“Abominio”.
Aveva sentito
spesso
quella parola, gli abitanti la sussurravano sempre alle sue spalle
– mai
guardandolo negli occhi.
Quando passava
lo
fissavano in silenzio, gli sguardi pieni d’orrore e odio.
Era diverso,
Rassvet,
lo sapeva: lo dicevano tutti. Da piccolo non ne aveva mai compreso il
perché.
Era per i suoi
capelli,
così chiari da ricordare l’astro notturno? Per i
suoi occhi viola, che non
aveva mai incontrato in nessun altro?
Non lo sapeva,
Rassvet,
il perché. Aveva smesso di chiederselo. Da che avesse
memoria, l’avevano sempre
apostrofato così – persino sua madre gli si era
sempre rivolta con uno strano
brillio nello sguardo.
Se
n’era andata anche
lei, alla fine. L’aveva lasciato solo; lo era sempre stato,
in fondo.
Solo
– non gli dispiaceva quella parola. Non stava male, Rassvet.
Le persone
potevano ferirlo, con i loro sguardi d’odio, la solitudine
no. Poteva restare
ore nel bosco ad ascoltare il vento sussurrare tra gli alberi senza
stancarsene.
Il suo arrivo
aveva
cambiato tutto.
Era un
pomeriggio di
metà Vimana quando una folata gli portò il suo
profumo per la prima volta. Sapeva
di fresco, e di loto. Rassvet non vi prestò attenzione, in
quel momento; i
forestieri erano rari nel suo villaggio troppo vicino al confine, ma
quei pochi
che vi arrivavano si rivelavano uguali agli abitanti. Lo adocchiavano
con
disprezzo e terrore e mormoravano alle sue spalle, interrogandosi sulla
sua
natura.
Non
andò così, non
quella volta. Quando vide la ragazza del loto la prima volta, lei
ricambiò il
suo sguardo e gli rivolse un gran sorriso. Congelò sul
posto, allora; nessuno aveva mai
reagito così,
scorgendolo.
Non curandosi
dell’incredulità dipinta sui volti degli adulti
presenti, gli si era
avvicinata; aveva un’andatura graziosa, leggera.
«Yan
sia con te oggi»
aveva sussurrato, a due passi di distanza. Rassvet era rimasto immobile
– gli
aveva parlato? Cos’avrebbe dovuto rispondere?
Realizzò,
turbato, che era
la prima volta che qualcuno lo salutava spontaneamente. Chi era quella
ragazza?
Perché non reagiva come tutti gli altri?
Rassvet non
rispose al
suo saluto, si limitò a fissarla, inebriato dal suo odore,
reso inoffensivo dai
suoi occhi blu – occhi che si posavano su di lui senza
accigliarsi e senza
baluginii misteriosi, l’osservavano semplicemente, senza
aspettarsi nulla da
lui. Lo comprese, e pensò che sarebbe stato bello darle
tutto.
~
«Rassvet».
Lo pronunciò
pensosamente, assaporandone attentamente il suono. Lo ripeté
tra sé un paio di
volte; infine gli sorrise, forse per rassicurarlo. Temeva che non le
piacesse.
«È un bel nome», disse invece lei.
«Anche se ha un suono un po’ aspro.
Vediamo…» proseguì, puntandogli addosso
il blu indagatore dei suoi occhi.
L’esaminò per qualche secondo, o forse erano
minuti – Rassvet non avrebbe
saputo dirlo, avrebbero potuto persino essere ore, per lui.
«Trovato!» esclamò
lei alla fine, battendo le mani esultante. Lui la fissò
confuso; cos’aveva
cercato?
«Asve»,
scandì lei con
il suo buffo modo di pronunciare la sibilante.
Lo fissò, e gli parve che i suoi occhi ridessero.
«Che dici, ti
piace? Posso chiamarti così?»
Impiegò
qualche secondo
di tempo a processare la domanda. «Asve»,
mormorò a sé stesso. Sorrise; non
suonava male.
«Sì»
rispose,
rendendola felice con quella concessione insignificante.
Gliene
avrebbe fatte volentieri altre mille.
~
Dopo un lungo
inverno,
Maerin aveva segnato l’inizio della sua primavera. Rassvet la
vedeva così. Era
entrata nella sua vita e l’aveva stravolta.
