Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |       
Autore: E u r eka    14/07/2009    5 recensioni
Hinata è una famosa ballerina di danza classica, Naruto un pittore fallito. Potranno due persone così diverse incontrarsi e scoprirsi profondamente legate l’una all’altra?Sarà possibile per Hinata capire ciò che già sa nel suo cuore, ricordare ciò che aveva dimenticato?Riuscirà Naruto a farle comprendere che la fama non è tutto?Un pittore sfortunato e una ballerina di successo. I loro mondi così diversi potranno venire a contatto tra loro ed incrociarsi?Due destini uniti, in un gioco di scacchi dove il fato prende le redini...Chi vincerà?
Prima classificata al "Contest: Maybe A Dream" indetto da keli
Genere: Generale, Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Balla

 -

 -

“Quando sarò grande
farò il pittore
e saprò ritrarre con i miei colori
il mondo che mi circonda.
E dopo aver eguagliato con le mie tele quelle dei grandi maestri,
 me ne andrò lontano,
 in un luogo dove la voce del mondo non possa raggiungermi;
là, in mezzo agli alberi e alla natura,
 innalzerò una piccola capanna
dove mi ritirerò a dipingere,
 solo con me stesso.”

 -

 -

Parole di un bimbo dai riccioli d’oro, la carnagione rosea e delicata e occhi azzurri come fiordalisi, un moccioso ridente e sbarazzino, imbronciato e con lo sguardo perso nel sogno.
Un bambino felice.
Ma questo era tanto tempo fa, prima che tutto accadesse, prima che tu morissi abbandonandomi, vero mamma?
Riesco a vederti mentre scuoti la testa e i ricci rossi ti ricadono sul viso, coprendo il tuo volto di eterna bambina.
Forse è stata una fortuna che tu sia morta..
Forse Dio non ha voluto che il tempo deturpasse la tua bellezza e la tua fresca giovinezza, preservandoti prima che i suoi effetti si facessero vedere. Ha voluto mantenere intatto il tuo fuoco prima diventasse cenere.
Mi sorridi e ridi, con quella tua risata limpida e gioiosa che ti fa brillare gli occhi. Sono passati tanti anni, ma non l’ho ancora trovato sai?
L’ho cercato dappertutto, negli occhi di ogni donna che ho incontrato, ma non sono riuscito a scovarlo.
Pensavo che Sakura fosse quella giusta..Aveva anche gli occhi verdi, non come i tuoi naturalmente, più vicini alla giada che allo smeraldo. Credevo di aver visto giusto con lei, ma evidentemente mi sbagliavo.
Mi ha lasciato, abbandonato e mollato senza riguardi. Così su due piedi. Ha semplicemente gettato la spugna.
In fin dei conti sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma ho sempre sperato fino all’ultimo che non accadesse e che imparasse ad accontentarsi come ho fatto io, ad adattarsi alla vita “normale”. Ripeto, avevo fatto male i conti. Anzi, a dirla tutta non avevo affatto previsto che il motivo della nostra rottura sarebbe stato un bastardo.
Già, perché Sasuke Uchiha, il famoso pianista, era quello. Niente di più né di meno. Con un colpo solo si era fregato la sua vita il bel moro dagli occhi tenebrosi. Fidanzata e successo.
Anche se la perdita dell’ultimo non lo tangeva più del dovuto né urtava in alcun modo la sua placida vita di pittore fallito.
Infatti, sebbene da piccolo fosse stato il suo sogno quello di diventare un grande pittore e di rivaleggiare con maestri del calibro di Leonardo e David, non gli era mai importato nulla né della fama né della ricchezza che ne sarebbero derivate.
Perché interessarsi a qualcosa di così effimero e illusorio?Certo la prospettiva di soldi e agi a volontà avrebbe fatto gola a chiunque, ma non a lui.
Naruto era un artista e come tale era abituato ad osservare con occhio critico e imparziale il mondo che lo circondava, andando oltre le mere apparenze.
Benessere, prosperità, fortuna…Tutte sciocchezze. Chi ci credeva più a quelle cose?Di certo non lui.
Aveva smesso di credere al destino, fato, sorte o quant’altro parecchi anni fa. A nove anni per la precisione quando un banale incidente si era portato via ciò che amava di più al mondo, strappandogli così il cuore. Eppure aveva amato Sakura.
Si, l’aveva amata e per un breve istante era stato ad un passo dal prometterle la vita che sognava, chiederle di aver fiducia in lui e di attendere pazientemente ancora per poco, ma l’aveva persa. Sakura non si era mai fatta distinguere per la virtù della pazienza, tutt’altro. Con quel carattere manesco ed irruente, così appassionato e incontenibile, aveva tentato in tutti i modi di cambiarlo e questo non era possibile, né concepibile.
A Naruto piaceva la propria vita, andare vagabondando per la campagna senza alcuna meta o destinazione precisa, sostare dove il suo senso artistico trovasse motivo di ispirazione, eseguire ritratti ai passanti, nella libertà più completa senza impegni o secondi fini a frenarlo in alcun modo.
Non c’era un perché né un come e perché mai avrebbero dovuto esserci?
La sua vita gli piaceva e basta. Lo faceva sentire in pace con se stesso e con il mondo intero, ma soprattutto in quel modo gli sembrava di vedere nell’intimo di ogni persona e di ogni cosa, là dove erano riposti i segreti del cuore umano.
Sai cos’è quello che mi fa più rabbia, mamma?Ieri per caso ho acceso la radio, sì finalmente ho deciso di comprarla.
Ah no scusa, è stato un regalo di Sakura. Comunque ti dicevo, dopo mezz’ora sono riuscito ad accendere quel piccolo apparecchio tutto fili e bottoncini.
Che dire?E’ nato per fare il pianista quello lì, come io sono nato “per donare il sorriso alle persone”.
E’ così che dicevi sempre, no?
Era vero, pensò ricordando.
Erano sgorgate note fresche e dolci, ora veloci ora lente che avevano riempito da sole il vuoto della stanza. L’armonia dolce e malinconica prodotta da mano ferma e calda, l’aveva guidato come per un sentiero immaginario, nei meandri del sogno.
Seguendola, si era ritrovato in giardini freschi e profumati, rallegrati dal sorriso di mille fiori diversi, in saloni sontuosi in cui si aggiravano a suon di valzer o di minuetto cavalieri e dame d’un tempo lontano. La musica era continuata e la rete tenue dell’illusione non si era spezzata. Le note si erano fatte più vive e ardenti, come se fossero state uno scoppio di passioni e di sentimenti, per poi diventare leggere e nostalgiche. 
Gli era sembrato di udire il canto del mare, quando l’onda si allarga sempre più e viene ad infrangersi sulla scogliera, con un suono melodioso e prolungato. Le ondate si erano susseguite mentre il brano procedeva, finché il tono era cresciuto d’intensità e ricaduto risuonando a lungo.
Un ultimo accordo d’arpa aveva accompagnato il finale, poi tutto si era spento.
Il maledetto si meritava davvero quello che aveva conquistato. Perfino lui avrebbe voluto essere trasportato di nuovo nell’irreale da quelle note chiare e brillanti, patetiche e gioiose, le arcane voci degli angeli. Naruto scosse leggermente la testa, come per scacciare quei pensieri molesti e con un gesto stanco si passò le dita fra i capelli spettinati, arruffandoli ancor di più. 
