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Autore: blackswam    06/11/2018    1 recensioni
Nella tenebrosa e spaventosa città di Garður dove il terrore e la paura dimorava nelle vene di ogni singolo compaesano, nascondeva un segreto a cui nessun riusciva a credere. I vecchi cantastorie dei paesi confinanti raccontavano storie, racconti di terrore legati a quella oscura città dove la sopravvivenza era un privilegio. Si diceva che circa un millennio fa la città fu assediato da una bestia dai terrificanti occhi rossi, una lunga coda squamosa che agitava quando era spesso irritato, un corpo enorme e un lungo collo irto di scaglie. Distrusse tutto ciò che trovò nel suo cammino, tagliando con le lunghe zampe le sue prede e mangiandole con i suoi denti appuntiti. Pochi riuscirono a sopravvivere per narrare quella vicenda, ma ancora oggi i discendenti di quei compaesani vivevano nell'ombra con l'obbiettivo di sopravvivere per un semplice scopo: uccidere quei mostri che hanno occupato la loro terra e difendere così il mondo da morte certa.
Usagi Tsukino una semplice cameriera del paese di Svalbarð si troverà imbrigliata in una storia molto più grande di lei, quando un giorno nella villa dei signori per i quali lavorava trova un piccolo uovo sepolto tra i cumuli di terreno.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Capitolo 1

La grande scoperta (I parte)

«Usagi!» mi sentii chiamare e con la mia solita eleganza con una piroetta mi voltai verso il mio interlocutore inciampando sulle mie stesse gambe. Battei letteralmente il culo sul pavimento e sforzai un sorriso tirato sperando invano che il mio viso non avesse assunto una colorazione simile a quello di un pomodoro maturo. 

Mi grattai nervosa la nuca alzandomi sotto gli occhi indagatore di Mrs. Johannssonn che con la mani suoi fianchi, mentre batteva spazientita il piede sul pavimento, mi stava incenerendo con lo sguardo. Se con un solo sguardo si potesse uccidere una persona quello era quello giusto. 

«La tua goffaggine non ha limite.» mi disse dura con il chiaro intento di offendermi. «Hai ordinato la stanza della signora come ti ho chiesto, vero?» mi chiese indurendo il viso costringendola ad abbassare il capo verso la mia figura ancora distesa sul pavimento.

Di fretta mi alzai sul pavimento che aveva appena finito di ripulire, e mi sistemai la veste cercando di darmi una sistemata. 

«Certo mrs. Johannssonn. E' tutto in ordine, proprio come lei mi aveva chiesto.» li ripetei sollevando le spalle e irrigidendo la schiena. Lei di tutta risposta mi diede le spalle dirigendosi verso la stessa direzione da dove era venuta. 

«Vai a prendere una divisa nuova, oggi abbiamo degli ospiti e tu dovrai servire il tè.» mi disse per voi voltare l'angolo che l'avrebbe portata nelle stanza della servitù. 

Sospirai lasciandomi ricadere nuovamente sul pavimento e appoggiai la spalle sul piccolo muro sopra la quale poggiava una piccola finestra. Dopo una manciata di minuti mi alzai dalla posizione seduta appoggiato i gomiti sul piccolo muretto e rivolgendo i miei due occhi verdi verso il panorama esterno. 

Un'estesa piantagione adornava lo splendido giardino, al centro si trovava una piccola fontana che ormai da tempo era rimasta spenta, mentre qualche centimetro un po' più avanti si estendeva un maestoso cancello bianco. La mia attenzione però era dedicata allo strabiliante giardino dei suoi padroni e alle splendide viole che stavano per sbocciare. 

Controllai l'ora sul mio orologio da polso e nonostante il poco tempo che mi rimaneva a disposizione per cambiarmi e sistemarmi mi diressi comunque verso il giardino e assaporai quei pochi attimi di libertà che soltanto in quel momento mi appartenevano. Era soltanto in queste occasioni che potevo ritagliare un po' di tempo per me stessa.

