decidere sulla mia sorte se finisco
come un
vegetale. Tutto qui. È una cosa scema, lo so, ma non
riuscivo a togliermela
dalla testa.»
Eames sospira.
«Non è per niente una
cosa scema» dice prima di baciarlo.
MOMBASA
La sesta volta che incontra Arthur, lui lo
sorprende a
Mombasa, nella casa sicura dove si sta nascondendo a causa di un lavoro
andato
male.
Entra nel suo appartamento e sente odore
di pasta con il
pesto – uno dei piatti preferiti di Arthur. Eames sorride, si
dirige in cucina
e lo trova intento a scolare la pasta nel lavello.
«Sei giusto in tempo per pranzo.
Ho portato il pesto da
Genova.»
«Prima dammi un
bacio!»
Arthur ride e acconsente. Trascorrono
diversi minuti con le
mani impegnate a palpare i loro corpi attraverso i vestiti e con le
labbra
occupate da un bacio appassionato, finché Arthur si separa,
con il fiatone.
«Prima mangiamo. Ho
così tanta fame che se non mangio subito
non riesco neppure ad arrivare alla camera da letto!»
Eames ride, si concede un altro bacio,
prima di andare a
sedersi al piccolo tavolo della cucina.
***
«Sono andato a
trovare James e Philippa la settimana scorsa»
gli rivela mentre sono distesi sul divano.
«Come
stanno?»
«Philippa mi ha
chiesto di Dom. Sua nonna continua a dirle
che non tornerà a casa, perciò è
abbastanza confusa.»
Eames accarezza i suoi
capelli in silenzio.
Dopo molti minuti, Arthur
sussurra con gli occhi chiusi e le
lacrime che solcano il suo viso: «Le ho promesso che avrei
fatto qualsiasi cosa
per riportarlo da lei.»
«Ci
riuscirai» lo rassicura lui, perché conosce bene
la
determinazione di Arthur e sa che non permetterebbe mai a sé
stesso di deludere
quella bambina.
***
È una novità per lui
volersi legare in maniera permanente a
un’altra persona, eppure è così. Non
è per niente difficile ammettere che
desidera trascorrere il resto della sua vita con Arthur.
Arthur, che gli chiede: «Cosa
hai fatto oggi?» e gli
racconta la sua giornata anche quando sono lontani e sono costretti a
parlare
al telefono senza potersi vedere.
Arthur, che ride in risposta alle sue
battute impertinenti
con la sua risata bassa e spontanea.
Arthur, che è capace di dirgli:
«Ti amo» mentre guardano un
film appisolati sul divano e di fare l’amore con lui in ogni
modo possibile e
immaginabile, assecondando le loro voglie, anche le più
oscene, perché non c’è
niente di vergognoso nel desiderare l’altro in ogni aspetto,
quando ci si ama.
Arthur, che nonostante sia pieno di
lavoro, ha anche la
premura di occuparsi della sicurezza di Eames, ostacolando i suoi
nemici,
eliminando una taglia dalla sua testa, offrendogli sempre vie di fuga e
case sicure
da condividere.
Arthur, che rischia la sua vita per una
bambina che porta il
suo nome, la cui madre è stata per lui
l’equivalente di una sorella.
Eames capisce che Arthur è
quasi arrivato a un punto di
rottura, come un vaso che è caduto tante volte, si
è incrinato e al prossimo
urto rischia di rompersi in mille pezzi.
Ed è in quell’esatto
momento che Eames decide che porteranno
a termine l’inception,
costi quel che
costi, perché non può permettersi di vedere
l’amore della sua vita distruggere
la propria esistenza perché intende mantenere una promessa.
***
La settima volta che incontra Arthur, è la prima
volta che
lo vede compiere un errore durante un lavoro. Quando Cobb lo accusa di
non aver
eseguito abbastanza ricerche per verificare la presenza di un
addestramento
militare nella mente di Robert Fisher, Eames sa che
l’estrattore sta giocando
con il fuoco.
Arthur gli risponde, freddo e con una mano
di fronte a sé:
«Ti devi calmare.»
È un avvertimento che nessuno
dovrebbe mai ignorare,
soprattutto Cobb, che si sta comportando come un sociopatico.
Arthur serra la mandibola e afferma, con
un distacco che
Eames sa che non prova realmente: «Non c’era nelle
mie ricerche. Mi dispiace.»
È ammirevole il modo in cui si
scusa. Pochi uomini nella sua
posizione sarebbero capaci di ammettere i propri errori ed Eames
è felice di
sapere che Arthur sia uno di loro. Ma fallire è umano e
capita a tutti prima o
poi. Riusciranno a cavarsela in qualche modo. Devono
cavarsela, perché il limbo è una minaccia
così concreta e
spaventosa che Eames non riesce neppure a descrivere a parole.
C’è un momento di
panico nel secondo livello, quando stanno
per separarsi e Arthur si avvicina per aiutarlo a inserire la flebo nel
suo
polso – senza che ci sia un reale bisogno.
«La sicurezza
arriverà in massa» lo avverte Eames con un
sorriso tirato.
«E io li porterò a
una bella caccia alla volpe!»
«Basta che torni prima del
calcio» è quello che dice.
“Basta che torni da
me” è quello che pensa.
«A dormire, Mr. Eames»
lo rassicura Arthur, che ha colto
perfettamente la sua preoccupazione.
Arthur non lo deluderà, Eames
sente questa sicurezza nel
profondo del suo animo, mentre la somnacin
entra in circolo e lo fa addormentare di nuovo.
***
È anche la prima volta in cui
Eames ha seriamente temuto di
non rivedere mai più l’uomo che in due anni
è diventato tutta la sua vita.
Quando Cobb supera i controlli
all’aeroporto, Eames sa che
Arthur ha mantenuto la sua promessa. Sorride al pensiero che
l’uomo che ama è
una delle persone più determinate e instancabili sulla
faccia della terra,
capace di andar incontro all’impossibile pur di rispettare un
patto stretto con
una bambina di cinque anni.
Nel loro appartamento a Santa Monica,
mentre Arthur si
spoglia dei vestiti e si dirige sotto la doccia, Eames si appoggia alla
porta
aperta del bagno e afferma: «Arthur sei una persona
meravigliosa.»
Lui si ferma con la mano avvolta intorno
al pomello della
porta della doccia, con un’espressione incredula e sorpresa.
«Eames… stai
bene?» gli chiede con un misto di
preoccupazione e di incertezza.
«Sì. Volevo solo che
tu sapessi quanto tu sia fantastico,
quanto tu riesca a rendere più luminosa la vita delle
persone che ti
circondano, perché spesso non te ne rendi conto. Sei
così preso dai tuoi
pensieri, dalle tue preoccupazioni, che ti dimentichi quanto tu sia
capace di
rendere felici gli altri, me in primis. Cerca di ricordartelo quando ti
fai
prendere dallo sconforto, sì?»
Arthur lo osserva riflettendo sulle sue
parole. Poi, con un
sorriso spontaneo e gli occhi che brillano, dice: «Va bene.
Grazie, Eames.»