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Autore: Luna White    30/10/2018    0 recensioni
"Siamo sempre più diversi e sempre più soli. Basta poco, poi cadi giù e ti perdi. Nel pozzo di chi non vuole più ricordare se stesso."
Quattro sono gli anni che bastano per dimenticare e vivere di nuovo. Quattro sono gli anni degli abbandoni, di nuove strade e scelte, di lontananza, viaggi diversi, vite diverse.
Lysandre lo sapeva, lo aveva sempre saputo fin dall'inizio e non ha fatto altro che seguire la stessa decisione di tutti gli altri: lasciar perdere. Eppure, dopo quattro anni, è ritornato nella stessa cittadina che ai suoi occhi gli pareva ora diversa, sporca, sgradevole. La stessa per cui adesso era venuto a riprendere ciò che da sempre gli spettava. Un’anima.
Doveva cercare Castiel e riprenderselo. Li bastava solo questo.
Genere: Poesia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Castiel, Lysandro
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Siedo dietro il bancone di un pub immerso nei pensieri, sorrido.
Poi lo vedo, una figura in lontananza che mi chiama ma non ha voce. Solo Rosso.
Dunque è così. Alla fine hai raggiunto i tuoi sogni. Sei riuscito a farti acclamare. Hai avuto la tua ascesa nel paradiso della musica. Ti vedo davvero felice, lì sul palco, dove tutti gli sguardi puntano su di te e a nessun altro, perché nel tuo gruppo mediocre che hai formato, sei l’unica gemma in grado di brillare davvero.
Quando hai tirato fuori tutta questa emozione? Questa adrenalina in cui non fa altro che farmi rabbrividire. Che ne è stato dello sguardo divertente e spaccone di tanti anni fa? Adesso sembri un vero e proprio mostro. Quanto tempo avrai perso in cazzate.
Mi sento così inferiore a te, alla tua impotenza. Tutta quella fierezza che si erge, mostrandosi sotto la luce dei riflettori e non ha paura del domani, di come un'altra giornata potrà passare.
Suoni con il sorriso spavaldo e da stronzo. Gli urli ridicoli, gli sguardi lascivi delle ragazze sono così deplorevoli ma questo è il tuo ambiente, quello che hai sempre sognato di avere ed ora lo hai stretto tra le tue mani, senza che nessuno possa strappartelo via.
Certo che, nonostante l’altezza del palco, la voglia di fare il sovrano dell’esibizionismo non ti è mai passata ma come dice il detto: il lupo può perdere il pelo ma non il vizio.
Ma dietro tutti questi sguardi fasulli, dietro le maschere di creta, ci sono anch’io.
Castiel, sto aspettando il tempo in cui mi mostrerò a te senza che tu mi abbia ancora notato è quando arriverà il momento, dovrai anche tu dover aver paura di me.
Dicono che l’altezza sia una sicurezza, ti allontana dai pericoli, ti protegge da chiunque. Al liceo ha funzionato così no? Quel terrazzo dove ti rifugiavi per fuggire dalle persone, quello in cui la legge potevi imporla solo tu e nessun altro. Eppure devi aver paura, devi aver paura di tutta quell’altezza perché non potrà sorreggerti per sempre e l’unica cosa che potrai fare a quel punto è sprofondare, lì dove sono tutte le anime che agognano un posto verso l’alto con ardua disperazione ma con una continua rassegnazione.
Mi chiedo ancora cosa spinga questi uomini a combattere per ottenere un briciolo di gloria e niente più. Io al contrario, piuttosto che agognare un posto alto, aspetto soltanto il momento dove potrai scivolare tra le mie braccia.
 

"Siamo sempre più diversi e sempre più soli. Basta poco, poi cadi giù e ti perdi. Nel pozzo di chi non vuole più ricordare se stesso."
 