Mi diressi allora verso le miei amate viole abbassandomi per poterle osservare meglio da vicino. Mi rannicchiai tra le mie gambe lasciando che i ricordi del mio passato mi attraversassero la mente. 

Ritornai indietro di qualche anno, di quando ero una semplice bambina di sette anni che viveva con la sua umile famiglia nella città di Reykjavík. Ero la quarta di cinque figli e nonostante non navigassimo nell'oro eravamo molto uniti. Ricordo di sorrisi dei miei fratelli, le loro litigate per un semplice pezzo di pane, ricordo i capelli ricci di mia madre e le sue urla di disperazione quando doveva separare due dei miei fratelli da un abbuffata. Ricordo gli occhi verdi di mio padre e le sue tenere mani che mi accarezzavano la capigliatura biondina. Ricordo le ultime parole della piccola Ágústína prima di essere portata via dagli assistenti sociali. 

La separazione dai miei fratelli erano stata la cosa più difficile che aveva dovuto affrontare nella mia vita, anche dopo la tragica scomparsa dei nostri genitori. All'epoca avevo quindici anni e le uniche speranze di riponevo nella mia vita erano quelle di vivere felici con la mia famiglia, di uscire con i miei amici, di fidanzarmi per la prima volta. 

Adesso dove erano finiti tutti questi sogni? 

Avevo guardato in faccia la dura realtà e adesso nella mia mente viveva un solo desiderio. I soldi. Guadagnare abbastanza soldi per poter aiutare la piccola Ágústína e riprendermi la mia sorellina. Erano anni che non aveva avuto più notizie dei miei fratelli. Avevo sentito dire che il maggiore Bastían era stato mandato a fronte ed lui era stata ben accetto alla cosa, il secondogenito Húbert aveva iniziato a lavorare come cameriere in un prestigioso ristorante e che aveva messo su famiglia, mentre del terzo figlio Esekíel non avevo raccolto nessuna informazione. Non riuscivo a trovarlo, sembra quasi lo avesse inghiottito la terra. 

Affondai così il viso sulle gambe socchiudendo gli occhi a quei ricordi tanto cari, ma allo stesso tempo tanto dolorosi perché ero ormai consapevole che mai sarebbe ritornato come prima. 

Ad oggi l'unica cosa che sapevo era che dovevo lavorare per sopravvivere e che se non mi sbrigo rischio anche di perdere il lavoro. Mi sollevai dalla mia posizione e mi diressi verso le camere della servitù. Quando mi richiudo la porta della mia stanza dietro le spalle mi tolsi di fretta il vestito e mi infilai la divisa nuova e profumata. Controllai l'orario sull'orologio e avevo meno di tre minuti per prepararmi e scendere per andare a preparare il tè. 

Mi sistemai i capelli e li raccolsi in una coda di cavallo e aprii di scatto la porta con ancora una scarpa tra le mani. Mentre scendevo le scale che mi avrebbe portato nella porta sul retro verso la cucina mi sistemai l'altra scarpa e attenta a non farmi vedere mi fiondai nella stanza. 

Gli ospiti erano già arrivati e la signorina Johannssonn era entrata almeno tre volte per dirmi che ero troppo lenta.

«E che ci vuole a preparare un tè.» mi disse la donna ormai a i nervi a fior di pelle. Dopo la quarta volta che la donna piombava in cucina il tè era ormai pronto e mi stavo già preparando a servirlo. 

Presi il vassoio tra le mani e pregai con tutti il cuore di non inciampare come mio solito e di non far rovesciare così il tè. A mezzo respiro riesco a sopravvivere per qualche centimetro e arrivata ormai a metà strada stavo quasi per perdere l'equilibrio, ma mi riesco a rimetterei in posizione dritta e mi incammino verso il salone dove gli ospiti stavano aspettando il tè del pomeriggio.