Un vento gelido percorse il cimitero, serpeggiando tra le tombe e le lapidi, arrivando fino a lui. Lo carezzò a lungo, dolcemente e con dita gentili, sussurrò al suo orecchio meste parole incomprensibili, poi così com’era arrivato se ne andò, spostando la sua attenzione altrove, pronto ad allietare con il suo canto e a raccontare con i suoi sussurri dolenti la propria solitaria storia, a svelare i segreti che custodiva nel proprio pianto infinito a qualcun altro.
“Credo sia il caso che io vada…” mormorò sottovoce.
Si piegò sulle ginocchia e sfiorò con le mani la lapide di fronte a sé sorridendo tristemente.
Aprì il cappotto scuro che indossava, prendendo dalla tasca interna un piccolo fiore avvolto nella carta trasparente che poggiò con delicatezza sul marmo grigio.
Un bucaneve, il suo preferito.
Alzò lo sguardo al livello della lastra ed incontrò quello indulgente di sua madre ed il consueto sorriso affettuoso.
Con gli occhi appannati e un groppo alla gola lesse l’incisione “Kushina se trouve ici, ne jamais oublier, jamais aimé”.
Stirò le labbra in un ultimo sorriso stentato e raddrizzò la schiena, scattò in piedi e prendendo il borsone di fianco a lui se lo mise in spalla.
“Ci vediamo il mese prossimo allora…Ciao mamma.”
Voltò le spalle alla tomba e si incamminò nella direzione opposta, senza osservare dove stesse andando, la sicurezza consumata da chi conosce a memoria la strada che sta percorrendo e non potrebbe perdersi neanche per sbaglio o procedendo ad occhi chiusi.
Le spalle curve, i passi lunghi e cadenzati, tutto intorno a quella figura nera, cupa e misteriosa nel suo atteggiamento chiuso, era immobile. Il vento non soffiava e l’aria era ferma, fissa nella sua inerzia. Perfino la natura sembrava comprendere i sentimenti di quel suo figlio e intimava alle altre sue creature il silenzio, per rispettarne il dolore.
Sarebbe passato mai quel sordo rimbombare nel suo animo?La tortura a cui la sofferenza lo sottoponeva ogni mese straziandolo?
Forse un giorno avrebbe smesso di attribuirsi colpe che non aveva e di sentirsi responsabile, ma quel giorno era ancora lontano e lui mal sopportava stoicamente quel supplizio.
Affrettò  l’andatura ed attraversò il cimitero velocemente. Superò busti di pietra ed angeli dalle ali spezzate, fantasmi di epoche ormai decadute e dimenticate.
Scese i gradini di pietra e sorpassò le tombe di grandi poeti ed artisti gremite di turisti, senza degnarle di uno sguardo. Primo dei cimiteri civili di Parigi, e anche il più grande, Père Lachaise Cemetery era insieme a costruzioni del calibro di Notre-Dame, il Louvre e la Torre Eiffel, una delle mete più frequentate e visitate*, grande quasi quanto una piccola città.
Per seppellire lì sua madre, la sua famiglia aveva speso una fortuna e lui si ritrovava ancora a pagarne i mutui, ma non gli interessava. Per lei avrebbe fatto questo e altro.
Dopo dieci minuti di camminata si ritrovò finalmente in prossimità dell’uscita. Percorse Père Lachaise Avenue, un lungo viale alberato, quasi correndo e si precipitò all’uscita. Solo dopo che gli imponenti cancelli di ferro battuto si furono richiusi dietro di lui, ricominciò a sentire il proprio cuore ritornare a battere più lentamente ed il respiro farsi più tranquillo, normale.
Inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante e carica di pioggia di quella mattina e si avviò verso la fermata dell’autobus, controllando l’ora sull’orologio al polso. Erano le otto e ventitré e l’autobus sarebbe passato fra qualche minuto. Si sedette stancamente sulla panchina e si mise ad aspettarlo; era impaziente di arrivare ai giardini il prima possibile. Con quel tempo pazzo, com’era naturale considerato il fatto che fosse marzo, doveva cogliere ogni momento buono per dipingere. Fece un rapido conto. Era il 15, gli erano rimasti meno di 100 euro e doveva ancora pagare le bollette del gas e della luce. Per il cibo non si preoccupava, c’era sempre nonna Tsunade in fondo.
Guardò di sfuggita l’orologio. Otto e ventisei. E dire che lui li odiava gli autobus. Li vedeva come degli usurpatori, gli aggeggi infernali che avevano rubato il lavoro ai tram, soppiantandoli. Ricordava con nostalgia il loro sferragliare rumorosamente sulle rotaie e quel petulante, ma allegro campanello. Quelle rotaie, ai suoi occhi di bambino, lo rendevano importante come un treno e le scintille che si sprigionavano dall’asta, a contatto con i fili dell’energia elettrica, erano uno spettacolo divertente. 
Erano ricordi della sua infanzia, momenti spensierati e meravigliosi in cui sua madre era costretto a tirarlo ogni volta per la mano o a prenderlo in braccio. Quante volte aveva rischiato di essere investito?Era tutto finito però e la scomparsa di quel suo amico, su cui aveva provato le prime emozioni di viaggio, era stata decretata dal traffico tormentato e troppo intenso.
Ora c’erano gli autobus, veloci e silenziosi, dall’aspetto gelido, come di grosse lucide bestie meccaniche che ingoiavano gli uomini. Quel suo andare veloce che faceva sbattere di qua e di là la gente non era proprio, per niente, piacevole e gli dava invece l’impressione di essere un pacco da portare a destinazione. Il vecchio e caro tram invece aveva un modo di fare più garbato e saggio, anche più cortese. Di lui ora restavano solo quelle rotaie vecchie, ma presto sarebbero state tolte anche quelle.
Che rimaneva di quell’era giocosa quindi?Niente, a meno dei ricordi, pallida memoria di cose lontane.
Otto e trenta. L’aggeggio infernale si fermò di fronte a lui proprio in quel momento, efficiente e in perfetto orario come al solito.
Salì veloce e rimase in piedi, mantenendosi al corrimano di alluminio per non cadere a terra, appena quello ricominciò a camminare.
Due fermate. Sarebbe sceso a metà di Avenue des Champs-Élysées e da lì sarebbe arrivato a piedi ai Jardin du Luxembourg, passando per Boulevard Saint-Germain, Bd Raspail e infine Bd du Montparnasse. Una semplice e piacevole passeggiata di 5 km…Ok impossibile….
Avrebbe preso un taxi. No, costava troppo. Magari avrebbe trovato qualcuno con cui dividerlo..
D’accordo avrebbe deciso del da farsi sul momento. Aveva scoperto da tempo che nei mezzi pubblici era più utile mantenersi distanti ed occupati. Anche semplicemente osservare qualcuno creava problemi ormai. Volse gli occhi al di fuori del finestrino, ammirando il viavai di gente e le strade caotiche.
Non poteva sapere Naruto che quel giorno sarebbe arrivato a destinazione molto più tardi rispetto a quanto avesse creduto, bloccato da un problema, un piacevole problema.