Come non lo è più Nathaniel, per quanto mi riguardi. Se vuole fare il cane di strada, non basta una faccia sfigurata e qualche muscolo a renderlo tale. Ci vuole ben più di questo, ben più che una storia familiare ridotta al fallimento, ben più delle solite cazzate adolescenziali a cui abbiamo assistito tutti.
Manca davvero poco ormai, i tuoi occhi finiranno per puntarsi su di me. Voglio che lo facciano nel tuo momento di maggiore emozione, dove diventi il protagonista della canzone e finisci per acclamare a te tutte le prede. Basta davvero poco ma mi concedo invece di guardare le altre facce che sono davanti a te, tutte quelle belle espressioni che nella vita scolastica mi hanno accompagnato mettendomi un peso sulle spalle dopo l’altro.
 E dovrei parlare anche di Rosalya? Di quella ragazza di cui la sua intera esistenza è basata su una menzogna e belle facciate? Ti ho già detto che ci sono troppe maschere in questo posto e tu non fai altro che accontentarle tutte.
 
Che sgradevole lupo pestifero.
 
Io però ho abbandonato da tempo questo mondo. Dove tutto sembra essere una beltà concessa, dove si concedono tutti di vivere nella tranquilla normalità nonostante si prendano in giro da soli. Ho abbandonato da tempo tutto quel sorridere e ignorare le cose, come Candy. Quella cara ragazza dalla semplice dolcezza che aspetta ancora un tuo ritorno. Ma tu non ritornerai da lei vero? La lascerai indietro, non sei più un ragazzino infondo no?
Eccolo, ecco il momento che stavo aspettando! Basta che il tuo sguardo si giri un po’ più a destra, basta solo che tu mi guardi quaggiù, in fondo al bancone e tremi difronte al mio sguardo.
 
Perché io, Lysandre, non sono mai stato il contadino che tutti credevano.
 
Prendi il mio sorriso, così grottesco che non sembra più quello gentile e garbato del ragazzo liceale che ero. Sono dunque i tuoi occhi che si spalancano di sorpresa e sembrano sbagliare una nota del pezzo ma cerchi di distrarti mentre alzo il bicchiere per brindare a te, a noi della nostra condizione.
Quando la canzone giunge al termine, come un lento ballo di sala, gli applausi sono sempre più forti e troppo rumorosi per i miei gusti. Sei troppo occupato per guardare qualcuno non è vero? Ho visto il tuo collo, quasi mi sento il dovere di ridere ma piuttosto scrollo la schiena, faccio un banale cenno di uscita e levo le tende da quel posto che puzza troppo di anime ingannevoli.
Devo aspettarti Castiel? O dovrei forse andarmene? Forse sono troppo stronzo per non farlo e credo vada bene così. Aspetterò che sia tu a scendere dal tuo bel palco, dalla tua bella altezza e ti prepari a gettarti tra le grinfie dell’oscurità.
Accenderò una sigaretta, due, tre e riderò pensando a quanti autografi e regali dovrai ricevere dai tuoi adorati fan, poi, di nascosto scivolerai lontano perché non ne puoi davvero più e a quel punto arriverai a raggiungermi, proprio sul retro, laddove nessuno va perché è il posto destinato a quelli che valgono meno degli altri e non vengono visti da nessuno

«Lysandre??»

Ed eccolo quello sguardo più allarmato di prima che osserva la mia schiena, il mio giaccone che inutilmente viene scosso dal vento della notte. Che ore saranno state? L’una? Le due forse?
 
«Lys non credevo fossi arrivato fin…qui»
 
Non credevo, nessuno credeva, neppure io l’avevo programmato ma eccomi qui, più miserabile e fiero di come lo ero un tempo. Un triste fiore che ha cambiato terreno e si è distinto tra i tanti altri. Un fiore che ha preferito diventare un pericolo e non una bellezza.

«Diamine, ti sto parlando, girati almeno cazzo.»

Quanto sei possessivo. La tua lingua ha anche altre funzionalità oltre a quelle di imprecare? No, non arriverai a toccarmi, a voltarmi verso di te, perché sarò io il primo a farlo.