***

Quando entrai nella sala gli ospiti erano presi in una loro conversazione che quasi non si rendono conto della mia presenza. Appoggia il vassoio sul piccolo tavolino di cristallo e a passo felpato faccio per allontanarmi, quando sento qualcosa afferrarmi il polso. Voltai lo sguardo e incontro due occhi scuri che ormai conoscevo molto bene.

«Signorino Mamoru.» dissi rivolgendomi al figlio primogenito dei padroni di casa. «Non vorrei essere scortese, ma dovrei andare a lavorare.» e gli indicai la sua mano arpionata al mio braccio. Mi lasciò la presa e convinta di essere stata lasciata in pace lascia la stanza pronta a ritirarmi nella miei camere, quando una voce mi costringe a girarmi.

«Ogni giorno che passa diventi sempre più bella.» mi sentii dire lasciandomi completamente sfacciata. Ero consapevole delle interesse del signorino dei miei confronti, ma in questi giorni era diventato ancora più sfacciato. A volta mi dedicava delle avances persino davanti ai suoi genitori. 

Distolsi lo sguardo cercando di non mostrargli quando la cosa mi dava un leggere fastidio, oltre a mettermi in un tremendo imbarazzo. Non che il signorino non fosse un bel ragazzo, anzi tutt'altro. Alto dai capelli mori e due occhi scuri. Un leggera barba accennata sul viso e un fisico asciutto. 

Era il tipo che tutte le nobildonna avrebbero voluto come marito, ma la loro erano una relazione impossibile che non avrebbe mai potuto esistere. 

Una cameriera e un uomo di buona famiglia. 

Mai persone così diverse per stare insieme. Avevamo classi sociali troppo differenti, ma soprattutto ero consapevole che per il signorino ero semplicemente un'altra preda da cacciare, un'altra donna che doveva conquistare. Un semplice modo per ammazzare il tempo. 

«Grazie mille. Se vorreste scusarmi ho del lavoro da ultimare.» e feci per andarmene quando mi intrattiene per un polso incatenando il mio corpo contro il muro con il suo schiacciato addosso. 

Abbassai gli occhi verso di lui e lo vidi sogghignare mentre con le mani mi accarezzava i capelli. Iniziò con le labbra ad baciarmi la guancia, scendendo verso la punta del mente, per poi baciarmi la mano.

«Non farei mai niente senza che non lo voglia anche tu.» disse incrociando il suo sguardo con il mio. Forse erano solo la mia immaginazione, ma in quel momento sembrava maledettamente serio. 

Potevo sentire il mio viso andare in fiamme mentre i battiti del mio cuore aumentare ad ogni minuto. Lo allontanai con le mani e riesco a liberarmi dalla sua presa.

«Con permesso.» gli disse avanzando il passo non voltandomi mai indietro. Dovevo andarmene da quel corridoio. Dovevo darmi una regolata. Lui sta solo giocando con te, mi ripetei come un mantra.

Lui sta solo giocando con te...

***

Erano ormai le sei di pomeriggio quando afferrai la scopa tra le mani - che avrei dovuto utilizzare per spazzare il giardino - ma che invece sbattevo da una parte all'altra trascinandola in un movimentato e pazzo balletto. Sentii la musica attraverso la mia mente, e iniziai quindi a vagare nell'immaginazione. 

Mi ritrovavo nella mia vecchia casa, indossavo un lungo vestito bianco che mio padre mi aveva comprato per i miei dieci anni e con i piedi nudi danzavo per la casa. Ridevo, ridevo come un pazza e i miei fratelli non potevano che assecondare la mia pazzia e iniziarono anche loro ad essere coinvolti in questo turbine di energia. 

Bastían mi prese la mano e mi fece volteggiare, mentre Esekíel teneva tra le braccia la tenera Ágústína. Era tutto così meravigliosamente favoloso. Peccato che una voce mi riportò alla mia vera vita.