 

 

*

 

 

“Mi scusi, non può andare più veloce?”
Comodamente seduta sui sedili di pelle nera della vettura, basco nero calato sulla ventitré e gambe accavallate, la ragazza che aveva appena posto quella domanda cominciò ad attorcigliarsi una lunga ciocca dei capelli scuri intorno all’indice.
Aveva il viso piegato leggermente verso il finestrino e gli occhi puntati, sebbene nascosti dalle lenti scure dei grossi occhiali da sole Chanel, verso il conducente mentre aspettava una risposta.
“Signorina mi dispiace, ma siamo bloccati nel traffico. Vuole che chiami un’altra vettura che la accompagni all’Opèra?”
Il tono non era stato scortese e Hinata non se la sentì di rispondergli in alcun modo. Dopotutto la colpa non era di quell’uomo, ma sua che quella mattina aveva fatto tardi.
Tutto a causa della stupida festa a cui era stata trascinata a forza  da Ino e che si era protratta fino all’alba. Aveva appena avuto il tempo di tornare a casa, farsi una lunga doccia fredda e spalmarsi di creme per aver un aspetto quantomeno decente, cercando di alleviare le profonde occhiaie che le cerchiavano gli occhi, simili a lunghi lividi. Ino, previdente, le aveva mandato il suo parrucchiere di fiducia, il miglior styliste della capitale, davvero in gamba visto che era stato capace di domare in appena un’ora e mezza la matassa informe e ingarbugliata che aveva al posto dei capelli che ora le scendevano invece lisci e serici come seta sino alla vita. Per i vestiti invece era stato tragico. Non si era mai accorta di averne tanti e tra 450 capi tutti d’alta moda aveva perso ben più di dieci minuti.
Insomma era scesa giusto in tempo, ma ad un orario decente che le permettesse di arrivare prima di molti altri colleghi.
In vita sua non era mai stata un tipo sfortunato, ma neanche particolarmente fortunato.
Quella mattina di metà marzo però, si ritrovò a pensare che qualcuno lassù doveva avercela con lei. Ciò che le stava succedendo infatti non era minimamente possibile, né concepibile. Che alla prima limousine si rompesse il motore era plausibile. Certo non le era mai successo, ma dovevano essersi dimenticati di controllarla. Sulla seconda con l’autista sbronzo non ci era nemmeno salita, ma adesso quando lo chauffeur, rivolto verso di lei, andò a sbattere contro la macchina di fronte, si disse che qualcosa non andava. Era impossibile, matematicamente impossibile e scientificamente provato, che un tale ammasso di sfortuna la colpisse tutto in una volta. Proprio quel giorno, quello con la conferenza..
Gemette e si portò una mano al viso, mentre sentiva il guidatore davanti a loro cominciare a gridare contro il suo autista. Non poteva andare peggio di così…
Le ultime parole famose. Nello stesso istante il suo cellulare cominciò a squillare insistentemente e dopo pochi secondi l’abitacolo della vettura si riempì delle note di una canzone de “La carica dei 101”.
Crudelia De Mon
Crudelia De Mon
Farebbe paura
persino a un leon
Al sol vederla
muori d'apprension
Crudelia Crudelia De Mon