«Lysandre, Lysandre, smettila di chiamarmi. Non sono più nessuno.»
 
Ed eccola quella sensazione di freddo sotto le mie dita. Quell’immondo muro dell’edificio che premo sotto di esse e con la voglia di spingerlo in avanti, lui e te che ho cercato di inglobare.
Sorrido, non c’è niente di più stupefacente nel farlo. Non ho alcuna pazzia, i miei occhi non fanno altro che sembrare due pozze al neon che illuminano qualche quartiere sporco e niente più. Altro che le solite cazzate delle pietre, dell’oro fuso. Non valgono niente in confronto.
 
«Beh allora, raccontami. Come si sta lassù quando la gloria ti acclama?»
 
Ah ecco, ora capisci, il tuo sguardo smette di essere sorpreso, mi sorridi strafottente anche tu. Alla fine, Castiel, credi che per tutto questo tempo, mancava solo di togliermi dai piedi per avere tutto la felicità del pubblico su di te..

«Non è forse così? Adesso che non sono più con te, non devi più preoccuparti di chi ti guarda.»
 
«Sta zitto Cazzo, sai che non è così.»
 
«Ah no? E dimmi, raccontami, convincimi se ci riesci.»
 
Ah, caro e piccolo lupo cattivo. Sei così vulnerabile davanti a me, che ti faccio rabbrividire anche soffiandoti sul collo, sorridendo in modo sincero e per nulla malinconico.
 
«Hai scelto tu di andartene. Hai preferito restare con la tua famiglia, gestire quella fattoria, essere il bravo figlio che tutti amavano. Non importava come, hai preferito loro a noi.»
 
«Noi? Noi chi? Chi è con te Castiel? Quel triste gruppo che per troppi anni hanno fatto la vita dei teneri adolescenti vissuti? Chi è con te Castiel? Nathaniel forse?»
 
Ecco che cominci a tentennare, ma mi chiedo perché non hai intenzione di muoverti, di scacciarmi via in qualche modo.
 
«Puzzi di sudore è sesso. Come fai a scoparti tutte quelle noiose donne? Non trovi di meglio?»
 
Io sono di più, molto di più di quanto tu possa immaginarlo, mi basta solo avere un consenso, e riuscirei a strappare tutto quello che ti blocca.
 
«Levati Cazzo, non ho tempo da sprecare con te. Che sei venuto a fare? Se non vuoi saperne niente di me?»
 
Sei ancora arrabbiato per come ti ho lasciato solo? Non ti ho viziato abbastanza? Ti ho lasciato in astinenza? Cos’è che vuoi davvero Castiel, guardami, guardami intensamente mentre non rifiuti la mia mano per voltarti, mentre mi guardi con un bisogno estremo che ti tocchi davvero fin dove nessuna donna osa immaginare.
Non ti servono tutti questi tatuaggi ad insegnarti chi sei Castiel. Nessun animo è mai stato in grado di comprenderti come l’ho fatto io e nonostante tutto, ancora il tuo disprezzo nei miei confronti è solo un vano tentativo di trattenermi ancora un po’ a te.
 
«Castiel…Castiel. Devi essere più cordiale con me.»
 
Lascio scendere la mano, fino a toccargli la vita e sobbalza. Si perché è un tocco a cui non è più abituato a sentire. E più lascivo, meno delicato. Più provocante, selvaggio.
 
«Non mi toccare. Tu razza di Stron…»
 
Questo è il dolce suono. Questo è il quel momento in cui ti sembra di cedere, abbandonarti nonostante tutto. Questo è l’esatta tregua della tua testa che ha di stare in apnea nel grande mare che ti ha schiacciato.
Quel silenzio che invade la tua bocca. Quelle parole che si placano perché la mia mano adesso non fa che rimanere incollata alla tua destra. Il mio corpo non fa altro che schiacciarti tanta è la grandezza da sopportare. Ben più di una materia, ben più di un soggetto.
 
