Katara sbatte ripetutamente il palmo della mano sul bordo superiore della carrozza.
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La donna ringhia sonoramente e si stringe il cappotto di pelliccia sulle spalle, guardando trucemente il legno di fronte a lei. Improvvisamente sente delle grida provenienti da fuori e pochi secondi dopo la carrozza si ferma.
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L’uomo si avvicina al cocchiere, apparentemente senza aver notato la donna con la testa fuori dall’abitacolo.
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L’uomo ora concentra il suo sguardo sulla carrozza e vi si avvicina, ma un fucile a canna corta gli spunta di fronte agli occhi, seguito da una voce femminile.
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Il nuovo arrivato cammina verso il ceppo e ci appoggia giù le due rivoltelle, poi si mette le mani alla nuca e si avvicina a testa china alla porta della carrozza.
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L’uomo alza lo sguardo e fissa seriamente la donna in blu.
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Zuko ringhia contro la donna e questa di risposta gli appoggia la canna del fucile sulla fronte corrugata.
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Gli occhi di Katara si mettono a brillare di curiosità e comprensione. Allontana lentamente la canna dalla fronte dell’uomo.
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Zuko la guarda insicuro se rispondere o no.
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Se si potesse parlare con gli occhi allora gli occhi di Katara avrebbero descritto il contenuto di migliaia di libri, ma nulla arrivò al nuovo arrivato tranne l’impressione che quella donna mulatta conoscesse la persona nominata.
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Zuko annuisce, fissando intensamente la donna, domandandosi come avesse riconosciuto il nome che le aveva detto. Forse lo conosceva perché era un uomo famoso, certo, ovvio che lo conosceva solo di nome e non l’aveva mai incontrato in vita sua. Zuko sospira di sollievo e appoggia il piede sugli scalini della vettura.
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Zuko la guarda malissimo
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La donna in blu annuisce a appoggia il fucile sul grembo, lasciando entrare l’uomo.
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Zuko captò il cenno della donna e rimase in silenzio a fissarsi le mani e a pensare per qualche minuto. Poi si decise a chiederle ciò che lo assillava fin dal loro primo dialogo.
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La donna lo guarda intensamente negli occhi e lui non li abbassa né li distoglie mai dai suoi.
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Zuko fa un sospiro mentale di sollievo e ritorna a fissarsi le mani intrecciate, come in preghiera: sono mani bianche e candide come la neve ma lui le trova ripugnanti.
Il suo sguardo quindi prima vaga sulla carrozza, annotando mentalmente i dettagli che lo circondano per poi soffermarsi sulle mani guantate della signora in blu.
Mani che sembrano troppo signorili ed eleganti per imbracciare un fucile in modo esperto e sicuro come sta facendo lei.
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Lei sorride mesta, guardando fuori dal finestrino <
La carrozza si ferma nell’esatto momento in qui la bufera sta iniziando, lo stalliere sbuca fuori dalla baracca e si mette a slacciare i legamenti dei cavalli mentre conversa con il cocchiere.
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Dentro il rifugio ci sono tre ragazze, una con una lunga treccia che sta preparando da mangiare, una dai lunghi e lisci capelli neri che sta seduta sulla poltrona davanti al fuoco e un’altra con i capelli raccolti che sta leggendo un libro seduta sopra un tavolo.
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Katara prende la moka e due tazze, poi ne da una a Zuko che la guarda confuso, la donna finge di non notarlo e si siede sulla poltrona di fronte a quella della giovane dai capelli neri.
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Rimasero in silenzio entrambe, una scrutando Mai e l’altra fissando annoiata il fuoco.
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Mai annuisce e torna a guardare il fuoco. Intanto la donna in blu si alza e si posiziona davanti alla ragazza con la treccia.
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Katara annuisce, scandendo silenziosamente il nome appena pronunciato, poi si gira in direzione della ragazza che le ha indicato il caffè. Ha un portamento e dei lineamenti nobili, accentuati da un espressione di superiorità tipica dei ricchastri.
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Zuko intanto si era avvicinato a Katara, le era pochi millimetri dietro e i suoi vestiti rossi quasi sfioravano quelli blu di lei.
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Katara fa una smorfia al vederli, si volta e si incammina verso la finestra, cercando di vedere fuori. Ma riesce a vedere solo bianco su bianco.