Forse come musichetta del cellulare poteva sembrare un po’ infantile, ma lì sul momento le era sembrato l’unico modo per riconoscerla senza controllare il numero, anche perché il nomignolo affibbiatole le appariva ogni volta stranamente distorto.
Forse perché sei cieca come una talpa…
Accidenti! Per chiamarla lei doveva essere davvero in ritardo..
Mentre cominciava il ritornello, Hinata si decise a tirare fuori dalla borsa di matelassé nera il suo iphone ultimo modello e ad accettare la videochiamata.
Sul display del cellulare troneggiava la figura altera della sua aguzzina, il despota che la tiranneggiava ormai dalla veneranda età di cinque anni.
Indossava il completo serioso, come amava definirlo, che consisteva in una camicia di seta color vinaccia con ampie maniche e polsini bloccati con bottoni d’argento a metà avambraccio, infilata in una stretta gonna di raso nera. Un pendente a forma di camelia viola, in oro bianco e ametista, scendeva dolcemente nella profonda scollatura, aperta appena in un gioco “vedo non vedo”.
I vaporosi capelli biondo cenere erano tirati in un austero chignon con la fila laterale, il bavero inamidato della camicetta ben alzato intorno al collo sottile. Tutto a conferire a quella donna dal fascino e dalla bellezza innegabile un aspetto severo e rigido, inflessibile, come lo sguardo che incrociò.    
Un lungo secondo di silenzio e poi fu investita dalla urla furibonde di Ino Yamanaka, sua migliore amica nonché famosa autrice di romanzi rosa, cinica, sfrontata e spudorata, una di quelle rare persone senza peli sulla lingua.
“SI PUO’ SAPERE CHE FINE HAI FATTO??SARANNO TUTTI QUI A MOMENTI!”
“Ino..” pigolò lei cercando una via d’uscita in quella situazione, ma senza trovarla. E intanto l’altra continuò a gridarle contro, abbassando appena il tono di voce, “Proprio oggi dovevano venirti le manie da protagonismo?Oggi che c’è il meeting?”
Finalmente Hinata trovò il coraggio di risponderle; con un movimento fluido della mano si tolse gli occhiali e piantò i suoi occhi grigi in quelli blu oltremare dell’altra.
“Non puoi neanche immaginare cosa mi sia successo da quando sono riuscita a tornare a casa stamattina!L’appartamento era vuoto!Vuoto, capisci?E come se non bastasse il fatto che l’acqua calda non c’era e il frigo fosse vuoto, la limousine si è rotta. Ma no, aspetta, non finisce qua! La seconda aveva l’autista sbronzo e la terza è andata a sbattere contro una macchina! E tu vieni a dirmi che mi comporto da prima donna!?”
Durante tutto il suo breve sproloquio Hinata non aveva ripreso fiato e si ritrovò con il respiro spezzato e le guance chiazzate di rosso, sgonfiata come un palloncino. Sentiva la testa leggera..
Ino, dallo schermo del telefono, invece la guardò come se si fosse improvvisamente messa a ballare con l’hula hop. Accanto a lei fece capolino la testa scura della sua manager che aveva assistito a tutta la scenata e la guardava tra il faceto e il divertito. Ok, che Ino urlasse come una scaricatrice di porto era cosa di normale amministrazione, ma che anche Hinata, la raffinatissima pupilla della sua agenzia, si mettesse a fare acuti e a strepitare, era qualcosa di preoccupante e stava a significare soltanto una cosa: la sua protetta aveva raggiunto un pericoloso punto di rottura. Se n’erano accorte da tempo ormai: era stanca, distratta e questo per una persona come lei, abituata a dare sempre il massimo e ad impegnarsi costantemente, era molto strano.
“Wow..” riuscì finalmente a dire Ino, sbattendo gli occhi, abilmente truccati e illuminati da un ombretto porpora, un paio di volte e sostituendo all’espressione sbigottita una semplicemente stupita e preoccupata.
“Ehm tesoro forse sei un po’ stressata, vuoi che Kurenai sposti la conferenza a domani?”
Spostare la conferenza?In quel modo avrebbe avuto la giornata libera in teoria, ma sapeva bene che in realtà l’avrebbe trascorsa in teatro a provare…
Come leggendo nei suoi pensieri Ino arcuò leggermente le sopracciglia e le sorrise maliziosa e radiosa. “Niente prove tranquilla..Oggi avrai una giornata tutta per te. Torna a casa e riposati, oppure esci e divertiti. Te la meriti.”
La vide bisbigliare qualcosa a Kurenai che si mise a ridere e poi si voltò nuovamente verso di lei.
“L’unica raccomandazione che ti facciamo è di non perderti e portare dei contanti con te. Non vorrei offenderti cara, ma l’ultima volta che sei uscita ti abbiamo ripescata due ore dopo circondata da una folla urlante e scalpitante.” La sua espressione divenne irritata e proseguì “Non vorrei neanche puntualizzare, ma per tirarti fuori di lì mi sono beccata un pugno in uno occhio e il livido è rimasto per due settimane. Due settimane rinchiusa in casa!Riesci a comprendere il supplizio?” Si portò una mano al cuore e l’altra con il dorso sul viso rivolto verso l’alto, gli occhi chiusi.
Che attrice..Da oscar..
Immaginava che..ehm..atroce sofferenza fosse stata per Ino non uscire, ma era stato necessario. Chissà che scalpore avrebbe causato facendosi vedere con un occhio tumefatto. Prevedeva già lo scandalo e lei per prima sapeva meglio di chiunque altro cosa potesse causare e significare in una carriera. Anche una singola sciocchezza come quella avrebbe potuto mandare in fumo anni e anni di duro lavoro, come sporcare una fedina penale precedentemente senza macchie.
L’ematoma di Ino, rinomata per la sua fama di accalappiatrice e adescatrice di uomini ricchi e affascinanti, sarebbe tranquillamente passato come naturale ripercussione delle sue cattive abitudini. 