«Castiel, per favore...aspetta.»

Sono più spregevole di così. Voglio distruggerlo? Portarlo alla pazzia? Renderlo Mio? Cosa voglio farne? Ho così tanta scelta eppure così poche soluzioni.
Le tue mani non fanno altro che vagare, scendere, tastare quanto sia cambiato il mio corpo in questi anni. Quanto i muscoli abbiano cambiato il volto e mi abbiano reso più taciturno, lunatico quasi.
Cosa c’è? Cosa vorresti? Chiamami, chiamami con il mio nome. Perché io sono una bestia, si, una vera e propria bestia di strada.
Ma ti ritrai da me, cominci ad aprire gli occhi. Sai che è completamente sbagliato è che non sei un idiota. Però fai un errore, quell’errore che ti porta a spaventarti.
I miei poveri capelli che vengono strattonati per scacciarmi da te. Quei maestosi fili d’argento che ti divertivi ad accarezzarmi tutte le mattine per ritrovare il buon umore.
 
«Non…Non volevo farlo…»
 
«No non avresti dovuto.»
 
Lo canzono, prima di baciarlo e a quel punto ancor di più sono i tuoi occhi ad aprirsi. Le ceneri non emettono luce, i tuoi ancor meno ma ho la piacevole sensazione di sentire quella stessa stretta rallentare, fino a diventare una carezza.
Manca poco, davvero poco, solo…
Castiel, puoi darmi di più di un singolo bacetto da innamorato. Il tuo fisico è così cambiato negli anni e si è reso più maturo, virile, forte di quanto potessi pensare e allo stesso tempo anche più divertente da esplorare. Mi chiedo quali siano i tuoi punti deboli adesso, saranno sempre gli stessi? Oppure quelli valgono solo per le mie mani, e ogni parte di me?
Ora fai il bravo, apri la bocca, lascia che la tua lingua sia accompagnata dalla mia e che voglia continue attenzioni. Perché resisti, cosa altro c’è ancora? Perché vuoi che ti vizi fino a questo punto? Sarà una nuova tua mania? Non ti soddisfi più come una volta?
Eppure lo vedo, che non resisti. Lo vedo, socchiudendo gli occhi che ti stai davvero stancando. Forse di me, forse di questa situazione ed è anche per questo che interrompo la cosa ma rimango a cingerti le braccia intorno alla vita sapendo che questa stupida luce su questa porta, finirà per chiudersi presto.

«Lys…»
 
Alzo un sopracciglio. Cosa ancora hai da dire? Che non vuoi farlo qui? Che dovresti andare via? Cosa vuoi ancora? Con che belle parole te ne uscirai fuori?

«Fanculo...Fottimi.»

Ho davvero difficoltà a elaborare appieno le tue due uniche parole. Le uniche probabilmente sensate di tutta questa serata. Non ho né il tempo di parlare né quello di agire che ti sei tranquillamente fiondato nella mia bocca, ricercando come un forsennato la stessa lingua di prima, provando a togliermi la cintura con fin troppa fretta.
La cosa mi fa terribilmente ridere ma anche eccitare e non posso certo ritirarmi difronte a tutto questo coraggio. Alla fine sei davvero venuto da me, alla fine hai abbracciato il fondo.
I lamenti di ben altro si fanno sentire senza vergogna. Sembri ululare come un lupo affamato. Hai davvero bisogno di mangiare quello che la passione ha ancora da offrirti e in questo momento, troppa è in bella mostra.

«A-aspetta. Non qui. N-non in un posto di merda come questo.»

Nonostante ti stia pizzicando il collo con i denti, ficcarti le mani in culo, hai ancora la forza per parlare. Dovrei forse sfondarti così tanto da fartela perdere la voce, così la pianteresti di discutere.
Per il sottoscritto, non farebbe differenza il luogo in cui ci approcciamo dopo quattro anni di completa astinenza. Sarà forse che ci tieni ancora a quel briciolo di galanteria che ti è rimasto. Sei davvero problematico ma sicuramente è anche l’idea più comoda. Avrai pensato davvero a tutto. Animale.
 