Avrebbe dovuto
capire
subito che erano affini, ma non lo fece. Lei non gli nascose la sua
natura, ma
nemmeno l’esplicitò: intuì che avesse
con l’acqua il rapporto che lui aveva con
l’aria gradualmente, standole vicino e osservandola. Avrebbe
voluto continuare
a farlo per sempre.
Trascorse con
Maerin
quattro interi kamal; Rassvet avrebbe potuto, dovuto
notare l’agitazione che si era impadronita del
villaggio, ma
non lo fece. Notò, tuttavia, gli effetti che questa ebbe
nella ragazza. Gli
capitò sempre più spesso di scorgere
preoccupazione nel suo sguardo, prima che
potesse tornare a celargliela. Era l’inizio di Lis quando al
villaggio
arrivarono due forestieri – tutto cambiò.
Rodos e Bess
confermarono le voci che si erano sparse nell’ultimo periodo:
la guerra con
Bias era alle porte, il primo attacco non avrebbe tardato
più di un altro
maran, con ogni probabilità. Maerin annuì pensosa
nell’apprenderlo.
Rassvet non
capiva
perché avesse importanza.
«Se
arriveranno qui, li
fermerò» confidò convinto
all’amica. «Non serve che andiamo via».
Lei gli rivolse
un
sorriso triste. «E se prima di venire qui attaccassero altri
villaggi?»
replicò. «Dobbiamo fermarli –
è il nostro compito, Asve».
«Il
nostro compito?»
Maerin gli fece
un
discorso sulle loro responsabilità, sul fatto che il loro
potere dovesse essere
usato per proteggere gli abitanti di Fisis.
«Tocca
a noi» concluse,
prendendogli le mani tra le sue. «Verrai, Asve? Saremo sempre
insieme».
Rassvet non
rispose
subito, lo sguardo puntato sull’intreccio delle loro mani.
Non gli interessava
degli abitanti di Fisis, perché avrebbe dovuto? Non
l’avevano mai considerato
uno di loro. Lei era l’unica ad averlo fatto; persino gli
altri due Ela, Bess e
Rodos, avevano sollevato un sopracciglio nel vederlo.
«Va
bene» rispose però,
tacendo le sue esitazioni. Che importanza avevano? L’avrebbe
seguita, era solo
ovvio. Alzò il volto e incrociò un blu gioioso.
«Ne
ero certa», mormorò
Maerin felice. Sciolse l’intreccio, mantenendo la stretta su
una sola delle sue
mani e mosse un passo indietro. «Vieni, andiamo a dirlo agli
altri!» l’esortò.
Asve la
seguì, muto.
~
«Ben
fatto!»
Ricambiò
il sorriso di
Rodos. Lui e Bess si erano rivelati niente affatto malvagi; i quattro
Ela
avevano stretto un bel legame, imparando a supportarsi a vicenda negli
scontri.
Maerin aveva
avuto
ragione, andava tutto bene.
Iniziava
a vedere anche la fine di quell’inutile conflitto. I Biadri
erano testardi,
pieni di risentimento verso Fisis, e per battersi utilizzavano armi di
uno
strano materiale, mai visto prima: per qualche motivo, quella sostanza
nera
danneggiava seriamente i suoi compagni. Sembrava non avere, tuttavia,
alcun
effetto su di lui.
«Tuo
padre era uno di
loro, vero?» gli domandò Bess una sera.
«Hai i loro geni; l’olio nero non può
farti
male».
Asve la
guardò pensoso,
senza risponderle. Suo padre? Non l’aveva mai conosciuto, non
gli aveva mai
rivolto più di un pensiero fugace. Si fissò la
mano pallida, riportò alla mente
gli sguardi d’odio subiti dalle persone che
l’avevano visto crescere. Era
questo il motivo, suo padre?
«Va
tutto bene?» la
voce di Maerin arrivò, lenitiva, insieme a un tocco leggero
sulla sua spalla.
Asve annuì, dimenticando la questione. Si voltò
verso di lei; andava tutto bene.
NdA
Se vi state chiedendo che significa tutto ciò,
Sì, lo so, odiatemi pure (please don't).
Il prossimo capitolo delle Storie, comunque, è pronto; arriverà i primi di dicembre :3
Spero, nonostante tutto, di avervi trasmesso un briciolo del mio amore per questi personaggi.
Mi dileguo ~ Buon proseguimento a tutti!
A presto!