Dopotutto “chi di spada ferisce, di spada perisce”. Quando si prefiggeva di conquistare qualcosa o qualcuno, Ino non guardava in faccia nessuno ed era capace di abbattere ostacoli di qualsiasi tipo, comprese fidanzate recalcitranti ad abbandonare i loro compagni o spose all’altare. Eh già, perché l’ultima conquista della sirena bionda era una vecchia fiamma, molto vecchia, dato che risaliva alle scuola medie.
Ino aveva deciso all’improvviso, forse guardando vecchie foto, cosa piuttosto improbabile, o più credibilmente controllando lo scrigno, pardon baule, delle memorie, vale a dire doni, omaggi e quant’altro elargitole nel corso degli anni dai vari partner, che avrebbe recuperato l’amore e i regali del plurimiliardario giapponese Shikamaru Nara e poco importava se il suddetto uomo era a due settimane dal compiere il grande passo. Proprio così. 
Dopo battibecchi furiosi, litigi e buffe, il matrimonio era saltato e lo sposo si era convinto di essere ancora profondamente legato all’ex ragazza, di cui peraltro non conservava alcun memoria.
Che dire della sventurata sposa abbandonata così infelicemente all’altare?Niente, sennonché in un impeto di gioia assai difficile a comprendersi, aveva abbracciato colei che le aveva mandato all’aria le nozze.
Bah, le stranezze della vita..
E così ora Ino si era trovata una preziosa e quanto mai utile alleata, gradita compagna di giochi e passatempi, un’anima affine alla sua. Temari Sabaku, statuaria e bionda come una dea greca e con occhi pece pronti a incenerire chicchessia, aveva allegramente abbandonato il tetto paterno e il Giappone, trasferendosi nella libera metropoli francese e si era subito immersa nella Borsa Internazionale, investendo i suoi modesti risparmi nel campo delle finanze con ottimi, se non brillanti, risultati.
In pochi mesi era riuscita a rendersi completamente indipendente e con quel fiuto per gli affari che era proprio della famiglia d’origine, i suoi guadagni erano aumentati e cresciuti proporzionalmente alla sua reputazione, cancellando la sua nomea di fidanzata sfortunata e disperata e trasformandola in quella di brillante donna in carriera.
E intanto Ino aveva smesso di cambiare uomini con la stessa frequenza delle borse, trovando molto più redditizio e conveniente approfittare a tempo indeterminato delle grazie e delle virtù del fidanzato e delle risorse pressoché illimitate della Nara’s Company.
Unendo al danno la beffa, il disgraziato si era visto non soltanto oggetto di brame indescrivibili e imprigionato nelle grinfie di un’arpia, ma anche descritto dai quotidiani e dalle riviste scandalistiche come crudele e spietato millantatore che aveva spezzato il cuore ad una perla come la Sabaku, e allo stesso tempo favorito e baciato dalla sorte per aver domato l’ammaliante e seducente incantatrice della capitale.
In un colpo solo, imprigionato nelle reti della donna e senza aver alzato un dito, aveva cominciato ad essere descritto ovunque come un casanova e rubacuori, un vero e proprio libertino senza freni, capace con quell’espressione svogliata e al contempo indifferente sul volto di far cadere ai propri piedi qualsiasi donna.
Se la sua “quasi” moglie si era limitata ad un’azione legale per diffamazione e a rubargli i migliori investitori, la sua attuale fidanzata non era stata tanto amabile e premurosa e gliele aveva cantate di tutti i colori.
Ancora portava i segni del massacro nascosti dai suoi eleganti completi Armani.
Ino, bella quanto furba, era stata tanto accorta e prudente da non colpirlo in punti visibili, cosicché nessuno potesse osservare ciò che le sue gentili manine gli avevano procurato.
Lo sventurato sopportava con stoica pazienza le strizzatine d’occhi, ogni battutina maliziosa o pacca sulla spalla, perché anche se avesse voluto confessare il suo stato di vittima soggiogata al volere della donna, chi gli mai avrebbe creduto?
Eppure Shikamaru aveva trovato, insieme a tanti guai e disgrazie, anche un’amica sicera, partecipe del suo dolore ed esposta come lui al carattere volubile e suscettibile di Ino. Tutto il contrario di Ino, tanto da chiedersi come potessero così diverse essere tanto intime, Hinata Hyuga aveva solleticato la sua curiosità ed acceso il suo interesse. E la fidanzata, invece che prenderlo a pugni come al solito, sue bizzarre dimostrazioni d’affetto, era stata ben felice di soddisfarlo e di dare risposta alle sue domande.
C’era stato un lampo di orgoglio, mentre decantava le lodi e i pregi della sua amica, biasimandola contemporaneamente per il suo carattere introverso e discreto e lui aveva cominciato a interrogarsi su chi fosse quella donna riservata e misantropa con cui scambiava sempre poche parole tra uno spettacolo e l’altro all’Opéra, che aveva accettato anni e anni di soprusi e angherie dalla sua deliziosa compagna tacitamente e con rassegnazione e che vedendola arrivare sorrideva sempre allegra, con quel luccichio misterioso negli occhi e senza ombra di malizia.
Nei mesi successivi, mentre la sua relazione con Ino procedeva a grandi vele, era stato semplice e istintivo conoscere la sua migliore amica e arrivare ad un livello di comprensione sconosciuto alla sua adorabile metà.
Era stato Shikamaru ad avvisare Ino e a metterla in guardia sulla salute della ragazza, a consigliarle di parlare alla sua agente affinché ne limitasse il lavoro. 