«Se vieni con me, sarai solo mio. Vuoi davvero questo?  Se invece credi di voler solo una scopata
consolatoria, io posso anche andarmene.»
 
E adesso perché sono io a ritirarmi? Cos’è, la paura? Semplicemente, dietro le mie mura, funziona come voglio io. O sei mio, o non lo sei. Ma possedere non vuol dire essere inchiodato per sempre a me. Vuol dire fare l’amore tante di quelle volte che nessuna storia può essere così forte quanto questa e difficilmente una persona finisce per dimenticarsi qualcosa di simile.

«Ho già accettato questa cosa. Stavo solo aspettando il momento che tu arrivassi a riprendere quello che ti spetta.»
 
«Da quanto sei diventato così intelligente?»
 
«Da quanto sei entrato a far parte della mia vita.»
 
***
La situazione scorre fin troppo velocemente. Il cuore che non smette di battere forte nel petto. La mano stretta nell’altra, suda e trema come una foglia bagnata. Sentivo, lo percepivo fin dentro ogni fibra del mio corpo, che il tempo passato lontano uno dall’altro, non poteva durare più a lungo di così.
Eravamo stanchi. Stanchi di come il mondo funzionasse in questa maniera. Stanchi di viverla all’insaputa del divertimento. Di belle donne portate a letto, di bei numeri raccolti il mattino seguente come premio di promemoria.
Ed io lo sapevo, seguendolo in silenzio, salendo quelle scale che mi parvero troppe per i miei gusti, quanto ancora dovessi attendere per arrivare alla fine.
Castiel non faceva altro che tenermi la mano, con disperato bisogno e non parlava, trafugando invece con un portachiavi colmo di accessori e stronzate varie che a guardarlo, non mi sarei mai sognato di portarlo con me.
Poi finalmente quella porta si apre. Invece di vedere un lungo corridoio, immagino invece una bellissima oasi in cui vivere. Una piacevole sensazione che mi solleticava il corpo e mi impediva di muovermi.
Mi sentivo spaesato, galleggiando quasi sullo specchio dell’acqua e il rosso davanti a sé, dopo aver chiuso la porta, non riesce nemmeno a trattenersi più di tanto e si scaraventa su di me, con forza inaudita.
Assaporo nuovamente quelle mani dal fuoco più vivo e acceso. Sembra che voglia strapparmi i vestiti da dosso come una belva affamata e assetata.
Non posso che circondargli la vita con le mani, sembrare che voglia romperli qualche osso per la troppa enfasi che ci metto ma quello che ottengo invece sono semplici e lente carezze.
Mi lascio spingere contro il muro. Sento la schiena continuamente grattata sulla superficie e so che probabilmente, deve essere una mania di Castiel quella. Tutta quella possessione e voracità.
Ma non è finita, dobbiamo ancor iniziare a riparare ciò che abbiamo perduto.
Mi stacco da te, cerco di allontanarti e sorrido beffardo. Con la mano ti tiro per la cravatta con frenesia. Non trovo di meglio per cui divertirsi.

«Guidami.»

Gli chiedo nel buio del corridoio, camminando all’indietro, facendomi guidare dal ragazzo a cui ha affidato tutti i miei sensi.
Quando poi finisco per raggiungere una delle porte la apro senza troppe cerimonie e a quel punto arretro ancora, cercando di raggiungere il letto che sicuramente, sarà piazzato in un angolo della stanza.
Ma poi quando arrivo, quando arrivo finalmente a quella morbida superficie, vengo letteralmente buttato su di esso, sprofondando.
 
«Lascia che rimedia ai miei sbagli.»
 