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Nota poi due figure nere che si dirigono verso l’entrata del rifugio. La porta viene aperta e i due individui entrano. Katara sa già che si chiamano Sokka e Aang, perché ha sentito i loro nomi prima di entrare.
Lo stalliere si toglie la neve di dosso per ultimo, scrollandola via come un cane bagnato per poi fissare gli occhi sulla figura di Katara e sorridere. La donna in blu sa già che ci vuole provare con lei dallo sguardo che le rivolge quando si avvicina. Le fa piacere essere desiderata come donna, significa che la fatica e l’odio non le hanno rovinato i lineamenti e il corpo. Ma non vuole perdere tempo con gli uomini se vuole raggiungere il suo obbiettivo.
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Sente ridacchiare la riccastra e la cuoca alle sue spalle.
Nonostante il suo esplicito rifiuto però lo stalliere le si pone davanti, impossibile da evitare, e si siede sulla sedia di fronte alla sua, dall’altro lato del tavolo.
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Intanto si avvicina all’uomo calvo Zuko che gli picchietta sulla spalla e gli dice:
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Aang si volta ad affrontare l’uomo rosso ma, vedendo la faccia contratta e buia di Zuko, cambia idea e se ne va.
Così Zuko si siede di fronte a Katara che ha alzato un sopracciglio con aria interrogativa.
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Katara si rabbuia per il soprannome, ma sorride alla frase finale, rilassa le spalle e si prepara a giocare a carte con l’uomo in rosso.
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Katara lo guarda serissima.
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Zuko sgrana gli occhi, le mani gli tremano leggermente.
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Katara annuisce e butta il fante di fiori sul tavolo.
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Katara gli lancia uno sguardo indecifrabile e raddrizza la schiena.
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Katara gli porge le carte, aveva vinto la prima partita.
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Katara sghignazza.
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Zuko arrossisce leggermente e si schiarisce la gola.
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Il viso di Zuko si fa serio.
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Katara rimane sbalordita ed in silenzio per qualche secondo, assimilando la confessione. Poi lasciando le carte nella mano sinistra avvicina cautamente la destra alla cicatrice dell’uomo. Zuko prima si irrigidisce come un cucciolo ferito ma poi si fa toccare la cicatrice da quella mano guantata liscia e sottile.
Dopo aver staccato la mano dall’occhio ustionato dell’uomo in rosso, Katara sussurra un “mi dispiace” appena percettibile per poi fissare il suo sguardo in quello di lui.
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<<È dura la vita da criminali.>>
<< È la strada che ho scelto per la vendetta dell’assassinio di mia madre.>>
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Zuko si guarda le mani e si sistema le due pistole al cinturone.
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Continuano a giocare come se nulla fosse stato, coscienti del fatto di aver parlato a voce talmente bassa da aver reso il loro discorso inudibile.
Entrambi sentono improvvisamente un tonfo e si girano dalla parte del rumore trovando Aang a terra a sputare e tossire sangue. Poco dopo sentono anche una tazza di metallo che cade e scoprono che anche Sokka sta tossendo sangue a secchiate.
Katara si alza e si butta su Aang, provando a sentirgli il battito alla carotide ma non trovando nessun accenno di vita in quel colpo. Si dirige poi su Sokka urlando a Zuko:
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Zuko esegue ciò che la donna blu ha detto senza esitazione, puntando le pistole sulle giovani e belle ragazze.
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Katara gli si posiziona affianco, mirando al trio con il suo fucile e facendo segno a Zuko che anche l’altro uomo era morto, poi prende la parola:
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Mai sbuffa.
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Nessuna delle ragazze parla e Katara si spazientisce.
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Silenzio… Katara ringhia sonoramente e punta il fucile contro Ty Lee.
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Ancora silenzio…
Poi uno sparo fa esplodere la testa della ragazza con la treccia e fa saltare sul posto le due rimaste con la faccia al muro.
Katara si sposta di un passo verso destra, puntando il fucile contro la ragazza taciturna.
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<<È stata lei.>> dice Mai indicando il cadavere di Ty Lee disteso per terra.
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Katara si allontana lentamente, dalle due figure, tastando prima il cadavere in cerca di armi e trovando una pistola nello stivale della morta.
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Entrambi puntano in silenzio le due figure, sospettosi e terrorizzati di morire.