«Stai di nuovo vagando con la tua immaginazione?» e mi voltai verso la fonte di quella voce. Una ragazza dal viso minuto coronato dai due occhi celesti, e dei folti capelli rossi rendevano il suo volto ancora più grazioso. Indossava la mia stessa divisa, soltanto che a lei aderiva perfettamente con il suo fisico asciutto e snello. 

«Ami!» esclamai sorridendo alla mia amica da almeno quattro anni da quando aveva iniziato a lavorare per la famiglia Einarsson. Ami era sempre stata come una sorella. Una persona dall'animo buono, che ti ama nonostante conosca tutti i tuoi difetti. Era una di famiglia ormai non potevo fare almeno senza di lei.

«Quando la smetterai di navigare nella fantasia? Vuoi che la vecchia signora Johannssonn abbia un buon motivo per prendersela con te?» e sospirai alle sue parole. Eccola: la sua solita ramanzina.

«Si capo, come dice lei capo.» le dissi non nascondendo una piccola risate. La vidi mettere il broncio che non durò molto e dopo tre secondi scoppiamo entrambe in una grossa risata. 

«Signorine non veniamo pagate per perdere tempo. A lavoro!» ci richiamò la signora Johnnssonn facendoci sobbalzare. 

Incredibile quella donna è ovunque, pensai e guardai Ami di sottocchi vedendo che anche la mia amica stava trattenendo a stendo le risate. 

Una volta liberate della perfida signora Rottemaier ci dedicammo un piccolo periodo di paura e passammo le ore intere a parlare sulla panchina. Con Ami si poteva parlare davvero di tutto. Ti ascoltava con piacere, e anche se a volte mi perdevo nei miei stessi deliri lei rimane comunque ad ascoltarmi. Iniziai a raccontarle delle miei pessima figura davanti a Mrs. Johnnssonn e di come stavo quasi per far cadere il vassoio del tè davanti ogni ospiti della padrona. Adesso smettere di ridere fu impossibile. 

«E poi cosa hai fatto?» mi chiese asciugandosi una lacrima dal viso.

«Niente ho posato il vassoio sul tavolino e me la sono svignata alla velocità della luce.» le dissi. A quell'ultima spiegazione fermai la mia risata e inizia a torturarmi le mani. Non le avevo ancora detto di Mamoru. Non vorrei che si facesse un'idea sbagliata nei miei confronti. Non che fosse successo qualcosa, e mai succederà e solo che... non ero pronta.

Le sorrido massaggiandole i capelli rossicci con le mani, mentre lei si rilassa beandosi di quella tenue pace. La parte che più mi piaceva di lei era proprio la sua tranquillità, il suo essere riflessiva in tutto ciò che faceva. 

«E arrivato il momento di rientrare. Si sta facendo buoi.» mi fece notare la mia amica. Sollevai il mento facendole cenno di andare avanti senza di me, mentre io rimasi seduta sulla piccola panchina di legno ad osservare i tenui raggi di luna accarezzare con la sua luce il terreno.

Socchiusi gli occhi dedicando la sua totale attenzione al dolce suono della notte. Accavallai le gambe appoggiandoci sopra le minute mani. Quando riaprii gli occhi mi rendono conto di aver urtato qualcuno con i piedi e mi abbassai per vedere l'entità dell'oggetto. 

Mi sorpresi di quello che stavo vedendo. Quello era un uovo. Le sue dimensioni erano troppo elevate per essere quelle di una gallina, o di una tartaruga. Lo afferrai con le mani e lo nascondo con la giacca che mi era premurata di portare. 

Mi diressi verso la mia stanza, ma quando iniziai a camminare mi sembrò che qualcosa si muovesse all'interno dell'uovo. 

Sarà una mia impressione, ragionai non vedendo alcun tipo di movimento e mi ritirai nella mie camere.

  
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