La mia voce mi sembra un eco lontano e distante ma sono ranquillo, per un attimo ti rassicuro. Ti rassicura il fatto di essere spogliato lentamente senza che tu non te ne accorga, mentre i cuscini sono così morbidi da sembrarmi piccole nuvole di benessere.
Mi sento portare via il giubbotto, la maglia. Poi scende più giù, lì dove è nascosto qualcosa che sta soffrendo per l’impazienza e che non attende l’ora di potersi finalmente liberare da catene sempre più dure e resistenti.
Ma c’era qualcosa di ben più sorprendente della propria erezione e Castiel ne rimane scioccato, forse un po’ confuso, forse un po’ incazzato. Non seppi davvero leggere la sua espressione in quel momento.
 
«Cosa sono questi?»
 
Cosa sono quelle piccole strisce chiare che scorrono lungo il mio petto, contornando ogni angolo del corpo e sembrano non donarmi affatto? Cosa sono quei tagli, quelle cicatrici, quegli ornamenti orribili che hanno distrutto questa pelle così perfetta eppure troppo rigida per tutti quegli indumenti che indossavo?
Lo sapevo bene ma non volevo pensarci. Castiel non lo sapeva ma immaginava ogni scenario possibile e orribile nella sua mente.
Allunga una mano, lascio che sfiori la mia guancia. Mi guarda intensamente, con occhi di diverso colore, con occhi dello stesso colore. Alla fine appartengono tutti alla stessa tavolozza, che differenza può fare?
 
«Non preoccuparti. Sto bene. Castiel sto bene.»
 
Sono davvero bravo a capire le persone ma davvero loro capiscono altrettanto di me? Tutta quella sicurezza che devo trasmettergli, tutta quella tranquillità per farlo stare fermo. A cosa dovrebbe servire se alla fine non è davvero stupido?
Castiel mi ascolta, non ritrae il suo gesto. Si culla un momento, si premura di assecondare ogni mio movimento senza scappare. Questo non è il momento e probabilmente mai lo sarà davvero.
Quello che fa è sorridermi ma è certo che quelle labbra hanno il sapore di essere amare e non hanno bisogno di chiedermi il permesso di baciarmi, strattonarlo a me, ficcandomi la lingua tra la sua e togliermi il respiro.
Non ha bisogno di chiedermi il permesso per potermi spogliare perché già lo ha fatto, senza alcuna esitazione.

«Sto bene, sto bene.»

Sospiro più volte, continuo a ripetere quelle parole come un mantra infinita e senza riuscire a fermarsi. Il rosso lo sente, quasi sorride difronte alla mia voce. Nonostante possa fare lo spaccone ha anche lui un cuore troppo fragile per mostrarlo.
La testa affondata tra le mie cosce, il respiro caldo che brucia sulla pelle come a scottarla. Mi sento cullare, dolcemente, senza paura su quel letto che anche se semplice, in realtà è una gioia.
Possono passare i secondi, minuti e ore interminabili. Nessuno di noi due vuole prendere l’attimo di respiro per abbandonarsi di fianco e prendere una pausa. Finché la passione è così vivida, così conservata per lunghissimi anni, bisogna solo consumarla fino all’ultima briciola.
Lascio che scavi nella mia pelle ed io nella sua. Che la sua bocca crei cerchi rossastri e brucino fino al mattino. Lascio che la morbidezza dei nostri capelli siano in perfetta sintonia su questo letto, immersi in cuscini che odorano del suo profumo.
Freddo, selvaggio, intenso.