Poi dalle loro spalle viene uno sparo e Zuko si accascia a terra urlando dal dolore, Katara si volta di scatto e spara senza esitazione a qualsiasi cosa ci fosse dietro di lei, colpendo la spalla di un uomo alto e robusto che si aggrappa al parquet per non ricadere nella botola del pavimento.
Un movimento dietro di lei e Katara si trova a sparare a Mai, che aveva tirato fuori una pistola dalla manica larga della sua maglietta.
Poi, tirando fuori una pistola dal cinturone sotto la maglietta e puntando i due, la donna blu si
avvicina cauta a Zuko agonizzante.
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Zuko annuisce, contorcendosi dal dolore.
Katara punta il fucile sull’uomo ma percepisce che la ragazza rimasta ha preso una pistola e le vuole sparare, quindi si gira di scatto e le spara alla gamba. Le si avvicina e le toglie la pistola per poi appoggiarle la canna della pistola alla tempia.
Azula si irrigidisce tra le braccia di Katara, cercando di trattenere il respiro e di trovare il momento per liberarsi dalla donna in blu.
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<<È LUI…>>
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Katara sta zitta immobile, fissando ad occhi sgranati l’uomo ansimante che esce per mezzo busto dalla botola.
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L’uomo esce dalla botola lentamente e con espressione sofferente, sforzando i muscoli di entrambe le braccia e gemendo quando la spalla destra quasi cede sotto il suo peso.
Si siede pesantemente sul pavimento di legno, tirando fuori le gambe dalla botola e gemendo sommessamente.
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Ozai annuisce, ormai sulla fronte si sono formate delle gocce di sudore freddo.
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Dopo essersi assicurata che l’uomo sia senza armi Katara corre verso Zuko e gli strappa i pantaloni per vedere la ferita sul polpaccio.
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La donna prende la borraccia con l’acqua e ne versa un po’ sulla ferita, scatenando i gemiti e i lamenti di dolore dell’uomo in rosso. Si lava velocemente le mani e mette l’indice e il medio dentro il buco prodotto dal proiettile, cercando tra la carne calda e il sangue il proiettile, dopo averlo trovato lo toglie di scatto, facendo emettere a Zuko un urlo dolorante. Risciacqua di nuovo la ferita con l’acqua e si strappa la manica della maglietta, legandola sopra al foro come un laccio emostatico.
Ormai Zuko era un ammasso di carni doloranti, urla e respiro pesante, stava quasi per perdere conoscenza quando Katara si alza a prendere una bottiglia di whiskey per farla bere al suo compagno.
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Zuko le afferra il polso con delicatezza, soffermandosi sul colorito ambrato di lei e sulla pelle liscia sotto le sue dita insanguinate. Beve a garganella più della metà della bottiglia e riesce a riottenere una parvenza di lucidità. Abbastanza lucidità da impugnare la rivoltella e puntarla sulla testa di Ozai.
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Katara annuisce felice sorridendogli di rimando (se non fossero dei sorrisi tra due persone per la decisione della morte di un uomo sarebbero stati molto romantici).
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Katara fa passare la corda su una trave del tetto e porge l’estremità a Zuko mentre lei tiene la corda qualche centimetro più avanti.
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Katara e Zuko rimasero a sforzare i muscoli delle braccia con gioia e appagamento, tenendo il cadavere appeso alla corda anche parecchi minuti dopo la dipartita dell’uomo, apprezzando a vicenda il calore dei loro corpi vivi.
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Quando fecero cadere a terra con un tonfo il corpo di Ozai era ormai sera inoltrata e la ferita di Zuko aveva smesso di sanguinare.
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L’uomo in rosso si alzò traballante ma non cedette e rivolse un sorriso splendente a Katara.
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Zuko traballò, quasi sul punto di cadere, ma rispose all’abbraccio di lei stringendola forte tra le braccia.
Katara si staccò leggermente da lui, tenendo il viso vicino al suo e guardandolo negli occhi.
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Zuko appoggiò la fronte su quella di lei, respirando pesantemente l’odore di sangue e sudore che permeava nel rifugio.
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In risposta Katara sorride e lo baciò delicatamente sulle labbra.
Trovarono un letto matrimoniale al piano superiore e fecero l’amore per tutta la notte tra i cadaveri dei criminali in modo dolce e lento, riempiendo i silenzi di risate sommesse e gemiti e gli spazi di sguardi dolci come il miele e baci lenti al sapore di sudore e sangue.