Con sguardo attento Shikamaru aveva sempre pensato, sin dalla prima volta che aveva visto Hinata, che dietro quel suo incantevole aspetto di ninfa dei boschi, si nascondesse un fisico esile e fragile e una salute delicata e Ino, dando ascolto agli accorti e saggi avvertimenti dell’uomo, aveva cercato di provocare una reazione nell’amica e di smuoverla dalla posizione in cui si era cristallizzata nell’unico modo che conosceva. 
Gli inviti a cene, feste ed eventi mondani erano aumentati a vista d’occhio, tanto che Hinata si era ritrovata la cassetta della posta sommersa di lettere e praticamente costretta a prendervi parte.
Ma partecipare attivamente ai ricevimenti dell’alta società non era stato un bene e non aveva fatto altro che acuire il suo senso di insoddisfazione e repulsione verso quel mondo frivolo, sofisticato quanto finto, superficiale e capriccioso. Il tedio per quella vita vuota era aumentato, mentre lei era diventata succube della notorietà di cui ormai godeva non solo a Parigi, ma anche nel resto nel mondo ed incapace di occuparsi da sola di sé. 
Cose semplici e basilari come prepararsi un pasto, asciugarsi i capelli o anche vestirsi erano ormai sfumature tenui e lontane di una vita che non esisteva più perché semplicemente non era più sua.
Come Shikamaru le aveva predetto, Ino ne aveva osservato progressivamente il lento deterioramento. Oppressa dalle responsabilità e dagli obblighi, la squisita dolcezza e la sincera cortesia di Hinata erano state plasmate fino a diventare costrutto artificioso di un altresì costrutta identità. Come poteva confondersi l’ingenuità con l’astuzia, la mitezza e la moralità con spocchiosa alterigia e superbia?Da semplice ragazza qual era, era stata plagiata e trasfigurata in una figura dalle fattezze irreali con conseguenze disastrose per il suo carattere sprovveduto e inesperto. Hinata, ferita da tali bassezze e menzogne, tradita nella fiducia di cui aveva sempre dato prova, si era fabbricata un sistema protettivo basato su un limitato numero di certezze e sicurezze e si era rinchiusa in esso. La danza, da coronamento di un sogno di bambina, era diventata semplice lavoro. Nessun piacere nel ballare sulle note di musiche stupende e a stretto contatto con grandi artisti. A che pro emozionarsi?Per essere nuovamente ferita o per ricevere nuove pene e dolori?
Alla bravura e alle sue lampanti capacità erano allora subentrate la professionalità e la serietà per le quali ora era ancor più lodata e approvata.
Eppure a memoria di quelle accuse infondate che avevano un tempo messo in discussione la sua preparazione, rimanevano cicatrici invisibili, segni indelebili, tracce pronte a ricordarle ciò che si era ripromessa anni or sono.
La fama, il successo, la gloria prima di tutto.
Conclusa la telefonata con Ino, Hinata sospirò e lanciò una breve occhiata all’orologio tempestato di diamanti stretto al suo polso sottile. Otto e quarantacinque.
Aveva la giornata libera, ma come l’avrebbe trascorsa?E soprattutto dove?Tornare a casa era impensabile. Ora ricordava vagamente di aver concesso la giornata libera ai domestici e non aveva alcuna intenzione di tornare agli appartamenti che davano sulla Senna. Erano sigillati da anni ormai, anche se una donna aveva ordine di tenerli funzionanti e in ordine in qualsiasi momento. Che fare dunque?
Le urla in francese dei due uomini si erano fatte più alte e di lì a poco la vettura sarebbe stata circondata di persone. Quando si trattava di vedere persone litigare la gente era particolarmente ricettiva le aveva spiegato Ino e presto bene o male avrebbero iniziato a domandarsi chi andasse in giro in limousine. Di sicuro qualcuno che fosse abbastanza ricco da potersi permettere un lusso del genere: un politico o una celebrità.
Dal finestrino vide alcune persone dai marciapiedi fissarla insistentemente. Si voltò verso il suo autista e poi di nuovo verso quelle persone. Sospirò e scosse leggermente la testa, mentre prendeva il telefonino, la borsa e i suoi inseparabili occhiali da sole. Sistemò meglio il cappello ed aprì lo sportello. La prima cosa che i passanti, fermatisi ai bordi dei marciapiedi per assistere alla scena, videro, furono bassi stivaletti di pelle con lacci sul davanti e lunghe e snelle gambe fasciate in pantaloni di velluto scuro. Le calzature, piccole come se a indossarle fosse una bambina di nascosto dalla madre, toccarono l’asfalto e vi si aggrapparono saldamente, come in cerca di un appiglio. La mano candida, quasi non vedesse la luce del sole e non ne sentisse il calore da tempo che uscì, si assicurò alla fiancata dell’auto e Hinata si alzò, protetta ai pericolosi occhi del mondo dalle lenti degli occhiali, a celarle il viso come una maschera sino al naso, impeccabilmente francese, piccolo e con la punta all’insù. Visibile solo la bocca dalle labbra sottili, lucida e rossa come una ciliegia.     
I lunghi capelli d’ebano si aprirono come un ventaglio dietro la schiena e la figura sottile, coperta da un lungo cappotto di lana cotta immancabilmente nera, si slanciò e si protese in tutta la sua altezza verso il cielo a svettare su tutto ciò che la circondava.
Borsa al fianco, cappello sempre pendente su un lato secondo l’indiscussa e intramontabile tradizione e moda parigina, Hinata si guardò intorno e riconosciuto il luogo in cui si trovava come Avenue des Champs-Élysées, si diresse a passo svelto verso i taxi, precipitandosi nel primo, senza accorgersi di non essere sola fino a quando fu troppo tardi per tornare indietro.