 
Anche se l’alba sta sorgendo, non voglio abbandonare questa sensazione. Dopo atti di sesso che sembrano essere il nome di un amore senza una ragione alcuna, voglio rimanere ancora un po’ così, lasciarmi cullare nel sonno beato di cui le braccia sanno esser più confortanti di lenzuoli che avvinghiano le nostre virilità e le tengono strette, ancorate.
Ma non posso dar freno al tempo, è lui ad avermi reso schiavo, abbandonato e solo. Avrei potuto gestirlo, organizzarmi ma non l’ho fatto. Dimentico così spesso di me, che ho finito anche per disperdere gli altri. Come pezzi di pane lasciati al mangime per i corvi.
I raggi che filtrano oltre le spesse tende, quasi a voler sbirciare quei corpi nudi e senza pudore alcuno, non sono affatto fastidiosi.
Seppur abbia un occhio mezzo aperto, riesco a veder, distrattamente la polvere che fluttua intorno ai piedi del letto, davanti a noi e sorrido. Immaginando che possano esser neve scesa dal cielo in piccolissimi frammenti grigi e sporchi.
Con leggerezza cerco di alzarmi, di non svegliarlo nel suo bellissimo stato addormentato ma metà del mio corpo si contorce contro di me per non spostarsi da lì. Le fitte al culo non mi aiutano di certo ma mi sforzo, devo farlo, ho bisogno di alzarmi, provare a schioccare qualche osso e ad osservarmi gli infiniti marchi nuovi da poco lasciati e quelli vecchi, che in questo momento potrei quasi cominciare ad apprezzare un po’ di più, non più soli fino ad ora.
La testa sembra aver preso una batosta e un dopo sbornia. Butterei qualche aspirina se riuscissi ad arrivare fin alla cucina e magari lavarmi la faccia, perché tra il sudore e liquido appiccicoso, mi sento non presentabile.
Dopo una fidata pulita, un mal di testa che pian piano assorbe l’effetto delle medicine e un caffè in due tazze incolore posso tornare nella stanza di prima, sentendo le fitte al solo pensiero del ricordo di questa notte. Posso aver dimenticato molte cose nella vita ma questa, è una di quelle che nemmeno con le cattive riuscirebbe ad abbandonarmi. Non lo voglio io, non lo vuole la mia mente.
Non mi sorprende però trovare Castiel in uno stato cationico, con il portacenere tra le mani, la sigaretta mollemente sulle labbra che finirebbe per incendiare il letto sotto di lui e una mano, tra i capelli che chiedono pietà.
 
«Credevi ti avessi abbandonato?»
 
Lo conosco meglio di qualunque altro. Conosco i suoi pensieri, le sue reazioni e per il modo in cui muove la testa di scatto e non si aspettava un mio ritorno. Non mi sento triste, sorrido, lo sapevo. Io conosco tutti.
 
«Non sono più l’uomo che hai conosciuto.»
 
Continuo a ripetergli, come avevo fatto io a me stesso la notte scorsa.
Con il tempo cambia ogni cosa e molte altre mutano e si enfatizzano. Sono e non sono allo stesso tempo.
In me è rimasta la gentilezza, la galanteria, l’esser lunatico e taciturno, aver gli stessi occhi di sempre, ma non guardo più la vita piena di amore come un tempo, né delle gioie e delle cavolate che avrei potuto condividere con gli altri.
Cambiamento e non, l’unica persona che così vicina a me non può farmi cambiare idea è davanti a me, ma non dirò mai tutto quello che sto pensando. Non sono da molte parole, non comincerò a parlare per lui. Non parlavo prima e non lo facevo ora. Il silenzio bastava.
Li lascio la tazza di caffè, faccio spostare quella mano per abbandonare i capelli perché finirebbe per rovinarsi la tinta altrimenti e lo guardo.
 
«Sei molto meglio. Sei mio.»
 
Vedo che potrebbe scoppiare a piangere senza far i soliti piagnistei che farebbe una ragazzina in preda alla sua prima esperienza amorosa. Lo farebbe in silenzio, dentro di se, e forse, quando me ne sarei andato, avrebbe abbandonato la fierezza che l’uomo deve contenere davanti a tutti.
 