 

 

*

 

 

Non era sola, appurò senza aprire gli occhi. Per paura di essere riconosciuta dall’occhio più attento o allenato di un passante, si era buttata nel taxi senza neanche controllare che fosse vuoto.
Mossa sbagliata e al contempo perfetta. E con quella prima manovra il destino cominciò a muovere i suoi fili invisibili e a tessere la sua tela.
“Mi scusi…” una voce bassa e roca convinse Hinata ad aprire finalmente gli occhi.
Alzò la testa fino a incrociare lo sguardo divertito e in parte seccato di un uomo, più che legittimo dato che gli era praticamente finita addosso e lo stava schiacciando.
Prima ancora di guardarlo in volto la sua attenzione fu completamente catturata dalla macchina fotografica che gli pendeva al collo. Un brivido le corse lungo la schiena e chiedendo scusa debolmente, si sedette sul sedile di fianco, rigida e decisa fermamente a scendere alla prima occasione.
Era un fotografo, magari anche giornalista..Accidenti tutte le sfortune a lei?
“Signorina..” la voce del conducente la riportò alla realtà.
“Si?” sussurrò indecisa se buttarsi dall’auto in corsa o..
“Mi dispiace, ma dovrebbe scendere, vede..”
“Non fa niente.” lo interruppe l’uomo dietro di lui “Io e la signorina divideremo il taxi, sempre che per lei vada bene si intende…” si girò verso di lei e lo vide osservarla con sguardo penetrante e squadrare tutta la sua persona.
Fece un breve segno di assenso e rivolse gli occhi al finestrino senza vederlo davvero, mentre il cuore le batteva all’impazzata. Forse l’aveva riconosciuta e le avrebbe fatto domande, ma lei non aveva alcuna intenzione di rispondere. No, nessuna..
“Dove deve andare, signore?”
“All’Opèra e sono anche in leggero ritardo, quindi se potesse andare più veloce le sarei grato.”
All’Opèra?Possibile stesse andando per seguire la conferenza o peggio per parteciparvi?
“E voi signorina?”
Non ci aveva pensato..Dove voleva andare?Sentì lo sguardo del suo vicino fastidiosamente puntato sul collo e si affrettò a rispondere di slancio “Jardin du Luxembourg.”
“Nella direzione opposta..” sentì borbottare l’autista, un uomo basso e leggermente tarchiato, con radi capelli sulla testa tonda e lucida come una moneta.
Una ciocca di capelli le finì sugli occhiali e lei la spostò dietro l’orecchio.
L’uomo che aveva notato anche quel gesto per lei familiare, le rivolse la parola nuovamente.
“Jardin du Luxembourg, eh?Offrono uno spettacolo straordinario in primavera. E’ la prima volta che vi si reca?”
Hinata spostò la testa di tre quarti, quel poco che bastava per guardarlo in faccia e non sembrare una maleducata e sorrise distratta.
“No, ma è da tempo che non ci vado e desidero molto vederli.”
Era vero. Se ne accorse nel momento stesso in cui le parole le scivolarono veloci dalle labbra. Erano passati mesi, se non anni dall’ultima volta in cui c’era andata, in cui aveva sentito la brezza gentile del vento carezzarle il viso e i capelli volarle intorno.
“Come avrà capito sono un giornalista.”
Si era accorto del lungo sguardo che aveva lanciato alla macchina fotografica, così come sapeva che a lei non fosse passato inosservato il modo in cui l’aveva studiata da capo a piedi.
“All’Opèra c’è un meeting con il Corpo di Ballo e sono tutti in fermento perché pare ci sarà anche la Prima Ballerina e questa è una novità. Sa, non ama molto le interviste o i giornalisti, a seconda dei punti di vista..Mi perdoni, forse la sto annoiando.”
“No..”si affrettò a rispondere Hinata, con voce leggermente più dolce rispetto a prima.
“E’ appassionata di danza classica?” rispose interessato l’uomo.
Aveva capelli castani lunghi fino al collo, legati in un codino, un filo di barba appena accennata su mento e guance e profondi e intensi occhi verdi.
Ora che ci pensava non aveva l’aspetto proprio dei giornalisti. Ma qual era l’aspetto dei giornalisti?
“Una mia amica è una ballerina.” si ritrovò a precisare.
“Oh..capisco e immagino lei sia una sua grande ammiratrice.” osservò con un grande sorriso, per nulla derisorio o canzonatorio.
“Strano..” replicò allora Hinata in parte colpita, fissando di nuovo dinnanzi a sé.
L’uomo la guardò, aspettando che continuasse. “Davo per scontato che la sua prossima domanda sarebbe stata chi fosse questa ragazza, se fosse brava o al massimo se fosse francese.”
L’altro indurì appena lo sguardo, mentre la mascella si irrigidiva.
“Penso che lei abbia un’idea piuttosto distorta del giornalista o la travisi completamente.”
“Non credo.”osservò assente.
“Non tutti i reporter sono persone senza scrupoli, pronte ad inventare frottole o storie, screditando chiunque pur di far comprare più giornali. Le riviste, di qualsiasi genere, non sono diffamazione gratuita.”
Si girò verso il tassista mettendogli in mano dei soldi. “Io scendo qui.”
“Ma la conferenza all’Opèra?”chiese quello meravigliato.
“Ho l’idea che oggi non ci sarà alcun incontro, dato che la protagonista non sarà presente.”
Lo sapeva!L’aveva riconosciuta, ma allora perché…?
Ancora intontito, ma comunque felice per non dover più fare un bel tratto di strada, l’autista che non aveva compreso la situazione, fermò il taxi e si voltò per dargli il resto, ma lui lo bloccò ammiccando in direzione di Hinata. “Pago anche per la signorina.”
Aprì lo sportello e stava per scendere, ma all’ultimo secondo parve ripensarci e si girò verso di lei, un’espressione di desolato dispiacere dipinta sul volto.
“So che non potrà mai dimenticare il torto fattole anni fa, ma mi prometta di pensare a quello che le ho detto. Ricordo con nostalgia una ragazza meravigliosa che ai tempi del suo debutto, salendo sul palcoscenico dimenticava ogni cosa e sembrava brillare ed irradiare luce come una stella, fulgida nella sua semplice bellezza non artefatta. Ora invece quella ragazza è una donna, fuoco che brucia qualsiasi cosa tocchi. Certo le fiamme sono stupende, ma le dirò una cosa…personalmente preferivo la purezza dell’acqua e la sua capacità di  disinteressarsi completamente del resto.”
Una breve pausa di silenzio, il tempo necessario per vedere la donna di fronte a lui tenersi tenacemente al sedile e le rivolse un sorriso gentile, mentre la osservava boccheggiare alla ricerca di una risposta con la maschera che si sfaldava e cadeva miseramente in pezzi.
“Le auguro una buona giornata, signorina.”
Una breve folata di vento la colpì, prima che lo sportello si richiudesse e lei rimanesse inerme, come svuotata e privata di ogni energia. Le parole dell’uomo a rimbombarle nella mente in una nenia senza fine, si ritrovò a riflettere e a ponderare sulla sua vita come non faceva da anni.
Sin da bambina le era stato inculcato che fosse suo preciso dovere essere la persona che era diventata. Poco importava che lo fosse davvero o fingesse, lei doveva sembrare perfetta, splendida ed impeccabile e forse perché sotto l’influsso di una buona stella o per semplici capacità personali, era riuscita a raggiungere le pesanti aspettative familiari, superandole se possibile.
E da tutti era vista come l’emblema dell’eleganza e della grazia.
Era apprezzata molto per il suo carattere così insolito in quell’ambiente, schivo e quasi timido, da altri visto come semplice altezzosità e superbia, ma soprattutto per il suo corpo.
Detta così sembrava orribile, ma era questa la realtà. A tutti importava poco o nulla di Hinata Hyuga, figlia di un importante imprenditore giapponese innamoratosi di una donna francese. Tutti cercavano e accoglievano tra loro la prima ballerina del corpo di ballo dell’Opéra Garnier e prima franco-nipponica a ricoprire il ruolo di première danseuse nel prestigioso ensemblee francese, notoriamente chiuso ad “infiltrazioni” straniere*.
Ultimo passo della sua carriera al momento, era stata la promozione a étoile e anche dietro questo premio più che meritato, erano girati pettegolezzi ad opera dei soliti maligni invidiosi che dietro la sua veloce scalata e il suo successo, vedevano solo esempi di corruzione o influenze esterne.    
C’è chi sin da bambino ha un sogno e lo porta avanti con le unghie e con i denti, chi purtroppo è costretto a rinunciarvi perché non ha la possibilità di renderlo realtà, chi ancora non alza un dito e si trova già appena nato con un futuro assicurato. Eppure un sogno non porta felicità, o almeno non sempre. Lei la sua felicità l’aveva buttata via, quando aveva cominciato a ballare senza anima, con rabbia e perseguendo un fine stupido e senza senso. Ma era stato davvero un errore così terribile cercare di ottenere e di assicurarsi degli agi che la rendessero più tranquilla?Eppure non le avevano portato felicità. No, rinunciare a se stessa e indossare la maschera che tutti volevano vedere, l’aveva resa ostile e privata dell’unica cosa che la rendesse davvero soddisfatta, rendere felici le persone, commuovere e far sorridere.
Una vita senza scopo non può esistere.
“Signorina!”
Il conducente aveva fermato la macchina e girato verso di lei la fissava preoccupato.
“Si sente bene, signorina?”
“Oh..si grazie..”
“Siamo arrivati.”
Volgendo gli occhi al finestrino Hinata vide l’entrata dei giardini, affollata come al solito.
Con un groppo in fondo alla gola si fece forza e si avviò con passo sciolto ed elastico verso la fiumana di persone che premeva per entrare, facendosi trasportare all’interno dai movimenti frenetici della ressa.

-

-

-

-

-

-

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: E u r eka