«Castiel, ho fatto delle scelte, tu le tue. Non ritornerò nello stesso giro del liceo con tutti gli altri. Ho ben altri progetti, altri nuovi amici. Li uccellini lasciano il nido dopo aver imparato a volare ed io, vorrei veder il mondo, costruirne uno tutto mio. Non ho più tempo da dedicare ai saluti, vecchi ricordi di persone che con il tempo finiscono per accantonarti, dimenticarti e vivere le loro vite come una fermata del treno arrivato al capolinea»
 

Bevo il liquido amaro e la mia lingua, mentre parla, non è da meno. Sono diventato più sincero, menefreghista ma non importa. Se dovessi ricordare quanti casini abbia risolto per gli altri invece che farmi aiutare per conto mio la lista delle due cose non sarebbe mai bilanciata. La differenza era troppo ed io, non me ne pento nemmeno un po’.
Ho teso la mia spalla su cui piangere e ho ricevuto il palmo di una pacca consolatoria. Non hanno valore, non quanto ne davo io al tempo.
 
«Voglio restare con te Castiel.» Dico. Lento. «Fin quanto tu vorrai e avrai la possibilità di esser felice rimarrò con te per sempre.»
 
Lo vedo mentre appoggia quella tazza ormai divenuta fredda e mi cinge la vita con le braccia, in una posa troppo stretta eppure troppo disperata per staccarla.
 
«Resterai con me finché la vita non ci consumerà entrambi. Quando tutti se ne saranno andati per le loro strade saranno diventati di nuovo soli, io lo sarò diventato ed anche tu lo sei. Ma non cambierei per niente al mondo, la strada che ci lega insieme. La solitudine non si può condividere, l’amore sì.»
 
Sorrido perché è proprio in quella zucca vuota, quella peste dai capelli vermigli e dal temperamento più acceso che si cela un vero e propria animo nobile.
 
«Per tutto questo tempo che hai passato con me ti ha reso così poeta e filosofico.» Lui ride.
 
«Perché io sono tuo.»
 
«E tu sei mio.»
 
Eppure sapevo quanto il peso delle parole non avrebbe avuto valore quanto le serate passate in amore e compagnia. Tra luoghi per consumarsi sempre più liberi e per placare la sete di due anime senza pace per restar lontani l’uno dall’altro.
 
Perché io, Lysandre, non sono mai stato il contadino che tutti credevano.


 

***Angolo della scrittice.***

Ed eccomi qui, a publicare qualcosa di diverso dalle solite storie di questa coppia che ho letto. 
Dal momento che Dolce Flirt ci ha abbandonato da uno scenario all'altro e si è dimenticato del nostro Lysandre, io volevo riportarlo, più diverso e cambiato che mai ma più adulto, forse migliore dei personaggi che nella trama del gioco non fanno altro che mostrare sempre la solita personalità. 
A mia interpretazione ho immaginato come potesse essere un suo ritorno, davanti all'unica persona che abbia realmente avuto un pezzo importante della sua vita. Un ultima missione prima di mettere un punto a quella storia.
Castiel è sicuramente uno dei personaggi che più viene sottovalutato per lo steriotipato nudo e crudo di tutto "sono freddo e spaccone" ma in realtà c'è molto che vorrebbe mostrare, magari anche aspetti che lo stesso Lysandre gi ha insegnato nella musica ma nella sua vita in generale. 
Ad ogni modo ho preferito utilizzare la prima persona, incentrarmi nel personaggio perché reputo la terza come la descrizione di qualche fiaba e le fiabe, solitamente hanno dei bei finali. 
Seppur la mia storia si concluda nel migliore dei modi. Coriandoli e tutto, alla fine lo sanno anche loro che un giorno dovranno abbandonarsi ma finché sono "accecati" da questo effetto scatto, preferiscono lasciar tutto al caso. 

Chiedo venia per gli errori ortografici. Più volte ho riletto, cancellato e riscritto ma le sviste fanno parte della quotidianità di ogni scrittrice ed io non sono da meno.
Spero che nel complesso vi sia piaciuta.
A presto.

 
  
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